Omicidio

Universo del Corpo (2000)

Omicidio

George Palermo

L'omicidio (dal latino homicidium, composto di homo, "uomo", e -cidium, dal tema di caedo, "tagliare, uccidere") è l'atto di sopprimere una o più vite umane, massima manifestazione di violenza interpersonale. Rappresenta un fenomeno complesso, con cause molteplici; per comprenderne la genesi sono state formulate numerose teorie esplicative, ma nessuna di esse appare in grado di fornire, da sola, una spiegazione esaustiva della violenza omicida.

Aspetti penali

Si parla di omicidio quando un soggetto cagiona volontariamente la morte di un altro e l'uccisione non è sancita da leggi approvate dalla società. Dal punto di vista del diritto penale, si tratta di un delitto contro la persona. L'omicidio può essere commesso con un'azione o con un'omissione, utilizzando mezzi sia fisici sia psichici (per es., provocare spavento, sofferenza psichica o dolore in un soggetto cardiopatico) o anche indiretti (per es., causare la morte di una persona aizzandole contro un cane). Possono sussistere alcune circostanze aggravanti relative a: l'elemento soggettivo del reato (avere premeditato il delitto o avere agito per motivi abbietti o futili); le modalità stesse dell'azione criminosa o i mezzi usati (avere compiuto sevizie o atti di crudeltà sulla vittima, avere utilizzato veleni o altro mezzo insidioso); la connessione con altri reati (avere commesso il delitto nell'eseguirne od occultarne un altro); le caratteristiche dell'omicida (omicidio commesso dal latitante o dall'associato a delinquere per sottrarsi alla cattura o alla detenzione); i rapporti tra il colpevole e l'offeso (aver commesso il reato nei confronti di ascendenti, discendenti diretti o di adozione). L'omicidio si dice preterintenzionale quando si cagiona la morte della vittima senza averla di fatto voluta. L'omicidio è invece colposo quando la morte è cagionata per negligenza, imprudenza o imperizia, oppure per violazione di leggi, regolamenti ecc.; è doloso se l'uccisione della vittima è volontaria e l'intento dell'omicida era veramente quello di uccidere. Nell'ordinamento giuridico di alcune nazioni si parla di omicidi senza dolo e omicidi giustificabili: rientrano in queste categorie l'esecuzione di una persona condannata a morte o l'uccisione in combattimento, a guerra dichiarata. La giurisprudenza della maggior parte delle nazioni del mondo sancisce che l'atto omicida non è imputabile (e quindi non punibile) quando una malattia incide sullo stato mentale dell'omicida al momento stesso del delitto; in questo caso, nella disamina metodologica della psicopatologia forense, si configura il quadro dell'incapacità di intendere e di volere.

Teorie psicodinamiche e neurobiologiche

Le teorie che hanno cercato d'interpretare la violenza omicida sono assai varie: K. Lorenz (1963) parla di meccanismi di liberazione scatenanti l'aggressività; per E.H. Sutherland e D.R. Cressey (1959) è determinante la cattiva influenza dell'ambiente sociale cui l'omicida appartiene, poiché la violenza si apprende dai violenti; secondo L. Berkowitz (1989), invece, all'origine dell'aggressività vi sarebbe la frustrazione di un desiderio; per M. Wolfgang e F. Ferracuti (1967) la tendenza omicida è parte della cosiddetta sottocultura della violenza, tipica di aree suburbane. Di fatto, dalle statistiche emerge che l'omicidio è più frequente nelle grandi e medie città, dove lo stress può scatenare impulsi violenti e omicidi, specialmente quando l'individuo è disinibito da droghe illecite e dall'alcol; vi è dunque un forte nesso fra urbanizzazione e reati violenti. Anche se nessun ceto sociale ne è risparmiato, esiste un rapporto inverso fra lo stato sociale e la tendenza alla modalità omicida: secondo molti studiosi, gli individui a rischio provengono da famiglie con problemi, presentano difficoltà scolastiche e comportamenti antisociali, vivono in condizioni economiche scadenti, sono inclini all'uso della droga e dell'alcol, sono, insomma, dei disadattati e degli emarginati sociali (Gottlieb et al. 1990; Palermo 1994). Questo rapporto fra classe socioeconomica bassa, emarginazione sociale e alta percentuale di reati violenti fu rilevato in Italia già alla fine del 19° secolo da E. Morselli ed E. Ferri.

Altre correlazioni sono state avanzate con un livello scolastico scadente, la mancanza di specializzazione e la disoccupazione; inoltre si è rilevato che gli indiziati di omicidio presentano una percentuale di matrimoni inferiore del 50% a quella del resto della popolazione (Langevin-Handy 1987). Sono ritenuti responsabili di circa la metà di tutti gli omicidi dolosi uomini giovani, di età compresa fra i 14 e i 34 anni. Spesso le donne agiscono nell'ambito domestico, dove subiscono soprusi e maltrattamenti e uccidono per difendersi dal marito o dal convivente. Da un punto di vista neurobiologico la violenza omicida è attribuita a disfunzioni neuroumorali a livello cerebrale, con coinvolgimento dell'amigdala, dell'ippocampo, dell'ipotalamo, dell'area preottica e dei lobi frontali del cervello. Vi contribuirebbero inoltre disfunzioni dei neurotrasmettitori come l'acetilcolina e la serotonina: quest'ultima sarebbe presente in modesta quantità nel sistema nervoso centrale. Si suppone, infine, che a livello cerebrale ci siano scariche limbiche di tipo epilettoide. Comunque, una predisposizione psicobiologica e situazioni ambientali sono essenziali per lo scatenarsi della violenza. Alcol, cocaina e, in genere, tutte le sostanze stupefacenti agiscono come cofattori scatenanti, mentre nel controllo dell'aggressività risultano di qualche efficacia i betabloccanti e la carbamazepina, poiché aumentano la serotonina a livello cerebrale, e in certi casi alcuni antidepressivi (fluoxetina, fluvoxamina), neurolettici (tioridazina, clotiapina, aloperidolo, clorpromazina), o anche sali di litio, alcune anfetamine e il ciproterone acetato (come antiandrogeno nel controllo dell'aggressività su base compulsivo-sessuale).

Tipologie di omicidi

Anche se la violenza omicida si scatena spesso nell'ambito familiare, la maggior parte dei delitti avviene al di fuori della famiglia. Gli omicidi possono avere origine da impulsi violenti, da desideri di vendetta o di sfida, o essere riti di iniziazione imposti da bande di quartiere, o avvenire durante rapine, furti, regolamenti di conti; in alcuni casi sono espressione ludica di violenza giovanile gratuita. Sono questi ultimi i delitti senza scopo, come i drive-by shootings ("uccisioni dall'auto in sorpasso") negli Stati Uniti, commessi spesso da adolescenti emarginati che vivono nei ghetti cittadini, dove il tasso di disoccupazione è assai elevato e frequente l'assunzione di bevande alcoliche e di stupefacenti o di sostanze psicotrope, come l'hashish, la marijuana, la cocaina, il crack ecc. Spesso l'omicida ha una condotta antisociale, caratterizzata da impulsività, rabbia, mancanza di rimorso, propensione alla menzogna; molti sono soggetti squilibrati, ansiosi-depressi, paranoidi o schizofrenici (Callieri 1984), oppure presentano disturbi psicotici, cognitivi o ritardo mentale.

Il più delle volte gli omicidi sono commessi utilizzando un'arma da fuoco. Questa accresce lo stimolo aggressivo, e il binomio insicurezza personale e presenza d'arma da fuoco è spesso letale, specialmente quando la persona è paranoica o in preda al panico. L'omicida multiplo uccide una o più persone e il fatto viene commesso durante un periodo di tempo più o meno lungo. In questo caso, le vittime non hanno una tipologia caratteristica. L'assassino spesso si accanisce sui cadaveri: è uno psicolabile, un ossessivo con delirio paranoideo, però non va confuso con un serial killer (Palermo-Scott 1997).

Il serial killer è per lo più un giovane di età compresa tra i 22 e i 34 anni. Non è affetto da sindrome schizofrenica paranoica con deliri ben sistematizzati, e neppure da malattia bipolare, ma soffre di disturbi della personalità di tipo misto, con aspetti antisociali, ossessivo-compulsivi, sadici, feticistici, borderline e necrofilici, e presenta una minima dipendenza da alcol. I serial killer si possono distinguere in cinque tipi: 1) il 'visionario', che uccide, in modo bizzarro e disorganizzato, in seguito a ordini ricevuti da allucinazioni uditive (le cosiddette voci, spesso provenienti da Satana) o in preda a deliri paranoidei; 2) il 'missionario', che crede fermamente di essere stato scelto per il compito di eliminare dal mondo persone indesiderabili (prostitute, vagabondi, o spacciatori di droga) e nella sua convinzione paranoide ritiene quindi di eseguire una missione utile alla società; 3) l''edonista', che prova invece piacere nell'uccidere, in quanto l'omicidio in sé e per sé gli procura una sensazione così piacevole da essere simile a un 'orgasmo emotivo'; 4) quello che vuole esercitare un controllo totale su un'altra persona, fino al punto da deciderne il destino; 5) il 'lussurioso' (lust killer), che è interessato a un piacere di carattere sessuale. L'FBI (Federal bureau of investigation) statunitense classifica i serial killer lussuriosi in due gruppi: il primo è rappresentato da quelli 'asociali disorganizzati', abitualmente psicotici, caotici, bizzarri nel comportamento sessuale; il secondo da quelli 'asociali organizzati', che si distinguono per metodicità, accuratezza di esecuzione e astuzia, sono pienamente consapevoli della criminalità delle proprie azioni, nonché del loro impatto sulla società e desiderosi dell'eccitamento che deriva dalla pubblicità fornita dalle azioni omicide.

Le fantasie giocano un ruolo importante nel comportamento di questi omicidi: infatti, elucubrazioni mentali e fantasticherie su futuri programmi distruttivi sono frequenti. Il loro sadismo si spiega con l'arresto dello sviluppo psicosessuale o con la regressione a uno stadio pregenitale. Il comportamento sadico, sia prima sia dopo la morte della vittima, sembra confermare la mancanza di freni inibitori e la profonda immaturità dei soggetti. Il numero dei delitti è generalmente molto alto per ogni serial killer, che può arrivare anche a decine di vittime. I delitti sono perpetrati contro uomini e donne. Generalmente c'è una tipologia delle vittime, che hanno delle caratteristiche in comune come l'età, l'apparenza esteriore, il comportamento. Il killer stesso ha la sua tipologia: relativamente giovane, come già detto, piuttosto intelligente, con un grado d'istruzione abbastanza elevato, capacità lavorative discrete, maniere civili e abilità nello stabilire relazioni con gli altri. La sua sessualità è distorta e pervasa da desiderio di controllo della vittima: spesso raggiunge l'orgasmo attraverso la feroce mutilazione del corpo di questa. I delitti sono metodici, programmati. Alle fantasie sessuali e al dominio sulla vittima s'intrecciano desideri di poter tenere con sé parti del cadavere, come cimeli e ricordi, e spesso di dilettarsi a fotografare le vittime in posizioni sessuali oscene. Il killer lussurioso a volte è antropofago: mangia parte dei corpi delle vittime. Il suo esasperato narcisismo trova gratificazione nei mass media che, raccontando il suo gesto criminoso, lo inducono ad atteggiamenti reattivi di superiorità compensando il suo profondo sentimento d'inferiorità; egli vive infatti nel timore del rifiuto e dell'abbandono. Il killer è solo apparentemente razionale poiché vive nelle sue fantasie di dominare e possedere sessualmente le sue vittime; è, inoltre, ostile, dedito alla menzogna, all'aggressività, e fondamentalmente incapace di adeguarsi ai dettami morali e sociali. Nell'ordinamento legislativo italiano questa categoria di omicidi risulta imputabile in quanto "anormale nel carattere [...] ma in possesso di quelle condizioni psicobiologiche richieste dalla legislazione vigente affinché l'azione del soggetto venga ritenuta come causa eticamente e psichicamente voluta" (sentenza della Cassazione del 27 giugno 1969). La proposta di vizio parziale di mente da parte della difesa è raramente accettata.

Un'altra tipologia molto importante - e sempre più frequente nella società occidentale - è quella dell'omicida di massa, che a volte fa seguire all'omicidio il suicidio. L'omicidio di massa, detto anche Berserk syndrome dal nome del leggendario guerriero norvegese che combatteva con ira cieca (Palermo 1997), consiste nell'uccisione intenzionale di più di una persona allo stesso tempo. I killer, di cui fanno parte anche i cosiddetti terroristi, possono annientare la propria famiglia o innocui gruppi di persone, di solito in posti pubblici. Sono per lo più uomini di razza bianca, impulsivi, senza un programma preciso, in preda a 'ruminazione' mentale, incuranti del pericolo e di essere catturati; sono, inoltre, dei frustrati narcisisti, ciclotimici, ribelli, psicolabili, spesso sofferenti di depressione agitata, consumatori, prima dell'atto omicida, di alcolici o di droga. Agiscono imprevedibilmente e sembrano spinti da un senso di disperazione, di vendetta e dal desiderio di notorietà. Il loro comportamento è un misto d'impotenza e di complesso di Superman. Il più delle volte il loro gesto si configura come messaggio di protesta sociale. L'omicida-suicida si suddivide in coniugale, familiare ed extrafamiliare, ma nella maggior parte dei casi le vittime sono la moglie e/o i figli dell'aggressore. I mezzi usati più comunemente sono gas, armi da fuoco, accoltellamento, percosse, strangolamento o veleno. Il più frequente omicidio-suicidio è quello in corso di delitto paranoico-amoroso, detto anche complesso di Otello.

Tipicamente il killer suicida è un uomo che convive con moglie o amante e figli, ha un rapporto sentimentale burrascoso, contraddistinto da violenza fisica e da frequenti separazioni e riappacificazioni; è depresso, a volte paranoico, affetto talvolta da alcolismo o da tossicomania, con propensione per l'azione impulsiva (acting out), ma senza precedenti penali. In genere appartiene alla classe socioeconomica media. L'omicidio-suicidio non sempre viene portato a termine con successo, in quanto a volte l'autore sfugge alla propria morte.

L'infanticidio, in molti casi, è compiuto dalla madre sofferente di nevrosi o psicosi paranoide, con una profonda ambivalenza verso il prodotto del concepimento o con un rapporto infelice con il partner. Il 'figlicidio', invece, può essere compiuto dalla madre o dal padre: nella madre spesso si riscontra una psicosi depressiva o schizoaffettiva e, nella paranoia, un delirio di tipo altruistico; il padre autore del figlicidio spesso soffre di depressione e il suo omicidio può essere seguito dal suicidio e rientrare perciò nella sindrome dell'omicidio-suicidio. Nel matricidio spesso esiste una relazione simbiotica tra madre e figlio o figlia: se si tratta del figlio, sembra che egli tenti, con il gesto disperato, di liberarsi della sua dipendenza dalla madre che non gli ha permesso di 'crescere' e di divenire autonomo. Nel patricidio, invece, il figlio, spesso adolescente, detesta il genitore in quanto lo recepisce come un'autorità restrittiva, punitiva, priva di manifestazioni d'affetto e di comprensione. Sia nel matricidio sia nel patricidio, e anche nel cosiddetto parricidio, intendendo per quest'ultimo non soltanto l'uccisione del padre ma di suoi consanguinei, l'autore del reato è frequentemente affetto da psicosi, schizofrenia, deliri paranoidei, o da follia depressiva.

Bibliografia

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