FARNESE, Orazio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 45 (1995)

FARNESE, Orazio

Donatella Rosselli

Nacque a Roma nel febbraio 1532, ultimo di cinque figli, da Pierluigi, figlio del card. Alessandro Farnese, futuro papa Paolo III, e da Girolama di Ludovico Orsini, conte di Pitigliano. I suoi fratelli furono Vittoria, Alessandro, Ottavio e Ranuccio. La data di nascita del F. è riportata nel ms. Vat. Lat. 3689 della Biblioteca ap. Vaticana, che contiene la redazione del suo oroscopo compilata dall'astrologo Marzio Alterio.

Sin da giovanissimo venne destinato alla carriera militare. Tuttavia, come era già accaduto per i suoi fratelli, ben presto si vide assegnare un ruolo preciso all'interno degli ambiziosi progetti che il nonno Paolo III nutriva per la famiglia. Principale oggetto delle sue velleità nepotistiche era la conquista di uno Stato ereditario per i suoi familiari, evento che avrebbe loro consentito l'accesso alla ristretta cerchia delle dinastie regnanti, e che fu perseguito da papa Farnese con instancabile energia. Le città di Parma e di Piacenza, un tempo appartenute al Ducato di Milano, e poi annesse allo Stato della Chiesa da Leone X e Clemente VII avrebbero costituito, una volta alienate, il nuovo Stato farnesiano.

Per realizzare il suo programma, Paolo III mise in opera una spregiudicata politica nei confronti delle due grandi potenze, Francia e Impero, che si scontravano per il predominio in Italia, consapevole che senza il consenso e l'appoggio di una delle due i Farnese non sarebbero andati lontano. La sua età ormai avanzata, che non gli permetteva più di concepire disegni a lunga scadenza, la sua eccezionale tenacia e una notevole capacità politica lo condussero a servirsi di ogni mezzo per raggiungere il suo scopo, talvolta giocando contemporaneamente su due tavoli, il francese e l'imperiale. I nipoti pertanto divennero allo stesso tempo i destinatari e gli strumenti di questa politica, tutta tesa al bene futuro della "casa" e insieme bisognosa di avere a disposizione i nipoti laici (Alessandro e Ranuccio, nella divisione dei ruoli, furono avviati alla carriera ecclesiastica e divennero cardinali) per poter stipulare convenienti e prestigiose alleanze matrimoniali.

In tutto questo, dopo che Ottavio, nel 1538, divenne genero di Carlo V sposandone la figlia naturale Margherita d'Austria, il F., ancora bambino, fu destinato, nell'intricato gioco farnesiano, a diventare la pedina francese. Nel 1541, infatti, egli venne inviato in Francia, alla corte di Francesco I. Nelle intenzioni dei Farnese, il più giovane dei nipoti avrebbe poi dovuto contrarre matrimonio in Francia e instaurare così un solido legame dinastico e politico con i Valois.

Le voci attorno ad un suo eventuale matrimonio francese cominciarono a circolare insistentemente sin dall'epoca della sua partenza, che oltretutto fu sollecitata dallo stesso Francesco I. Paolo III, dal canto suo, peraltro aveva già tentato di combinare un matrimonio Oltralpe per la nipote Vittoria, per la quale il re chiedeva, in cambio delle nozze con il duca d'Orléans, di portare in dote Parma e Piacenza. In tal modo la Francia avrebbe compiuto un passo avanti nel riavvicinamento al Milanese, perduto nel 1525 a vantaggio di Carlo V. Il fallimento delle trattative per Vittoria (che, peraltro, in quanto donna non poteva garantire una linea di successione) convinsero il papa a volgere le sue attenzioni verso il F., presentandolo appunto in qualità di nuovo candidato per la futura alleanza parentale col sovrano francese. Il F. venne mandato in Francia per ricevere, tra l'altro, un'educazione improntata ai modi della "gentilezza francese" e della cavalleria. Alla sua partenza Annibal Caro, che ricopriva l'incarico di segretario di Pierluigi Farnese, gli dedicò un'impresa, raffigurante il centauro Chirone coronato, con l'arco e la lira. Il centauro simboleggiava Francesco I, sotto la cui disciplina il F. andava a porsi, come un novello Achille. L'allegoria era completata dal motto "Χείρωνος διδασκάλου" (Sotto l'insegnamento di Chirone).

Il F. partì nel luglio del 1541. Era affidato alle cure di due governatori, il cav. T. Burzio e il cav. G. Ugolini, mentre l'umanista F. Florido Sabino aveva l'incarico di precettore. Questi, in seguito, nel frontespizio della sua traduzione latina dell'Odissea, pubblicata nel 1544, si sarebbe qualificato come "Horatii Farnesii ... summae spei pueri, μὺθων ῥητήρ".

Il viaggio ebbe risvolti drammatici. Tra Lucca e Pontremoli numerosi membri del seguito del F. si ammalarono, alcuni addirittura mortalmente. Lo stesso giovane, ai primi di agosto, si ammalò in forma grave, facendo temere il peggio ed obbligando ad una lunga sosta a Pontremoli. Nel settembre ripartirono in direzione di Piacenza, dove il F. fu ospitato nel monastero di S. Sisto, poi, attraverso Torino e il Moncenisio, il 13 ottobre la comitiva giunse a Lione e vi trascorse circa un mese in attesa di ulteriori indicazioni riguardo al luogo in cui il F. avrebbe raggiunto la corte. L'11 novembre, a La Palice, il giovane incontrava mons. de Pire, gentiluomo di camera inviato dal re per ricevere l'ospite e per scortarlo fino a Fontainebleau. Vi giunse, dopo una breve sosta a Melun, il 27 novembre e fu accolto dapprima in casa del card. Ippolito d'Este. Di lì, in compagnia del cardinale e del nunzio G. Dandini, si recò da Francesco I.

L'accoglienza riservatagli, stando al resoconto di F. Florido Sabino (Ronchini, 1868, p. 387), che fu testimone oculare dell'incontro, fu molto fastosa e cordiale: il re e l'intera corte, in particolare Margherita d'Angoulême, regina di Navarra, sorella del sovrano, si produssero in grandi attemstazioni di affetto e di sollecitudine nei confronti del ragazzo, che Francesco I aveva manifestato di voler nener da figliuolo". Questo atteggiamento benevolo alimentò le speranze pontificie attorno a un promettente esito della permanenza del F. in Francia, nella prospettiva dell'auspicata alleanza matrimoniale. Di una tale soluzione si fece a suo modo fautrice anche Margherita d'Angouléme, che già nel gennaio 1542 suggeriva di trovare per il giovane una moglie francese, nella speranza di ottenere in cambio i favori del papa per il vescovo di Rodez Georges d'Armagnac, suo protetto, che aspirava alla porpora cardinalizia; su questo argomento ella fece addirittura scrivere dallo stesso F. al papa.

Il F. si stabilì definitivamente a Fontainebleau il 29 nov. 1541, e alloggiò negli appartamenti di monsignor de St. Pol. Nominato gentiluomo di camera del re, cominciò a prendere parte alla vita di corte. I suoi due governatori, T. Burzio e G. Ugolini, avevano ricevuto dal papa ordini espliciti: il F. doveva vivere il più possibile a diretto contatto con la corte e doveva trovarsi sempre al fianco del re, seguendolo anche sul campo di battaglia. Tuttavia, egli non poteva certo ostentare per sé e per i suoi un tenore di vita paragonabile a quello, sfarzosissimo, della corte ospite.

Sin dagli inizi del suo lungo soggiorno, infatti, fu assillato da pressanti problemi economici. Per il suo mantenimento e quello del suo seguito aveva a disposizione 80.000 ducati annui, erogati in tre rate, peraltro mai con puntualità, ed una pensione di 6.000 franchi assegnatagli da Francesco I. Tali cifre si dimostrarono ben presto insufficienti per far fronte a tutte le spese necessarie. Per giunta, la corte si spostava di frequente da una residenza all'altra e ciò comportava un considerevole dispendio di denaro. A nulla valsero i ripetuti solleciti in tal senso indirizzati a Roma, riguardanti soprattutto la mancata puntualità nel versamento delle rate e le rimostranze di governatori e precettore per l'esiguità dei loro compensi. C'era inoltre la viva preoccupazione che il F. dovesse costantemente essere fornito dei mezzi sufficienti per mantenere un livello di vita degno del suo rango e all'altezza dei suoi ospiti, fatto che costituiva una premessa indispensabile per garantire la sua credibilità economica qualora fossero state avviate concretamente le trattative matrimoniali.

Il F. dimostrò sempre scarsa applicazione allo studio delle lettere, al punto che il precettore F. Florido, che pure si dimostrava assai preso dal suo incarico, fu accusato dal nunzio G. Dandini di eccessiva pedanteria e presunzione nei confronti del giovane allievo, al quale, a giudizio del nunzio, sarebbe stato Più utile un precettore "più cortigiano et conversabile", mentre l'Ugolini, dal canto suo, ammetteva che era invece l'intensa vita di corte a distoglierlo dagli studi. Inoltre, durante la sua permanenza a corte, il F. si avvalse anche dell'insegnamento del domenicano J. de Monluc.

Nel 1542 scoppiavano di nuovo le ostilità tra Francia e Impero. Il F., secondo i dettami del papa, accompagnò il re fino a Saint-Quentin, anche se fu ritenuto troppo giovane per poterlo seguire oltre, a Maroilles, dove infuriavano i combattimenti. Terminata la guerra, il re, con lettera patente del 4 ag. 1544, gli fece dono di una compagnia di 200 cavalleggeri, con i relativi onori ed emolumenti, in segno di gratitudine per l'appoggio fornitogli da Pierluigi Farnese durante il conflitto.

Frattanto, nel 1543, Paolo III, di passaggio per Ferrara, aveva avanzato al duca Ercole Il una proposta di nozze del F. con la figlia primogenita di lui. Questo apparente mutamento di rotta nel destino assegnato dagli interessi di famiglia al F., candidato sin dall'inizio a sposarsi in Francia, si spiegava con il bisogno di conservare il favore imperiale. Carlo V si mostrava difatti più disponibile a trattare sulla concessione di Parma e Piacenza ai Farnese, che peraltro riponevano le loro aspirazioni addirittura su Milano, in un momento in cui, a causa delle necessità della guerra, era costretto a rivolgersi al papa per procurarsi un sostegno economico. Era indispensabile pertanto ricorrere ad una manovra diversiva, che sviasse l'attenzione imperiale dai rapporti che intercorrevano tra il F. e la corte francese, rapporti che avrebbero potuto compromettere il buon esito dei negoziati. Nella sottile trama ideata dal papa, l'alleanza francese, da realizzarsi col matrimonio del F., restava comunque l'uffica alternativa valida e sempre praticabile ad una possibile rottura con l'imperatore.

Le trattative con il duca di Ferrara, che prevedevano tra l'altro la cessione al F. del marchesato di Novara oppure la creazione per lui di uno Stato in Romagna, non giunsero a conclusione, sia per le resistenze del duca, che sperava di ricavare sgravi fiscali, sia, soprattutto, per il fallimento del convegno di Busseto tra il papa e Carlo V, che rendeva ormai inutile procedere oltre. La manovra venne ripresa tuttavia due anni più tardi, nel 1545, quando la situazione ritornò di nuovo favorevole ai Farnese. L'imperatore, impegnato nella lotta contro i principi protestanti, aveva ancora una volta bisogno degli aiuti finanziari e militari del papa, e avrebbe acconsentito all'infeudazione di Parma e Piacenza al genero Ottavio, che poneva la sua candidatura anche come governatore di Milano. Questa volta, oltre agli Este, furono contattati anche i Gonzaga, tradizionali alleati dell'Impero. Il card. Alessandro Farnese protrasse le trattative fino all'agosto, col pretesto di voler ottenere per il fratello la mano della figlia primogenita del defunto duca di Mantova, condizione che veniva puntualmente respinta dalla famiglia, che proponeva altre soluzioni di compromesso per prendere tempo. Tutta questa manovra aveva infatti suscitato le vive apprensioni del card. Ercole Gonzaga e di suo fratello don Ferrante, aspirante anch'egli al governatorato di Milano. Entrambi, come anche Ercole II d'Este, avvertivano il pericolo di diventare strumenti delle ambizioni farnesiane, proprio nel momento in cui Paolo III si apprestava ad investire la sua famiglia del Ducato di Parma e Piacenza. Proprio nell'agosto 1545, difatti, il papa cedette alle pressioni del figlio Pierluigi e fece ufficialmente ratificare in concistoro la sua designazione a duca di Parma e Piacenza, escludendo in questo modo Ottavio. L'imperatore, che avrebbe preferito vedere duca il proprio genero, non si oppose apertamente a questa decisione, riservandosi però ad un secondo momento un intervento più determinato.

Durante il 1545 il F. si trovava a Roma, al fine di evitare che con la sua presenza a Parigi venisse pregiudicato l'esito delle pratiche con Carlo V. Nel settembre Pierluigi venne creato duca di Parma e Piacenza. Per procedere alla sua investitura, Paolo III obbligò Ottavio a rinunciare a Nepi e al ducato di Camerino, che tornò alla Chiesa, in cambio del ducato di Castro. Il F. ebbe invece la prefettura di Roma. L'11 ottobre venne rogato in Piacenza il testamento di Pierluigi: il F. ottenne il ducato di Castro come successore di Ottavio, erede a sua volta del ducato paterno. Nel novembre fu rimandato in Francia, poiché l'atteggiamento poco chiaro di Carlo V riguardo all'investitura di Pierluigi imponeva di non allentare i legami con Francesco I, che peraltro era rimasto non poco scontento dell'esclusione del F. dalla successione di Parma in favore del genero dell'imperatore.

Il F. venne così a trovarsi in una situazione alquanto precaria, privo com'era, almeno per il momento, di domini territoriali effettivi. La sua condizione destò le preoccupazioni del papa, che vietò addirittura a Pierluigi di utilizzare alcune somme di denaro custodite a Nepi per poterle riservare al nipote, perché - come riferiva l'oratore Pacino al duca di Parma nel dicembre 1545 - "non vuole che il S.r Horatio resti senza niente. che se ben ha la speranza del Stato, chi sa quando l'haverà... et chi si sia per dargli moglie vuol molto ben vedere et sapere quel che egli ha" (Drei, I Farnese. ..., p. 39). Era evidente che il ruolo del F. rimaneva invariato, proprio nel momento in cui non erano prevedibili le successive mosse dell'imperatore. Pertanto, fu richiamato in Italia ai primi del 1546, con la speranza che Carlo V concedesse il suo riconoscimento alla investitura di Pierluigi. Il persistere di un atteggiamento ambiguo e dilatorio da parte imperiale convinse il pontefice ad intraprendere trattative più concrete con i Francesi. rimandando il nipote dal re.

Il rovesciamento definitivo delle alleanze avvenne tuttavia di lì a poco, quando Ferrante Gonzaga venne designato governatore di Milano, battendo la candidatura di Ottavio. In tal modo svaniva la speranza di un riconoscimento imperiale del Ducato, anzi diventava chiaro che la parentela di Ottavio con Carlo V non sarebbe più servita a garantirgli l'appoggio di quest'ultimo. Per proteggere il dominio farnesiano su Parma e Piacenza occorreva dunque procurarsi un'altra possibilità. I negoziati con la Francia vennero avviati in gran segreto, poiché il papa era ancora ufficialmente alleato di Carlo V nella guerra contro i protestanti. Nel marzo 1546 il re inviò a Roma l'ambasciatore Du Mortier, con l'incarico di accelerare la conclusione dell'alleanza, che doveva essere sancita dalle nozze del F. con Diana, figlia naturale del delfino Enrico e di un'italiana, Filippa Duci. Da parte sua, il F. si mostrava consapevole del suo ruolo di prezioso intermediario tra Roma e Parigi, tanto da intervenire personalmente presso il fratello card. Alessandro affinché facesse mettere a disposizione del Du Mortier i suoi appartamenti nel palazzo della Cancelleria, "pensarido io che questo ne habbia molto a giovar da queste bande" (L. Romier, Les origines politiques des guerres de religion, I, p. 193 n. 1).

Le pratiche nuziali, condotte da parte papale dal nunzio card. G. Capodiferro, si rivelarono subito complicate. Il problema maggiore era costituito dall'inconsistenza dei domini territoriali del F., che sarebbe entrato in possesso del ducato di Castro solo come successore di Ottavio. Inoltre, il papa rifiutava di concedergli l'investitura del marchesato di Novara, in quanto feudo imperiale, per non attirarsi ancora di più le ire dell'imperatore. Tutto ciò spinse allora Francesco I, nel novembre 1546, a richiedere una garanzia liquida di 400.000 ducati. In realtà, le mire dei Francesi erano appuntate da sempre sul Ducato di Parma e Piacenza, che il F., una volta divenuto genero del futuro re, avrebbe dovuto ereditare dal padre e porre finalmente nella loro orbita.

La conclusione della guerra contro la Lega di Smalcalda, nell'aprile 1547, sciolse il papa dagli obblighi dell'alleanza militare con Carlo V e gli permise di raggiungere un'intesa coi Valois. La promessa di matrimonio tra il F. e Diana di Francia fu suggellata, all'indomani dell'ascesa al trono di Enrico II, padre della futura sposa, con un contratto stipulato il 30 giugno 1547, alla presenza del card. G. Capodiferro, del vescovo G. Dandini e del card. Ippolito d'Este, in rappresentanza del papa, e di Anna de Montmorency, di Francesco di Guisa e di F. Olivier per i Valois.

Le clausole prevedevano che il futuro sposo avrebbe dovuto depositare a Lione 200.000 scudi destinati all'acquisto di territori in Francia, avrebbe ottenuto l'investitura di Castro e goduto di una rendita di 25.000 scudi in Italia. In seguito ad ulteriori aggiustamenti, la cifra pattuita per il deposito fu poi abbassata a 150.000 scudi, anche se i Farnese tentarono di ottenere un'altra riduzione di 50.000 scudi, ma senza successo. La questione dell'eventuale investitura di Parma al F. veniva per il momento semplicemente rinviata. L'originale del contratto è attualmente conservato presso la Biblioteca del Museo Condé.

Anche col nuovo re, di cui era ormai divenuto il futuro genero, il F. godé dell'affetto e della premura della corte, come scrisse egli stesso in una lettera indirizzata al card. Alessandro: "lo son certo tanto ben visto e accarezzato da Sua Maestà e dalla Regina et da Madama Margherita et da Mons. Conestabile et da tutti questi Signori di Casa di Guisa, che non lo potrei dire" (Romier, Les origines..., I, p. 205). In effetti, proprio i Guisa ricavarono notevoli vantaggi dalla promessa di nozze appena conclusasi, poiché videro elevare alla porpora cardinalizia Carlo di Guisa, arcivescovo di Reims. Da allora in avanti il F. svolse di frequente la funzione di tramite tra le aspirazioni dei membri della famiglia lorenese ed il loro soddisfacimento a Roma (tipico fu il suo intervento presso il pontefice nel 1549, che fruttò a Carlo di Guisa il privilegio di Cluny), ricevendo in cambio il loro sostegno politico presso il re.

Il 10 settembre, a Piacenza, Pierluigi venne ucciso da una congiura di nobili locali istigata da don Ferrante Gonzaga, con l'appoggio imperiale, e il 12 settembre lo stesso Gonzaga occupò Piacenza in nome di Carlo V. Si manifestava con chiarezza il disegno imperiale di riannettere le due città al Ducato di Milano, accantonando i diritti ereditari di Ottavio.

Il 21 settembre il F. fu creato cavaliere e pochi giorni dopo, in compagnia del card. Carlo di Guisa. partì alla volta di Roma, dove giunse il 24 ottobre. Il 4 novembre, con il breve Quia postquam nos, ricevette l'investitura di Castro.

Si era aperta intanto la delicata questione della successione a Pierluigi. L'erede designato era Ottavio, ma i Francesi premevano affinché Parma fosse assegnata al F., e fu proprio il card. Carlo di Guisa a proporre una soluzione in tal senso a Roma, nell'autunno 1547. Peraltro, l'arrivo del F. a Roma aveva suscitato subito una ridda di voci circa una sua successione al padre nel Ducato: voci non del tutto infondate, se si considerava che egli era giunto accompagnato dal Guisa.

Il problema di Parma, unito ormai a quello della riconquista di Piacenza, divenne il punto nodale dei negoziati per l'alleanza tra la Francia e Roma. Nel gennaio 1548 il Guisa presentò un progetto di lega che prevedeva la cessione del Ducato di Parma al F., il coinvolgimento di Venezia nell'alleanza e, come contropartita, la partecipazione francese alla difesa dello Stato ecclesiastico e dei ducati farnesiani, oltre all'invio del clero d'Oltralpe al concilio. Intanto, nel febbraio, Parma era stata affidata dal papa a Camillo Orsini, capitano generale della Chiesa, in qualità di governatore. Nell'estate, dopo un periodo di stasi, furono riprese ancora le trattative, senza tuttavia che si riuscisse a risolvere la questione. Paolo III manteneva un atteggiamento molto cauto nei confronti di Carlo V. Questi, con l'occupazione di Piacenza, poteva giocare la carta di lunghe ed est enuanti trattative per la sua restituzione, con la speranza di vedere intanto un nuovo pontefice, mentre il papa agitava lo spettro della cessione di Parma alla Francia qualora Piacenza non fosse tornata nelle sue mani.

Vennero allora formulate dalle parti altre proposte per sbloccare la situazione: una di queste, suggerita dal card. J. du Bellay, comportava il possesso di Castro per il F., per Ottavio il possesso di Camerino e il ritorno di Panna alla Chiesa. Diversamente, Camerino sarebbe andata al F. con l'aggiunta di 200.000 scudi di rendita. Il F. si oppose a quest'ultima proposta, asserendo che Camerino si sarebbe rivelata più esposta ai tentativi che un nuovo papa avrebbe potuto intraprendere per riunirla allo Stato della Chiesa. Castro, viceversa, faceva parte dei domini patrimoniali della sua famiglia e costituiva un possedimento più sicuro, senza contare che nei patti nuziali coi Francesi si prevedeva espressamente per lui proprio l'investitura di questo ducato.

Frattanto, fu scoperta una congiura ai suoi danni ordita da don Ferrante Gonzaga. Essa seguiva l'accusa, scagliata dallo stesso don Ferrante, di aver trainato contro il nobile piacentino G. Confalonieri, uno dei congiurati che avevano assassinato Pierluigi. In effetti i sicari incaricati di eliminare il Confalonieri erano stati arrestati e, torturati, avevano confessato che il loro mandante era proprio il Farnese. Paolo III decise allora di mandare il nipote a Viterbo, col pretesto di cure termali, per sottrarlo al rischio di un attentato.

Con ogni probabilità, il giovane si trattenne in Italia anche durante il 1549, come attesta il carteggio tra l'ambasciatore C. d'Urfè ed Enrico II, il quale sollecitava il duca di Castro a mettersi al suo servizio. In quell'anno il F. acquistò a Roma una villa nei pressi della chiesa di S. Onofrio.

L'ascendente che il più giovane dei nipoti esercitava sul vecchio papa era ben noto ai contemporanei, anche se di certo non si trattava di un caso isolato o straordinario nel secolare panorama del nepotismo, e poteva essere piuttosto attribuito al ruolo essenziale che egli dovette sostenere durante gli ultimi anni del pontificato di Paolo III. È comunque interessante il giudizio espresso su di lui dal card. J. du Bellay in una lettera ad Enrico Il del 1º maggio 1549, in cui il porporato riassumeva seccamente il carattere del nipote prediletto del papa: "Il est vil, fuyant la peine, avare et aimant son plaisir, mais il peut plus luy envers le Pape, que tout le reste du monde ensemble" (Ribier, Lettres et mémoires d'Estat, II, p. 208).

Le manovre di Paolo III su Parma alimentavano le speranze francesi e i timori imperiali. L'affidamento della città a C. Orsini sembrava preludere ad una futura, assegnazione del Ducato al F., e questa risoluzione parve ancor più vicina allorché il papa manifestò l'intenzione di riunire Parma ai domini ecclesiastici: così egli avrebbe poi potuto investirne a suo agio il nipote. Il suo proposito era tuttavia destinato a scatenare l'aperta rivalità tra i nipoti. Ottavio, avvertendo il pericolo di essere spodestato, nell'ottobre 1549 si recò improvvisamente a Parma, ma non ne ottenne la consegna poiché C. Orsini dichiarò di rispondere esclusivamente all'autorità del papa. Pur di scongiurare il rischio di perdere definitivamente il Ducato in favore del fratello, egli, con l'appoggio del card. Alessandro, scese persino a patti con don Ferrante Gonzaga. Nemico dichiarato dei Farnese, questi si era reso protagonista, insieme col fratello card. Ercole, di un disegno teso a preparare l'elezione di un papa ostile ai Farnese ma favorevole agli Imperiali, che avrebbe restituito Parma al Ducato di Milano, eliminando le pretese francesi. Tuttavia, per suo trarnite, Ottavio poteva sperare adesso nell'aiuto di Carlo V contro il fratello, al quale gli Imperiali avrebbero voluto sottrarre anche Castro, con l'intervento del duca Cosimo I de' Medici.

Il 10 novembre Paolo III morì. Il F. fu nominato comandante delle truppe ausiliarie pontificie per il periodo di sede vacante.

Il lunghissimo conclave che si aprì fu profondamente condizionato dall'affare di Parma e quindi dal diretto intervento di Francia e Impero, che determinarono gli schieramenti. Nel capitolato di elezione cui prestarono giuramento i cardinali si prescriveva esplicitamente la consegna di Parma ad Ottavio. La questione del Ducato motivò le scelte di campo dei cardinali Farnese, Alessandro e Ranuccio, entrambi sostenitori della parte imperiale, benché il secondo molto legato al F., che vedeva minacciato da Ottavio persino nel ducato di Castro, prendesse a sostenere per un momento il partito francese.

Tra i casi di corruzione che coinvolsero i Farnese durante il conclave occorre segnalare il tentativo del card. Ippolito d'Este, che, nonostante fornisse aiuti consistenti a C. Orsini contro Ottavio, per favorire la propria elezione giunse ad offrire ai due cardinali la mano della figlia del duca d'Este per il F. con l'aggiunta di 200.000 lire, non sortendo tuttavia alcun risultato.

Il 26 marzo 1550 il F. partecipò al corteo di nobili che accompagnò l'ambasciatore francese d'Urfè a rendere omaggio al nuovo papa, Giulio III. Questi gli confermò la prefettura di Roma, mentre restituiva Parma ad Ottavio, secondo il capitolato d'elezione. Dopo aver trascorso l'estate presso la madre a Capodimonte, sul lago di Bolsena, il F. ritornò in Francia nell'autunno, dopo una sosta a Parma.

Intanto, la presenza minacciosa del Gonzaga a Piacenza, e l'elezione di Giulio III, che non nascondeva i suoi sentimenti filoimperiali, imposero ad Ottavio di trovare un accordo con la Francia. L'alleanza fu stipulata nella primavera del 1551: Enrico II si dichiarava protettore dei Farnese e metteva a loro disposizione una milizia e un sussidio annuale per la difesa del Ducato. A coronamento dell'intesa, il 6 maggio, a Tours, fu celebrata la cerimonia di fidanzamento ufficiale tra Diana e il F., a cui il re conferì il comando di mille cavalieri in Italia.

La pressione esercitata da don Ferrante a Piacenza indusse ben presto Ottavio ad avvalersi degli aiuti dell'alleato francese, che inviò subito truppe nel Ducato. Giulio III accusò il duca di tradimento, poiché aveva introdotto milizie straniere in un feudo della Chiesa. La guerra era ormai inevitabile. Il F. decise di raggiungere il fratello in Italia. Nel maggio si imbarcò a Marsiglia, ma subì un naufragio sulle coste di Pietrasanta, dove fu catturato e condotto al confine con lo Stato di Lucca. Il 21 maggio arrivò alla Mirandola, e si unì a P. Strozzi, comandante della fanteria francese.

Il conflitto divampò l'8 giugno. Pochi giorni dopo il F. prese parte, con P. Strozzi, L. Pico e C. Bentivoglio, ad una rovinosa incursione nel Bolognese, che portò all'assedio di Crevalcore. Giulio III apostrofò il F. come "iniquitatis filius", accusandolo di ingratitudine nei confronti della S. Sede, gli revocò la prefettura di Roma e, per evitare possibili minacce provenienti da questo fronte, gli tolse Castro, che fece subito occupare militarmente da R. Baglioni e A. Della Cornia. Il 3 luglio lo dichiarava decaduto dalla sua dignità e dal suo Stato. Il F. inviò allora un messo al papa con l'incarico di porgere le sue scuse per la partecipazione alla invasione del Bolognese, la cui responsabilità sarebbe ricaduta, a suo dire, su mons. P. di Termes, generale del re di Francia, sotto il cui comando egli aveva agito.

La guerra proseguì stancamente fino alla primavera successiva, quando venne stipulata una tregua tra i Farnese e il papa. Il ducato di Castro venne restituito da Giulio III ai card. Alessandro e Ranuccio Farnese, perché lo rendessero al fratello, cosa che avvenne il 15 maggio 1552. Alla fine di giugno il F. partì di nuovo per la Francia, dove si erano riaccese le ostilità con Carlo V, e il 2 luglio giunse a Lione. Una volta in Francia, prese parte all'assedio di Metz, ffistinguendosi per il suo valore.

La sera del 14 febbr. 1553, ultimo giorno di carnevale, venne celebrato il suo tanto atteso matrimonio con Diana. Il giorno precedente il re aveva dichiarato decadute le garanzie dotali che aveva preteso nel 1547 da parte dello sposo e aveva preso a suo completo carico tutte le spese della cerimonia. Le nozze si svolsero in un clima di grande sfarzo, incoraggiato dalla coincidenza con la festività carnevalesca.

Divenuto genero del sovrano, il F. vide definitivamente consolidarsi la sua posizione a corte e il suo ruolo di garante insostituibile dei legame stabilitosi tra i Farnese e la Francia. Ebbe facoltà di intercedere presso Margherita d'Austria affinché l'ambasciatore De Lanssac venisse alloggiato a Roma in palazzo Madama. Ma la fortuna dei Farnese oltralpe era destinata a una breve durata, ed il tanto agognato legame dinastico coi Valois ebbe termine tragicamente dopo soli cinque mesi. Il 18 luglio il F., che partecipava alla difesa della piazzaforte di Hesdin, nell'Artois, assediata dagli Imperiali al comando di Emanuele Filiberto, fu ferito a colpi di archibugio alla testa e ad un fianco. Il giorno seguente, 19 luglio 1553, morì, all'età di ventuno anni, lasciando la giovanissima moglie Diana senza figli.

L'emozione e il cordoglio suscitati dalla sua prematura fine furono grandi. Il poeta Joachim du Bellay compose un compianto per la sua morte, mentre Enrico II se ne addolorò in modo tale che pareva avesse perso un figlio, e volle comunicare personalmente la triste notizia al card. Alessandro, che si trovava a corte. Scrisse anche ad Ottavio, dichiarandogli di voler riversare sul figlio di lui, Alessandro, l'affetto che aveva nutrito per il Farnese.

Con la scomparsa del F. senza eredi si concluse per i Farnese l'epoca delle alleanze con la Francia. Da allora in avanti si fece strada un progressivo avvicinamento all'imperatore, tramite la persona di Margherita d'Austria.

L'iconografia ufficiale del F. è affidata a pochi dipinti che, per qualità artistiche e per notorietà, non sono certo paragonabili ai celebri ritratti dei suoi fratelli eseguiti da Tiziano. Infatti, il F. fu l'unico dei quattro nipoti del papa a non essere stato ritratto dal grande maestro veneto, la cui attività al servizio dei Farnese si dispiegò in maniera particolare durante il periodo della politica filoimperiale di Paolo III, tra il 1545 e il 1546. È evidente che il F., destinato a fare la sua parte in Francia, non poteva rientrare nel programma della ritrattistica ufficiale che, in quegli anni si dimostrava funzionale ad un disegno politico che momentaneamente lo escludeva.

Nel Ritratto di fanciullo (della National Gallery di Londra), attribuito a Iacopino Del Conte, l'identificazione del soggetto col F. è sostenuta dalla rassomiglianza con altri ritratti sicuramente suoi, compresi nel ciclo di affreschi dedicati ai Fasti farnesiani nel palazzo Farnese di Caprarola (cfr. Zapperi). Probabilmente l'opera fu eseguita prima della partenza del F. per la Francia. Egli vi compare bambino, in abiti lussuosi, con la mano sinistra sull'elsa della spada, tutto preso dalla sua parte di piccolo cortigiano. Nel ciclo di Caprarola si annoverano invece due affreschi di Taddeo Zuccari, in cui compare anche il F., sebbene non si possa parlare di veri e propri ritratti in quanto entrambi furono eseguiti postumi. Uno dei due lo raffigura mentre viene designato da Paolo III prefetto di Roma, mentre il secondo ritrae Enrico II nell'atto di dare in moglie al F. la figlia Diana.

Fonti e Bibl.: Arch. segr. Vaticano, Arm. XLI, t. 60, Registrum Iulii III, nn. 517, 520, 532, 534; Ibid., t. 61, Registrum Iulii III, nn. 561, 587, 634; Bibl. ap. Vaticana, Vat. lat. 3689: Martii Alterii Horatii Farnesii Castri ducis genitura; Ibid., Barb. lat. 5791 (registro di lettere del card. Ercole Gonzaga), ff. 121r-123v; Ibid., Barb. Lat. 5792, ff. 162v-164v, 171v-173v, 180v-181v; Ibid., Barb. lat. 5793, fl. 3rv, 4r-6v; Nuntiaturberichte aus Deutschland, 1533-1559, VII, a cura di L. Cardauns, Berlin 1912, ad Indicem; VIII-XI, a cura di W. Friedensburg, Gotha 1898-Berlin 1910, ad Indices; XII, a cura di G. Kupke, Berlin 1901, ad Indicem; Correspondance des nonces en France, III, Capodiferro-Dandino-Guidiccione (1541-1546), in Acta Nuntiaturae Gallicae, a cura di J. Lestocquoy, Roma-Paris 1963, ad Indicem; VI, Dandino-Della Torre-Trivulzio (1546-1551), ibid., a cura di J. Lestocquoy, Roma-Paris 1966, ad Indicem; IX, P. Santacroce (1552-1554), ibid., a cura di J. Lestocquoy-F. Giannetto, Roma-Paris 1972, ad Indicem; A. Caro, Lettere familiari, Venezia 1581, I-II, pp. 26 s. e passim; G. Ribier, Lettres et mémoires d'Estat, Paris 1666, I, pp. 633, 641; II, pp. 77, 129, 159-166, 207 s., 260, 268; I. Affò, Vita di Pierluigi Farnese, primo duca di Parma, Milano 1821, p. 57 e passim; A. Ronchini, Francesco Florido Sabino, in Atti e mem. delle Rr. Deput. di storia patria per le provv. modenesi e parmensi, V (1868), pp. 385-392; G. Gosellini, Compendio della guerra di Parma et del Piemonte (1548-1553), a cura di A. Cerruti, in Miscell. di storia italiana, XVII (1878), pp. 103-357; F. de Navenne, Pierluigi Farnese, in Revue historique, LXXVII (1901), pp. 241 ss.; LXXVIII (1902), pp. 8 ss.; Id., Rome, le palais Farnèse et les Farnèse, Paris 1913, ad Ind.; L. Romier, Les premiers représentants de la France au palais Farnèse, in Mélanges d'archéologie et d'histoire, XXXI (1911), pp. 11-31; Id., Les orgines politiques des guerres de religion, I-II, Paris 1913, ad Ind.; C. Capasso, Paolo III (1534-1549), I-II, Messina 1923, ad Indices; A. Valente, Giulio III, i Farnese e la guerra di Parma, in Nuova Rivista storica, XXVI (1942), pp. 404-419; G. Drei, I Farnese. Grandezza e decadenza di una dinastia italiana, Roma 1954, ad Ind.; L. von Pastor, Storia dei papi, V-VI, Roma 1958, ad Indices; R. Zapperi, Tiziano, Paolo III e i suoi nipoti, Torino 1990, pp. 54-58 e passim.

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