Once upon a Time in America

Enciclopedia del Cinema (2004)

Once upon a Time in America

Sergio Arecco

(USA 1982-83, 1984, C'era una volta in America, colore, 218m); regia: Sergio Leone; produzione: Arnon Milchan per Ladd Company; soggetto: dal romanzo The Hoods di Harry Grey; sceneggiatura: Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Enrico Medioli, Franco Arcalli, Franco Ferrini, Sergio Leone, Stuart Kaminsky; fotografia: Tonino Delli Colli; montaggio: Nino Baragli; scenografia: Carlo Simi; costumi: Gabriella Pescucci; musica: Ennio Morricone.

1922: Noodles, Cockeye, Patsy e Dominic sono quattro ragazzi che vivono di piccola delinquenza nel quartiere ebraico del Lower East Side, a New York. Fanno la conoscenza di un 'rivale' anche più abile di loro, Max, uno che ha la stoffa del leader. Anche Noodles ha talento. Una sua 'invenzione' lancia la banda nel giro della grande illegalità. Arrivano i primi soldi, cameratescamente spartiti e conservati nel deposito bagagli della stazione. Il ristorante ebraico dell'amico Moe è un loro punto di riferimento. Moe ha una sorella bellissima, Deborah, un tipino aristocratico che si esercita nella danza e disdegna i traffici di Noodles, che la ama. Passiamo al 1933, data culminante del proibizionismo. Noodles esce di prigione ‒ nel 1922, per vendicare la morte di Dominic, ha accoltellato un piccolo boss ‒ e trova gli amici pienamente integrati nella grande mafia italo-americana. Il ristorante di Moe è diventato un avviato speak easy (con annesso bordello), Deborah è una stella nascente del teatro e Max un boss spregiudicato. Noodles, che è rimasto il 'ragazzo di strada' di un tempo, si adatta con fatica alla nuova situazione. Quando Max gli propone un assalto alla Federal Reserve Bank, Noodles lo denuncia. Il colpo è sventato dall'intervento della polizia, i corpi senza vita di Max (irriconoscibile), Cockeye e Patsy giacciono sotto la pioggia battente. Noodles si rifugia nell'oblio che gli può regalare una fumeria d'oppio. Sarà un 'sonno' lungo trentacinque anni, dal quale viene risvegliato in seguito a una misteriosa chiamata telefonica. Una valigia ricolma di dollari lo attende al solito deposito bagagli: i soldi con i quali Max (il corpo sotto la pioggia non era il suo), ora divenuto il corrotto senatore Christopher Bailey, lo ingaggia per un ultimo colpo: l'assassinio dello stesso Bailey, ormai in disgrazia. Ma Noodles non ci sta. Lui non conosce quel Bailey ‒ che nel frattempo si è messo con Deborah, dalla quale ha avuto un figlio somigliantissimo a Max ‒ e torna dignitosamente sui suoi passi. Mentre lascia la villa dove Max/Bailey lo ha convocato, gli pare di scorgere una figura che lo segue nel buio. Contemporaneamente, si mette in moto un camion della nettezza urbana e quella figura sparisce, inghiottita dalle tenebre (o dalle pale della macchina?). È un imprevisto tuffo nel passato che riserva a Noodles un'ulteriore sorpresa: rivedersi quello di trentacinque anni prima, ombra inafferrabile e sorridente, tra le ombre della fumeria d'oppio.

Una favola (c'era una volta...), intessuta di fantasmi senza nome (i nomignoli non sono nomi) e di voci senza corpo, come tutte le precedenti favole ‒ western o meno ‒ di Sergio Leone, di cui Once upon a Time in America è, non solo per il posto conclusivo che occupa nella sua filmografia, dichiaratamente la summa. "Un telefono squilla forte, a lungo, ma quando una mano alza il ricevitore il suono del telefono continua. […] Per un breve momento parte della realtà è stata percepita come spettrale apparizione, 'più reale della realtà stessa'" (S. Zizek). È la scena cruciale del film: Noodles, che ha appena tradito gli amici provocandone la morte, risente 'dentro di sé' quello squillo interminabile come fosse un rimorso che lo insegue nella fumeria d'oppio dove si è rifugiato e lo inseguirà fino a quando, nel 1968, non avrà saldato il conto e potrà evocare la stessa scena senza più allucinazioni acustiche. Il film, dunque, è come una lunga allucinazione di echi senza volto, dove, come sempre in Leone, ciascuno è nessuno, e il nessuno non è che un vano simulacro di se stesso, un doppio illusorio del reietto che è stato. Esemplare, in questo senso, la composizione/scomposizione del personaggio di Max, che vanta ben quattro 'apparizioni': perché a quelle di tutti, da adolescenti e da adulti, aggiunge quelle della seconda identità ‒ il senatore Bailey ‒ e del figlio/sosia. E l'effetto è tanto più vertiginoso se si pensa che Max dovrebbe rappresentare ‒ anche se il regista non lo ha mai ammesso ‒ l'unico personaggio 'storico' del film, quell'Arnold Rothstein che fu negli anni Venti il massimo esponente della mafia ebraica di New York e fu immortalato anche da Fitzgerald in The Great Gatsby. I caratteri coincidono, la tipologia dell'ascesa/caduta coincide.

La sorprendente efficacia di Once upon a Time in America sta proprio qui, nel fatto che Leone dedichi una grandiosa elegia a un fenomeno relativamente sconosciuto come quello del gangsterismo ebraico per finalizzarla all'eterno leitmotiv che percorre tutto il suo cinema: il tema/mito dell'amicizia e del tradimento ‒ scandito anche qui dalla struggente partitura musicale di Ennio Morricone. Per cui il fascino della visione di un Lower East Side anni Venti (fellinianamente ricostruito a Cinecittà) gremito da nugoli di ebrei che si recano alla sinagoga per i riti del sabato non è meno potente del fascino della visione di un tempo senza tempo, spettrale e violento, a spirale più che a flashback (con otto scarti temporali: 1933/1968/1922/1968/ 1933/1968/1933/1968/1933), nel corso del quale due amici/nemici rimangono, proustianamente, sempre gli stessi, perennemente uguali e diversi (Noodles non è che la metà perdente, o stracciona, di Max). "Che hai fatto in tutti questi anni, Noodles?". "Sono andato a letto presto", che è un modo per citare l'incipit di À la recherche du temps perdu ("Longtemps, je me suis couché de bonne heure") e dirci che Once upon a Time in America è a suo modo una ricerca del tempo perduto. Il film, costato dieci anni di lavoro, è stato, malgrado la lunghezza, uno dei grandi successi della stagione 1984-85. In America invece ‒ rimontato dal produttore rispettando la successione temporale e cancellando la parte dedicata all'adolescenza ‒ è risultato un fiasco.

Interpreti e personaggi: Robert De Niro (David 'Noodles' Aaronson), James Woods (Maximilian 'Max' Bercovicz/senatore Christopher Bailey), William Forsythe (Philip 'Cockeye' Stein), James Hayden (Patrick 'Patsy' Goldberg), Larry Rapp ('Fat' Moe), Elizabeth McGovern (Deborah), Treat Williams (Jimmy O'Donnell), Burt Young (Joe), Joe Pesci (Frankie), Amy Ryder (Peggy), Tuesday Weld (Carol), Darlanne Fleugel (Eve), Scott Tiler ('Noodles' ragazzo), Rusty Jacobs ('Max' ragazzo/David Bailey), Adrian Curran ('Cockeye' ragazzo), Brian Bloom ('Patsy' ragazzo), Mike Monetti ('Fat' Moe ragazzo), Noah Moazezi (Dominic), Jennifer Connelly (Deborah ragazza), James Russo (Bugsy), Bruce Bahrenburg (sergente Halloran), Mario Brega (Man-dy), Danny Aiello (Aiello, capo della polizia).

Bibliografia

D. Gabutti, C'era una volta in America, Milano 1984.

M. Chion, Il y a un lieu, l'Amérique, in "Cahiers du cinéma", n. 359, mai 1984.

J.-Ph. Domecq, Reflets dans un saxo d'or, in "Positif", n. 280, juin 1984.

M. Corliss, Once upon a Time…, in "Film comment", n. 4, July-August 1984.

E. Martini, La fine dell'infanzia, in "Cineforum", n. 238, ottobre 1984.

P. Detassis, C'era una volta in America: Leone e la memoria, in "Bianco e nero", n. 4, ottobre-dicembre 1984.

G. Turroni, Un'idea di capolavoro, in "Filmcritica", n. 352, febbraio 1985.

A. Knee, Notions of Authorship and the Reception of 'Once upon a Time in America', in "Film criticism", n. 1, Fall 1985.

'C'era una volta in America': un film di Sergio Leone. Photographic Memories, a cura di M. Garofalo, Roma 1988.

A. Martin, Once upon a Time in America, London 1998.

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