Operaio

Dizionario di Storia (2010)

operaio


Lavoratore subordinato che esplica mansioni prevalentemente manuali, diverse a seconda delle varie specializzazioni e della preparazione tecnico-pratica, per il corrispettivo di una retribuzione detta salario; è in genere distinto dall’impiegato, di cui si considerano come caratteristiche le mansioni di amministrazione, controllo, organizzazione del lavoro ecc. (ed è del pari distinto dall’artigiano, che è proprietario degli strumenti di lavoro e può organizzare autonomamente modi e fasi di lavorazione). Si distinguono, in base al livello professionale: o. qualificati, o. specializzati, adibiti e ancora o. metalmeccanici, tessili, poligrafici ecc. Complessivamente, nell’evoluzione storica degli o. possono essere distinte tre fasi principali. Nella prima, figure molto disparate per posizione e provenienza vanno amalgamandosi nel loro ruolo produttivo, finché si formano come soggetto sociale, dando fisionomia al mondo operaio; nella seconda, il gruppo, che si è ormai definito come classe operaia ed è stato compattato nella grande fabbrica con la produzione di massa, adotta comportamenti riconoscibili, significativi sul piano sociale e politico; nell’ultima, la fabbrica disperde i soggetti e demassifica il processo lavorativo, dando vita a mansioni più cooperative e specializzazioni più personalizzate, che riducono la presenza dei tradizionali profili professionali, incentrati su mansioni manuali ed esecutive.

Gli operai al sorgere della società industriale

Protagonisti del processo di industrializzazione, insieme agli industriali, gli o. costituiscono uno dei gruppi fondativi della società industriale. Sono stati la prima figura sociale nella storia che non possedesse uno status definito, dal momento che erano connotati dalla mancanza piuttosto che dalla presenza di un mestiere. In questo si distinguevano dai lavoranti che operavano alle dipendenze della proto-industria, come minatori, tintori, vetrai, e ancor più dai lavoratori con professionalità artigiana, come per es. carpentieri, fabbri, tessitori. La comparsa degli o. si può sostanzialmente datare al primissimo Ottocento; è difficile stabilire la provenienza del nuovo strato, che ha poco in comune con il lavorante a domicilio e il garzone artigiano. La condizione cruciale per la sua nascita fu il rapido estendersi, in Inghilterra e Scozia, dell’organizzazione capitalistica del lavoro, cioè dell’impiego a livello di massa di forza lavoro salariata, reperita sul mercato e adibita alle macchine. Questo processo cominciò con lo sporadico impiego di individui espulsi dalle campagne e si concluse con il massiccio assorbimento dei poveri che una nuova legislazione (1834) aveva privato del sussidio. L’industria richiese ben presto una diffusa mobilità territoriale: c’era chi si spostava da un comune all’altro, chi lasciava la campagna per inurbarsi e chi, infine, migrava all’interno dei confini nazionali o perfino oltreoceano. Gli o. crearono abbastanza presto forme associative per tutelare i propri interessi e affermare la propria identità; i primi sodalizi, in Italia, furono le «casse di resistenza » e le società di mutuo soccorso basate sul settore, sul mestiere o sulla comunità. Il processo di formazione della classe operaia fu dunque immediatamente seguito dal sorgere delle prime forme del , negli anni Trenta del 19° secolo. Fu il sindacato, organizzazione operaia per eccellenza, che dopo la metà dell’Ottocento cominciò a farsi portavoce delle rivendicazioni del lavoro o., mettendo radici ovunque sorgessero industrie, mediante forme di rappresentanza, modalità associative e pratiche di tutela. Altre organizzazioni operaie si formarono con una impronta più marcatamente politica, anche per reclamare leggi sociali a favore del lavoro. L’opera di K. Marx e F. Engels, intanto, contribuiva a chiarire il carattere del lavoro o. e il suo rapporto col capitale ossia coi detentori dei mezzi di produzione: per Marx, attraverso il rapporto di lavoro salariato, il capitalista acquista sul mercato la forza-lavoro dell’o., pagandola quanto occorre per il suo sostentamento e la sua riproduzione. L’eccedenza del valore prodotto dall’o., il «plusvalore», rimane nelle mani del datore di lavoro, e costituisce la base del profitto. Il lavoro operaio, parcellizzato, monotono e ripetitivo, è per i due pensatori un lavoro «alienato», in cui l’o. è soltanto un’appendice del macchinario. D’altra parte esso è il primo motore della riproduzione capitalistica e dunque dell’intera organizzazione sociale. È per questa sua collocazione decisiva, oltre che per il suo addensarsi nelle grandi fabbriche superando l’isolamento del lavoro artigiano, che Marx attribuisce una «funzione rivoluzionaria» agli o. e alla loro classe, il industriale. Nel 19° sec., gli o. furono in effetti protagonisti di movimenti rivoluzionari quali i moti del 1848 (➔ ) o la Comune di Parigi (1871), ma concentrarono le loro energie soprattutto nella difesa dei propri interessi immediati, costituendo organizzazioni sindacali e politiche sempre più vaste, che affiancarono alla lotta per i diritti sociali e il miglioramento della condizione operaia la battaglia per l’estensione dei diritti democratici, a partire dal diritto di voto. La manifattura aveva intanto lasciato il posto alla grande fabbrica.

Gli operai nel Novecento

Nel 20° sec. gli o. cominciarono ad acquisire un profilo che li rese una componente centrale nella struttura sociale occidentale. La loro importanza crebbe in particolare con lo sforzo bellico della Prima guerra mondiale, che segnò l’ingresso in fabbrica di molte donne. Gli o. erano ormai muniti di un libretto di lavoro, assicurati contro gli infortuni e le malattie professionali e talora contro la disoccupazione, domiciliati nei quartieri operai e associati in sindacati industriali. In certo numero provenivano da scuole professionali. Questo insieme di conquiste fu il frutto di lotte sociali talvolta molto aspre, nel corso delle quali il ruolo del movimento o. conquistò una centralità nelle vita politica e sociale di molti Paesi sviluppati. La cd. «organizzazione scientifica del lavoro» elaborata da F. Taylor (The principles of scientific management, 1911) accentuò, col diffondersi della catena di montaggio e della produzione in serie, il carattere parcellizzato e alienante del lavoro operaio. Il taylorismo, in particolare negli Stati Uniti, si affermò di pari passo col fordismo, ossia con quella produzione in serie basata sulla catena di montaggio (assembly line) che consentendo un’alta produttività del lavoro aumentava enormemente la quantità dei beni realizzati (nel caso della Ford automobili); la produzione in serie poneva quindi le basi per un mercato di massa, in cui i costi del prodotto diminuivano e la necessità di diffonderne la vendita implicava un relativo aumento dello stesso salario operaio. La figura dell’o. diventava quindi centrale, non solo nell’economia ma anche nella politica e nella cultura del 20° sec., dalla Russia sovietica in cui gli o. assumevano una funzione dirigente nella società, alla Germania di Weimar. Nel secondo dopoguerra il modello fordista continuò ad affermarsi su sempre più larga scala, fino a raggiungere il suo apogeo attorno agli anni 1960-70. Nello stesso decennio 1970, però, nei Paesi a capitalismo avanzato iniziavano rilevanti trasformazioni nell’organizzazione produttiva e nell’economia, aprendo la strada a una spiccata tendenza al decentramento produttivo, alle «esternalizzazioni», a un ulteriore parcellizzazione del lavoro e soprattutto alla delocalizzazione della produzione in aree che offrono più vantaggi, a partire proprio da un costo ridotto del lavoro operaio. A partire dagli anni Ottanta prendevano quindi il via nei Paesi occidentali massicci processi di deindustrializzazione, fenomeno a cui faceva riscontro lo sviluppo dell’industria in nuove aree, con una conseguente crescita complessiva del numero di o. su scala mondiale. Al­l’inizio del 21° sec., se in alcune aree del pianeta a più forte sviluppo, e soprattutto in Asia, le condizioni del lavoro operaio possono essere assimilate a quelle delle prime fasi della Rivoluzione industriale, nelle società che già hanno conosciuto un processo di industrializzazione, invece, il peso del settore primario (agricoltura) e secondario (industria) s’è ridotto a beneficio del cd. terziario. In tali Paesi il ruolo del movimento operaio si è con ciò decisamente ridimensionato, mentre nuove masse di o., sempre più specializzati, si formano in Cina, India e in tutti i Paesi emergenti. Dinanzi alla «corsa al ribasso», in particolare sul piano salariale ma anche nella sicurezza del lavoro e nelle coperture sociali, gli o. sembrano quindi alla ricerca di una strategia e di un coordinamento internazionale che ne tuteli il ruolo nella fase della mondializzazione capitalistica.

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