Olimpiadi invernali: Sapporo 1972

Enciclopedia dello Sport (2004)

Olimpiadi invernali: Sapporo 1972

Gian Paolo Ormezzano

Numero Olimpiade: XI

Data: 3 febbraio-13 febbraio

Nazioni partecipanti: 35

Numero atleti: 1006 (801 uomini, 205 donne)

Numero atleti italiani: 51 (48 uomini, 3 donne)

Discipline: Biathlon, Bob, Hockey, Pattinaggio, Pattinaggio artistico, Sci alpino, Sci nordico, Slittino

Numero gare: 35

Ultimo tedoforo: Hideki Takada

Giuramento olimpico: Keiichi Suzuki

I Giochi del 1972 furono assegnati alla giapponese Sapporo (che prevalse sulla canadese Banff), prima edizione olimpica invernale ospitata dall'Asia. In realtà il primo svolgimento dei Giochi invernali in Giappone era stato previsto per il 1940, prologo per l'edizione estiva da disputare a Tokyo; ma le vicende belliche e le loro conseguenze politiche ed economiche fecero spostare tale appuntamento di oltre trenta anni.

Sapporo, importante centro industriale, all'epoca con più di un milione di abitanti, è capoluogo dell'isola di Hokkaido, nella zona settentrionale del Giappone, non lontano dalla Siberia, e il suo clima risente tanto della latitudine quanto della presenza del mare. Dalla cima della montagna alla riva del mare non c'era abbastanza dislivello per organizzare la discesa maschile secondo le norme internazionali: si dovette pertanto provvedere con una struttura aggiuntiva artificiale, una sorta di torre collegata con uno scivolo alla pista già esistente, rimossa rapidamente al termine della manifestazione, coerentemente con il rispetto sacrale degli equilibri naturali tipico delle filosofie orientali. Sommersa dalla neve, la città offrì anche una quarta dimensione, quella sotterranea, con un'imponente ferrovia metropolitana e una fitta rete di strutture coperte commerciali e di intrattenimento.

Ben organizzata, la celebrazione olimpica di Sapporo fu l'ultima a godere di una certa serenità a livello organizzativo (pochi mesi dopo, la strage di Monaco di Baviera avrebbe comportato l'avvento di rigide misure di sicurezza nella logistica dell'ospitalità e dello svolgimento delle grandi manifestazioni sportive). Fu comunque una manifestazione strana, con un discreto pubblico giapponese, estraneo in linea di massima sia allo sci alpino sia allo sci nordico, appena un poco interessato agli sport del ghiaccio, e tuttavia molto disciplinato nel seguire comunque e dovunque le gare, e nell'oscillare con le simpatie un po' verso tutte le genti del mondo, a turno. Erano i primi Giochi invernali in un posto non a essi in qualche modo deputato, erano Giochi davvero a livello del mare anche come sensibilità psicologica. Si deve dire che, meno algida della grande Tokyo, Sapporo trattò con calore tutti: calore umano e calore della città fiorita sottoterra lungo i binari della metropolitana.

Per gli italiani quella di Sapporo fu l'Olimpiade (proprio nel senso preciso, classico, di spazio di tempo compreso fra una edizione e l'altra dei Giochi, dunque di formazione di un campione e attesa della sua esplosione) di Gustav Thoeni, primo nello slalom gigante e secondo nello slalom speciale, e laureato miglior sciatore del mondo anche con il successo nella combinata, la classifica dei piazzamenti nelle tre prove alpine, riconosciuta però, allora, soltanto a livello di titolo mondiale. Gli spagnoli vinsero la loro prima medaglia d'oro negli sport invernali, a opera di uno specialista dello slalom, Francisco Fernández Ochoa, che sconfisse proprio Gustav Thoeni. Per i giapponesi ci fu il trionfo assolutamente inatteso nel salto dai 70 m, con tre atleti ai primi tre posti. Per gli olandesi ci fu l'apoteosi di Ard Schenk, il pattinatore di velocità capace di prendere tutto l'oro a disposizione fuorché quello dei 500 m: bello, possente, corpo da statua, superiore anche all'anomalia di uno sport che costringe a espletare uno sforzo grandissimo in posizione curva, dunque con dei problemi per l'espansione toracica, per l'acquisizione e l'espulsione dell'ossigeno.

Per gli austriaci dovevano essere i Giochi del loro grande Karl Schranz, detto 'l'aquila nera', lo sciatore che specialmente nelle discese dominava il mondo dello sci alpino, l'uomo che quattro anni prima a Grenoble aveva dovuto passare a Killy la medaglia d'oro dello slalom speciale, per una discussa decisione della giuria. Ma Schranz venne escluso dai Giochi di Sapporo, facendo da capro espiatorio nel contrasto fra il CIO, retto ancora da Brundage, conservatore spinto, e i tempi nuovi. Lo sci internazionale si era ormai fatto interprete di certe novità economiche e addirittura inventore di certe altre, con un gran fervore di sponsorizzazioni e quindi un consistente giro economico. Il CIO fu costretto a inventarsi una 'commissione di eleggibilità' per controllare il dilettantismo (o il professionismo) di quasi tutti gli atleti di vertice. Dopo le prime verifiche ci si rese conto che gli atleti in posizione irregolare, cioè professionisti conclamati, erano nell'ordine delle centinaia, e dunque i Giochi avrebbero dovuto essere sostanzialmente decapitati, almeno nello sci alpino. A seguito dell'ovvia reazione degli organizzatori giapponesi, messi di fronte all'ipotesi di un cartellone decimato, si decise, in chiave più o meno compromissoria, di intervenire sui casi più evidenti e in parte ostentati di professionismo, e di tale linea fece le spese Karl Schranz, privato dell'ultima occasione della sua vita per arrivare all'oro olimpico. Ci furono le proteste austriache, con alcune manifestazioni in suo favore a Vienna e a St. Anton e generiche affermazioni di solidarietà di tanti come lui timorosi di fare la stessa fine, cioè di perdere la vetrina più cara ai loro sponsor. Ma i Giochi andarono avanti.

Nella cerimonia inaugurale per la prima volta furono lanciati i palloncini al cielo al posto dei piccioni: 18.000 palloncini, precisarono gli organizzatori. Commozione per le stampelle di Ingrid Lafforgue, la sciatrice alpina portabandiera della Francia, reduce da un incidente. Lo squadrone francese perse, prima di Sapporo e anche lì a Sapporo, nei primi allenamenti, tanti suoi campioni, per una serie incredibile di infortuni: oltre a Lafforgue, Patrick Russel, Jacqueline Rouvier, Françoise Macchi. Specialmente la perdita di Russel, slalomista eccelso, fu grave.

Senza Schranz la discesa libera fu appannaggio della Svizzera, come da pronostico: Bernhard Russi prevalse su Rolland Collombin, due atleti di valore neppure troppo sollecitati da una pista nel complesso facile. Gli italiani potevano sperare in Marcello Varallo, coraggiosissimo ma reduce da incidente, che però fu soltanto decimo. In fila dietro di lui gli altri azzurri. Undicesimo Stefano Anzi, dodicesimo Giuliano Besson, tredicesimo Gustav Thoeni che raccoglieva punti per la classifica mondiale della combinata. La gara più attesa era lo slalom gigante di Thoeni, con le due manche sistemate in due giorni. Thoeni aveva già vinto la Coppa del Mondo nel 1971, avrebbe vinto anche quella di quello stesso 1972 (sempre su Henri Duvillard), era il fuoriclasse della cosiddetta valanga azzurra, che metteva i suoi uomini ai primi posti in tutte le gare di tutta la stagione. Poteva permettersi il lusso di una rivalità in famiglia, con suo cugino Roland. Era calmo come un sacerdote giapponese, e dei giapponesi aveva anche l'arte felina (si pensi al judo) di volgere repentinamente a proprio favore le situazioni, di apparire sicuro e possente quando gli altri erano in preda a crisi di paura, di superbia, di invidia.

Fu abbastanza difficile convincere i giapponesi che Gustav e Roland non erano fratelli. In verità i due nascevano entrambi sui costoni dello Stelvio, ma avevano caratteri diversi: estroverso e allegro Roland, che godeva della mondanità; introverso e austero Gustav, che cercava una vita di silenzi e contemplazioni. La sua capacità di concentrazione gli fece assorbire senza troppi problemi l'inatteso exploit di Ochoa nello slalom speciale (Gustav secondo, Roland terzo). Ochoa appro- fittò anche dell'assenza di uno dei favoriti, il francese Jean-Noël Augert, che si era fratturato un paio di costole franando, dopo il traguardo di una gara della vigilia, contro una palizzata. Lo spagnolo era allenato dal francese Bernard Favre, figura circondata da un alone di mistero soprattutto per l'utilizzo di tecniche di valutazione atletica e preparazione agonistica considerate all'epoca avveniristiche. Subito dopo la vittoria del suo atleta, Favre sparì dal mondo dello sci agonistico.

Thoeni non faticò né a vincere lo slalom gigante né, paradossalmente, a perdere, da gran favorito, lo slalom speciale. Era il più forte del mondo, difficile ricordare chi arrivava dietro di lui, facile ovviamente ricordare quelle poche volte in cui lui arrivava secondo. Potenzialmente era anche un grande discesista, e lo aveva dimostrato su piste terribili, scendendo giusto per far punti in combinata e talora rischiando di vincere contro sciatori specialisti. Preferiva gli slalom perché rischiava di meno, ma soprattutto perché poteva parlare il linguaggio tecnico e intanto pacato che prediligeva. Sembrava in attesa di un grande avversario che potesse obbligarlo a dare il meglio di sé: lo avrebbe trovato nello svedese Ingmar Stenmark.

Il migliore azzurro dopo i due Thoeni fu Eberhard Schmalzl, sesto. Le azzurre non esistettero, ma ben più grande fu la delusione della sciatrice più forte del mondo, l'austriaca Annemarie Pröll, favoritissima in discesa e gigante, battuta in entrambe le gare dalla svizzera Marie-Thérèse Nadig, ennesimo successo della squadra elvetica. Nello slalom speciale la statunitense Barbara Cochran si impose abbastanza a sorpresa: ma era ormai chiaro che quasi sempre, nello sci alpino, poteva spuntare un nordamericano, statunitense o canadese, uomo o donna, a scompaginare il pronostico.

Le competizioni di sci nordico si svolsero di fronte a pochi spettatori, più che altro per la dislocazione fuori Sapporo delle piste. La Norvegia vinse cinque medaglie su nove in campo maschile, con l'acuto dei due primi posti - Pål Tyldum e Magne Myrmo - nella prova dei 50 km. Lo stesso Tyldum fu argento sui 30 km, dove Johs Harviken, altro norvegese, prese il bronzo, e il suo connazionale Ivar Formo fu bronzo sui 15 km. La Svezia vinse con Sven-Åke Lundbäck proprio i 15 km, l'URSS con Vyacheslav Vedenin i 30 km, e fu questo il primo oro individuale maschile per il comunque già fiorente fondismo sovietico. Per la Finlandia appena il quarto posto del gigantesco Juha Mieto sui 15 km. La stessa Finlandia, in crisi comunque reversibile, fu dominata nella staffetta (soltanto un quinto posto) anche dalla Svizzera, che prese il bronzo davanti alla Svezia. Vinse l'Unione Sovietica sulla Norvegia, davvero di pochissimo. Vyacheslav Vedenin, passato il traguardo, accertatosi di avere vinto con un'occhiata al tabellone luminoso, continuò placidamente ad andare avanti a grandi falcate, affiancato dall'allenatore lui pure sugli sci. Soltanto quando furono lontani dalla folla, che non era molta ma che evidentemente per loro due era troppa, l'allievo e il maestro si fermarono e si abbracciarono.

Fra le donne la sovietica Galina Kulakova fu oro sui 5 e sui 10 km, davanti rispettivamente a una finlandese (Marjatta Kajosmaa, bronzo nell'altra prova) e alla cecoslovacca Helena Šikolova. La staffetta 3 x 5 km rispecchiò i valori delle due prove individuali: prima URSS, seconda Finlandia, poi la Norvegia, e sin lì si rimase sul classico. Ma al quarto e quinto posto le due Germanie, la Ovest davanti all'Est.

L'Italia di Nones si era consumata in fretta dopo Grenoble: l'olimpionico della Val di Fiemme aveva raccolto numerosi piazzamenti, vincendo fra l'altro una prova prestigiosa fra le genti scandinave, chiamata Carosello delle medaglie d'oro e aveva anche tentato la Vasaloppet, la grande maratona, sagra massima, di élite ma soprattutto di massa, del fondo mondiale, sulle nevi svedesi. Nessuno però aveva raccolto in Italia il suo testimone. Così se l'Italia era stata la novità prepotente di Grenoble 1968, a Sapporo gli otto primi posti di ogni gara dello sci nordico, in pratica l'equivalente degli otto finalisti nelle gare di atletica e di nuoto, non videro neanche un nome italiano.

Per la verità un azzurro andò vicino al grande colpo nel biathlon. All'ultimo poligono di tiro Willy Bertin era in testa alla classifica, ma si emozionò, fece molti sbagli nel tiro a segno e alla fine fu solo sedicesimo nella gara vinta dal norvegese Magnar Solberg sul tedesco orientale Hansjörg Knauthe. Sovietica la vittoria nella staffetta del biathlon, con finlandesi e tedeschi orientali sul podio, e nessuna traccia importante dell'Italia.

La combinata nordica, fondo più salto, alla fine premiò abbastanza a sorpresa il tedesco orientale Ulrich Wehling, che con buona regolarità nelle due prove superò il finlandese Rauno Miettinen, lui pure regolarista, e l'altro tedesco orientale Karl-Heinz Luck, appena diciassettesimo nel salto. Ci furono concorrenti bravissimi in una specialità e scarsissimi nell'altra, e fra loro anche alcuni saltatori giapponesi. Il Giappone vinse tutto quello che c'era da vincere nel salto speciale, dal trampolino di 70 m, confermando quanto era emerso in due inverni di gare internazionali dei suoi atleti migliori. Davanti a 80.000 spettatori Yukio Kasaya, Akitsugu Konno e Seiji Aochi occuparono per lo sport nipponico tutto il podio. Naturalmente ci fu enorme attesa, stavolta davvero di popolo, con tutta Sapporo mobilitata, per la gara dal trampolino di 90 m. Tuttavia un vento speciale sollevò autenticamente il polacco Wojciek Fortuna e lo fece planare dopo 110 m. Soltanto il tedesco dell'Est Manfred Wolf e l'osannatissimo Kasaya riuscirono ad avvicinarlo con 107 e 106 m. Il polacco non andò nel secondo salto oltre gli 87,5 m, il suo stile non fu dei migliori, ma alla fine riuscì a conservare un decimo di punto di vantaggio sullo svizzero Walter Steiner e sul tedesco orientale Rainer Schmidt.

Il bob era a priori tutto italiano: pista costruita su progetto nostro, nostri e per la precisione cortinesi tutti i bolidi. La previsione generale fu rispettata e vi fu lotta fra svizzeri, tedeschi (occidentali) e italiani, ma nessun oro per gli azzurri: Gianfranco Gaspari e Mario Armano, compagno di Monti quattro anni prima nel vittorioso bob a quattro, arrivarono quarti nel bob a due, superati da due equipaggi tedeschi e da un equipaggio svizzero. Nella prova a quattro Nevio De Zordo, Gianni Bonichon, Adriano Frassinelli e Corrado Dal Fabbro furono secondi ad appena 76 centesimi dagli svizzeri: un errore abbastanza grosso alla sesta curva della quarta e ultima manche costò forse il grande successo. L'altro equipaggio, formato da tre dei quattro vittoriosi a Grenoble, cioè Zandonella, Armano e De Paolis, guidati da Gaspari che era bravo ma non era un fuoriclasse come Monti, dovette accontentarsi dell'ottavo posto.

Un oro venne invece nello slittino, sia pure da spartire: Paul Hildgartner e Walter Plaikner per l'Italia arrivarono nella gara biposto con lo stesso tempo di Horst Hörnlein e Reinhard Bredow per la Germania Est, che prese anche il bronzo. La stessa Germania Orientale dominò sia la prova individuale maschile con Wolfgang Scheidel (per noi Hildgartner ottavo) sia quella femminile con Anna-Maria Müller (per noi Feider nona).

Nelle prove su ghiaccio l'olandese Adrianus 'Ard' 'Schenk vinse tre ori, sui 1500, 5000 e 10.000 m, minacciato soltanto in quest'ultima prova da Cornelis 'Kees' Verkerk, olandese come lui. Erhard Keller, tedesco, fu il miglior velocista, vincitore dei 500 m. Unica traccia giapponese l'ottavo posto di Masaki Suzuki sui 500 m. Fra le donne le statunitensi, con due medaglie d'oro (Anne Henning nei 500 m e Dianne Holum nei 1500 m), vinsero più di tutte. La Norvegia, grande sconfitta nel settore maschile (appena un argento), fece un po' meglio con le donne, due argenti e un bronzo. L'Olanda vinse i 3000 m con Christina 'Stien' Baas-Kaiser, ma la sua più attesa pattinatrice, Atje Keulen-Deelstra, si piazzò soltanto: una volta seconda, due volte terza. I 1000 m furono vinti dalla tedesca occidentale Monika Pflug.

Nel pattinaggio artistico, che fu accompagnato da grandi storie di amori difficili, i sovietici, nella gara a coppie, presero oro e argento (rispettivamente con Irina Rodnina-Aleksey Ulanov e con Lyudmila Smirnova-Andrey Suraikin). Un'austriaca (Beatrix Schuba) e un cecoslovacco (Ondrej Nepela) si affermarono nelle prove individuali. L'azzurra Rita Trapanese fu settima nella sua gara. Le giurie, diversamente forse da altre occasioni, non presero alcuna decisione contestata, neppure nei riguardi degli atleti di casa, del resto tutt'altro che favoriti alla vigilia.

L'ambiente degli sport invernali, il cosiddetto mondo bianco, fu concorde nel ritenere i Giochi di Sapporo un passaggio speciale, utile a ravvivare la geografia e anche la geopolitica olimpica, ma niente più. Si vuole dare a quell'edizione dei Giochi una valenza storica particolare, per il tentativo, l'ultimo, del CIO di bloccare o comunque disciplinare il professionismo, specialmente nello sci alpino.

I Giochi si chiusero in una Sapporo inondata per il precoce sciogliersi delle nevi. La sede designata per la successiva edizione, Denver, in Colorado, sarebbe stata cancellata da un referendum di ecologisti, e i Giochi del 1976 sarebbero stati dirottati a Innsbruck.

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