Oggetto

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Ogni cosa che il soggetto percepisce come diversa da sé ed esterna, quindi tutto ciò che è pensato, in quanto si distingue sia dal soggetto pensante sia dall’atto con cui è pensato (per lo più contrapposto a soggetto). In senso concreto, ogni cosa che cada sotto i sensi dell’uomo, in particolare che abbia una forma definita e sia opera del lavoro umano.

Arte

Protagonista nel genere pittorico della natura morta, l’o. è al centro delle ricerche d’avanguardia dei primi decenni del 20° sec., in una visione che oltrepassa l’approccio imitativo o rappresentativo: sezionato analiticamente dal cubismo, coinvolto nella sua realtà fisica (integralmente o in modo frammentario) nei collages cubisti e dadaisti, l’o. (in particolare l’o. d’uso) è, infine, promosso alla dignità di opera d’arte, con un’audace operazione intellettuale di straniamento (➔ ready made). Objets trouvés, poèmes-objets, «oggetti visti in sogno» popolano il mondo surrealista. Gli objets-types dei dipinti puristi di A. Ozenfant e di Le Corbusier sono utensili e strumenti le cui forme fondamentali sono enfatizzate con ‘lirismo matematico’. Nell’ambito delle neoavanguardie, l’o. ritorna nei combine-paintings di R. Rauschenberg, nelle accumulations di Arman e in varie altre espressioni nell’arte concettuale.

Dal termine o. deriva la definizione di pittura oggettuale, movimento artistico dell’inizio degli anni 1970, che realizza elementi tridimensionali di valenza plastico-pittorica, quadri-o., nei quali la tela è sagomata da strutture sottostanti, acquisendo evidenza plastica ed evidenziando l’importanza ‘oggettuale’ dell’opera. Tra gli esponenti, E. Castellani, A. Bonalumi, oltre a varie opere di L. Fontana e P. Manzoni.

Diritto

L’o. del negozio giuridico è l’interesse o gli interessi che le parti intendono regolare con adeguate dichiarazioni di volontà, nell’autonomia loro riconosciuta dalla legge. Questi interessi costituiscono la materia in ordine alla quale gli intenti dei soggetti si formano e sono esercitati. A questo proposito si adotta il concetto d’interesse, invece di quello di bene, poiché a proposito dei negozi giuridici si presentano in evidenza gli interessi privati, cioè le valutazioni soggettive applicate ai beni. Questi ultimi invece sono in primo piano concettualmente nel diritto soggettivo. L’ordinamento positivo, nel provvedere alla disciplina dei negozi giuridici, prende in considerazione l’o. con riferimento ai suoi requisiti (oggettivi): l’accertamento dell’esistenza o no di questi requisiti rende possibile il giudizio circa la rispondenza dei negozi ai contenuti delle diverse categorie negoziali tipiche. A proposito del contratto, l’art. 1346 c.c. richiede che l’o. sia possibile, lecito, determinato o determinabile; può essere anche futuro in date circostanze (art. 1348 c.c.).

L’o. è possibile quando per sua natura si presti a realizzare concretamente la previsione contenuta nella fattispecie legale corrispondente al negozio voluto dalle parti; è lecito quando non urti contro un divieto della legge; è determinato o determinabile quando si presenti chiaramente individuato dalle dichiarazioni delle parti ovvero siano dati senza possibilità di equivoci i criteri per detta individuazione. La mancanza di uno dei requisiti oggettivi determina la nullità del negozio giuridico (art. 1418 c.c.).

Filosofia

Come termine filosofico, o. designa in generale la realtà in quanto contrapposta al pensiero che la conosce. Etimologicamente, il lat. mediev. obiectum corrisponde al gr. ἀντικείμενον («che giace contro») così come subiectum («soggetto») corrisponde a ὐποκείμενον («che giace sotto»). Ma ἀντικείμενον è per gli antichi l’‘opposto’, cioè il concetto in quanto si contrappone a un altro. La realtà delle cose, come ‘o.’ del pensiero, è designata invece dal termine ὐποκείμενον, subiectum, sia nel significato di materia ‘soggetta’ alla forma sia in quello di sostanza individuata. Dall’impostazione aristotelica, la scolastica sviluppa invece il problema dell’o. in senso autenticamente gnoseologico, elaborando una dottrina delle species, sensibili e intelligibili. Le species, frutto del processo di astrazione, rappresentano le caratteristiche formali, sia a livello dei sensi sia a livello dell’intelletto, colte dal soggetto conoscente; rappresentano dunque l’o. in quanto presente al soggetto. Per G. Duns Scoto le species sono considerate come ciò che fa le veci dell’o., mettendo chiaramente in luce la distinzione tra species da un lato e o. dall’altro. I successivi sviluppi della gnoseologia moderna sottolineano il carattere indipendente dell’o. rispetto alla conoscenza (ne sarebbe, per es., prova l’involontarietà delle sensazioni), onde nasce, a partire da Cartesio, il problema del raccordo di questo o., avvertito come esterno e indipendente, con la rappresentazione. Le difficoltà di questo tentativo sono riflesse nella critica di D. Hume al concetto di o., volta a dimostrare l’impossibilità di reperire un criterio adeguato a distinguere una doppia esistenza, quella dell’o., cioè, e delle percezioni corrispondenti. Una complessa concezione dell’o. tesa a superare le difficoltà gnoseologiche tradizionali è quella kantiana: l’o. diventa per I. Kant o. fenomenico, prodotto dall’interazione tra categorie e intuizioni sensibili, o. indipendente dalle oscillazioni soggettive dei singoli soggetti empirici, in quanto relativo a strutture conoscitive valide per tutti. Ma in contrapposto a questo o. fenomenico (Gegenstand), rimane per Kant, pur come concetto limite, la cosa in sé (Objekt), inattingibile dal processo conoscitivo. Nei postkantiani e nei filosofi idealisti si tende ad accettare la concezione kantiana dell’o., eliminando peraltro il concetto di cosa in sé; in J.G. Fichte, per es., l’o. è identificato con il non-Io e concepito come ciò che si oppone all’Io.

Un’articolata teoria dell’o. è stata fornita, nell’ambito del pensiero otto-novecentesco, da A. von Meinong, che coglie l’o. a un livello piuttosto ontologico che gnoseologico, essendo indifferente, rispetto a una classificazione degli o., l’esistenza reale degli stessi. Lo stesso rifiuto di concezioni psicologistiche, la stessa indipendenza dagli aspetti soggettivi dell’esperienza caratterizzano anche le posizioni husserliane. Per E. Husserl l’o. è semplicemente il correlato intenzionale di qualsiasi attività teoretica o pratica (in questo seguendo posizioni di F. Brentano). In una prospettiva logico-ontologica, anch’essa non lontana dalle tesi di Meinong e Brentano, si colloca infine la teoria dell’o. di G. Frege, secondo cui o. è qualsiasi entità che costituisce il referente di un nome proprio; dal momento che nome proprio è per Frege tutto ciò che non ha valore predicativo (valore riconosciuto invece al concetto in quanto referente di un predicato e nel cui ambito cadono gli o.), ne consegue l’estensione della qualifica di o. anche a entità astratte o ideali come i numeri.

Fisica

In ottica, l’o. (o punto-o.), in contrapposizione a immagine, è il punto dal quale provengono, o sembrano provenire, i raggi luminosi che concorrono a formare l’immagine fornita da un sistema o strumento ottico. L’insieme dei punti che, in relazione a un dato sistema ottico, possono essere punti-o. prende il nome di spazio-oggetti del sistema, in contrapposizione a spazio-immagini.

Linguistica

S’intende per o. dell’azione verbale la persona o la cosa, concreta o astratta, su cui si esercita l’azione esplicata da un’entità agente, soggetto dell’azione. Quando questa azione è attiva ed espressa in forma transitiva, la parola che rappresenta il soggetto dell’azione costituisce il soggetto grammaticale e quella che rappresenta l’oggetto dell’azione costituisce il complemento diretto del verbo, ossia il complemento oggetto. Nelle lingue indoeuropee con declinazione quest’ultimo è indicato dal caso accusativo, nelle altre per mezzo della collocazione, in genere dopo il verbo. Complemento dell’o. interno Quello che si ha con verbi intransitivi, quando consta di una parola di significato affine a quello del verbo o anche etimologicamente connesso con questo; per es.: piangere lacrime amare; sognare sogni beati ecc.

Psicanalisi

Il termine o. è usato in vari sensi, di cui i più importanti sono: a) in correlazione alla pulsione (o. pulsionale, secondo la caratterizzazione freudiana della pulsione come provvista di una spinta, di una fonte, di una meta e di un o.); b) in correlazione all’io, come o. d’amore (o d’odio), e, in quanto tale, persona totale (in contrapposizione all’o. pulsionale, che può essere invece un o. parziale); va notato peraltro che lo stesso io può porsi a sé stesso come o. d’amore (narcisismo).

In psicanalisi l’espressione relazione oggettuale designa una certa modalità di rapporto del soggetto con il proprio mondo, fin dalla primissima infanzia: tale modalità di rapporto è la conseguenza del complesso sviluppo della personalità ed è collegata alla percezione, più o meno fantasmaticamente influenzata, dei propri o., e a certi tipi di difesa. In modo specifico si parla di relazione oggettuale in connessione a momenti dello sviluppo individuale (relazione oggettuale orale, anale, fallica ecc.) e in riferimento a particolari situazioni patologiche (relazione oggettuale melanconica, maniacale ecc.). Nel caso, per es., di una relazione oggettuale di tipo orale, tutti i comportamenti dell’individuo potranno assumere significati orali; le modalità del rapporto, qualunque siano i suoi o., saranno modalità di tipo incorporativo. Nelle correnti psicanalitiche inglesi particolare importanza ha acquistato la teoria delle relazioni oggettuali (R.D. Fairbairn, M. Klein e altri), che hanno messo in luce l’importanza delle prime fasi dello sviluppo proprio in termini di rapporti con gli o. (si parla di o. buoni, cattivi e di o. parziali nella teoria di M. Klein; di o. transizionali in quella di D.W. Winnicott).

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