Olimpiadi estive: Stoccolma 1912

Enciclopedia dello Sport (2004)

Olimpiadi estive: Stoccolma 1912

Elio Trifari

Numero Olimpiade: V

Data: 5 maggio- 22 luglio

Nazioni partecipanti: 27

Numero atleti: 2380 (2327 uomini, 53 donne)

Numero atleti italiani: 61

Discipline: Atletica, Calcio, Canottaggio, Ciclismo, Equitazione, Ginnastica, Lotta greco-romana, Nuoto, Pallanuoto, Pentathlon moderno, Scherma, Tennis, Tiro, Tiro alla fune, Tuffi, Vela

Numero di gare: 102

I Giochi del 1912 furono assegnati a Stoccolma sulla spinta di Viktor Gustaf Balck (1844-1928), il padre dello sport svedese. Ufficiale di marina fino al grado di generale, nato a Karlskrona, Balck fu tra i fondatori del Movimento olimpico, fino dal congresso della Sorbona del 1894. Nel 1897, alla presenza del principe ereditario, diede vita a una sorta di federazione delle federazioni sportive svedesi, l'Associazione svedese degli sport pubblici, che sotto il patronato del re divenne nel 1899 l'ente centrale per la promozione dello sport nel paese.

Il primo traguardo raggiunto dall'organizzazione fu l'istituzione dei Giochi Nordici (Nordiska Spelen), suggeriti nel 1899 dal professor Erik Johan Widmark e programmati a Stoccolma per il 1901. Si pensava di allestirli ogni due anni, alternativamente a Stoccolma e in un'altra capitale nordica. Ma la Norvegia, che all'epoca stava pianificando il distacco totale dalla Svezia, non era d'accordo, la Danimarca aveva pochi praticanti e la Finlandia si intiepidì davanti al rifiuto norvegese. Fu quindi sempre la Svezia a organizzarli, per la seconda volta nel 1905 e poi ogni quattro anni fino al 1917; si tennero ancora nel 1922, quando furono spostati di un anno per armonizzarli meglio con l'Olimpiade, e per l'ultima volta nel 1926. I Giochi Nordici comprendevano l'intero arco delle discipline invernali, come sci di fondo, salto, combinata, sci-orientamento, skeleton (l'antenato del bob), vela e tavola su ghiaccio, pattinaggio di velocità e di figure, curling, bandy, slitte di cani e (nelle ultime due edizioni) hockey su ghiaccio. C'erano però altre discipline non invernali, quali scherma, nuoto ed equitazione di campagna e non mancavano curiosità come lo ski-jöring e le slitte dietro cavalli o renne. Con la morte di Balck nel 1928, quando era ormai diventato chiaro che la 'Settimana degli sport invernali' allestita a Chamonix nel 1924 doveva considerarsi una vera e propria Olimpiade invernale, anche i Giochi Nordici chiusero i battenti.

Balck avanzò la candidatura ufficiale di Stoccolma per i Giochi del 1912 a Londra nel 1908, ma già lo aveva fatto informalmente quando aveva appreso delle difficoltà di Roma per il 1906 e prima ancora quando era venuto a conoscenza delle dispute americane per il 1904. Stoccolma, che alla fine del primo decennio del Novecento era una città di 330.000 abitanti, aveva soltanto Berlino come seria avversaria. I tedeschi avevano ritirato la loro candidatura per il 1908 a favore di Roma, su pressione di de Coubertin, e quando i due membri svedesi a Londra proposero Stoccolma il barone si ricordò l'impegno preso a favore della Germania. Ma nella sessione del CIO del 1909, che si tenne proprio nella città tedesca, quando tutti si attendevano che Berlino fosse scelta per la V Olimpiade si verificò il colpo di scena, un po' perché Berlino non aveva ancora uno stadio, un po' perché alla candidatura mancava il sostegno del Comitato olimpico per i Giochi, il cui presidente, il generale conte Egbert von der Asseburg, era morto il 31 marzo di quell'anno. All'apertura dei lavori di Berlino, dunque, Stoccolma era in realtà candidata unica. La scelta fu unanime e il 28 maggio la capitale svedese ricevette l'investitura. Vi fu il solito scambio di telegrammi fra de Coubertin e il re di Svezia, che cinque ore dopo rispose: "Siamo onorati. Faremo di tutto per fare dei Giochi un successo".

Il Comitato per i Giochi di Stoccolma si mise al lavoro nell'autunno del 1909, presieduto da Balck; suo vice era il capo dell'atletica svedese, Johannes Sigfrid Edström (1870-1964), segretario l'ex mezzofondista Kristian Hellström, bronzo ad Atene 1906 nei 1500 m. Il problema era lo stadio: il governo - nonostante l'opposizione parlamentare di socialdemocratici e del partito agrario - ne finanziò uno ex novo, con un costo finale di quasi 1.200.000 corone dell'epoca (circa 6 milioni di euro di oggi), raccolti da una lotteria nazionale. L'impianto, in stile neogotico, con mattoni rossi, due torri di 33 m e una capacità di appena 19.000 spettatori, portati a 22.000 durante i Giochi con tribune provvisorie, restò di proprietà dello Stato fino al 1964, quando fu praticamente regalato alla città di Stoccolma. La pista, costruita e posata da Charles Perry (l'architetto che aveva progettato White City a Londra e posato la pista del Panathinaikos ad Atene; in seguito gli fu affidata quella del Beerschot di Anversa), aveva uno sviluppo di 383 m (fu ampliata a 400 m per gli Europei di atletica del 1958) con un campo di calcio all'interno di 105 x 65 m. I lavori ebbero inizio il 23 novembre 1910, l'apertura ebbe luogo il 23 aprile 1912, l'inaugurazione formale da parte del re Gustavo V avvenne il 1° giugno per i Trials di atletica svedesi.

La raccomandazione di 'ripulire' il programma olimpico fu accolta. Gli svedesi, inizialmente, avrebbero voluto limitare i Giochi ad atletica, ginnastica, nuoto e lotta, ma furono costretti ad aggiungere almeno ciclismo, scherma, canottaggio e vela, poi anche equitazione, tennis, tiro e pallanuoto; il CIO chiese l'inserimento del calcio, del nuoto femminile e di due novità: il pentathlon moderno e le competizioni artistiche. Gli svedesi si incaponirono nell'introdurre in atletica i lanci a due mani (prima la destra, poi la sinistra, somma di risultati), che soltanto loro praticavano. Balck si oppose agli sport invernali, che de Coubertin avrebbe desiderato.

Vediamo le due novità. Il pentathlon moderno era una creatura di de Coubertin, che intendeva riproporre il pentathlon antico dei greci classici, ma in chiave autenticamente polisportiva. L'antico pentathlon consisteva in corsa dello stadio, lancio del disco, salto in lungo, lancio del giavellotto e lotta, a eliminazione successiva e con finale a due. Quando de Coubertin lo propose per la prima volta in veste moderna, a Berlino nel 1909, il pentathlon comprendeva prove di equitazione, corsa, salto, nuoto e lotta (o scherma o tiro). La proposta fu accettata solo due anni dopo a Budapest prevedendo una corsa a piedi, una a cavallo, una prova di nuoto, un assalto di scherma e una gara di tiro. De Coubertin avrebbe preferito un 'singolo' di canottaggio, anziché il tiro, ma ciò avrebbe complicato l'organizzazione. Nella versione definitiva, il pentathlon moderno che debuttò a Stoccolma consistette di una competizione equestre stile 'salto con ostacoli', una competizione di tiro con pistola rapida, una prova di spada, una gara di nuoto di 300 m e una campestre di 4 km. Di questa gara fu elaborata una versione 'romantica', diffusa per la prima volta dal bollettino della UIPMB (Unione internazionale di pentathlon moderno e biathlon), che descriveva il pentathlon moderno come la trasposizione agonistica delle vicende di un "ufficiale di collegamento il cui cavallo è abbattuto dai nemici, che si difende con la pistola, poi con la spada, infine si getta a nuoto nel fiume e fugge a piedi per i campi". A eccezione dei Trials svedesi, questa disciplina debuttò a Stoccolma, affollata di atleti militari e polivalenti (12 dei 32 in gara a Stoccolma gareggiarono anche in altri sport); l'ordine di gara era diverso da quello che fu poi codificato sulla base della 'versione romantica': si cominciò con il tiro, poi nuoto, scherma, equitazione e campestre. La Svezia dominò la prova, con 6 atleti nei primi 7: macchiò questo record quasi perfetto un sottotenente americano di 26 anni, George Smith Patton jr, che divenne famoso come generale nel Secondo conflitto mondiale.

I concorsi d'arte olimpici erano una fissazione di de Coubertin fin dal 1906, l'anno in cui, anche per non sottolineare troppo l'olimpicità dei Giochi intermedi di Atene, si era inventato in fretta e furia un congresso sul tema 'Arte e Olimpismo' alla Sorbona, dal 23 al 25 maggio. Le conclusioni furono chiare: concorsi di architettura, letteratura, musica, pittura e scultura sarebbero stati aggiunti al programma agonistico dei Giochi. Si sarebbe dovuto partire da Roma 1908, poi l'Italia rinunciò e Londra dovette organizzare tutto in fretta, sicché si rinviò al 1912. Fra i premiati risultò anche Walter Winans, americano, già in gara a Londra 1908 nel tiro, presente anche come tiratore a Stoccolma in sei gare, argento nel tiro al cervo in corsa a squadre. Winans vinse un oro con una statuetta di bronzo raffigurante 'un trottatore americano'. Nella letteratura l'oro andò all'unica opera arrivata, un''ode allo sport' in tre lingue scritta dai tedeschi Georges Hohrod e Martin Eschbach. In realtà, l'autore era, con la collaborazione della moglie Marie Rothan, lo stesso de Coubertin che aveva voluto colmare il vuoto provocato dal mancato invio delle opere letterarie: il nome Hohrod - con il quale aveva già pubblicato nel 1909 un romanzo, Le roman d'un rallié - veniva da Hohrodberg, cittadina alsaziana a due passi da Luttenbach, città natale della moglie, mentre Eschbach derivava da un villaggio vicino, Eschbach-au-Val. "Oh sport, piacere degli Dei, essenza della vita…": così apre la composizione, divisa in nove sonetti. All'oro nei concorsi d'arte arrivarono anche due italiani: il musicista Riccardo Barthelemy (autore di note romanze dell'epoca) con una marcia trionfale olimpica e il pittore Carlo Pellegrini (probabilmente uno pseudonimo, il nome è quello di un allievo seicentesco del Bernini) con un olio dedicato agli sport invernali.

I Giochi di Stoccolma ebbero formale inizio il 5 maggio con il tennis al coperto, che durò una settimana, seguito da quello su erba dal 29 giugno, mescolato a prove di tiro e di calcio, ma il grosso si concentrò dal 6 al 22 luglio, con l'ultima gara di vela a Nynashamn, in una magnifica estate. Finlandia e Boemia crearono i casi politici dell'edizione: la prima era un Granducato russo - lo zar ne era il Granduca - e dipendeva dalla Russia sul piano economico e in politica estera pur avendo per il resto totale autonomia, legislativa e amministrativa (fu fra l'altro la prima nazione europea ad ammettere le donne al voto). Come sulle navi finlandesi sventolava la bandiera russa, i russi ottennero che la Finlandia partecipasse come nazione indipendente, ma che sfilasse immediatamente dopo la Russia e gareggiasse sotto bandiera russa. Lo stesso fece l'Austria per la Boemia, ammessa da de Coubertin come entità indipendente nel 1900, su richiesta del membro fondatore del CIO e suo grande amico Jiri Stanislav Guth-Jarkovsky. La Boemia gareggiò nelle due competizioni di tennis, poi gli austriaci se ne accorsero e pretesero che dalla parata inaugurale in poi sfilasse e gareggiasse sotto bandiera austriaca e che i suoi atleti fossero iscritti come 'Austria-Cechia' (Oesterrike-Tschecher).

La cerimonia d'apertura si tenne il 6 luglio, dalle 11 del mattino; l'Italia sfilò per ottava, portabandiera Alberto Braglia. La preghiera del cappellano precedette l'invito del principe Gustavo Adolfo al re Gustavo V di dichiarare aperti i Giochi, il re fece un discorsetto prima della formula di rito, poi gli atleti uscirono. I paesi in gara furono 27 (escluso l'Egitto, il cui unico iscritto, uno schermidore, sfilò ma non gareggiò) e 2380 atleti, di cui 53 donne, in 16 sport, per un totale di 102 gare, più 5 concorsi d'arte. Le cerimonie di premiazione, quasi sempre officiate dal re, risultarono particolarmente ricche. La chiusura, rinviata al 27 luglio per permettere ai velisti di partecipare ad alcune gare postolimpiche, fu inusuale, associata a una cena, con i tavoli sistemati all'interno dello stadio, all'aperto, presieduta dal secondogenito del re, il principe Guglielmo. Come numero totale di medaglie, arte esclusa, brillò la Svezia con 24 ori, 24 argenti e 17 bronzi, seguita dagli USA, dalla Gran Bretagna e dai raggianti finlandesi.

In atletica debuttò un'importante novità, il cronometraggio elettrico, semiautomatico, nel senso che veniva fatto partire a mano, ma registrava (abbastanza) fedelmente su carta fotografica l'arrivo. Fu grazie a questo strumento che, al termine della straordinaria gara dei 1500 m, si riuscì ad assegnare l'argento all'americano Abel Kiviat davanti al connazionale Norman Taber: i due finirono a un decimo dall'inglese Arnold Jackson, nel più bel 'miglio metrico' corso fino ad allora.

Personaggio dei Giochi, anche e soprattutto per la fama ottenuta dal suo caso dopo l'Olimpiade, va eletto Jim Thorpe, stella delle due competizioni all-around dell'atletica: il pentathlon (lungo, giavellotto, 200 m, disco e 1500 m in un solo giorno) e il decathlon (prima giornata con 100 m, lungo, peso; seconda con alto, 400 m, disco e 110 ostacoli; terza con asta, giavellotto e 1500 m). Il pentathlon si disputò prima: Thorpe vinse quattro gare su cinque e precedette di 400 punti il norvegese Ferdinand Bie; dopo essere arrivato quarto nell'alto e settimo nel lungo, Thorpe affrontò il decathlon, dove dominò infliggendo 700 punti di distacco, sulla base della tabella dell'epoca, allo svedese Hugo Wieslander, un totale pari a 6564 punti della tabella più attuale, adottata nel 1985 (5965 p. per Wieslander), che resistette come mondiale fino al 1926 e che gli avrebbe consentito, fatte le proporzioni, di vincere ancora a Londra nel 1948.

James Franciscus Thorpe, figlio di una indiana potawatomi e di un irlandese, nacque il 28 maggio 1887 in una riserva indiana dell'Oklahoma, presso Bellemont: il parto avvenne in una capanna, illuminata dai raggi della luna, per cui al piccolo fu dato il nome di Wha-tho-huck, "sentiero lucente", come quello disegnato dai raggi lunari fra le assi della capanna. All'età di 11 anni, Jim fu mandato alla media Haskell di Lawrence, nel Kansas, e vi restò fino al 1904. Nel giugno di quell'anno, entrò nel liceo indiano di Carlisle, in Pennsylvania, dove diventò una star del football, del baseball e dell'atletica. Nel football giocava running back, in Major League di baseball nell'anno migliore ottenne una media battuta di 0.362 in 62 partite, ma soprattutto era straordinario in atletica. A 18 anni, a Carlisle, alto 1,73 m per 55 kg di peso, gareggiava negli ostacoli alti e nell'alto, spesso nei confronti con il Bucknell, l'altro liceo indiano. Un anno dopo, cresciuto di 4 cm, apparve nelle competizioni ufficiali, aperte a tutti, impegnandosi in ogni meeting in cinque gare: ostacoli alti e bassi, salto in alto, salto in lungo e lancio del peso. Ai primi Trials per la costa orientale, nel 1908, si iscrisse all'alto, ma mancò la qualificazione per Londra. L'anno dopo, arrivato all'altezza di 1,80 m, stupì tutti contro Syracuse, partecipando a otto gare: ne vinse cinque, in una fu secondo, in due terzo. Compì imprese analoghe a Filadelfia (cinque vittorie in cinque gare) prima in un meeting, poi nei campionati interscolastici della Pennsylvania. Nell'estate del 1909 Thorpe, per guadagnare qualcosa, lasciò la scuola, lavorò nelle fattorie e giocò a baseball come semiprofessionista nella North Carolina. Lo stesso fece l'estate successiva, nel 1912 tornò a Carlisle dove riprese l'abitudine delle vittorie a raffica, e dopo quattro centri su sette alle Penn Relays, partecipò ai Trials per il pentathlon. Il 18 maggio gareggiò nella selezione di Celtic Park, Trials dell'est, dove vinse tre gare su cinque, ottenendo 7 punti (il metodo di computo USA era diverso da quello europeo a tabella); una settimana dopo non prese parte ai Trials di decathlon, che erano stati annullati, ma si 'rilassò' vincendo da solo un match contro Syracuse: sei gare (due a ostacoli, alto, lungo, peso e disco), concluse tutte al primo posto.

Nel test prima della partenza, vinse con 1,96 m l'alto, seconda misura mondiale del 1912, battendo il futuro vincitore di Stoccolma, Alma Richards, e quello che è considerato il più grande saltatore dell'epoca, George Horine, inventore dello scavalcamento ventrale (western roll). Dopo le imprese ai Giochi, che gli procurarono l'invito a corte - si dice che si dovette lavorare molto per rimetterlo in piedi, ubriaco com'era, e renderlo presentabile - e una coppa dal re, gareggiò tre volte in Europa: il 24 luglio a Reims corse i 110 ostacoli in 15,6″ (cronache errate riportano 15 netti, che all'epoca sarebbe mondiale eguagliato), battendo l'olimpionico di Stoccolma Fred Kelly. Dopo il ritorno e qualche bisboccia che gli procurò anche un breve ricovero in ospedale, si schierò nel campionato AAU all-around, il decathlon USA, in un giorno di pioggia battente, il 2 settembre a New York. Thorpe trionfò battendo il record di Sheridan: 7476 punti, il secondo a 3000 punti. Fu la sua ultima apparizione in atletica.

Lo scandalo scoppiò nel gennaio 1913: molto tardi, e sicuramente ben oltre i termini previsti dal Comitato organizzatore di Stoccolma per i reclami sull'eleggibilità, 30 giorni. In realtà, tre giorni dopo la fine del decathlon olimpico, il Charlotte Observer aveva pubblicato un articolo che ricordava Thorpe come un giocatore del Rocky Mount, East Carolina, scambiato con un altro dal coach, quindi sicuramente sottoposto a stipendio, o comunque pagato. Nessuno se ne accorse; la rivelazione che Thorpe aveva giocato in una lega semiprofessionistica estiva di baseball apparve nel gennaio 1913. Si ritiene che il primo articolo, che riferiva di compensi da 25 dollari a partita, sia apparso sul Worcester Telegram a firma Roy Johnson il 23 gennaio. Il giorno dopo la notizia fu ripresa dal New York Times e lo scandalo dilagò. Inutile risultò l'accorata difesa di Glenn 'Pop' Warren, coach di Thorpe a Carlisle: in realtà, l'ingenuità del silenzioso indiano era stata quella di usare il suo vero nome e non uno pseudonimo come molti atleti facevano all'epoca, per preservare il proprio status di dilettanti. Nello spazio di quattro giorni dall'articolo del New York Times, una commissione dell'AAU di tre membri presieduta da James E. Sullivan decise che Thorpe aveva violato almeno una volta le norme e doveva essere squalificato e restituire le sue medaglie: decisione ratificata dalla sessione del CIO del 1913. Si seppe allora che era stato lo stesso Warner a mandare Thorpe e altri due ragazzi a giocare a baseball e che l'AAU era al corrente ma semplicemente aveva voluto a Stoccolma il miglior americano. In tutti i casi, le medaglie furono restituite.

Thorpe firmò un contratto con i Giants di New York e avviò una carriera come giocatore professionista di baseball, che durò fino al 1922. Giocò anche nel football, dal 1920 al 1928, poi fece il cascatore a Hollywood e apparve anche in qualche film, per esempio King Kong, dove faceva il ballerino. Nel 1950 l'associazione dei giornalisti di sport d'America lo elesse atleta del mezzo secolo; un anno dopo Burt Lancaster fece rivivere la sua storia in Pelle di rame, un film per i cui diritti Thorpe aveva ricevuto 1500 dollari dalla Metro Goldwin Mayer nel 1931; in seguito fu ricoverato per cancro alla bocca, finì in un ospizio e morì il 28 marzo 1953 a Lomita, ritrovato cadavere in una roulotte. È sepolto a Mauch Chunk, una cittadina della Pennsylvania che accettò di mutare il proprio nome in 'Jim Thorpe City' in cambio delle spoglie.

Nel 1973, la AAU rese retroattivamente a Thorpe lo status di dilettante, imitata dal Comitato olimpico USA due anni dopo. Il CIO rifiutò di restituire le medaglie, chieste dalla famiglia, nella sessione di Montreal 1976, ma una petizione popolare negli Stati Uniti e una risoluzione del Senato americano riaprirono la questione. Nel 1982 fu creata la Fondazione Jim Thorpe, allo scopo di ottenere la restituzione delle medaglie e dell'onore, e una risoluzione della commissione esteri del Congresso fu inoltrata al CIO. Il 13 ottobre l'esecutivo del CIO ridiede dignità olimpica ai successi di Thorpe e il 18 gennaio successivo a Los Angeles offrì medaglie commemorative a due figli di Thorpe, Bill e Gail. Ma il CIO decise anche che andavano considerati covincitori Wieslander e Bie, che avevano ricevuto dal Comitato olimpico svedese le medaglie restituite da Thorpe e si erano più volte offerti di rimandarle indietro, considerando Thorpe il vero campione olimpico. Ma la medaglia di Wieslander, donata al Museo dello Sport di Stoccolma, era stata rubata nel 1954, come quella di Bie, donata a un museo norvegese.

Eroe morale dei Giochi fu eletto, durante le gare, il finlandese Johannes ('Hannes') Kolehmainen, che gareggiò assieme al fratello Taavetti Heiki, detto 'Tatu'. Sui 10.000 m, Hannes ebbe facilmente la meglio sull'americano Louis Tewanima, un indiano hopi che proveniva dallo stesso liceo di Thorpe, il Carlisle (nei cui meeting si dedicava al mezzofondo, lasciando a Thorpe il resto) ed era già stato nono nella maratona a Londra (a Stoccolma fu sedicesimo). Ma la vera battaglia per Kolehmainen fu sui 5000 m, per l'opposizione del robusto marsigliese Jean Bouin, di un anno più anziano di lui, per il caldo e per la stanchezza: il finlandese, che tra il 7 e il 10 luglio aveva già corso tre volte i 5 km, nella finale si incollò a Bouin e lo scavalcò a soli 20 m dal traguardo. I due finirono separati di un decimo, con Kolehmainen primo in 14′36,6″, record del mondo come sui 10.000 m. Nessuno era mai sceso sotto i 15 minuti, ma la gara era poco disputata, a favore delle 3 miglia inglesi. Nel settembre del 1914, Bouin - che nel 1913 aveva stabilito a Stoccolma uno straordinario record dell'ora, 19.021 m - e il vincitore del bronzo dei 5000 m, l'inglese George Hutson, morirono in guerra.

Kolehmainen, che lavorava con i quattro fratelli (anche William era un buon corridore) in una fabbrica a 40 km da Kuopio in Carelia, dove era nato il 9 dicembre 1889, e che ogni sera tornava sugli sci a casa, era un maratoneta fin da giovanissimo (prima maratona in 3h06′19″ a 17 anni e mezzo). Vegetariano (solo nel 1916 assaggiò per la prima volta la carne), nel 1911 era campione nazionale di tutte le distanze dai 1500 ai 10.000 m. Dopo Stoccolma emigrò in America per fare il muratore e riapparve ad Anversa nel 1920, dopo aver vinto i Trials USA. Non avendo passaporto americano gareggiò per la Finlandia, conquistando la più lunga maratona olimpica della storia: 42,750 km. Con Paavo Nurmi, altro grandissimo degli anni Venti, accese il tripode olimpico ai Giochi di Helsinki 1952.

Un grave incidente turbò la maratona, per la prima volta disputata su un tracciato andata e ritorno, con il divieto assoluto di seguire gli atleti e di assisterli, dopo le polemiche di Londra. Questo, in una giornata caldissima, 32 gradi all'ombra, costò probabilmente la vita al portoghese ventunenne Francisco Lazáro. I 68 atleti partirono su un percorso deserto, puntando verso Sollentuna a nord, poi tornarono indietro: guidò per un po' Tatu Kolehmainen; a metà gara emerse il sudafricano Christian Gitsham, che Tatu riprese al 25° km, per ritirarsi al 35°; qui si completò la rimonta dell'altro sudafricano Kenneth McArthur, che approfittò di una sosta per bere di Gitsham; maturò così la doppietta di un paese che quattro anni prima aveva a lungo creduto nel successo di Charles Hefferon. Serrò bene dalle retrovie l'italo-americano Gaston M. Strobino, terzo, mentre crollò quando era vicino a una possibile medaglia l'italiano Carlo Speroni, la cui società, l'US Busto Arsizio, si era accollata l'intero costo della trasferta. Speroni, qualificatosi nei Trials italiani con il successo sui 20 km, aveva compiuto 17 anni il giorno precedente: passato quinto al controllo di metà gara, salì al quarto quando cedette l'inglese Fred Lord; era ancora in gara dopo il ritiro di Kolehmainen, ma al 37° km crollò, cercò acqua, non ne trovò e si ritirò. Circa 7 km prima, Lazáro era finito a terra colpito da insolazione, rimanendo a lungo senza soccorsi. Ritrovato e condotto incosciente al Serafimersjukhuset, fu ricoverato con febbre altissima e disidratazione grave: morì alle 6.20 del mattino successivo.

Senza il consenso di de Coubertin, a Stoccolma vi furono gare di nuoto femminile, uno sport quasi scandaloso per l'epoca: soltanto cinque anni prima la nuotatrice australiana Annette Kellerman era stata arrestata su una spiaggia di Boston per oltraggio al pudore perché indossava un costume intero ritenuto sconveniente. A Stoccolma furono protagoniste le australiane di Sydney Sarah 'Fanny' Durack e Wilhelmina 'Mina' Wylie, che poterono intervenire ai Giochi grazie a una colletta dell'associazione nuotatrici del Nuovo Galles del Sud e della famiglia di Wylie; funse da chaperon nel lunghissimo viaggio in nave la sorella di Fanny, Mary. Wylie era di gran lunga la più forte e non era mai stata sconfitta da Durack, di quasi due anni più anziana, fino a quando questa, che aveva iniziato nello stile rana, il solo concesso alle donne in Australia, e nel libero usava il trudgeon, non aveva adottato il crawl: da allora era imbattibile e prima di Stoccolma aveva fatto segnare le migliori prestazioni mondiali su 50, 100 e 220 yards. Ai Giochi Durack ottenne il record del mondo dei 100 m in batteria, togliendolo all'inglese Daisy Curwen che arrivò seconda ma non disputò la finale perché ricoverata in ospedale per appendicite. In finale, Durack peggiorò di 2″ il suo tempo della batteria, ma tenne a oltre 3″ Wylie e a quasi 5″ l'inglese Jennie Fletcher, una ragazza di poverissima famiglia che lavorava come tessitrice 72 ore la settimana. Fra il 1906 e il 1921 Durack ottenne 11 primati mondiali, dalle 50 yards al miglio, ma ad Anversa dovette rinunciare per la stessa ragione che otto anni prima aveva impedito di gareggiare a Curwen. A Stoccolma, essendo solo in due, le australiane proposero di nuotare la staffetta facendo due frazioni a testa e avrebbero probabilmente vinto davanti alle inglesi, se il suggerimento fosse stato accettato.

Per quanto riguarda la partecipazione italiana, si deve innanzitutto ricordare che al termine della sessione del CIO tenuta a Berlino dal 27 maggio al 1° giugno 1909, Brunetta d'Usseaux era stato nominato segretario generale dell'ente: nella stessa occasione si era dimesso da membro del Comitato olimpico il principe Scipione Borghese. Fu giocoforza cooptare un altro italiano: toccò all'onorevole Attilio Brunialti, presidente della neonata Federazione sport atletici, nato a Vicenza il 2 aprile 1849, ordinario di diritto costituzionale a Pavia e a Torino, deputato per il Partito Costituzionale (lo fu per 9 legislature). Brunialti promosse la creazione di un Comitato per i Giochi di Stoccolma e l'11 novembre 1911 convocò a Roma una riunione delle federazioni, cui risposero soltanto sei organismi; una settimana dopo si creò il Comitato, presieduto dal marchese Carlo Compans di Brichanteau, deputato piemontese, già a capo del Comitato per Londra, nucleo del primo Comitato nazionale olimpico italiano, che Compans presiedette ufficialmente soltanto nel 1914. Come al solito, problemi economici afflissero la spedizione italiana, mentre Giolitti si lanciava nell'avventura coloniale per la conquista di Tripolitania e Cirenaica. In una economia di guerra, il Comitato strappò al governo 25.000 lire, alle quali si aggiunsero le 5000 del re. Giolitti fece sapere che cavalieri e tiratori erano impegnati in Africa e non sarebbero stati disponibili. In cambio il Comitato aprì alla 'palla al calcio'. Fra i 14 calciatori, affidati al giovane segretario federale, Vittorio Pozzo, allora ventiseienne, vi erano nomi già mitici come De Vecchi, Berardo, Campelli e Milano I. Persero 3-2 ai supplementari con la Finlandia, e finirono nel girone di consolazione, dove batterono la Svezia 1-0 per essere poi travolti 1-5 dagli austriaci.

Le selezioni furono rigorose e, nel caso del canottaggio, assai aspre, con abbordaggi e un duro "non parte nessuno" della commissione. In totale, compreso un italiano che arrivava da New York, l'Italia inviò 61 atleti. Si partì in gruppi da Verona, in treno, tre giorni di viaggio; ci furono anche 11 giornalisti accreditati. All'ultimo momento rinunciò Elda Famà che, come risulta dal rapporto ufficiale, era inserita il 13 luglio nel primo gruppo di qualificazione nei tuffi. Famà, campionessa italiana di tuffi artistici ad Albano l'anno successivo, perse un'occasione storica: fu infatti Rosetta Gagliardi nel tennis, otto anni dopo, la prima italiana a partecipare a un'Olimpiade.

Il bilancio italiano fu lusinghiero, tre ori, un argento e due bronzi. Scherma e ginnastica fecero la parte del leone, la prima grazie a Nedo Nadi che precedette Pietro Speciale nel fioretto, disertato dai francesi per una disputa regolamentare. Nadi aveva 18 anni, davanti a re Gustavo di Svezia nella finale contro Speciale subì solo 8 stoccate. Sarebbe stato una star assoluta otto anni dopo ad Anversa.

La seconda e la terza medaglia d'oro italiana furono merito di una squadra di ginnastica brillantissima guidata da Alberto Braglia; e un bronzo arrivò anche nei 10 km di marcia per opera di Fernando Altimani, non ancora diciannovenne milanese della Pro Patria, in una prova durissima con solo quattro arrivati su dieci (gli altri squalificati o ritirati), vinta a suon di primato mondiale dal canadese George Goulding. Ci fu poi un altro bronzo 'quasi' italiano: era figlio di nostri emigrati a New York il già citato Gaston M. Strobino, terzo nella maratona: nato a Berna nel 1891, faceva il macchinista nel New Jersey e si era pagato da solo il viaggio a Stoccolma. Ma la vera stella fu Braglia, che trascinò una straordinaria squadra al successo collettivo e trionfò nell'individuale, gara che vide al terzo posto Serafino Mazzarocchi - ufficialmente privato del relativo merito da un errore dei giudici, che attribuirono il suo punteggio al più modesto Adolfo Tunesi - classe 1890, della Panaro di Modena.

Dalla Panaro, che nel 1946 avrebbe prodotto uno storico manuale sull'insegnamento dell'educazione fisica negli Istituti Magistrali, ancora oggi un caposaldo dell'istruzione sportiva nelle scuole, proveniva anche Braglia, già argento ad Atene 1906 e vincitore a Londra nel 1908. Nato il 23 aprile 1883, figlio di un muratore trasferitosi da Campogalliano a Modena, penultimo di sei fratelli, balbuziente, si allenava in casa, nel traballante fienile; quando ebbe 12 anni, mentre faceva il garzone di fornaio, cominciò a frequentare la palestra, dapprima la Fratellanza, poi la Panaro, dove fu plasmato da Carlo Frascaroli, che lo accolse nel Ginnasio anche se Alberto sapeva leggere e scrivere a malapena. Rivelatosi nel concorso internazionale di Firenze, fu argento con la Panaro nell'Europeo di Marsiglia del 1903. Seguì nel 1904 il concorso internazionale di Mons, in Belgio, dove la Panaro dominò e Braglia impressionò tutti con i suoi esercizi. Dopo le sedute di allenamento usava scommettere con i compagni, invitandoli a eseguire una serie di esercizi di volteggio al cavallo, le cosiddette 'milanesi', finché essi non cadevano, poi toglieva le maniglie all'attrezzo ed eseguiva lo stesso numero totale di volteggi dei compagni. Fuse gli elementi statici della ginnastica con le evoluzioni dinamiche, creando un nuovissimo stile. Ad Atene 1906 conquistò un doppio secondo posto dietro Pierre Payssé, nonostante fosse reduce da una vera odissea in traghetto, a causa del mal di mare, oggetto delle divertite cronache sul Corriere della Sera del commediografo Renato Simoni.

Dopo Atene 1906 Braglia era stato accolto da Modena come un eroe, anche se l'attesa era durata a lungo, perché il ginnasta aveva preso un treno sbagliato e per giunta era privo dell'alloro greco, "buttato via dal treno perché si era sciupato". Convocato a Roma dal re, rispose a monosillabi per non rivelare d'essere balbuziente, poi farfugliò la sua richiesta: un posto alla Manifattura Tabacchi di Modena. Accontentato, era stato a Londra nel 1908 dove, come faceva con gli amici, tolse le maniglie al cavallo prima di eseguire le sue evoluzioni e trionfò nell'individuale. Al ritorno a Modena la città gli aveva decretato gli onori che a suo tempo aveva tributato a Pietri. Si era dedicato al circo, con 'La Famiglia Panciroli', un gruppo acrobatico modenese, poi nel 1910 aveva debuttato al teatro Strocchi con un numero straordinario, 'la torpedine umana': si infilava in un carrello fissato a un binario che dalla galleria a gradoni del teatro scorreva fino al palcoscenico in forte pendenza; dopo una breve risalita, due ganci d'acciaio bloccavano di colpo l'abitacolo e l'atleta, lanciato nel vuoto per forza d'inerzia, afferrava un trapezio pendente dal graticcio della soffitta posto a notevole altezza. Il numero era pericoloso ma, come nei circhi, esisteva una rete di protezione. Nonostante ciò, benché assistito dal fratello Giovanni dopo l'insuccesso del debutto, alla seconda esibizione gli occorse un grave incidente, con frattura della spalla e di diverse costole, che lo costrinse all'inattività per quasi due anni. Le regole dell'epoca avevano imposto alla Federazione, dopo una breve indagine, di squalificare Braglia con l'accusa di professionismo. La sua popolarità, tuttavia, era tale da farlo riabilitare in vista delle Olimpiadi di Stoccolma del 1912, dove andò, nonostante fosse preda di una seria depressione per l'improvvisa morte della figlioletta di 4 anni.

In Svezia il modenese sbalordì gli spettatori. Ottenne, per un giudizio più complessivo, che alla sua prova assistessero tutti e tre i giudici, che a quei tempi erano dislocati accanto ai vari attrezzi. Al termine ‒ scrissero i giornalisti italiani ‒ gli assegnarono la vittoria senza punteggio: in realtà, rispetto a un massimo teorico ai quattro attrezzi di 140 punti, Braglia ne ebbe 135, sfiorando il massimo solo alle parallele. Al ritorno dovette scendere dalla vettura di terza classe del treno a Monaco di Baviera, essendo rimasti lui e i tre compagni di viaggio con appena tre lire e sessanta centesimi in tasca. Con gli ultimi spiccioli, telefonò a un amico di Spilamberto, che si recò immediatamente a prelevare gli atleti nella città tedesca. Qui li portò in un ristorante dove furono riconosciuti e trattati con gli onori del caso.

Dopo il terzo successo olimpico, Braglia si diede completamente al teatro portando in scena insieme con un bambino di sette anni due personaggi del Corriere dei Piccoli dovuti alla matita dell'abilissimo Sto (pseudonimo dell'attore Sergio Tofano), Fortunello e Cirillino. Lo spettacolo prevedeva che il ragazzino, allenato dallo stesso Braglia, uscisse da una valigetta portata in scena dal suo compare, poi si arrampicasse in cima a una scopa, mentre l'ex campione compiva ardite evoluzioni, sempre tenendo in mano l'attrezzo a mo' di sbarra. Lo show ebbe grande successo. Braglia si esibì davanti ai reali d'Inghilterra a Buckingham Palace, allo zar e in una tournée di quattro anni negli Stati Uniti che gli fruttò 500 dollari a settimana. Rientrato in Italia, comprò un podere, alcune case e in seguito un bar a Bologna. Nel 1930 divenne allenatore della nazionale di ginnastica, contribuendo con Mario Corrias alle quattro medaglie d'oro azzurre (più un argento e due bronzi) conquistate all'Olimpiade di Los Angeles. Le vicissitudini della vita e la guerra fecero poi girare la ruota della fortuna. Braglia fu costretto a vendere tutto, il bar andò distrutto e l'inflazione ridusse a zero i suoi risparmi. A 67 anni, fu ricoverato in un ospizio per anziani, dimenticato da tutti. Un giornalista, però, lo rintracciò e la Panaro si interessò perché il Comune gli desse un piccolo stipendio in cambio delle funzioni di custode di quella stessa palestra che portava già il suo nome. Poco dopo la decisione del CONI di versargli una modesta pensione, Braglia morì il 5 febbraio 1954, nel letto dell'ospedale dove era stato ricoverato qualche mese prima in seguito a una trombosi.

Stoccolma fece anche registrare il più lungo incontro di lotta della storia olimpica. Nella greco-romana, categoria medi, l'estone Martin Klein (di origini tedesche) che gareggiava per la Russia e il finlandese Alfred Asikainen duellarono in semifinale per ben 11 ore sotto un sole cocente. Quando Klein fu dichiarato vincitore, era così esausto da rinunciare alla finale contro lo svedese Claes Johanson, che vinse per assenza.

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