ONOMASIOLOGIA

Enciclopedia Italiana (1935)

ONOMASIOLOGIA

Vittorio Bertoldi

. Per onomasiologia s'intende un aspetto particolare dell'indagine linguistica che, movendo da una determinata idea, esamina i varî modi con chi essa ha trovato espressione nella parola. In quanto studia fatti di vocabolario comparandoli fra di loro nell'ordine cronologico e geografico, l'onomasiologia (da ὀνομασία "denominazione") fu detta pure lessicoloǵia comparata e venne quindi avvicinata nei fini e nei procedimenti alla semasiologia (da σημασία "significazione"), la ricerca, cioè, dei significati. I due aspetti si completano e si lumeggiano dunque l'un l'altro.

L'alterna vicenda tra fase conservata e fase innovata, che in ultima analisi costituisce il problema fondamentale della linguistica quale disciplina essenzialmente storica, è qui oggetto di studio in rapporto con i varî elementi di vocabolario rispondenti a una determinata idea o a un gruppo d'idee affini. All'indagine spetta qui il compito non soltanto di chiedersi come, cioè con quali mezzi lessicali, lingue e dialetti abbiano reso una determinata idea (per es., quella di "madre", di "capo", di "primavera", di "cieco", di "papavero", di "pipistrello", ecc.), ma di vedere fino a qual punto, cioè in quali tempi e in quali luoghi e sotto quali condizioni, il termine tradizionale (p. es., mater, caput, ver, caecus, papaver, vespertilio, ecc.) abbia conservato il suo primato oppure abbia ceduto il posto a innovazioni di varia natura. In una lunga serie di saggi particolari si vennero così man mano lumeggiando, da un lato, i fattori che hanno favorito il conservarsi del patrimonio lessicale latino fino al romanzo in tutta la sua estensione senza restrizioni e senza opposizioni (vocaboli latini quali aurum, ferrum, manus, dens, altus, novus, cantare, dormire, ecc., che vantano oltre due millennî di vita ininterrotta e incontrastata) e, d'altro lato, i fattori che per determinate idee hanno favorito ovunque il continuo germinare di nuovi nomi ispirati spesso da immagini graziosissime.

Si pensi alla nomenclatura classica e romanza della flora e della fauna, a nomi quali παρϑένιον la "verginella", δίψακος l'"assetato" per due composite, γεράνιον il "geranio", alla lettera la "piccola gru", ἀηδών l'"usignolo", cioè il "canterino", del lessico greco; a senecio, derivato di seneca "vecchio" (= Seneca, nome di persona) per una specie di cardo che a primavera si ricopre tutto d'una pelurie bianca, a caecilia l'"orbettino", "dicta eo quod parva sit et non habeat oculos" (Isidoro), a motacilla la "cutrettola", "quod sempre movet caudam" (Varrone), del lessico latino; al francese coquelicot "papavero", cioè il "galletto" fra i campi di biade, all'italiano predicatore, l'uccellino che col suo continuo canto "tien vive le praterie arborate da mane a sera" (Garbini), a prega Dio, la "Mantis religiosa" di Linneo, a freddolina il "Colchicum autumnale L." nel piemontese, cioè il "fiore d'autunno già quasi intirizzito dal freddo", ecc.

Interpretare questi nomi non solo nel loro contenuto d'idee o d'immagini, ma anche nel loro valore estetico, il che vuol dire rivivere quasi l'atto creativo in tutta la sua armoniosa e complessa interezza, è uno dei compiti dell'onomasiologia (v. linguaggio).

Tuttavia, fin dai primi studî in questo campo si afferma un principio che verrà poi formulato in maniera molto più decisa da J. Gilliéron: che, cioè, la creazione utilitaria che tende a raggiungere un massimo di chiarezza e a dissipare l'equivoco (v. omonimia) "prevale in materia lessicale sulle velleità novatrici, per quanto seducenti, dell'immaginazione". Ciò che a prima vista può sembrare creazione spontanea, a chi sappia guardare ben addentro nella trama lessicale, si rivela per rifacimento più o meno libero d'un nome già esistente.

Molti nomi dell'"arcobaleno" nei dialetti francesi appartengono, per esempio, a tale categoria d'innovazioni riflesse alle quali il primo impulso non venne direttamente dal fenomeno naturale, ma da nomi vicini già in uso per designarlo. L'idea di "arco" suggerisce quella di "ponte", accolta da buon numero di dialetti ognuno dei quali di suo non aggiunge che un epiteto: "ponte della sera", "ponte di seta" nella Valchiusa, "ponte di San Bernardo", "ponte dello Spirito Santo", "ponte di San Pietro" nell'Ardèche, fino a "ponte romano" e a "ponte della luce" (erromako-zubi e ar-zubi da erromako "romano", argi "luce" e zubi "ponte") del vocabolario basco. L'ardita metafora jarretière de la Sainte Vierge "arcobaleno" dell'Alvernia non è altro che una variante del sinonimo ceinture du bon Dieu diffuso nei parlari vicini. I nomi cornette e colonnette nel territorio di Belfort e nell'Alta-Saona sono rifatti su couronnette che quale nome dell'"arcobaleno", predomina all'intorno.

La cosiddetta etimologia popolare appare qui sotto nuova luce come un fattore precipuo di vita che rinnovella dalla lingua al dialetto e da un dialetto all'altro la massa verbale tanto nella sostanza psichica quanto nella forma materiale. Ne consegue la necessità d'accertare donde, cioè non solo in quali epoche e in quali regioni, ma anche in quale ambiente sociale, sia venuto il primo impulso a una denominazione. Nome d'origine erudita passato all'uso comune o all'uso regionale oppure nome d'origine rustica che a poco a poco, passando per varie classi sociali, s'è urbanizzato? Nell'un caso e nell'altro quali compromessi tra forma e contenuto hanno reso possibile il prosperare della parola fuori dell'ambiente originario?

Comunque, il ripetersi della stessa immagine in diverse lingue e dialetti non dimostra ancora l'indipendente rinnovarsi dell'atto creativo in varie età e regioni, poiché non esclude la possibilità del diffondersi della medesima immagine tradotta per intervento dotto o semidotto nelle varie lingue e di qui nei varî dialetti. L'originalità di molti nomi latini, sottoposti a un esame in questo senso, appare sospetta; spesso sotto la veste latina essi nascondono infatti spirito greco. Tali nomi ricalcati dal latino nelle lingue moderne rispecchiano dunque il patrimonio d'immagini comune al lessico scientifico europeo.

Nomi latini quali senecio "sorta di cardo", gladiolus "specie di iris", sem-pervivum "sopravvivolo", caecilia "orbettino", vespertilio "pipistrello", alla lettera "uccello della sera", ecc., si rivelano per formazioni ricalcate più o meno liberamente sui sinonimi greci ἠρίγερων "sorta di cardo", alla lettera "vecchio della primavera", ξιϕίον e ϕασγάνιον "specie di iris", alla lettera "piccola spada", ἀείζωον "semprevivo", τυϕλῖνος "orbettino" da τυϕλός "cieco" (clr. francese orvet, borgne, aveugle, ecc., it. orbettino, bissa orbola; tedesco blintslîhho, blindschleiche; inglese blindworm, ecc.), νυκτερίς "pipistrello", alla lettera " [uccello] notturno", ecc.

In ogni caso la ricerca onomasiologica parte dal presupposto di concetti fissi e ben delimitati nella mente dei parlanti. Ciò può per avventura accadere (p. es., per il concetto di "madre", di "oro", di "ferro", di "cantare" e "dormire", ecc.); spesso tuttavia al mutare delle denominazioni risponde un continuo fluttuare dei concetti o un continuo rinnovellarsi delle cose, tanto che alla luce di una critica sottile il problema generale, legato al presupposto della stabilità del concetto primitivo, viene quasi a sminuzzarsi in tutta una serie di problemi particolari suscitati dal mutare di un concetto a seconda dei tempi, dei luoghi e degl'individui. Rifarne la storia vuol dire, in tal caso, ricomporre i singoli episodî risultanti dall'analisi del valore intrinseco attribuito dai parlanti ai varî vocaboli al momento di trasmetterli alle generazioni vegnenti o alle popolazioni contigue. Insomma, il lessico muta in funzione dei mutamenti di concetto nella mente di chi parla; onde, da un lato, polisemia, cioè "varietà di significati" nella stessa parola e, dall'altro, polionimia cioè "varietà di nomi" per lo stesso concetto.

Un esempio significativo di tali fenomeni ci è offerto dalla nomenclatura dei difetti fisici e delle parti del corpo umano. "Appresso noi" - si legge nel Tommaseo-Bellini sotto la voce bircio - "si confondono i nomi guercio, bircio, orbo, lusco e simili, accompagnandoli spesso a qualsivoglia imperfezione degli occhi". Infatti "una parola in uso per un determinato difetto, perduto in breve il suo valore originario, può servire in generale a designare difetti analoghl" (Wartburg). Così si spiega, p. es., il coesistere di caecus e orbus in gran parte del territorio romanzo e il graduale prevalere nell'uso dell'uno a danno dell'altro e a vantaggio di nuove denominazioni quali aveugle, borgne (in origine "cieco d'un occhio") limitate al dominio gallo-romano. Ma soprattutto istruttivi a questo riguardo sono i casi di oscillazioni e confusioni nei concetti riferentisi alle parti del corpo umano per cui un derivato di barba viene a denominare, p. es., il "mento" dell'uomo imberbe (romanesco barbozzo, piemontese barbarín, provenzale barbo, romeno bărbie, ecc.); oppure la "fronte" viene designata col nome del "cervello" (sardo šerbeḍḍu), le "tempie" prendono il nome del "polso" (piemontese puls, ecc.), del "sonno" (siciliano somnu, ecc.), della "memoria" (sardo sa memoria); oppure la "guancia" è chiamata "mascella" (siciliano mašiḍḍa, spagnolo mejilla, basco masaila, ecc.); il "petto" è confuso nel nome con lo "stomaco" (veneto stómego, lombardo stómek, ecc.), la "schiena" con le "reni" (napoletano rine "schiena"), ecc.

I rapporti sociali, le costumanze. il gusto, la moda di vestire, le arti, le industrie, i mestieri, gli arnesi cambiano a seconda delle età e delle regioni, condannano alla decadenza vecchie parole o ne modificano il valore e reclamano la creazione di parole nuove. Per il concetto di "culla" il latino conosce, p. es., la sola parola cunae che nella forma diminutiva cunula (cunabula) vive nell'italiano culla. Ma sul suolo dell'antica Gallia si conserva l'uso del tipo indigeno di culla intrecciata di vimini e con essa anche il nome gallico sopravvissuto nel francese berceau. Anche altrove il campagnolo resta fedele al tipo regionale di culla e ai nomi che lo designano nei suoi varî aspetti: la culla a cesta (ligure tsesta, skorba, napoletano sporta, ecc.), la culla di legno a dondolo (toscano antico ghiécolo, còrso véculu, gallurese ículu da vehiculum) e la culla di panno sospesa con corde al soffitto (cfr. romeno leagăn in nesso con ligare, russo zybka in nesso con zybĭ "moto ondulatorio"). Ovunque nascono infine sulle labbra delle mamme con le ninne-nanne i nomi graziosi della culla: marchigiano nanna, provenzale ninna, portoghese ninha, albanese ninuùe, ecc.

L'attività dello spirito è incessantemente sollecitata dal mondo esterno a elaborare la nomenclatura delle cose. Concepita così, la linguistica viene, fra l'altro, a far parte integrante della storia del pensiero e del costume umano.

E ancora: comunque si attui il fenomeno d'innovazione (innovazione nei suoni, nelle forme o nelle idee, creazione spontanea o riflessa), quali ne saranno le intime cause? Quali fattori favorirono, p. es., il pieno affermatasi nell'uso comune e letterario di un vocabolo infantile quale è il romeno tată "padre" a danno del tradizionale pater? Perché caput in una parte del territorio romanzo (sul suolo gallo-romano, ma anche nel Veneto e nella Sicilia) venne sopraffatto da testa? Perché la nomenclatura delle stagioni e dei mesi dell'anno, eccezione fatta per la primavera e l'autunno, rivela in generale carattere conservativo? Quale sarà il segreto della sfortuna nel romanzo di puer sostituito da tutta una serie d'innovazioni regionali? Per quali ragioni una formazione metaforica qual'è il nome francese del "papavero" coquelicot riuscì ad attecchire anche nella lingua letteraria a danno di papaver? Perché il latino vespertilio, per poter reggersi in vita, dovette subire tanti mutamenti nei suoni e nelle forme (dal dantesco vipitrello all'italiano pipistrello con le varianti dialettali pripistello, pilustrello, palpastrielle, barbastrello; parpaglione, sportiglione, ecc.)? E, d'altro lato, come mai in tanti casi ha potuto resistere tenacemente la traccia di nomi appartenenti a linguaggi remotissimi anteriori al latino? In quali zone e per quali cause il lessico latino cedette in favore di tali relitti regionali; fino a qual punto e con quali mezzi, pur assimilandoli, il latino reagì?

Anche se molte di queste e d'altre simili domande sono destinate a rimanere senza risposta, già l'averle formulate fin dai primi saggi nell'intento di veder più a fondo nelle leggi che governano la biologia verbale, doveva essere sintomo di fecondo progresso per tutta la disciplina.

Bibl.: Gli studî d'onomasiologia fiorirono particolarmente nel dominio romanzo. La testimonianza del latino poteva qui spesso permettere di rifare per qualche idea o gruppo d'idee oltre due millenni di storia lessicale.

La serie di tali studî s'apre con la monografia dello svizzero E. Tappolet sui nomi di parentela: Die romanischen Verwandtschaftsnamen mit besonderer Berücksichtigung der französischen und italienischen Mundarten. Ein Beitrag zur vergleichenden Lexikologie, Strasburgo 1895 (in questo studio è proposto il termine lessicologia comparata), a cui Carlo Salvioni fa alcune "giunte e osservazioni" riguardanti il dominio dialettale italiano: Per i nomi di parentela in Italia. A proposito di un recente studio, in Rendic. R. Istit. lomb. scienze e lettere, s. 2ª, XXX (1897), pp. 1479-1521. Seguono a breve distanza i lavori di A. Zauner (che inaugura il termine onomasiologia) sui nomi delle parti del corpo umano: Die romanischen Namen der Körperteile. Eine onomasiologische Studie, in Romanische Forschungen, XIV (1903), pp. 339-530; di C. Merlo, I nomi romanzi delle stagioni e dei mesi studiati particolarmente nei dialetti ladini, italiani, franco-provenzali, e provenzali. Saggio di onomasiologia, Torino 1904; di W. v. Wartburg, Die Ausdrücke für die Fehler des Gesichtsorgans in den romanischen Sprachen und Dialekten. Eine semasiologische Untersuchung, Ambergo 1912; di S. Merian, Die französischen Namen des Regenbogens, Halle s. S. 1914; di G. Huber, Les appellations du traîneau et de ses parties dans les dialectes de la Suisse romane, Heidelberg 1916, in Wörter u. Sachen, Beiheft 3; di J. Gilliéron, Généalogie des mots qui désignent l'abeille d'après l'Atlas linguistique de la France, Parigi 1918 (cfr. K. Jaberg, Romania, XLVI [1920], pp. 121-135); I. Pauli, "Enfant", "garçon", "fille" dans le langues romanes. Essai de lexicologie comparée, Lund 1919; V. Bertoldi, Un ribelle nel regno de' fiori. I nomi romanzi del Colchicum autumnale L. attraverso il tempo e lo spazio, Ginevra 1923; di E. Eggenschwiler, Die Namen der Fledermaus auf dem französischen und italienischen Sprachgebiet, Lipsia 1934.

Dal punto di vista onomasiologico vennero inoltre studiati i seguenti gruppi d'idee: parentela (Tappolet 1895; Salvioni 1897); parti del corpo umano (Zauner 1902; Schuchardt: "milza" 1917; Kahane: "mascella" 1932); stagioni, mesi, feste dell'anno (Merlo 1904, "carnovale" 1911, "Candelara" 1915, "dì feriale e dì festivo" 1918, "Pentecoste" 1926); difetti fisici (Warburg: "difetti dell'organo della vista" 1912); età (Pauli: "fanciullo, ragazzo" 1919); fenomeni naturali (Göhri: "lampo e tuono" 1912; Rotzler: "via lattea" 1913; Merian: "arcobaleno" 1914; Volpati: "pianeti"; Kläui: "nebbia" 1930); flora (Guarnerio: "rosa delle Alpi" 1911; Spitzer: "patata" 1912; Schroefl: "papavero" 1915; Gamillscheg-Spitzer: "lappola" 1915; Schurter: "Taraxacum" 1921; Ochs: "Rosa canina" 1921; Stephan: "salice" 1921; Walter: "faggio" 1922; Bertoldi: "colchico" 1923, "mirtillo" 1925, "verbasco" 1927, "tasso" 1928; Kaufmann: "selva" 1913; Schmidt: "siepe" 1923; Mietlich: "mucchio di fieno" 1930); fauna (Salvioni: "Lampyris Italica" 1892; Merlo: "Grillotalpa vulgaris" 1906; Merlo: "Forficula auricularia" 1908; Bertoni: "Lacerta viridis" 1913; Bertoni: "lombrico" 1917; Wartburg: "pecora" 1918; Gilliéron: "ape" 1918; Bottiglioni: "ape e alveare" 1919; Brügger: "scricciolo" 1922; Maccarrone: "tacchino" 1926; Sandmann: "cinciallegra" 1929; Stangier: "porco" 1929; Forsyth Major e più ampiamente Eggenschwiler: "pipistrello" 1934); configurazione del suolo (SCheuermeier: "caverna" 1920); vita e occupazioni rurali (Gerig.: "cultura della canapa e del lino" 1913; Jirlow: "lavorazione del lino" 1926; Kaeser: "coltura delle castagne" 1932); arnesi rurali (Luchsinger: "arnesi del caseificio" 1905; Meyer-Lübcke: "arnesi per trebbiare" 1909; Bertoni: "imbuto" 1909; Hebeisen: "recipienti" 1921; F. Hobi: "falce e falcetto" 1926); usi e costumi, cibo e vestiario (Bauer: "forme del pane" 1913; Goidanich: "pane e dolci caserecci" 1914; Herzog: "pasti quotidiani" 1916; Jaberg: "pantaloni" 1926; Aeppli: "ballo" 1925; Bosshart: "omelette" 1932); vie e mezzi di comunicazione (Huber: "slitta", 1916; Hochuli: "strada, sentiero, crocicchio" 1926).

Cfr. L. Gauchat e J. Jeanjaquet, Bibliographie linguistique, Neuchâtel 1920, pp. 134-157 e il Bullettino bibliografico di C. Battisti nell'Italia dialettale di C. Merlo. - Sotto l'aspetto onomasiologico sono preziosi i commenti di Jaberg e Jud alle carte dell'Atlante linguist.-etnogr. Italia e Svizzera (AIS). Va qui inoltre ricordato il periodico Wörter und Sachen, che si propone lo studio delle parole in stretto rapporto con le cose designate, e i lavori con quest'indirizzo di R. Meringer, H. Schuchardt, W. Meyer-Lübke e M. L. Wagner, nonché le monogrfie di carattere regionale (dominio ibero-romano) del Krüger e della sua scuola (Fahrholz, Bierhenke, ecc.). Il grandioso vocabolario etimologico di W. von Wartburg si presenta quale "descrizione storica del tesoro lessicale gallo-romano", e così nel campo latino il Dictionnaire étymologique de la langue latine di A. Ernout e A. Meillet (Parigi 1932), in quanto tende a ricostruire l'"histoire des mots", è improntato ad analoghi principî. Studî di carattere teorico generale su problemi che riguardano l'onomasiologia: A. Darmesteter, La vie des mots étudiée dans leurs significations, Parigi 1886; A. Zauner, Roman Sprachwissenschaft, 3ª ed., II, Berlino e Lipsia 1914, p. 17 segg.; G. Bertoni, Breviario di neolinguistica, I, Principi generali, Modena 1925; J. Jud, Neue Wege und Ziele der romanischen Wortforschung, in Wissen u. Leben, 1911; W. von Wartburg, Das Ineinandergreifen von deskriptiver und historischer Sprachwissenschaft, in Ber. d. sächs. Akademie, LXXXIII (1931), n. 1.