Orazione

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Letteratura

Discorso di tono solenne, tenuto in pubblico o in un’adunanza, oppure scritto a tale scopo, anche come esercitazione retorica; soprattutto con riferimento all’epoca classica.

L’o. nell’antichità classica fu oggetto di studio, di insegnamento e di sistemazione teorica nell’ambito della disciplina che prese il nome di retorica. Grazie all’opera di Protagora di Abdera, Gorgia da Lentini, Platone, Isocrate, Zenone e soprattutto Aristotele e, più tardi, Ermagora di Temno, la civiltà greca lasciò in eredità a quella romana un tesoro di analisi, di classificazioni, di precetti relativi ai diversi generi del discorso oratorio e ai mezzi utili a ottenere la persuasione dell’uditorio (➔ oratoria). Nella Roma repubblicana, nel vivo delle contese politiche e forensi, all’o. continuò a essere attribuito un considerevole prestigio. Le opere di Cicerone e di Quintiliano costituiranno per secoli il punto di riferimento fondamentale. Con essi si riorganizza il patrimonio greco adattandolo alle procedure romane. Attraverso Aristotele, Ermagora, Cicerone e Quintiliano si delineò uno schema dell’o. e della sua elaborazione che s’impose come classico. Le particolari condizioni storiche e culturali in cui tali autori fiorirono determinarono inoltre la preferenza accordata all’o. di genere giudiziale, che costituì per secoli il modello e l’oggetto di analisi principale.

Religione

Preghiera rivolta a Dio e a Gesù Cristo; ma anche alla Vergine o ai Santi. Nella teologia cattolica è «una pia elevazione della mente a Dio»: per il suo carattere puramente interiore (per cui è detta anche o. mentale) si suole distinguere dalla preghiera (o. vocale) che è accompagnata da manifestazione verbale. In liturgia, o. è ogni formula di preghiera con la quale il ministro si rivolge a Dio in nome dei fedeli.

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