GRASSI, Orazio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 58 (2002)

GRASSI, Orazio

Cesare Preti
Maria Grazia Ercolino

Figlio di Camillo, nacque a Savona il 1° maggio 1583. Dopo un'infanzia e una prima giovinezza trascorse nella città natale a diciassette anni si recò a Roma entrando, il 18 ott. 1600, nel noviziato gesuitico di S. Andrea al Quirinale.

Nella Compagnia e a Roma il G. compì tutti gli studi superiori. Da S. Andrea nell'aprile del 1603 passò nel Collegio romano dove, beneficiando di una diminuzione di alcuni mesi, frequentò il corso triennale di filosofia (aprile 1603 - giugno 1605) e quello quadriennale di teologia (ottobre 1606 - giugno 1610). In questo lasso di tempo mostrò una spiccata attitudine per le matematiche tanto che, dopo averne seguito il corso istituzionale come studente di filosofia naturale (1603-04), fu destinato a frequentare per due anni (1604-06) il corso superiore, detto "accademia matematica", tenuto da Ch. Grienberger e O. van Maelcote sotto la direzione di C. Clavio.

Con la fine del periodo di formazione, a partire dall'autunno del 1610, si apre il triennio meno noto della vita del G., che in quegli anni non compare nei catalogi superstiti dell'Archivio romano della Compagnia. Anche le altre fonti sono particolarmente elusive al proposito; l'unica notizia che forse apre un qualche squarcio, data dallo stesso G. ad A. Eudaemon-Joannes e da costui tramandata, riguarda una sua visita in compagnia del Grienberger al cardinale R. Bellarmino, nel giugno del 1612. Da ciò parrebbe che il G., non ancora professo dei quattro voti (li pronunciò il 30 sett. 1618), fosse allora assistente del Grienberger nell'accademia di matematica. Tuttavia quando, circa un anno prima (aprile 1611), il Bellarmino aveva chiesto il parere dei matematici del Collegio sulla attendibilità delle osservazioni astronomiche riferite da G. Galilei nel Sidereus nuncius, il G. non era stato tra i quattro firmatari della risposta. Si può forse ipotizzare, per dar credito all'informazione citata, che nel 1611 (o al più tardi nel 1613) il G. effettuasse il cosiddetto terzo anno di probazione, forse nella stessa Roma.

Alla fine del gennaio 1614 egli era da poco a Savona, giuntovi dopo un viaggio travagliato; vi rimase finché, nell'autunno di quell'anno, fu inviato presso il collegio genovese. Nel capoluogo ligure ebbe il compito di assistente spirituale dei novizi, che onorò con scrupolo per circa due anni pur non rinunciando alla speranza di poter tornare a Roma. L'8 sett. 1616 gli giunse dal generale M. Vitelleschi la nomina alla cattedra di matematica del Collegio romano, che coronò tutta questa prima fase della sua vita. Tenne la lettura delle matematiche dal 1616 al 1628, con l'interruzione nei due anni accademici 1625-26 e 1626-27, quando fu prima a Siena per alcuni mesi come rettore del collegio di S. Virgilio e per sovrintendere al restauro della chiesa del complesso scolastico, poi, tornato a Roma, fu prefetto della Biblioteca del Collegio romano. Come docente il G. trattò, oltre all'astronomia, temi di ottica geometrica e (forse in corsi privati) anche di architettura. Questo è attestato sia da sue lezioni giunte manoscritte sino a noi (Tractatus tres de sphera, de horologis ac de optica, del 1617, segnalati da Kristeller, attualmente in mano privata; In primum librum de architectura M. Vitruvii et in nonum eiusdem De horologiorum solarium descriptione duo brevissimi tractati, lezioni del 1624 ora a Milano, Biblioteca nazionale Braidense, AF.IX.33), sia dal primo scritto a stampa, pubblicato sotto il nome di uno studente (De iride disputatio optica a Galeatio Mariscotto publice habita in Collegio Romano S.I., Romae 1617).

È del 1619 il primo atto della polemica che vide contrapporsi al G. il Galilei e che, come è noto, ebbe come oggetto l'ultima delle tre comete comparse in successione nella seconda metà del 1618.

Probabilmente nel periodo di sospensione dei corsi, tra la metà del dicembre 1618 e la metà del gennaio 1619, nel Collegio romano furono tenute quattro conferenze sull'argomento, rispettivamente dai lettori di teologia, filosofia, matematica e retorica. Dei relativi testi (ora in Roma, Biblioteca nazionale, Fondo gesuitico 458, unitamente a un poemetto in esametri latini sulle comete) solo quello del matematico (che, come prassi nei collegi della Compagnia, non esprimeva una posizione personale del lettore ma il parere collettivo del gruppo accademico corrispondente) fu pubblicato: De tribus cometis anni 1618 disputatio astronomica publice habita in Collegio Romano Societatis Iesu ab uno ex patribus eiusdem Societatis (Romae 1619). In esso il G., utilizzando osservazioni condotte anche in altri collegi gesuitici italiani e stranieri, sosteneva, in virtù dell'assenza di una parallasse apprezzabile e dello scarso ingrandimento telescopico del fenomeno, che la cometa, corpo celeste mancante di luce propria, seguiva un'orbita circolare collocata tra Luna e Sole. All'opera, letta come un tentativo di argomentare contro il sistema copernicano, si contrappose il Discorso delle comete (Firenze 1619) firmato da M. Guiducci, ma sostanzialmente di mano del Galilei, che avanzò l'ipotesi alternativa che le comete fossero addensamenti di vapori terrestri giunti negli strati più elevati dell'atmosfera. È dell'ottobre dello stesso anno la replica del G., con lo pseudonimo di Lotario Sarsi: Libra astronomica ac philosophica qua Galilaei Galilaei opiniones de cometis a Mario Guiduccio in Florentina Academia expositae, atque in lucem nuper editae, examinantur a Lothario Sarsio Sigensano (Perusiae 1619). Qui, oltre a notare come la tesi del Discorso fosse assimilabile a quelle di G. Cardano e B. Telesio sull'argomento, si portavano considerazioni scientifiche e prove sperimentali per confermare la natura non puramente ottica del fenomeno. La Libra, ricca di dati sperimentali, provocò una dura reazione del Galilei, sollecitata dai Lincei di Roma e concretizzatasi nel Saggiatore (Roma 1623), col quale il matematico di Firenze trasferì la polemica su un altro piano: non più la cometa, ma la fisica dei fenomeni percettibili dai sensi, campo nel quale avanzò ipotesi di tipo corpuscolare. Inoltre Galileo si espresse in forme fortemente satiriche verso Lotario Sarsi. Il Saggiatore, sul quale dopo il 1624 fu presentata una denuncia anonima alla congregazione dell'Indice (l'identificazione dell'autore con il G., proposta da Redondi, 1983, è, allo stato degli studi, insostenibile), dette luogo a un'ulteriore replica del gesuita, la Ratio ponderum librae et simbellae in qua quid e Lotharii Sarsi libra astronomica, quidque e Galilei Galilei simbellatore de Cometis statuendum sit, collatis utriusque rationum momentis, Philosophorum arbitrio proponitur (Lutetiae Parisiorum 1626). L'opera, l'ultima della polemica (ebbe anche un'editio altera, Neapoli 1627, nella quale il G. cancellò alcune parti ritenute superflue) ribadì gli argomenti su calore e luce già proposti dall'autore e sviluppò considerazioni dialettiche volte a confutare le tesi corpuscolariste galileiane, giudicate inaccettabili anche perché incompatibili col dogma della transustanziazione eucaristica.

Risalgono pure a questo periodo la Relazione della beata morte del nostro fratello Giovanni Berchmans, dedicata nel 1621 al futuro santo gesuita (segnalata manoscritta in Sommervogel, col. 1686: una traduzione francese fu pubblicata in P. Terwecoren, Collection de précis historiques, XVII, Bruxelles 1862, pp. 17-25, 36-44, 58-67), nonché un dramma sacro in musica, l'Apotheosis sive consecratio sanctorum Ignatii et Francisci Xaverii, rappresentato nel 1622 presso il seminario romano con scenografie e macchine sceniche di concezione del Grassi.

Quando, nell'autunno del 1627, il G. riprese l'insegnamento nel Collegio romano gli vennero anche nuovi e più prestigiosi incarichi, quelli di prefetto della fabbrica di S. Ignazio e prorettore del Collegio, che tenne fino all'estate del 1633. Inoltre, come lettore delle matematiche, ebbe l'incarico, esercitato già prima ma intensificato in questi anni, di revisore sia dei progetti di edifici della Compagnia, sia di scritti in senso lato "matematici" (o filosofici, ma aventi implicazioni quantitative) di membri dell'Ordine. Per quanto finora poco considerato, l'insieme dei documenti che attestano quest'ultimo campo d'attività del G. è assai importante per la ricostruzione della sua figura intellettuale. Da esso, e in particolare dai giudizi che più direttamente investono temi o proposte cruciali per lo sviluppo concettuale del periodo, emerge il profilo di uno studioso aperto, sia pur cautamente, al nuovo e al tempo stesso di un religioso di sicura ortodossia dottrinale; evidentemente, dunque, egli non visse l'apertura a novità concettuali come qualcosa che contrastasse a priori col dettato dottrinale.

Il 18 apr. 1631 ebbe l'incarico di pronunciare la predica durante la celebrazione papale della liturgia del venerdì santo. L'orazione, ispirata al salmo 73 e intitolata Divini templi excisio (Romae 1631: poi in Orationes quinquaginta de Christi Domini morte habitae in die sancto parasceve a patribus S.I., Romae 1641, pp. 596 ss.), fu pronunciata in un momento della guerra dei Trent'anni nel quale gli equilibri politici e militari europei erano travolti dalle inarrestabili vittorie del protestante Gustavo Adolfo di Svezia. Essa assunse la valenza di un monito a sfondo politico, probabilmente concordato coi vertici della Compagnia, per sostenere la parte filospagnola della Curia e il progetto da questa perseguito di una più puntuale difesa dei valori fondamentali della Chiesa tridentina. Così il grado d'esposizione del G. come intellettuale di punta di tale partito divenne estremo, forse al di là delle sue reali posizioni ideologiche; sulla scia di giudizi di coloro che maggiormente furono toccati dall'offensiva degli intransigenti, la storiografia lo ha annoverato tra i più rigidi fautori di una linea di chiusura dottrinale spaziante dal campo teologico e metafisico fino a quello fisico-astronomico.

È materia d'opinione se l'inclusione del G. in tale partito fosse la causa di avvenimenti successivi della sua vita. Di fatto, nell'autunno del 1633 fu trasferito nel collegio della città natale, dove rimase fino al luglio del 1646 con un incarico (quello di confessore) non didattico ma pur sempre focale nell'economia di un collegio gesuitico. Inoltre, ciò che è segno di un prestigio immutato presso i vertici della Compagnia, anche se non più matematico del Collegio romano egli mantenne le funzioni di revisore delle opere scientifiche dei confratelli. Inoltre il governo della Repubblica di Genova ricorse a lui per consulenze d'ingegneria navale, tanto che poté provarsi nel progetto di un battello "inaffondabile". La fama di cui godeva il G. come esperto di architettura e ingegneria civile è, d'altronde, dimostrata da un episodio che risale al 1638. È di questa data il viaggio in Italia di un cavaliere dell'Ordine di Malta, G.B. Vertua, inviato per raccogliere suggerimenti su come rinforzare le fortificazioni dell'isola. Secondo la sua relazione di viaggio (La Valletta, Biblioteca nazionale di Malta, A.O.M., 6554, c. 27r), dopo essere sbarcato a Messina nell'agosto del 1638 e aver raggiunto via nave la Liguria, incontrò il G. a Savona, probabilmente a settembre, che su sua richiesta gli rilasciò un parere scritto sull'argomento (Biblioteca apostolica Vaticana, Chig., Q.III.69, cc. 41 ss.).

Verso la fine di quel periodo, nella tarda primavera del 1645, il G. compì un viaggio a Roma, chiamato a esprimere un giudizio sullo stato dei lavori in S. Ignazio. Egli, presa visione di quelle che per lui erano alterazioni inammissibili del suo progetto, protestò coi vertici della Compagnia in un rapporto del giugno dello stesso anno (pubblicato in Bricarelli, 1922, p. 22), che fu origine di una generale revisione di ciò che era già stato edificato.

Divenuto, nel luglio del 1646, rettore del collegio genovese, il G. intensificò la mai abbandonata attività scientifica. Preziose notizie in tal senso sono fornite da un carteggio degli anni 1646-53, costituito da nove sue lettere a G.B. Baliani (Milano, Biblioteca nazionale Braidense, AF.XII.13, n. 4), dal quale emerge che negli ultimi anni lavorò a due opere: un trattato d'ottica fisica, non pubblicato e ora apparentemente perduto, nel quale si schierava a favore di ciò che definì nuovi punti di vista sulla fisica della luce; e uno d'architettura, mai terminato per il sopravvenire della morte e anch'esso apparentemente perduto. Inoltre s'interessò all'esperienza relativa alla pressione atmosferica.

Realizzata nel 1644 su indicazione di E. Torricelli mediante un tubo riempito di mercurio, l'esperienza era assai importante in un'ottica di superamento delle categorie della fisica aristotelica ma, al tempo stesso, non del tutto facile da ripetere e teoricamente non univoca. Dovettero passare un paio d'anni prima che essa fosse ripetuta, tra gli altri, da gesuiti del collegio della Trinità di Lione guidati da H. Fabri, che non vi lessero però la conferma sperimentale definitiva dell'esistenza del vuoto, rilevando le incertezze che ancora ostavano a ciò. Nel 1646, durante un viaggio verso Roma, il Fabri sostò a Genova e probabilmente informò sul lavoro condotto a Lione il G., che nella corrispondenza con il Baliani illustrò i propri dubbi sul significato dell'esperienza, rafforzati dalla consapevolezza che alla tesi dell'esistenza del vuoto venivano collegate da più parti conclusioni di tipo corpuscolaristico, pericolose per le possibili implicazioni teologiche.

Dopo un breve periodo (autunno 1651-estate 1653) in cui fu di nuovo nel collegio della città natale come confessore e poi vicerettore, dagli ultimi mesi del 1653 il G. fu di nuovo nel Collegio romano, ancora per prestare la sua opera nella fabbrica di S. Ignazio. All'inizio del 1654 preparò un progetto per l'erigendo collegio dei nobili di Parma (ne resta una pianta nell'Archivio di Stato di Parma, Mappe e disegni, IX, 15b). Morì a Roma, in seguito a un infarto, il 23 luglio 1654.

Il ritorno del G. a Roma nel 1616 in qualità di professore di matematica coincise probabilmente con l'inizio del suo interesse per l'architettura; ai matematici del Collegio romano, infatti, spettava anche la carica di consiliarius aedificiorum, una sorta di revisore cui erano demandati il controllo e l'approvazione di tutti i progetti architettonici realizzati per conto della curia generalizia gesuita. Questo incarico, determinante nella mediazione tra l'idea organizzativa (secondo un odierno punto di vista) di ogni singolo tipo di edificio della Compagnia e le specifiche progettazioni inviate a Roma, fu ricoperto dal G. in modo discontinuo tra il 1616 e il 1628. A partire da quel momento, quindi, egli si dedicò con grande attenzione all'architettura; nonostante ciò, il suo destino come architetto non fu fortunato e la maggior parte dei suoi progetti fu destinata a rimanere sulla carta.

Il primo disegno attribuito al G., databile tra il 1620 e il 1621, riguarda la chiesa di S. Ignazio presso il collegio di Ajaccio; il progetto, conservato alla Bibliothèque nationale di Parigi e raffigurante una chiesa ad aula con cappelle laterali e abside semicircolare, benché approvato non fu realizzato (Vallery-Radot, pp. 96 s.).

La sua attribuzione, pur essendo priva di riscontri documentari, sembra essere suffragata dalla presenza di notevoli analogie con un successivo progetto del G. riguardante la chiesa di S. Virgilio a Siena (Bösel, p. 276).

Al 1624 risale la stesura di due trattati inediti sul I e sul IX libro del De architectura di Vitruvio, ora conservati a Milano presso la Biblioteca nazionale Braidense; il ritrovamento di questi testi ha avvalorato in alcuni studiosi la convinzione che il G. fosse responsabile di un corso di architettura presso il Collegio romano (Rotondi, pp. 262 s.; Müller Profumo, 1988, p. 50). In realtà è assai più probabile che i commentari rappresentassero parte del materiale che egli raccolse per la redazione di un lessico vitruviano, lavoro mai condotto a termine, ma che fu ricordato nel suo necrologio al Collegio romano (Bricarelli, 1922, p. 14). Al medesimo anno risale anche la redazione di un progetto di massima per l'ampliamento del collegio gesuitico di S. Giovannino a Firenze; il disegno, approvato a Roma il 7 aprile e giudicato favorevolmente dal padre generale M. Vitelleschi, fu poi respinto dal finanziatore della fabbrica B. Biffoli in favore di una seconda proposta presentata da G. Parigi (Bösel, p. 80).

Sempre nel 1624 è documentato un viaggio del G. a Sezze, dove si recò per verificare l'andamento della costruzione del locale collegio e dell'annessa chiesa dei Ss. Pietro e Paolo, iniziati nel 1601 su progetto di padre G. De Rosis. Poiché al suo arrivo la chiesa era ancora priva del campanile, Bösel (p. 276) ha ritenuto di poter attribuire al G. la paternità di due dei sei disegni di campanili conservati nell'archivio della curia generalizia: attribuzione che sembrerebbe essere confermata dalle caratteristiche stesse dei due schizzi, realizzati utilizzando i canonici rapporti vitruviani, al contrario degli altri quattro molto più grossolani. Il G. sarebbe inoltre responsabile, tra il 1624 e il 1628, di altri interventi nella fabbrica di Sezze, le cui tracce si riscontrerebbero in due disegni, probabilmente annotati dal gesuita e conservati nello stesso archivio (Vallery-Radot, p. 425 nn. 94 s.), che prevedevano alcune modifiche da apportare al progetto originario di De Rosis.

Dopo la nomina a rettore del collegio di Siena, nel marzo del 1626 il G. ricevette da Vitelleschi il primo importante incarico che riguardava la trasformazione della chiesa di S. Virgilio.

Il progetto fu elaborato immediatamente poiché, in una lettera datata al seguente mese di aprile, il padre generale, esaminata la proposta, criticò la prevista volta di copertura e suggerì in suo luogo la costruzione di un soffitto a cassettoni sul modello del S. Vitale (Bösel, p. 288). Probabilmente questa prima soluzione può essere ricollegata a due disegni conservati a Parigi che rappresentano la planimetria e la sezione longitudinale di una chiesa a pianta centrale inscritta in un rettangolo, interamente coperta da un'ampia cupola ovale posta trasversalmente all'asse maggiore e suddivisa in tre calotte (Vallery-Radot, p. 22 nn. 71 s.). Secondo Bösel (p. 288) sarebbe da attribuire alla paternità del G. anche un terzo schizzo, custodito insieme con i precedenti, che riprodurrebbe un abbozzo della versione finale del progetto modificata in base ai consigli del padre generale (Vallery-Radot, p. 22 n. 73); il disegno rappresenta una chiesa a pianta longitudinale con un'ampia navata unica, cappelle laterali trasversali e una copertura piana. I lavori di costruzione cominciarono in aprile e dovettero procedere con una certa rapidità poiché già in luglio Vitelleschi si complimentò con il G. per il buon andamento della fabbrica. Tra settembre e ottobre la chiesa fu coperta; ed è probabile che a dicembre, quando egli partì, questa fosse completata. S. Virgilio, oltre a rappresentare l'unico progetto completamente realizzato dal G., fu una delle chiese che maggiormente influenzarono l'architettura gesuitica della prima metà del XVII secolo, poiché il suo spazio fu concepito per soddisfare nel miglior modo le esigenze liturgiche della Compagnia, presentando al contempo un uso assai sobrio delle decorazioni (Bösel, pp. 286 s.).

A partire dal 3 ott. 1626, data della sua prima convocazione a Roma da parte del padre generale, il nome del G. è legato alla fabbrica di S. Ignazio di Roma. Sembra ormai certo che egli non abbia partecipato alle fasi iniziali di ideazione della chiesa, affidate dal cardinale L. Ludovisi, patrocinatore dell'impresa, alla collaborazione tra C. Maderno, il Domenichino e F. Borromini, e soprattutto che la sua presenza fu richiesta a causa dell'impossibilità da parte del fratello secolare A. Sasso, che aveva curato le fasi preliminari della costruzione, a continuare la collaborazione (ibid., pp. 192-194).

Giunto probabilmente a Roma alla fine del 1626, il G. fu subito incaricato della redazione di un progetto esecutivo per la chiesa che, il 7 aprile dell'anno seguente, fu giudicato da un consiglio, convocato dal cardinale Ludovisi e composto dai maggiori architetti dell'epoca (Pollak, p. 66). In quella sede fu richiesta, prima di procedere all'approvazione definitiva, la realizzazione di un modello ligneo del progetto. Esistono documenti che dimostrano l'avvenuto acquisto del materiale e l'ingaggio del falegname incaricato dell'esecuzione, che risultò completata il 12 maggio 1629 (Bricarelli, 1922, p. 18). Il progetto, sebbene perduto nella sua redazione originale, è parzialmente ricostruibile in base a una serie di disegni conservati alla Biblioteca Vaticana, che risultano molto simili all'opera realizzata nella distribuzione planimetrica dell'interno, mentre presentano differenze sostanziali nella soluzione esterna (Bösel, tavv. nn. 193-197). La concezione planimetrica generale, sicuramente ispirata ai progetti preliminari già redatti, riprese il modello della chiesa del Gesù, con uno schema a navata unica con cappelle laterali e cupola all'incrocio del transetto. Completamente nuova fu la soluzione proposta dal G. per la facciata che, interamente sviluppata su due piani e articolata in modo identico in entrambi gli ordini, si concludeva con una balaustrata continua ornata di statue in luogo del tradizionale frontone; il progetto prevedeva poi una cupola a doppio guscio di ispirazione maderniana con un tamburo articolato da coppie di semicolonne. La costruzione iniziò sulla base del modello approvato e procedette con la supervisione del G. fino al momento del suo allontanamento da Roma nel 1633, allorché fu sostituito da A. Sasso, il quale non si attenne più allo schema originario, introducendo sostanziali modifiche nell'esecuzione della fabbrica.

Nel 1632 il G. fu chiamato a Terni per collaborare all'edificazione della chiesa di S. Lucia; sebbene non vi siano per il momento conferme documentarie, egli fu probabilmente il responsabile del progetto di ampliamento della casa gesuitica in base al quale i lavori furono effettivamente cominciati, nel 1633, sotto la direzione del faber murarius C. Cito (Bösel, p. 303). Nel medesimo anno fu richiesta la partecipazione del G. alla progettazione del collegio di Montepulciano; su invito di Vitelleschi egli redasse un progetto che fu approvato a Roma e rispedito al rettore nel mese di giugno (Vallery-Radot, pp. 17 s. nn. 59 s.). Durante la stessa estate egli si recò anche a Viterbo per consigliare i confratelli su quale fosse la scelta più conveniente tra ampliare la loro antica chiesa di S. Silvestro o trasferirsi in un nuovo edificio presso la chiesa di S. Croce; a questo scopo il G. redasse progetti di massima riguardanti entrambe le soluzioni da sottoporre all'attenzione del rettore (ibid., p. 25 nn. 79 s.; Bösel, p. 312), ma le sue proposte non furono realizzate per la mancanza dei necessari finanziamenti.

A partire dal 1633, con la partenza da Roma, anche la sua attività di architetto della Compagnia subì un rallentamento. Del periodo in cui visse a Savona e del suo operato in quella città si hanno poche notizie, riportate essenzialmente da biografi locali; si attribuiscono al G. la realizzazione di una pianta della città, il disegno del ciborio dell'altare maggiore della cattedrale, che riproduce in "miniatura" un edificio a pianta centrale sormontato da una cupola, e il progetto per l'ospizio della Misericordia, edificio monumentale situato di fianco alla cattedrale (Müller Profumo, 1988, pp. 52 s.).

Nel 1634 il G. cominciò a occuparsi del progetto del collegio dei gesuiti di Genova la cui costruzione, decisa tra il 1608 e il 1618 nella strada "dei Balbi" e oggetto di forti contese tra la Compagnia e la famiglia Balbi, ideatrice dell'impresa, procedeva troppo lentamente. Un espresso invito del padre generale Vitelleschi condusse il G. a Genova nel mese di settembre affinché "consideri diligentemente quel sito in ordine alla fabrica che si ha da fare, con prendere le misure necessarie, acciocché si possa stabilire un disegno perfetto che non ammetta altre mutazioni" (Di Raimondo - Müller Profumo, p. 86). Tornò poi a Roma dove si trattenne per alcuni mesi e concordò con il padre generale le modifiche da apportare al progetto già elaborato da B. Bianco, affinché i lavori potessero proseguire con maggiore alacrità e secondo un disegno più consono alle esigenze della Compagnia. Sempre a Genova, nel 1635, il G. ideò la cappella di S. Francesco Saverio nella chiesa del Gesù. Il progetto, inviato agli inizi dell'anno successivo a Roma per l'approvazione (Vallery-Radot, pp. 28*, 103 n. 395), fu realizzato rapidamente poiché il 9 agosto dello stesso anno il padre generale, in una lettera inviata al provinciale di Milano, si rallegrava della buona riuscita dell'opera. Negli stessi anni la Repubblica di Genova richiese la sua consulenza in merito alla progettazione del nuovo molo, la cui realizzazione fu affidata ad A. De Mari proprio grazie al parere favorevole espresso dal G. in una relazione redatta nell'aprile del 1638 (Costantini, p. 73). Probabilmente in questo stesso periodo egli cominciò a studiare il progetto di battello insommergibile che perfezionò e presentò al Senato di Genova solo alcuni anni dopo.

Nel 1646 il rettore del collegio di Viterbo, in seguito alla ripresa dei lavori di edificazione della fabbrica, invitò nuovamente il G. per apportare delle modifiche al suo progetto originario; è documentato che egli non si fermò abbastanza a lungo da seguire il cantiere, che fu affidato ad A. Sasso (Bösel, p. 315).

A Genova, in qualità di rettore del locale collegio, il G. realizzò un ulteriore progetto per la costruzione della nuova sede "ai Balbi", che nel frattempo non aveva fatto molti progressi; una copia di quell'elaborato fu inviata a Roma nella primavera del 1647 e dovrebbe corrispondere a una serie di suoi disegni autografi ora conservati nell'Archivio di Stato di Roma (Santillo, p. 653).

L'edificio fu completato, probabilmente secondo quest'ultimo schema, solo nel 1664. Sembra ormai certo che il G. fu coinvolto anche nella progettazione della casa professa di Genova; alcuni documenti rinvenuti presso la curia generalizia consentono di ipotizzare che egli fosse il responsabile dei mutamenti intervenuti nel complesso tra la prima fase della progettazione dovuta a G. Valeriano e la sistemazione definitiva. Si potrebbe attribuire al G. quella fase della costruzione, tra il 1645 e il 1652, documentata da un manoscritto di G. Negrone, nel corso della quale furono realizzate "illae sedes quae sunt a latere dextero ecclesiae" (ibid., p. 639).

A partire dal suo soggiorno a Roma nel 1645, il G. tornò a interessarsi alla fabbrica di S. Ignazio, criticando aspramente le alterazioni al suo progetto apportate nel corso degli anni da A. Sasso.

È stato già accennato a come questi avesse pesantemente modificato il disegno previsto dal G., realizzando tra l'altro un'arbitraria sopraelevazione dell'edificio che creò notevoli difficoltà nell'erezione della facciata. Si rese necessaria, nel corso del decennio 1640-50, la convocazione di due consulte di architetti per cercare di adeguare il disegno della facciata alla fabbrica già realizzata; probabilmente proprio al loro giudizio si deve il radicale cambiamento della concezione della facciata che, ispirata al disegno di quella del Gesù, ripropose uno schema più canonico. Tutte queste trasformazioni resero estremamente problematica la costruzione della prevista cupola, ormai schiacciata dall'innalzamento della parte centrale della facciata; per cercare di risolvere questo problema il G. fu invitato tra il 1650 e il 1651 a studiare un nuovo progetto. La sua originale proposta, documentata da due fogli autografi del Vat. lat. 11257, prevedeva la realizzazione della sola calotta interna della cupola, celata quasi completamente all'esterno dal tamburo, al centro del quale si innestava la lanterna destinata a illuminare la navata. Questo insolito progetto fu oggetto di un'ulteriore consulta di specialisti organizzata da padre V. Spada ma, nonostante il giudizio molto favorevole espresso da Borromini, la cupola non fu mai realizzata (Bösel, pp. 198 s.).

Fonti e Bibl.: La più importante fonte per la biografia del G. è l'Archivum Romanum Societatis Iesu. In particolare si vedano: per la carriera scolastica e d'insegnante, Med. 1, cc. 229r, 239v; Med. 2, cc. 9v, 22r, 34r, 47r, 59r, 84v, 96v, 109r, 123v, 138r, 159r, 178v; Med. 23, II, cc. 328r, 334v, 389v, 405v, 411v, 426r, 430r, 435r, 449r; Med. 49, c. 196r; Med. 50, cc. 52r, 104r; Med. 51, cc. 35r, 127r; Med. 52, c. 32r; Rom. 55, cc. 109v, 234r; Rom. 56, cc. 13r, 153r; Rom. 79, cc. 149r, 187r, 216r; Rom. 80, cc. 3r, 15v, 29r, 51r, 71v, 91v, 113r, 186, 262r; Rom. 81, cc. 88v, 141r; Rom. 110, cc. 29r, 42v, 58r, 115, 150v, 163r, 171r, 187r, 197v; Rom. 111, c. 10v; Rom. 172, c. 42v; per la professione dei quattro voti, Ital. 6, cc. 333r, 334r; per il rettorato a Siena, Hist. Soc. 62, c. 4r; per le lettere, Ital. 164, cc. 29r, 32r; Ep. NN. 96, c. 103rv, F.G. 80, Instrumenta, A.IV, c. 1352r; per l'attività di censore, F.G. 655, cc. 37r-39r, 95r, 99r, 101r, 103r, 104r, 105r. Notizie biografiche sono anche in Rom. 188, II, c. 289r. Per le opere edite e notizie su alcuni inediti vedi C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, III, Bruxelles-Paris 1892, coll. 1684-1686, e P.O. Kristeller, Iter Italicum, III, col. 147b; IV, col. 389a. Per la bibliografia precedente al 1980, oltre a U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 542, si veda soprattutto L. Polgár, Bibliographie sur l'histoire de la Compagnie de Jésus, III, 2, Roma 1990, p. 96. Vanno comunque citati A. Favaro, Nuovi studi galileiani, Venezia 1891, pp. 203-220; J. Vallery-Radot, Le recueil de plans d'édifices de la Compagnie de Jésus conservé à la Bibliothèque nationale de Paris…, Paris 1960, ad indicem; C. Costantini, Baliani e i gesuiti, Firenze 1969, ad indicem; J. Brodrick, The life and work of blessed Robert Francis cardinal Bellarmino S.I., II, London 1928, p. 346 n. 2. Sulla controversia delle comete, descritta in gran parte degli studi su G. Galilei, vedi in particolare: S. Drake, Controversy of the comets of 1618, Philadelphia 1960 (soprattutto la prefazione); J. Casanovas, Il padre O. G. e le comete dell'anno 1618, in Novità celesti e crisi del sapere, a cura di P. Galluzzi, Firenze 1983, pp. 307-313; L'Accademia dei Lincei e la cultura europea nel XVII secolo (catal.), a cura di A. Capecchi - C. Forni Montagna - P. Galluzzi, Roma 1992, pp. 75-79. Altre notizie e contributi in: P. Redondi, Galileo eretico, Torino 1983, ad indicem; I documenti del processo di Galileo Galilei, a cura di S.M. Pagano, Città del Vaticano 1984, pp. 43-48; G.L. Bruzzone, O. G. e la sicurezza della navigazione, in Societas, XXXV (1986), pp. 96-101; U. Baldini, Legem impone subactis. Studi su filosofia e scienza dei gesuiti in Italia 1540-1632, Roma 1992, ad indicem; Id., Saggi sulla cultura della Compagnia di Gesù, Padova 2000, ad indicem.

Per l'attività del G. architetto si veda, oltre agli studi citati di Vallery-Radot e di Costantini, Archivum Romanum Societatis Iesu: P. Pirri, Architetti gesuiti in Italia. Il collegio di Genova (dattiloscritto); R. Soprani - C.G. Ratti, Vite de' pittori scultori ed architetti genovesi, II, Genova 1769, pp. 9-11; A. Verzellino, Delle memorie particolari e specialmente degli uomini illustri della città di Savona… curate e documentate da A. Astengo (raccolte dal p. Angelo Lamberti nel 1673), II, Savona 1891, pp. 347-352; A. Favaro, Galilei e il p. O. G., in Memorie del R. Istituto veneto, XXIV (1891), pp. 203-220; O. Pollak, A. Algardi als Architekt, in Zeitschrift für Geschichte der Architektur, IV (1910-11), pp. 65 s.; A. Monti, La Compagnia di Gesù nel territorio della provincia torinese, I, Chieri 1914, p. 621; C. Bricarelli, Il padre O. G., architetto della chiesa di S. Ignazio in Roma, in Civiltà cattolica, LXXIII (1922), 2, pp. 13-25; Id., La chiesa di S. Ignazio e il suo architetto p. O. G., in L'Università Gregoriana del Collegio romano nel primo secolo della restituzione, Roma 1924, pp. 77-100; D. Frey, Beiträge zur Geschichte der römischen Barockarchitektur, in Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte, III (1924), pp. 11-43; G. Rotondi, Due trattatelli inediti del p. O. G., in Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, LXII (1929), pp. 261-266; L. Montalto, Il problema della cupola di S. Ignazio da p. O. G. e fratel Pozzo ad oggi, in Boll. del Centro di studi di storia dell'architettura, XI (1957), pp. 33-62; C. Costantini, Un battello insommergibile ideato da O. G., in Nuova Riv. storica, L (1966), pp. 731-737; A. Di Raimondo - L. Müller Profumo, Bartolomeo Bianco e Genova: la controversa paternità dell'opera architettonica tra '500 e '600, Genova 1982, pp. 81-107; L. Müller Profumo, O. G. e il collegio dei gesuiti a Genova, in Studi in onore di R. Cataluccio, Genova 1984, pp. 393-405; G. Colmuto Zanella - E. De Negri, L'architettura del collegio, in Il palazzo dell'Università di Genova. Il collegio dei gesuiti nella strada dei Balbi, Genova 1987, pp. 209-275; R. Bösel, Jesuitenarchitektur in Italien, 1540-1773, I, Wien 1985, pp. 35, 76, 80, 87, 116, 121, 136, 188, 190, 192, 194-199, 201-209, 260, 276, 279 s., 282, 286, 288 s., 294, 297, 303-305, 312, 315; L. Müller Profumo, O. G., un savonese "homo universalis", in La Casana, XXX (1988), pp. 48-53; F. Santillo, P. O. G. S.I. come interprete della teoria e della pratica dell'architettura nella Compagnia di Gesù in Italia tra XVI e XVII secolo, tesi di dottorato, Politecnico di Torino 1995; The Dictionary of art, XIII, London-New York 1996, pp. 320 s.

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