FASCITELLI, Onorato

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 45 (1995)

FASCITELLI (Fasitelius, Fascitelius, Fascitellus), Onorato (Honoratus)

Floriana Calitti

Nacque ad Isernia nel 1502 da nobile fwniglia, figlio di Marco, credenziere della dogana di Foggia, che perse l'incarico per essersi ribellato al viceré di Napoli, e di Margherita Caracciolo.

Della vita dei suoi primi anni non si hanno molte notizie: sappiamo che a tredici anni, forse a causa di una caduta, la sua schiena rimase irrimediabilmente curva e che iniziò gli studi umanistici in patria, sotto la guida di P. Gaurico del quale il F. conservò un famoso inno greco (manoscritto, ora presso la Biblioteca nazionale di Napoli, XIII. A. A62, cc. 46-49v). Nonostante già nel 1518 decidesse di prendere l'abito benedettino nel monastero di Montecassino, non smise mai di interessarsi alla poesia greca e latina. Nei frequenti spostamenti per gli incarichi che l'Ordine gli affidava il F. avvicinò sempre il cenacolo letterario dei luogo e fu sempre ammirata la sua passione per la letteratura e lo studio della lingua greca. Nel dicembre 1519, dopo l'anno di noviziato, il F. celebrò il solenne rito di professione religiosa.

Fu a Padova e Venezia prima del 1530 (come testimonia la lettera di P. Bembo del 10 ag. 1531 riportata da Vincenzo Meola nell'edizione delle Opere del F., pp. 21 s.), dove conobbe, tra gli altri, P. Manuzio, con il quale collaborò alla nuova edizione delle Opere di Lattanzio (Venetiis, in aedibus heredum. Aldi, 1535) e all'Opera di Ovidio in tre volumi (ibid. 1533-34).

Intorno al 1535 fu a Roma per incarichi nella Curia affidatigli da Paolo III, e lì entrò in contatto con A. Colocci e molti degli appartenenti all'Accademia colocciana e di quella di J. Goritz. Fu caro amico del medico poeta F. Arsilli, che lo cita nel De poetis urbanis (in G. Tiraboschi, Storia della lett. ital., VII, 3, Modena 1779, pp. 424-442) e che il F. pianse in un accorato epigramma, In obitu Arsilli, medici et Poetae. Fu questo uno dei periodi più intensi della vita letteraria del F.: erano gli anni del programma di restaurazione portato avanti da Paolo III, e nella Roma colta e politica il F. fu uno degli uomini di cui si avvalse il circolo prelatizio.

Nel recupero del passato, soprattutto della tradizione classico-urnanistica, la poesia latina del F., caratterizzata da una presenza mitologica che spesso tende anche a trasfigurare l'ideale religioso, contribuiva degnamente al nuovo pontificato di Paolo III: dalle descrizioni campestri degli idilli ai distici petrarchisti (quasi letterali traduzioni dal Canzoniere), alla voluttà dei versi dedicati a figure femminili: Sabella, ragazza romana, Livia, Lydia e Vittoria Colonna, fino agli esametri sul ritratto di Carlo Magno (In Caroli Magni effigiem) e di Farinata degli Uberti (In effigiem Farinatae Uberti), probabilmente commissionati da Paolo Giovio per la sua galleria di personaggi celebri, ed ai versi encomiastici per il cardinale Alessandro Farnese o a quelli satirico-giocosi. Il F. dedicò versi anche agli amici N. Ardinghello, segretario farnesiano, a G. M. Toscano, a M. A. Flaminio, a P. Giovio, ad A. Caro e da loro fu spesso ricordato in scritti letterari o in corrispondenze da Roma. Ne è testimonianza una interessante lettera di Paolo Giovio al cardinale A. Farnese del 12 luglio 1546 nella quale, augurandogli il successo come legato nella guerra contro i luterani, lo informa della volontà di narrare ai posteri le sue gesta aiutato in questo da alcuni letterati e uomini dotti tra i quali figura anche il Fascitelli. Gli furono inoltre dedicati dei versi da L. Capilupi (Rime, a cura di G. C. D'Adamo, sull'edizione di F. Osanna del 1585, Mantova 1973, p. 63), anche se viene erroneamente indicato con il nome di Farsitello e come vescovo di Aversa.

Nel 1537 si recò sul monte Massico e poi, nominato procuratore del suo Ordine, si stabilì a Cetraro (ora in provincia di Cosenza) e, in seguito, a Chieti presso il convento di S. Liberatore per eseguire controlli nei monasteri sottoposti alla giurisdizione dell'Ordine benedettino.

Continuò ad occuparsi di letteratura come dimostra il prezioso aiuto che fornì all'edizione aldina del Petrarca (Venetia 1546), eseguita su un importante codice autografo posseduto dal F., edizione molto lodata da G. Ruscelli, che definisce il F. "persona dottissima in ogni lingua e in ogni scienza" (De' commentarii della lingua italiana, II, Venetia, D. Zenaro 1581, p. 88). Al F. si deve inoltre la prima menzione degli Gliuommeri sannazariani (F. Torraca, Studi di storia letteraria napoletana, Livorno 1884, p. 75).

Alla morte di Paolo III, Giulio 111 lo chiamò come educatore per Innocenzo Del Monte, suo protetto. Certo il F. divenne subito molto caro al papa se Pietro Aretino si rivolse a lui per cercare di ottenere il titolo di cavaliere e una rendita di 80 scudi l'anno (lettera del F. a Pietro Aretino nella citata edizione del Meola, p. 20). Forse proprio il F., secondo l'ipotesi avanzata da M. Armellini, avrebbe ispirato all'Aretino la figura del pedante nel Marescalco, (atto V, scena III).

Intanto a Napoli continuava ad avere interessanti rapporti con l'ambiente dei letterati che facevano capo alla cosiddetta "seconda scuola pontaniana"; in particolare fu in strettissima comunanza letteraria con S. Capece, presidente dell'Accademia dal 1530, della cui opera De principiis rerum (Venetiis, in aedibus heredum Aldi, 1546) il F. fu il più importante revisore. Presso la casa del Capece il F. conobbe anche B. Rota e A. Di Costanzo e proprio la vicinanza di questi personaggi ha creato dei problemi attributivi riguardo al carme Genethliacon Iesu Christi, di volta in volta considerato opera di Capece, di Rota o del F. (al riguardo F. Tirino, Antico carme genetliaco di Gesù Cristo a Paolo IV, Napoli 1839; E. Percopo, in Rass. critica della lett. ital., VII [1902], p. 276; A. Altamura, Studi e ricerche di lett. umanistica, Napoli 1956, p. 208).

Nel 1551 arrivò da parte di Giulio III, riconoscente della devozione dimostratagli, la nomina a vescovo di Isola, in Calabria, dove il F. si trattenne fino al 1562. Quel periodo fu però tra i più tristi. Arrivato ad Isola, infatti, venne bersagliato da potenti baroni locali, la famiglia Catalano, alla quale il F. aveva chiesto la restituzione dei possedimenti di proprietà della diocesi, usurpati negli anni. Nonostante gli innumerevoli tentativi non riuscì a trovare con loro una mediazione tanto che iniziò a tempestare tutti i suoi amici, soprattutto quelli vicini al pontefice, supplicandoli di farlo tornare a Roma (lettera al cardinal Seripando del 1561 nell'edizione del Meola, pp. 37-43).

Gli ultimi anni della sua vita furono inquieti: partecipò a quelle riunioni dapprima "poetiche" poi sempre più neologiche" che si tenevano nella villa di G.F. Alois, molto vicino alle teorie riformiste dei valdesiani. Alcuni biografi del F. parlano di un'opera. intitolata Della Riforma che sarebbe stata il frutto di quelle frequentazioni, ma che è andata perduta o distrutta. Inoltre si è molto discusso su una sua partecipazione al concilio di Trento: alcune lettere al cardinal Seripando parlano chiaramente di una rinuncia per problemi di salute, nello stesso tempo però la sua presenza è testimoniata dagli Atti. In effetti per il F. nel maggio del 1562 fu nominato un successore; ma nel novembre, evidentemente ristabilito, riuscì a partecipare ai lavori dei concilio (F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, IX, Venetiis 1721, col. 509; Concilium Tridentinum, ed. Soc. Goerresiana, Diaria, II, Friburgi Br. 1911, pp. LXXII n. 6, LXXXVIII, 213 n. 3, 674 n. 1; G. van Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica..., III, Monasteri 1923, p. 213).

Il F. morì a Roma nel marzo 1564.

La produzione poetica del F., interamente in lingua latina, salvo un sonetto in volgare (Raccolta di rime e versi in lode di d. Giovanna Castriota Carrafa... fatta da D. Scipione de' Monti, Vico Equense 1585, c. 99), di fatto una traduzione in italiano di versi latini di altre sue opere, e con molta probabilità una falsificazione di Sertorio Quattromani, curatore della raccolta, iniziò a vedere la luce a metà del Cinquecento. I suoi primi carmi furono pubblicati insieme con gli Elogia veris clarorum virorum imaginibus apposita di P. Giovio (Venetiis, apud M. Tramezinum, 1546, c. 4v) e nei Carmina illustrium poëtarum Italorum (a cura di G. M. Toscano, Lutetiae, Gorbinus, 1576, I, pp. 257-267); alcuni furono pubblicati nei Carmina di A. Telesio (a cura di F. Daniele, Napoli 1604). Ma è soltanto nel Settecento che le poesie del F. hanno edizioni più complete: dai carmi pubblicati nei Poemata di Sannazaro (Patavii 1719 e 1731, e, con l'aggiunta del poemetto Alfonsus, canto trionfale per Alfonso d'Avalos in 212 esametri, 1751); all'elegia Ad Scipionem Capycium e all'Alfonsus pubblicati in Scipione Capece, De principiis, Venetiis 1754 (pp. 292-305) fino all'edizione napoletana (1776) di tutte le poesie: Honorati Fascitelli Aeserniensis Opera, a cura di Vincenzo Meola, che contiene oltre alla Vita anche numerose testimonianze dei contemporanei e il suo epistolario. Alcune lettere del F. sono comprese nella raccolta Delle lettere facete et piacevoli di diversi grandi huomini et chiari ingegni..., a cura di F. Turchi, II, Venezia 1575 (a Mario Cardoino e a Giambattista Possevino, pp. 102-119), dove il F. compare anche come destinatario (da Antonio Zalata, pp. 49-52). Nell'Ottocento e più di recente una scelta delle poesie del F. è stata inclusa in alcune antologie di poesia umanistica: E. Costa, Antologia della lirica latina in Italia nei secoli XV e XVI, Città di Castello 1888, pp. 177-179; Antologia poetica di umanisti meridionali, a cura di A. Altamura-E. Sbordone-E. Servadio, Napoli 1975, pp. 384-387.

Fonti e Bibl.: L. G. Giraldi De poëtis nostrorum temporum, Florentiae, Torrentinus, 1551, p. 573; Delle lettere di diversi re et principi, et cardinali et altri huomini dotti a monsignor P. Bembo scritte, I, Venetia, Lorenzini, 1560, c. 147; G. Fiamma, Sposizione di rime spirituali, Venetia, F. de Franceschi, 1570, c. 470; M. Armellini, Bibliotheca benedictino-casinensis, I, Assisi 1731, pp. 231-234; V. Meola, H. F. vitae commentarius, in Fascitelli Aeserniensis Opera, Neapoli 1776, pp. IXXI, 21 s., 37-43; A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, Firenze 1957, I, p. 130; II, p. 77; P. Giovio, Lettere, a cura di G. G. Ferrero, Roma 1958, II, p. 36; C. Passarelli, Di O. F. e delle sue poesie, Isernia 1893; L. Primiani, Note storico-critiche su O. F., Campobasso 1897 (su queste monografie le recensioni di E. Percopo, in Rass. critica della lett. ital., III [1898], pp. 77 s., e R. Ceriello, ibid., XV [1910], pp. 113-127); L. Primiani, Un petrarchista latino del secolo XVI, Campobasso 1900; V. Cian, Un medaglione del Rinascimento: C. Bruno messinese e le sue relazioni con P. Bembo (1480 c.-1542), Firenze 1901, p. 82; G. Minozzi Montecassino nella storia del Rinascimento, Roma 1925, pp. 193-294; A. Mirra, La poesia di Montecassino, Napoli 1929, pp. 153 s.; L. Dorez, La cour du pape Paul III d'après les registres de la Trésorerie secrète, Paris 1932, p. 295; H. Jedin, G. Seripando. Sein Leben und Denken im Geisteskampf des 16. Jahrhunderts, Würzburg 1937, I, pp. 87, 92; II, pp. 291, 294; A. Altamura, Umanesimo nel Mezzogiorno d'Italia, Firenze 1941, pp. 139-141, 156; P. A. De Lisio, Gli anni della svolta, Napoli 1976, pp. 134-136, 165; G. Parenti, Capece, Scipione, in Diz. biogr. degli Italiani, XVIII, Roma 1975, pp. 425-428.

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