CANISTRIS, Opicino de

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 18 (1975)

CANISTRIS, Opicino de

Hans Jürgen Becker

Fino a tempi recenti quasi nulla si sapeva della vita e dell'importanza del Canistris. Soltanto dopo il 1927, quando F. Gianani poteva identificarlo con l'autore di una descrizione della Pavia medievale, denominato da L. A. Muratori come "Anonimo Ticinese", è stato oggetto di numerosi studi. Da queste indagini il C. emerge come uno degli autori più singolari del sec. XIV, della cui vita siamo informati in tutti i particolari da una autobiografia che tuttavia presenta non pochi punti oscuri.

Nacque il 24 dic. 1296 a Lomello, località nelle vicinanze di Pavia, ma visto che la sua famiglia, che contava fra quelle "popolari", era originaria di Pavia, e che egli vi passò molti anni della sua giovinezza, considerava questa città come sua patria. Anche quando più tardi si trovò in lontano esilio, ricordava Pavia sempre con grande affetto e devozione. Secondo il suo racconto fu battezzato il 1ºgenn. 1297. Della sua infanzia riferisce alcuni episodi ancora vivi nel ricordo: un incidente, la visita di un teatro di marionette, la vista di un gruppo di pellegrini francesi di ritorno dal viaggio a Roma nel 1300. Fu mandato a scuola all'età di sei anni. Come egli stesso racconta, aveva molte difficoltà negli studi. I disordini che travagliavano Pavia, e in particolare le lotte tra i Beccaria e i Langosco, si ripercossero anche sulla sua famiglia che fu costretta spesso a cercare rifugio al di fuori della città: in quegli anni il C. soggiornò una volta a Biella, poi a Bassignana oppure a Lomello. A dieci anni fu destinato alla carriera ecclesiastica. Anche allora la scuola gli riuscì poco gradita. Lo annoiava in particolare l'insegnamento della grammatica, della logica e della musica, ma gli piaceva disegnare. Più di una volta fu costretto a interrompere gli studi: così, per es., nel 1310 quando fece l'aiutante del doganiere presso il ponte sul Po a Bassignana. Nel 1311, in occasione dell'ingresso a Pavia dell'imperatore Enrico VII, fu mandato di nuovo a Bassignana. Tornato a scuola, cominciò a studiare con maggiore interesse; gli piacevano le lingue, leggeva opere francesi ed italiane e faceva traduzioni dal latino in volgare, sia italiano sia francese. Ma nel 1314 dovè interrompere gli studi perché la famiglia era ridotta in miseria. In seguito ascoltò ancora qualche lezione di medicina, mentre di notte era obbligato a lavorare come guardiano. Poi, costretto ad addossarsi il sostenimento della sua famiglia, diventò precettore.

Dopo la conquista di Pavia da parte del Beccaria, il C. lasciò la città l'8 ott. 1315, recandosi con la sua famiglia a Genova, dove in un primo momento si impiegò di nuovo come istitutore. Poi cominciò a guadagnarsi la vita miniando libri: questo lavoro gli mise in mano molte opere teologiche che studiò assiduamente. L'anno 1317 gli riservò molti dolori: morì uno dei suoi fratelli e, poco dopo, anche il padre. L'anno successivo poté tornare con la sua famiglia a Pavia, dove continuò la sua attività di artigiano. L'8 ott. 1318 riuscì a ottenere come "clericus simplex" un posto di cappellano presso la cattedrale, sebbene non avesse ancora ricevuto gli ordini, che gli vennero impartiti nei due anni successivi, non a Pavia colpita dall'interdetto, ma a Milano, a Lodi o a Parma. Grazie ad un sussidio accordatogli dai canonici della cattedrale, cominciò lo studio delle Decretali, senzaperò trovare piacere nella canonistica.

Nello stesso tempo, o quasi, il C. cominciò la sua attività di scrittore: i suoi primi lavori furono un Liber metricus de parabolis Christi e un Tractatus de decalogo mandatorum, tutt'e due purtroppo perduti. Il 30 marzo 1320 celebrò la sua prima messa, ma dovette aspettare fino all'ottobre del 1323 per ottenere la piccola parrocchia di S. Maria Capella. Nella sua attività di parroco incontrò grandi difficoltà, perché la città era ancora colpita dall'interdetto e i contrasti politici erano all'ordine del giorno; trovò tuttavia il tempo di scrivere vari trattati teologici, che vendeva per pochi soldi (8-10 fiorini). Dei trattati composti allora egli stesso ricorda solo il titolo di uno scritto finito nel 1324, ma perduto anch'esso: il Libellus dominice passionis secundum concordantiam quattuor evangelistarum.

La situazione a Pavia diventò talmente difficile da indurlo a trovare rifugio altrove: nel luglio del 1328 lasciò la sua città, trasferendosi prima a Tortona, poi ad Alessandria, infine a Valenza. Nonostante la sua situazione personale fosse molto precaria continuò a comporre trattati teologici, tra i quali erano il Libellus de paupertate Christi, il Libellus metricus de virtutibus Christi e le Lamentationes virginis Marie, che non sono conservati. Nella primavera del 1329 lasciò l'Italia per cercare fortuna presso la Curia pontificia di Avignone, uno fra i tanti chierici che affollavano la corte papale con la speranza di ottenere un beneficio. Per un mese il C. poté tenersi a galla con l'incarico di illustrare un libro, poi fu costretto a mendicare. Ma anche in queste condizioni disperate continuò a scrivere, cimentandosi ora con un tema politico, probabilmente nella speranza di essere accolto più favorevolmente. Il suo lavoro ricevette un nuovo impulso quando egli ottenne, il 3 giugno 1329, aspettativa su un canonicato nella chiesa di S. Ivenzio a Pavia. Tornò allora per breve tempo a Valenza, dove continuò a lavorare al suo trattato politico. Alla fine di settembre 1329 lo ritroviamo ad Avignone, che divenne d'ora in poi la sua seconda patria. Il 10 ott. 1329 Giovanni XXII gli concesse un'udienza, nella quale il C. ottenne il permesso di dedicare il trattato al pontefice e una seconda aspettativa, questa volta su un canonicato nella cattedrale di Pavia. Ma fu soltanto nell'autunno del 1330 che il trattato venne presentato al papa dal giurista provenzale Jean Cabassole, protettore del C., come Liber de preeminentia spiritualis imperii. Neanche l'anno 1330 risultò facile per il Canistris. Alle difficoltà materiali si aggiunsero sempre di più i tormenti spirituali: travagliato da molti scrupoli di coscienza, per mesi cercò di ottenere l'assoluzione dalle sue colpe, ma, anche dopo aver ricevuto il sacramento della penitenza, continuava ad essere perseguitato da terribili visioni e sogni. Nonostante ciò, non desisteva dal suo lavoro letterario: gli scritti Tractatus dominice orationis e il Breve confessionale de peccatis meis, nati in questo periodo, non sono conservati. Il 19 sett. 1330 il C. terminò il Libellus de descriptione Papie che l'ha reso famoso con il titolo De laudibus civitatis Ticinensis. Alla fine di quest'anno sembrarono conseguiti anche i risultati pratici tanto desiderati: il papa premiò l'autore del trattato De preeminentia spiritualis imperii con la concessione di un posto di scrittore presso la Penitenzieria apostolica, posto che il C. manterrà probabilmente fino alla morte, sicuramente fino al 1348.

Nonostante la sicurezza economica raggiunta, il C. non trovò quella serenità che ci si aspetterebbe. Due avvenimenti in particolare lo inquietano in modo tale da far sorgere il dubbio che le sue condizioni mentali non fossero del tutto normali. Da parte ignota gli viene contestato il posto nella Penitenzieria. Nel lungo processo successivo che vede la sfilata di numerosi testimoni e viene interrotto diverse volte, il C. si rovina sia finanziariamente che psichicamente. Tuttavia, nonostante la "contradictio" può continuare ad esercitare il suo ufficio e riesce anche a comporre alcune opere teologiche minori come i due scritti, non conservati, Libellus de septiloquio virginis Marie (nov. 1332) e Libellus de promotionibus virginis Marie (febbr. 1333). ma le sue condizioni psichiche diventano sempre più preoccupanti. Nella primavera del 1334 lo colpisce una seconda sciagura: si ammala gravemente e lotta per alcune settimane con la morte. A questa malattia si accompagnano un disturbo del linguaggio e una paralisi della mano destra, manifestazioni che perdurano ancora parecchio tempo dopo la sua guarigione. Lo tormentano di nuovo terribili visioni ed incubi. Tra la fine del 1334 e l'inizio del 1335 il C. tenta di riprendere il suo lavoro nella cancelleria, ma gli riesce faticoso perché la paralisi della mano destra non è ancora completamente regredita. La stessa mano tuttavia non si stanca mai di scrivere e disegnare quelle cose che lo spingono internamente. A partire dal febbraio del 1335 il C. si ritira dal suo posto perché si sente troppo impedito nelle sue capacità fisiche e intellettuali e comincia a lavorare a un ciclo di disegni, "hee omnes ymagines" come egli le chiama, che oggi rappresentano una miniera per lo studio dello spirito medievale. Molti di questi disegni erano già eseguiti quando il C. concluse, il 3 giugno 1336, la sua autobiografia, anch'essa inserita in un disegno schematico. Ma pare che il C. abbia continuato il lavoro di questo ciclo fino alla morte. L'ultima tavola datata è del 1350. Nel 1347 il C. viene accolto nella famiglia pontificia. Visto che la parrocchia di S. Maria Capella a Pavia, concessagli nel 1323, nel 1352 passò ad altra persona, è presumibile che egli sia morto tra il 1350 e il 1352.

Delle tre opere del C. che ci sono pervenute, il Tractatus de preeminentia spiritualis imperii terminato nel 1329 (pubbl. da R. Scholz, Unbekannte kirchenpolitische Streitschriften aus der Zeit Ludwigs des Bayern, II, Roma 1914, pp. 89-104) è certamente quella meno originale. Si tratta di un pamphlet contro Ludovico il Bavaro in lotta con il pontefice, nel quale il C. difende appassionatamente e unilateralmente il punto di vista curiale. La sua tesi di fondo è la seguente: al potere spirituale (al Papato) spetta la sovranità su quello temporale (l'Impero). È evidente che il trattatello, che non contiene quasi nulla di originale, non fu scritto soltanto nell'intento di servire la causa curiale, ma soprattutto nella speranza di ottenere un premio adeguato alla tesi sostenuta.

Il Liber de laudibus civitatis Ticinensis fa parte del genere delle celebrazioni di città diffuso nel tardo Medioevo (fu pubbl. da R. Maiocchi e F. Quintavalle in Rer. Ital. Script., 2 ed., XI, 1, pp. 1-52). Con amorosa precisione il C., costretto a vivere in esilio, descrive la vita della città dove ha passato l'infanzia. Non si tratta di una cronaca, ma piuttosto di una descrizione della città inserita in una prospettiva storica. L'autore appartiene ai ceti inferiori, come dimostra l'incomprensione della situazione politica della città e la scarsa conoscenza della posizione costituzionale della signoria. Ma viene dato molto spazio alla topografia, le chiese e le loro reliquie particolari vengono enumerate minuziosamente. Il C. descrive fino nei minimi particolari la vita quotidiana a Pavia, e in questo modo il Liber costituisce una fonte preziosissima per la storia della società comunale.

Tra le opere del C. che si sono conservate, quella più importante è indubbiamente la raccolta di disegni che ci è pervenuta in due parti. La prima consiste in 50disegni su fogli di pergamena (Bibl. Apost. Vat., Pal. lat. 1993). la seconda è un codice cartaceo di 176 pagine (Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 6435). I disegni sono stati editi solo in parte nelle opere cit. di F. Gianani e R. Salomon. Si tratta di disegni molto complicati, costruiti con forme geometriche, e in particolare con circoli, di carte topografiche e nautiche, calendari e costellazioni astrologiche come circoli annuali e mensili, segni zodiacali ecc., ai quali il C. ha aggiunto piccoli commenti. Forse inizialmente aveva l'intenzione di regalare queste tavole al papa. Ma successivamente col procedere del lavoro deve aver abbandonato questi progetti, per concentrarsi nello sforzo di chiarire alla sua mente irrequieta l'intreccio tra le forze terrene e quelle soprannaturali. Il risultato è un'opera personalissima, non sempre comprensibile in tutte le sue parti, che non si deve assolutamente considerare il prodotto patologico di una mente malata. Il C. si serve spesso di motivi molto diffusi ai suoi tempi. Si possono scorgere influssi provenienti dalla pittura su vetro del tempo, dalle finestre delle chiese, dalla cartografia e dall'illustrazione di manoscritti scientifici (in particolare raffigurazioni anatomiche), ma il C. utilizza i mezzi espressivi dell'arte e delle scienze medievali per creare un complicato linguaggio figurativo, carico di simboli e di giochi di parole. Particolarmente importante è il foglio con la sua autobiografia che reca anche quattro autoritratti (cod. Pal. lat. 1993, tav. 20). Di grandissimo interesse per la storia di Pavia risultano le tavole con i disegni rappresentanti la vecchia doppia cattedrale (ibid., tav. 2)e una pianta schematica della città (ibid., tavv. 22 e 51).

Fonti e Bibl.: E. Göller, Die päpstliche Pönitentiarie, I, Roma 1907, p. 170;R. Scholz, Unbekannte kirchenpolitische Streitschriften aus der Zeit Ludwigs des Bayern, I, Roma 1911, pp. 37-43; F. Gianani, O. de C. l'"Anonimo Ticinese" (cod. Vat. Pal. lat. 1993), Pavia 1927;R. Salomon, recens. a Gianani, in Göttingische Gelehrte Anzeigen, CXC (1928), pp. 305-331;Id., Das Weltbild eines avignonesischen Klerikers, in Vorträge der Bibl. Warburg, VI (1930), pp. 176-189;Id., O. de C. Weltbild und Bekenntnisse eines avignonesischen Klerikers des 14. Jahrhunderts, London 1936, I (testo; in appendice A. Heimann, Die Zeichnungen des O. de C., pp. 295-321);R. Krautheimer, Die Doppelkathedrale in Pavia, pp. 323-37);II(tavole); Id., A newly discovered manuscript of O. de C., in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, XVI (1953), pp. 45-47;Id., Aftermath to O. de C.,ibid., XXV (1962), pp. 137-146;R. Almagià, Planisferi,carte nautiche e affini, in Monumenta cartographica Vaticana,1, Città del Vaticano 1944, pp. 95-98;G. Mercati, Note per la storia di alcune biblioteche romane nei secoli XVI-XIX, Città del Vaticano 1952, pp. 114;E. Castelnuovo, Un pittore italiano alla corte di Avignone. Matteo Giovannetti e la pittura in Provenza nel secolo XIV, Torino 1962, pp. 27 s.; B. Guillemain, La cour pontificale d'Avignon, Paris 1962, pp. 343 s.; Repertorium fontium historiae Medii Aevi, III, pp. 113 s.

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