Olimpiadi estive: Atene 1906

Enciclopedia dello Sport (2004)

Olimpiadi estive: Atene 1906

Elio Trifari

Giochi intermedi

Data: 22 aprile-2 maggio

Nazioni partecipanti: 20

Numero atleti: 843 (837 uomini, 6 donne)

Numero atleti italiani: 68

Discipline: Atletica, Calcio, Canottaggio, Ciclismo, Ginnastica, Lotta greco-romana, Nuoto, Scherma, Sollevamento pesi, Tennis, Tiro, Tiro alla fune, Tuffi

Numero di gare: 74

Come definire la manifestazione che si svolse ad Atene fra il 22 aprile e il 2 maggio 1906 (il 9 e il 19 aprile, secondo il calendario giuliano in uso in Grecia)? Quale che sia la decisione che adotteremo, quella che si disputò fu un'edizione degna e totalmente rappresentativa dei Giochi Olimpici dell'era moderna, per qualità, rappresentanza, organizzazione e consenso ottenuto. Sicuramente, assai più delle rassegne confuse e spesso umilianti di Parigi 1900 e St. Louis 1904. Per questo motivo, la ricerca storica e la storiografia sportiva e olimpica attribuiscono a quanto accaduto in quegli 11 giorni nella capitale greca pieno significato di un'Olimpiade tout-court. Ma perché un'edizione dei Giochi si tenne ad Atene dieci anni dopo quella inaugurale? E come considerare questa edizione nel computo generale degli eventi olimpici?

Per capirlo è necessario andare alle fonti e alle motivazioni di quell'iniziativa. Già nelle ore che seguirono la conclusione dei primi Giochi, emerse con chiarezza l'intendimento dei reali greci di allestire o un'edizione permanente dei Giochi ad Atene - il che contrastava con il desiderio di de Coubertin di un'Olimpiade itinerante che diffondesse l'idea del movimento - o comunque un evento celebrativo che caratterizzasse lo 'speciale diritto' di Atene quale culla dell'originaria idea. De Coubertin propose a re Giorgio una soluzione alternativa: allestire una sorta di 'Giochi Panellenici' da tenersi ad Atene ogni quattro anni, negli anni pari non olimpici. I greci accettarono malvolentieri, e insistettero sulla necessità di denominare Olimpiadi anche questi giochi intermedi.

La Grecia avrebbe voluto tenere i Giochi Panellenici già nel 1898, mentre si avviavano i preparativi per l'organizzazione di Parigi 1900, ma l'idea abortì subito a causa della guerra contro i turchi per il possesso di Creta. La nomina di un governatore cristiano per l'isola, a lungo sotto dominazione turca, scatenò la reazione della popolazione islamica e la guerra, con l'invasione della Macedonia turca da parte di truppe di Atene, impegnò a tal punto i greci da far dimenticare, almeno per il momento, ogni velleità olimpica, anche se il conflitto vero e proprio durò 30 giorni. Secondo George Stuart Robertson, l'autore dell'ode pindarica letta durante la cerimonia di chiusura del 1896, anche l'Olimpiade aveva contribuito a far precipitare i rapporti fra greci e turchi, sollecitando oltre misura l'amor patrio ellenico.

Di manifestazioni intercalate con l'Olimpiade si riprese a parlare all'inizio del 20° secolo. Nel congresso olimpico che ebbe sede a Parigi il 23-25 maggio 1901, i tre membri tedeschi del CIO proposero di convocare l'anno successivo una sessione del Comitato ad Atene per definire il programma generale dei futuri Giochi, con accento particolare su quelli da disputare ad Atene. Secondo i tedeschi, le competizioni internazionali sarebbero state due, una ogni due anni, allestite in alternanza ad Atene e in altre grandi città. La data prevista per la prima manifestazione ateniese doveva essere il 1906, da ripetersi nel 1910 e così via.

De Coubertin commentò molti anni dopo di aver ritenuto subito assai poco pratico un piano del genere, nonostante il sostegno tedesco, quello greco e l'adesione americana, convinto com'era che in questo modo l'Olimpiade sarebbe divenuta troppo frequente. Ma è significativo che non si possa stabilire con certezza, sulla base di documenti e testimonianze, cosa abbia deciso quella sessione del CIO nel 1901. E dobbiamo spingerci fino al congresso del 1905 per capire, da un lato, che de Coubertin non aveva il pieno Controllo del Comitato, dall'altro che i greci erano andati avanti per proprio conto. Il delegato di Atene al congresso di Bruxelles annunciò che il Comitato per i Giochi 1906 era stato formato e che avrebbe organizzato un'Olimpiade ogni quattro anni. De Coubertin prese atto, dichiarò che il CIO avrebbe appoggiato i Giochi aggiuntivi greci nel 1906 e comunicò per iscritto al membro boemo Jiri Guth l'accettazione dei Giochi Olimpici di Atene da parte del Comitato olimpico.

E allora, si tratta o no di un'Olimpiade? Va detto che non esistendo allora un regolamento del CIO, che de Coubertin produsse in francese solo nel 1908, né una Carta Olimpica, che quando emanata avrebbe definito olimpici solo i Giochi tenuti all'inizio di ogni quadriennio, dobbiamo basarci sugli scritti, più privati che pubblici, dell'epoca. Lo stesso CIO, nella 41a sessione di Londra 1948, fu investito della questione dallo storico ungherese Ferenc Mezö, che lo invitò a riconoscere i Giochi del 1906 come 'Olimpiade IIIb'. Fu formata una commissione di tre membri, presieduta da Avery Brundage, futuro presidente del CIO, dal canadese A. Sidney Dawes e dal cubano Miguel Angel Moenck. La commissione si riunì a New Orleans nel gennaio 1949 ed elaborò un rapporto, presentato a Roma alla 42a sessione, la cui conclusione fu negativa: si riteneva che "non fosse possibile attribuire, a tale distanza di tempo, riconoscimenti particolari ai partecipanti a questi Giochi" e si sottolineava il rischio di creare "un pericoloso precedente". Alla voce "accoglimento dei Giochi intermedi 1906" la commissione scrisse quindi "respinto", nonostante i Giochi fossero stati considerati ufficiali e accettati dal CIO nel 1906.

Il successo di quei Giochi, dobbiamo notare oggi, salvò in buona parte l'idea olimpica massacrata da Parigi e St. Louis. Furono i più internazionali fra quelli organizzati fino ad allora, ebbero la più vasta attenzione dalla stampa, che li chiamò sempre 'Olimpici', a differenza, per esempio, di Parigi 1900. De Coubertin volle tuttavia sottolineare la sua contrarietà di fondo. Non andò ad Atene e addirittura organizzò in tutta fretta a Parigi un congresso olimpico sui concorsi d'arte nei Giochi, che si tenne alla fine di maggio e i cui inviti partirono solo il 2 aprile. Fu un'evidente operazione di disturbo: tuttavia, altri membri del CIO, da Willibald Gebhardt a Viktor Balck, da Carl Clarence von Rosen a Eugenio Brunetta d'Usseaux si recarono ad Atene e vi tennero pubbliche apparizioni.

L'organizzazione dei Giochi ateniesi 1906 fece registrare la presenza, per la prima volta, di autentiche rappresentative nazionali. Gli USA, che non organizzarono gare di selezione, si basarono sui primati e le prestazioni degli atleti, che partirono da Hoboken, New Jersey, sulla Barbarossa il 3 aprile, consci questa volta delle differenze di calendario. Il giorno dopo, un'onda anomala quasi spazzò via un mezzofondista, Harvey Cohn, salvato da un compagno, mentre il lanciatore Mitchel ebbe una lussazione della spalla che gli impedì di gareggiare. Dopo una sosta a Gibilterra, la nave arrivò a Napoli il 16 aprile in tempo per vedere i guasti provocati dell'eruzione del Vesuvio avvenuta la mattina del 5 aprile. Gli atleti proseguirono in treno fino a Brindisi, in battello fino a Patrasso, di nuovo in treno fino ad Atene, arrivando la sera del 19. Altri europei ebbero difficoltà a raggiungere Atene: tedeschi, austriaci, cechi e ungheresi presero una nave a Trieste, l'Amphitric, che incappò in una tempesta con mare così agitato che la sera prima dell'arrivo solo un atleta riuscì a presentarsi in sala pranzo. Arrivarono il 21 aprile, i francesi li avevano preceduti il 16. I canadesi, che non avevano viaggiato con gli americani, erano partiti da Toronto e si erano fermati cinque giorni a Napoli, arrivando tuttavia il 29 marzo nella capitale greca. Viaggiò per conto suo Bill Sherring, che sarebbe stato uno degli eroi dell'edizione, partendo da solo in un cargo bestiame. Anche gli australiani arrivarono in vapore, ma meglio di tutti viaggiarono gli schermidori inglesi, che si trovarono a Napoli per imbarcarsi sullo yacht di lusso di lord Howard de Walden, sul quale, banchettando e godendosi la vita da bravi aristocratici, vissero durante i Giochi.

Gli italiani in questa edizione arrivarono a seguito della prima, vera selezione effettuata in patria. L'invito per i Giochi fu consegnato al deputato Luigi Lucchini, 59 anni, nato a Piove di Sacco (Padova), presidente dell'Unione italiana tiro e fondatore dell'Istituto nazionale per l'incremento dell'educazione fisica. Giurista, docente universitario, Lucchini stimolò la formazione di una commissione per le Olimpiadi di Atene 1906, con sede presso il consolato greco di Roma, che parzialmente si sovrappose al Comitato, ancora operante, per i Giochi di Roma 1908 poi mai tenuti. Fra i componenti, il maestro di ginnastica Cesare Tifi, segretario, e il generale Duce che era presidente della Federginnastica. La commissione ricevette 5000 lire dal governo, il cui presidente del Consiglio Sonnino era membro del comitato d'onore, posto sotto la tutela del cugino del re, Emanuele Filiberto. Non ne faceva parte, invece, Brunetta d'Usseaux, membro italiano del CIO, impegnatissimo prima ad Atene a convincere i greci che l'edizione 1906 non sarebbe stata permanente, come volevano i reali, e poi ad annunciare le enormi difficoltà, in pratica la rinuncia, di Roma quale sede dell'edizione 1908.

Fra il 31 marzo e il 2 aprile 1906 si svolsero a Roma le selezioni, affollate da ben 631 iscritti: un inusuale vento gelido accompagnò le prove, negando ai nuotatori la possibilità di calarsi nelle acque del Tevere, ma atletica (a piazza di Siena), scherma (a Villa Borghese per le finali), tiro (nel poligono di Tor di Quinto), canottaggio (sul Tevere), ciclismo su strada (84 km in linea) e tennis (nel circolo di via Corsi) ebbero regolarmente luogo; solo il ciclismo su pista finì a Torino. In queste gare si rivelarono, fra gli altri, il talento di Emilio Lunghi, che sarebbe divenuto uno dei più grandi mezzofondisti veloci della storia, e l'abilità ginnica di Alberto Braglia, tuttavia a Roma battuto dal genovese Cybeo, cui la società Cristoforo Colombo negò il lasciapassare per i Giochi. I selezionati furono festeggiati a Villa Pamphili dallo stesso re Vittorio Emanuele III, con la regina Elena in prima fila a consegnare le fasce di partecipazione. I reali si trattennero fino ad applaudire l'arrivo della maratona, vinta da Dorando Pietri.

Si trattò di una selezione con tutti i crismi, anche se snobbata dalla federatletica di allora, l'Unione podistica italiana, e macchiata da pasticci arbitrali nella ginnastica, in seguito ai quali la Colombo e Cybeo rinunciarono al viaggio. Accadde infatti che la Virtus Bologna fosse esclusa dalla trasferta e fosse accettata la Ginnastica Roma, di cui era direttore tecnico Tifi, no- nostante la Colombo avesse vinto la selezione. Nel canottaggio, le ristrettezze del bacino di regata provocarono diversi incidenti: nelle jole a 4 con timoniere la Querini di Venezia dovette fermarsi, mentre a 400 m dall'arrivo la Bucintoro andò letteralmente all'arrembaggio dell'Aniene, che restò fuori dai primi due posti, utili per andare ai Giochi, e rifiutò la ripetizione, allestita due giorni dopo.

La commissione selezionò in totale 44 atleti e li convocò per le 23.30 del 17 aprile a Brindisi, a bordo della nave Montenegro, poi sostituita dalla Scilla, che si mosse alle 8 del 20 aprile, diretta a Patrasso: il viaggio proseguì in ferrovia fino ad Atene. Erano partiti in effetti in 44, ma dopo non pochi rimescolamenti della convocazione iniziale: per includere nella trasferta il mantovano Francesco Verri, dilettante sui generis e comunque sconfitto a Torino, dovette insorgere la sua stessa città. Verri partì e mai scelta tardiva e irregolare è stata più indovinata. Il quadro prevedeva dunque 6 atleti, 8 canottieri, 3 ciclisti, 19 ginnasti, e altri 8 fra lotta, scherma, pesi, tiro, nuoto e tuffi, più i 24 marinai dell'incrociatore corazzato Varese. Un totale di 68 italiani in gara, accolti con entusiasmo dai greci, e dalla comunità italiana che organizzò una festa all'hotel Splendid, alla presenza del ministro Bollati e con la partecipazione del principe Costantino, che salutò con un caloroso "Viva l'Italia!".

Quanto agli alloggi, a parte i ricchi inglesi, lo Zappeion ospitò la maggior parte degli atleti, italiani compresi, e funse quindi da protovillaggio olimpico. In un secondo tempo gli americani, che non sopportavano le dosi giornaliere di montone, si trasferirono in albergo.

Lo stadio Panathinaikos era stato completamente ricostruito, le gare di scherma si tennero allo Zappeion, il tennis trovò nuova collocazione al Tempio di Zeus, sede del circolo di Atene, al velodromo si disputò anche il torneo di calcio. Gli sport furono 12, o 13 se separiamo nuoto e tuffi, gli atleti in gara 843, tutti rigorosamente dilettanti: ci furono anche 6 donne - approfittando dell'assenza di de Coubertin - nel tennis. Le competizioni furono 74, inclusi il singolare femminile e il doppio misto aperti al contributo muliebre. E le donne apparvero anche nello stadio, in un'esibizione tenuta dalle ginnaste danesi, gonnellini corti e gambe nude, dirette da Magdalene Petersen; alcune delle ginnaste non avevano compiuto 20 anni.

Ci fu una vera e propria cerimonia d'apertura, di sapore olimpico. Tutte le 20 rappresentative marciarono precedute da un portabandiera: aprì la Germania, chiuse la Grecia; l'Italia, rappresentata dai ginnasti di Roma e Pistoia, sfilò per sesta. Fu suonato l'inno di Samaras, 60.000 spettatori affollavano le scalee. Anche i reali entrarono in corteo, re Giorgio e la sorella davanti, la regina Alexandra d'Inghilterra, poi re Edoardo VII, suo marito, e la cognata Olga, regina di Grecia, il principe di Galles e la moglie principessa Mary, infine gli altri membri della famiglia reale greca. Toccò poi ai dignitari, fra i quali duca e duchessa di Sparta e il granduca di Russia Boris. Sul palco reale presero posto anche il primo ministro greco e l'arcivescovo di Atene; alla sinistra il corpo diplomatico e gli ufficiali delle navi alla rada al Pireo. Il discorso d'avvio toccò al principe Costantino e andò oltre la formuletta di rito: citò le antiche tradizioni e si concluse con la richiesta a re Giorgio di proclamare aperti i Giochi Olimpici del 1906. Ciò fatto, le rappresentative uscirono dallo stadio, lasciando posto alle esibizioni, seguite dalla prima competizione, la ginnastica. Le medaglie in oro, argento e bronzo, la medaglia ricordo e il diploma riproducevano, data a parte, la medaglia per il vincitore, il ricordo e il diploma del 1896. Fu anche girato un film dei Giochi, da Nikolaos Svoronos, sviluppato a Londra: ne esistono frammenti e fermi-immagine, dalle quali sono state tratte alcune foto.

La ginnastica, che si concluse il mattino dopo, procurò la prima medaglia all'Italia, il bronzo della Ferrucci di Pistoia, dietro Norvegia e Danimarca e davanti alla Ginnastica Roma, il cui team leader era Tifi, che non potendo camminare si spostò in bicicletta da un attrezzo all'altro. Le norme della ginnastica prevedevano che fosse primo chi otteneva più di 18 punti e secondo chi otteneva più di 16 e meno di 18 punti. Quindi, ufficialmente, Norvegia e Danimarca furono prime, le due squadre italiane e la Germania seconde. La ginnastica svedese fu solo un assaggio rispetto alle gare individuali agli esercizi combinati, che si disputarono due giorni più tardi: una a cinque prove (sbarra, parallele, volteggio, anelli e un salto combinato alto-lungo), una a sei (le cinque precedenti più il cavallo con maniglie). In entrambe, tralasciando il criterio di allora (i 14 che ottennero più di 90 punti furono ritenuti primi) si affermò il francese Pierre Payssé (1873-1938), già campione del mondo con la Francia ad Amsterdam (1903) e Bordeaux (1905), formato alla Vaillante nell'Île de France e divenuto famoso nel 1911 come fondatore del primo club sportivo femminile francese, la Fémina-Sport. Dietro di lui, a due punti nelle cinque prove, a uno solo nelle sei, si piazzò il modenese Alberto Braglia, gettando le basi per i successivi due trionfi a Londra e Stoccolma.

L'Italia cominciò dunque con il piede giusto, anche se fu nel ciclismo e nel canottaggio che arrivarono le soddisfazioni maggiori. Francesco Verri, il ventenne mantovano eliminato a Torino e poi recuperato, era quasi un professionista, essendo stipendiato dal direttore della pista di Cernobbio, a 105 lire al mese, ma nel 1905 vinse il titolo dilettanti di velocità e, grazie all'intervento del senatore Scalori, sindaco di Mantova, poté affiancarsi a Federico Della Ferrera e Giacinto Fidani nelle prove ateniesi di ciclismo su pista . Avrebbe dovuto correre solo il chilometro sprint, ma si iscrisse a tre gare. Nel chilometro, disputato nell'intervallo di Danimarca-Smirne di calcio, batté in finale l'inglese Herbert Bouffler e il belga Eugène Debougnie; il giorno dopo coprì in 22,8″ il giro di pista (333,3 m) a cronometro, lo stesso tempo ottenuto dall'inglese Herbert Crowther nello spareggio per l'argento; infine si impegnò nei 5 km in pista, dominando batteria e semifinale, e nella finale lasciando a due lunghezze Crowther e a cinque il francese Fernard Vast: un trionfo, sancito poi a Ginevra con il titolo mondiale di velocità. Passato professionista, Verri ottenne sette titoli nazionali fino al 1912, poi fece il seigiornista negli USA, dove a Chicago stabilì, con lo svizzero Egg, il record della pista nel 1914; riapparve nel 1920 in Italia per vincere, quell'anno e il successivo, altri due titoli italiani. Continuò a gareggiare finché una caduta al circuito del Sempione lo costrinse al ritiro nel 1925 e a trasformarsi in allenatore: il suo pupillo Giacomo Gaioni vinse ad Amsterdam nel 1928.

Il canottaggio regalò all'Italia altre significative soddisfazioni, anche grazie alle stranezze del programma, che per il due con prevedeva due prove, una sui 1000 m, una sul miglio. Il Bucintoro di Venezia trionfò in entrambe, con Enrico Bruna ed Emilio Fontanella, timoniere Giorgio Cesana, il più giovane oro dei Giochi - e dell'intera storia olimpica italiana fino a oggi - a 14 anni e 12 giorni. Nella gara più corta i veneziani dovettero faticare per vincere la resistenza dell'equipaggio pugliese, il Barion di Bari, con Luigi Diana e Franceso Civera, timoniere Emilio Cesarana; il terzo oro dei veneziani arrivò dal quattro con. Altro lustro venne dalle competizioni per navi da guerra, anzi per lance di servizio e baleniere (rispettivamente 6 e 20 uomini più il timoniere). La Varese, incrociatore varato a Livorno, 7350 tonnellate, con 200 uomini a bordo, era comandata dal capitano di vascello Edoardo Barbavara; l'anno dopo, sotto il comando del Duca degli Abruzzi, i marinai italiani scesero in gara contro americani e giapponesi nelle acque di Filadelfia. Ad Atene ci furono solo navi greche da affrontare: sui 2 km del percorso la lancia della Varese si segnalò per lo stile tipico degli italiani, con i vogatori sollevati rispetto ai loro sedili, il timoniere Giovan Battista Tanio in piedi, che dettava il ritmo roteando il braccio sopra la testa. A questa netta vittoria seguì il bronzo delle baleniere sui 3000 m, dietro gli allievi dell'Accademia Poros e i marinai dell'Hydra. Smarriti i registri militari dell'epoca, di quell'equipaggio conosciamo solo qualche nome: Giuseppe Russo e Angelo Fornaciari (oro nel 6 con assieme a Tanio e ai marinai P. Toio, R. Taormina, G. Tarantino ed E. Bellotti), Augusto Graffigna, Alberto Ruggia, Antonio Mautrere, Ezio Germignani, Angelo Sartini, Sebastiano Randazzo, Angelo Buoni, Alpino Nordio ed altri sulla baleniera, timonata da E. Rossi.

L'Italia ottenne dunque un lusinghiero bilancio, 7 ori (ma 3 del Bucintoro e 3 di Verri), 6 argenti e 3 bronzi, che la collocarono al quinto posto nel medagliere, davanti alla Germania. Il risultato meno brillante arrivò dall'atletica, dove gareggiarono in sei, e il miglior piazzamento fu quello di Pericle Pagliani, mezzofondista, che fu quinto nelle 5 miglia (in realtà arrivò sesto, ma l'irlandese John Daly fu squalificato per aver danneggiato lo svedese Edward Dahl nella lotta per il bronzo). La delusione somma venne tuttavia dalla maratona, nella quale si puntava su Dorando Pietri, corridore di Correggio, residente a Reggio Emilia, vincitore della selezione romana, che Francesco Verri seguì in bici. La maratona fu la gara con la più alta partecipazione internazionale, grazie a 15 paesi e a 53 concorrenti, anche se i greci fecero la parte del leone con 32 iscritti. Della squadra greca, selezionata il 17 marzo, faceva parte Belokas, che nel 1896 era arrivato terzo al traguardo ma era stato poi squalificato per aver percorso un tratto su un carro; in questa edizione si ritirò. Fu infatti una corsa massacrante con soli 15 atleti al traguardo. Si disputò il 1° maggio, su un percorso leggermente più lungo rispetto a dieci anni prima, 41,86 km: forse, in realtà, solo meglio misurato, visti i tempi finali. Tutto il percorso era pattugliato da soldati, che fornirono assistenza, medici, ambulanze, infermiere. Il cronometrista era un sottotenente della cavalleria che montava a cavallo: cambiò destriero tre volte. Si partì alle 15.05, con 27 gradi, l'australiano George Blake e l'americano William Frank balzarono al comando. A metà gara, William Sherring conquistò la testa e allungò: vinse con un margine di 7 minuti sullo svedese John Svanberg. Il suo arrivo nello stadio fu segnalato da un colpo di cannone: al suo ingresso in pista il principe Giorgio scese dal palco e lo accompagnò fino all'arrivo. Sherring concluse con le scarpe in mano, mentre Frank, superato da Svanberg nelle battute conclusive, difese a stento il bronzo da un altro svedese, Gustaf Tornros. Pietri, che era tra i favoriti avendo al suo attivo un successo a Parigi nel 1905 nella corsa organizzata dall'Auto, fu colto da forti dolori viscerali a metà gara e fu costretto al ritiro. Le cronache dell'epoca lo descrivono in testa con un vantaggio di 5 minuti, ma in realtà Pietri si batteva nel gruppo dei primi quando i dolori allo stomaco lo costrinsero a rallentare e a salire su un'ambulanza. Due anni dopo fu, fino alla disgrazia della squalifica, protagonista assoluto a Londra, dove guadagnò fama eterna. Sherring, nato nel 1878, era un lavoratore ferroviario di Hamilton, Ontario. Lasciò il suo posto di frenatore per andare ad Atene, grazie a una colletta di 75 dollari raccolta in occasione di un concerto pubblico, che su consiglio di un barista fece fruttare alle corse di cavalli. Ad Atene si allenò due mesi, perdendo 10 kg, mentre faceva l'operaio per le ferrovie greche. Al ritorno lo accolse una Hamilton festante, che gli offrì il posto di ispettore delle ferrovie.

Un evento che si sarebbe ripetuto solo nel 1976 fu la doppietta 400-800 m, ottenuta dall'americano Paul Pilgrim. L'atleta si era pagato personalmente le spese di viaggio, non essendo stato ufficialmente selezionato, pur essendo stato oro a squadre con la staffetta delle 4 miglia a St. Louis. Membro del New York A.C., il più importante club della città dove era nato nel 1883, andò ad Atene per la feroce insistenza del suo tecnico, Matt Halpin. Nei 400 m, inflisse 5 yards di distacco al britannico Wyndham Halswelle (poi famoso a Londra 1908 per una contestatissima finale ripetuta) e il giorno dopo negli 800 m distanziò di mezzo metro il campione di St. Louis James Lightbody, al termine di una lentissima gara tattica conclusa con un forsennato sprint. Pilgrim, che dopo non riuscì a vincere nulla di importante, fu tuttavia direttore del New York A.C. dal 1914 al 1953. Lightbody si consolò con i 1500 m, tornando sul gradino più alto del podio come Archie Hahn nei 100 m. Nella marcia l'americano di origine irlandese George Bonhag, deluso dal risultato ottenuto nei 1500 m (sesto) e nelle 5 miglia (quarto), si iscrisse in extremis a un prova che non aveva mai disputato in passato, dopo aver ottenuto dal canadese Donald Linden istruzioni sui rudimenti dello stile. Linden accettò, pensando di non aggiungere con Bonhag un rivale pericoloso al campo dei partenti, ma Bonhag andò al comando e ci rimase corricchiando, al punto da spingere i giudici a decidere una ripetizione della prova la mattina dopo. Linden si presentò, ma Bonhag non si fece vedere. La ripetizione fu vinta dall'ungherese György Sztantics. I giudici votarono due a favore e due contro sulla proposta di squalifica di Bonhag per la mancata presentazione, ma il principe Giorgio votò a favore del disinvolto americano, e i 1500 m di marcia gli furono assegnati con il risultato del giorno prima. Bonhag poi tornò alla corsa, vincendo un oro e un argento a squadre fra il 1908 e il 1912.

L'atletica offrì anche uno splendido duello nel lungo fra i pluriprimatisti del mondo Meyer Prinstein e Peter O'Connor, vinto da Prinstein grazie al primo salto, mentre l'irlandese si consolò con il triplo, dove il primo olimpionico della storia, Connolly, uscì mestamente dopo tre nulli. I greci, già profondamente amareggiati dall'esito della maratona, dovettero incassare anche un'altra delusione: si disputarono due gare di disco, una standard, un'altra 'di stile greco', con norme curiosissime per imitare la postura delle statue, che in realtà nessuno rispettava esattamente, e un finlandese, Verner Järvinen, beffò il campione di casa Nikolaos Georgantas. Il risultato tecnico più significativo emerse dal giavellotto, nel quale lo svedese Eric Lemming stabilì il nuovo record del mondo. Si chiuse con il pentathlon greco, con lungo (da fermo), gara di corsa su 190 m, disco stile greco, giavellotto e lotta greco-romana, come a Olimpia. Due lanci avrebbero dovuto favorire l'americano Martin Sheridan, che però era infortunato, e la prova andò allo svedese Hjalmar Mellander; il primo greco fu ottavo.

Al torneo di calcio, giocato all'interno del velodromo, parteciparono quattro squadre: una selezione danese, una di Smirne, una di Salonicco e una di Atene. Si iniziò alle 8.30 del mattino con Atene-Salonicco, che finì 5-0. La Danimarca debuttò battendo 5-1 Smirne, poi inflisse un 9-0 ad Atene, che le valse l'oro. Non un marcatore fu registrato: solo in Danimarca-Atene si tenne nota dei minuti dei gol, e si sa quindi che il primo tempo (40 minuti) terminò sul 9-0 e che Atene non si ripresentò nel secondo. Curiosamente, Smirne riunì cinque giocatori, di origine britannica, con lo stesso cognome, Whittal: si trattava di due famiglie, quindi due gruppi di fratelli, Albert, Edward e Godfrey, più Donald e Harold, cugini dei primi tre.

Alla chiusura il 2 maggio vi furono corone d'alloro e medaglie per i vincitori. Il principe Costantino offrì agli italiani un gruppo in bronzo rappresentante Romolo e Remo allattati dalla lupa, dedicandolo al Comitato olimpico italiano e romano. Halpin, il tecnico di Pilgrim, intonò un triplo hurrah per i reali, 6000 studenti greci si esibirono in esercizi ginnici e alle 15.30 re Giorgio dichiarò chiusi i Giochi. "Avremo la stessa gioia ogni quattro anni", disse al banchetto d'onore che si tenne la sera stessa allo Zappeion, ma i Giochi intermedi non tornarono mai più.

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