ORCHESTRA

Enciclopedia Italiana (1935)

ORCHESTRA (ὀρχήστρα, da ὀρχέομαι "danzo")

Alfredo CASELLA
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Nel teatro greco è lo spazio riservato all'azione del coro: è pertanto di forma circolare, non lastricato, e porta nel centro l'altare di Dioniso, intorno al quale il coro compie le sue evoluzioni. E poiché il coro è il germe da cui si sviluppa la tragedia, l'orchestra è l'elemento primitivo, originario del teatro. D'altro canto il venir meno dell'azione del coro determina un mutamento di forma e di destinazione dell'orchestra: nel teatro romano essa ha forma semicircolare e non è più lasciata sgombra: al contrario è pavimentata con lastre di marmo o di pietra, ed è occupata dai seggi riservati ai senatori e ai magistrati.

Quando nel sec. XVII venne costituita definitivamente l'orchestra moderna, la parola passò a significare, e tuttora significa, il complesso degli strumenti e dei loro esecutori, nonché il luogo da essi occupato nel teatro.

Antichità e Medioevo. - L'uso degli strumenti musicali adoperati in massa più o meno grande per accompagnare le musiche che si eseguivano nelle cerimonie religiose, nelle adunate militari, nelle battaglie oppure nei festini, fu comune a tutte le grandi civiltà: egiziana, assira, fenicia, greca, ebraica, cinese, romana e araba, e innumerevoli ne sono le testimonianze pervenuteci a mezzo di sculture, bassorilievi oppure testi letterarî e poetici. Attraverso queste testimonianze sappiamo anche chiaramente quali siano stati - presso ognuna di quelle civiltà - gli strumenti prediletti e maggiormente in uso: l'arpa, il flauto, la cetra, la tromba (diritta), il tamburo, i piatti, i crotali presso gli Egiziani; la tromba curva presso gli Ebrei; l'oboe ed il violino (Kamangiah) presso gli Arabi; il ch'in e il gong presso i Cinesi. E presso i Romani trovavano larghissimo uso la bucina, la tuba e il lituus, strumenti prevalentemente militari. Tuttavia, se da tutti questi documenti risulta evidente l'importanza avuta dall'arte musicale nella vita di ogni civiltà, non appare mai che queste partecipazioni di complessi strumentali alle varie celebrazioni religiose, guerresche o familiari abbiano mai avuto quel carattere di stabilità, di continuità e di disciplina artistica che doveva, tanti secoli più tardi, costituire la caratteristica dell'orchestra. D'altronde è evidente che in tutta l'antichità gli strumenti, nella maggior parte dei casi, ebbero come principale funzione quella di raddoppiare e sostenere le voci umane, sia singole, sia corali; e solo presso i Greci si può parlare con qualche certezza di una vera arte strumentale (citaristica e auletica). Proibita poi spesso dalla Chiesa cristiana ogni collaborazione strumentale con le voci, soltanto col nascere dell'opera in musica s'incontra una vera e propria formazione orchestrale.

Età moderna. - L'orchestra d'archi. - La nascita dell'orchestra moderna si confonde con quella del dramma in musica, vale a dire con quella feconda rivoluzione musicale che avvenne in Firenze negli ultimi anni del'500 e che fu opera della Camerata fiorentina. Lo sviluppo successivo e costante dell'orchestra va suddiviso in due periodi. Il primo comprende tutto il '600: Camerata fiorentina e conseguente creazione a Firenze prima, a Roma e Venezia poi, dell'opera in musica per merito di I. Peri, G. Caccini, E. del Cavaliere, C. Monteverdi, Luigi Rossi, G. Carissimi, P. F. Cavalli, ecc.; diffusione dell'opera in tutta Italia e fuori: Francia, Inghilterra, Germania, ecc.: periodo nel quale, a eccezione delle meravigliose ma purtroppo isolate innovazioni del Monteverdi, s'incontra un'orchestra ancora elementare, ma tuttavia ormai resa inseparabile dal dramma sacro o profano. Essa accompagna il canto non solo, ma comincia anche a colmare i vuoti e gli arresti dell'azione scenica, mediante intermezzi strumentali con ritornelli, sinfonie, balletti, ecc. Il secondo periodo di questa storia orchestrale va dal 1700 al 1760 e in esso abbiamo il vasto sviluppo della scuola napoletana dopo A. Scarlatti e quello corrispondente della musica tedesca con G. F. Haendel e J. S. Bach.

Elemento essenziale dell'orchestra primitiva fu l'accompagnamento del canto eseguito su uno strumento polifonico: il clavicembalo in teatro, l'organo in chiesa. Da questa consuetudine ebbe origine il cosiddetto basso continuo, così denominato perché era notato senza interruzione dal principio alla fine dell'opera. Era compito del maestro al cembalo (il compositore stesso nella maggior parte dei casi) di completare questo basso con una realizzazione il cui pregio dipendeva dalla sua abilità e dalle sue facoltà inventive d'improvvisatore. L'uso del basso continuo si protrasse sino al principio dell'Ottocento, restringendosene però sempre più l'uso, che poi finalmente si limitò all'accompagnamento del recitativo secco nel melodramma. Accanto al clavicembalo, furono gli archi i primi elementi dell'orchestra moderna. Dapprima (durante quasi tutto il '600) questo gruppo si componeva della antica famiglia delle viole, non senza intervento dei violini (fin dall'Orfeo monteverdiano), talvolta divisa in cinque parti (primo e secondo dessus de viole ovvero quinton, viola contralto, viola da gamba e basso di viola, cioè contrabbasso); talvolta invece divisa in tre sole parti: due dessus de viole e un basso. Nella prima combinazione vediamo attuarsi la disposizione caratteristica del concerto grosso, vale a dire il contrasto fra una massa principale detta ripieno e un trio (concertino) composto di tre solisti (fu anzi quest'usanza che diede origine alla parola trio, che più tardi doveva applicarsi alla 2ª parte dei varî minuetti, marce, ecc.). Ma con la fine del '600 e il principio del '700 si compie un passo immenso nella tecnica degli archi, per opera principalmente della scuola violinistica italiana: A. Corelli, G. Legrenzi, G. Torelli, G. Bononcini, ecc. E così avviene che all'antichissima famiglia delle viole subentra ovunque, con irresistibile spinta, il quartetto moderno: violino (diviso in due parti), viola, violoncello e contrabbasso. Questa nuova e assai più raffinata tecnica strumentale doveva rapidamente raggiungere un'alta perfezione con G. B. Sammartini (che fu il maestro di C. W. Gluck), J. S. Bach (ouvertures) e G. F. Haendel (concerti).

La piccola orchestra. - Dopo Claudio Monteverdi (che adopera nell'Orfeo [1607] i seguenti strumenti a fiato: un flautino alla vigesima seconda, un clarino [tromba piccola], tre trombe con la sordina, quattro tromboni, oltre a due organi di legno e ad un regale [specie di armonium], e nella Sonata sopra Sancta Maria [1610] adopera due cornetti e quattro tromboni), vediamo specialmente con M. A. Cesti e G. B. Lulli gli strumenti a fiato affiancarsi agli archi in orchestra. Si trovano così le trombe nell'opera Cadmus et Hermione (1673), e i flauti, oboi e fagotti nell'Alceste, ambedue del Lulli. Le trombe sono scritte sempre in do o in re e accoppiate ai timpani. Lulli e Haendel scrivevano due parti di trombe, Bach più sovente tre (e sempre in una tessitura elevatissima). La prima tromba aveva non di rado carattere agilissimo e virtuosistico (si badi che la tromba del tempo, specialmente la bachiana, presentava caratteri assai dissimili dall'odierna, anche a giudicarne dalla sola scrittura che ne lasciarono quei compositori). I fagotti però sino a J. Haydn si limitano praticamente a raddoppiare il basso. I corni appaiono nei primi decennî del '700 e già se ne incontrano esempî nel Tigrane (1715) di A. Scarlatti e nel Radamisto (1720) di. Haendel. Particolare nota merita il clarinetto, che, inventato nel 1690 da C. Denner di Norimberga, doveva attendere quasi un secolo per trovare il suo posto permanente in orchestra: assai raramente s'incontrano i clarinetti prima del 1750, e non di rado sono assenti dalle partiture di Haydn e di Mozart.

Con queste successive aggiunte, era creata l'orchestra di tipo classico, quella che doveva essere il mezzo fonico del sinfonismo di Haydn, di Mozart e del primo Beethoven. Orchestra ancora da camera in un certo senso, perché creatasi nei saloni principeschi per progressivo ingrandimento dell'antica piccola orchestra di corte; ma orchestra ormai perfettamente equilibrata e capace di bastare a sale pubbliche di dimensioni assai più vaste che non gli antichi ambienti dei palazzi sei-settecenteschi.

La grande orchestra drammatica e sinfonica. - Con il '700 fanno a loro volta ingresso in orchestra i tromboni (già noti alla fine del'300 e già adoperati, come si è visto, da Monteverdi nell'Orfeo). Essi trovano il loro impiego legittimo e naturale nelle partiture di Gluck e di W. A. Mozart. Nella sinfonia vengono inaugurati da L. v. Beethoven (sinfonie nn. 5, 6 e 9). E insieme con questi strumenti, Beethoven introduce nell'organico sinfonico classico anche l'ottavino e il contrafagotto.

Dal 1830 in poi l'orchestra teatrale e quella sinfonica, le quali sino a Beethoven e K. M. v. Weber si potevano considerare identiche, si dividono nettamente. Mentre nella scuola romantica (F. Schubert, F. Mendelssohn, R. Schumann, F. Liszt, ecc.) i compositori rimangono fedeli all'organico beethoveniano, l'orchestra da teatro, facendo proprie le recenti conquiste degli ottoni cromatici (nel 1815 si era applicato al corno e alla tromba il primo meccanismo di due pistoni, portato poi a tre nel 1830), si crea una fisionomia speciale e raggiunge effetti orchestrali sino allora non solo sconosciuti, ma impensabili persino per gli antichi maestri. Questa rivoluzione strumentale fu opera dapprima di H. Berlioz e di G. Meyerbeer, e trovò quindi un formidabile ulteriore sviluppo con R. Wagner, il quale portò l'effettivo orchestrale a un quantitativo che doveva essere superato solamente da R. Strauss, G. Mahler e A. Schönberg.

Innovazione prima ed essenziale di Berlioz (e anche di Meyerbeer) fu quella d'avere infinitamente accresciuta la partecipazione degli ottoni, i quali, da accessorî che erano nella vecchia orchestra, giungevano di colpo ad eguaglianza con gli strumentini e con gli archi. I medesimi compositori poi introducevano stabilmente in orchestra le arpe e cominciavano a impiegare con frequenza il corno inglese. Con Meyerbeer (e più precisamente negli Ugonotti) appare in orchestra a sua volta il clarinetto-basso (inventato da Adolphe Sax). Innovazioni tutte di tale importanza, di così considerevole portata, da influire persino sul Rossini del Guglielmo Tell. Ma solamente con R. Wagner il nuovo materiale strumentale francese trova il suo pieno sviluppo razionale, determinato da uno stile drammatico-musicale, basato essenzialmente sul cromatismo e sulla modulazione. E così, dopo il primo periodo del Lohengrin, attraverso il Tristano e Isotta, Wagner giunge a costituire il colossale organismo strumentale della Tetralogia. Un ultimo e decisivo contributo a questa formazione era stato recato da A. Sax con la sua invenzione del saxhorn o basso-tuba (1845), la quale pose a disposizione di Wagner un nuovo gruppo di strumenti, che pareva fatto appositamente per associarsi, nell'effetto subito dalla sensibilità nostra, con le figure eroico-mitiche della saga nordica.

Dopo Wagner l'orchestra drammatica di enormi dimensioni trova ulteriori usi e sviluppi nella scuola tedesca, attraverso l'arte di Strauss, di Mahler e dello Schönberg dei Gurrelieder. Ma è da notarsi che, mentre la scuola germanica (ad eccezione di J. Brahms) perseguiva questa orchestrale "corsa agli armamenti" (la quale doveva terminare bruscamente dopo il Sacre du Printemps [1913] di I. Stravinskij, le scuole italiana, russa (gruppo cosiddetto dei cinque e P. Čajkovskij), e francese (C. Saint-Saëns, C. Franck, C. Debussy, P. Dukas, ecc.) rimanevano in linea generale fedeli all'organico beethoveniano, accrescendo di poche unità l'orchestra della sinfonia, e ricercando, anziché effetti di massa e di numero, maggiori raffinatezze nel senso del timbro puro. E dopo la guerra si è delineato dapprima - favorito dalle momentanee condizioni sociali ed economiche - un ritorno deciso all'orchestra da camera e persino al piccolo complesso settecentesco di tipo mozartiano. In pochi anni si è vista apparire in Europa tutta una letteratura musicale del genere, la quale comprende non pochi lavori di alto valore. Mentre questo avveniva, l'orchestra di tipo wagneriano scompariva del tutto dall'uso corrente, e l'organico normale ritornava a essere press'a poco lo stesso al quale erano rimasti fedeli già nell'ultimo Ottocento i compositori italiani, russi (a eccezione dello Stravinskij del Sacre), francesi (a eccezione di Berlioz) e tedeschi non-wagneriani.

Si può insomma affermare che gli strumenti sostanziali dell'orchestra non sono mutati durante l'intero Ottocento e nemmeno nel primo Novecento. Le uniche modificazioni e arricchimenti recati all'orchestra teatrale e sinfonica sono il perfezionamento dei pistoni applicati ai corni e alle trombe, e le varie invenzioni di A. Sax: clarinetto-basso e saxhorn, alle quali si può oggi aggiungere il saxofono il quale, inventato dallo stesso Sax verso il 1840, non trovava per lunghissimi anni applicazione - all'infuori delle bande militari - che in qualche rarissimo caso isolato, come l'assolo dell'Arlesienne di G. Bizet oppure la Sinfonia domestica di R. Strauss, e doveva attendere l'avvento di quella singolarissima arte musicale che va oggi sotto il nome di jazz (v.) per incontrare una fortuna improvvisa e senza precedenti. Un altro arricchimento dell'orchestra post-beethoveniana, che ha assunto dal 1900 al 1930 circa proporzioni anche troppo ampie, è quello della percussione. Limitato questo uso, nei primi anni dell'Ottocento, al classico paio di piatti, inseparabili dalla grancassa, al quale si aggiungeva il triangolo e, parecchi anni dopo, il tamburo militare, il reparto degli strumenti a percussione assunse verso il 1890 un fortissimo sviluppo, ad opera specialmente delle scuole francese e russa. In breve volgere di anni s'introdussero così nell'orchestra campanelli (Glockenspiel), campane di ogni genere (comprese le Herdenglöcken di Mahler), xilofono, wood-block (tavolette), tam-tam, castagnette, tamburo basco, raganella, guero e persino frusta, incudine e clakson. Tale accrescimento, dopo aver raggiunto altezze anormali di partiture come quella dell'italo-franco-americano Edgar Varèse (in talune delle sue musiche si contano sino a cinquanta strumenti diversi di percussione), tende però da qualche anno ad attenuarsi fortemente. A ogni modo si può ora affermare che l'era dell'effettivo pesante di tipo wagneriano sia finita e che l'orchestra ritorni al suo punto di partenza, che ebbe un carattere puramente cameristico, nel quale gli effetti strumentali si cercavano nella qualità dei timbri e dei loro contrasti anziché in una sterile e pletorica accumulazione di forti gruppi, destinati finalmente a nuocersi a vicenda, in virtù della legge che tanto maggiori sono resi i contrasti quanto più sobrio si mantiene il loro uso.

Celebri orchestre passate e presenti. - In Germania, la più antica e famosa orchestra è quella del Gewandhaus di Lipsia, che ebbe F. Mendelssohn e A. Nikisch fra i suoi maggiori direttori, e che s'inaugurò il 25 novembre 1781. Accanto a quella va ricordata come una delle migliori europee il Philharmonisches Orchester di Berlino, fondato nel 1882, e già diretto da Wilhelm Furtwängler, succeduto nel 1922 a Nikisch. In Austria gode di altissima fama il Philharmonisches Orchester, già diretto da Clemens Krauss. In Inghilterra la più antica orchestra è quella della Royal Philharmonic Society (fondata nel 1813), la quale però negli ultimi anni ha incontrato serie difficoltà di esistenza. Invece, in tempi recenti, la B.B.C. (British Broadcasting Company), ha saputo organizzare - e mantiene in vita ancor più intensa - un'orchestra composta di 110 elementi di primissimo ordine. In Francia la celebre orchestra del Conservatorio, fondata nel 1828 da Habeneck, ha svolto da quel giorno un'attività ininterrotta, facendo opera di alta cultura musicale in favore della migliore musica sinfonica francese e straniera. È oggi diretta da Philippe Gaubert. Quanto all'Olanda, è a tutti nota l'istituzione diretta da Willem Mengelberg: il Concertgebouw, la cui orchestra conta fra le prime del mondo. Nel Belgio va ricordata l'orchestra dell'Institut Belge de Radio-diffusion, la quale serve anche per i Concerts Populaires. In Spagna si trova l'Orquesta sinfonica di Madrid, diretta da Enrique Arbos, e l'Orquesta Pablo Casals, fondata e diretta dal violoncellista del quale ha preso il nome. Molte ed eccellenti per qualità sono le orchestre nord-americane; vanno menzionate in prima linea la New York Philharmonic Orchestra, che diede il suo primo concerto nel 1842, e che è stata diretta negli ultimi anni da Arturo Toscanini; la Boston Symphony Orchestra, fondata nel 1881 e diretta attualmente da S. Kussevickij; la Chicago Symphony Orchestra, fondata nel 1869 da Theodore Thomas e diretta sin dal 1905 da Frederick Stock; la Philadelphia Symphony Orchestra, fondata nel 1900 e diretta dal 1912 ad oggi da Leopold Stokowski; la Cincinnati Symphony Orchestra, fondata nel 1895, diretta presentemente da Eugène Goossens. Accanto a queste principali lavorano ancora parecchie altre orchestre negli Stati Uniti, essendovi oggi assai diffusa la cultura sinfonica e avendo fatto il pubblico americano grandi progressi.

In Italia, la principale orchestra sinfonica è quella dell'Augusteo di Roma, che diede il suo primo concerto nell'antico mausoleo imperiale il 16 febbraio 1908 sotto la direzione di Giuseppe Martucci ed è ora diretta da Bernardino Molinari.

Accanto a questa grande e benemerita istituzione vanno ricordate l'orchestra del Teatro alla Scala di Milano, la quale continua nel campo teatrale e in quello sinfonico un'antica e illustre tradizione; l'Orchestra stabile fiorentina, che conta pochi anni di vita, ma ha già saputo, sotto la guida del suo fondatore e direttore Vittorio Gui, conquistarsi un buon posto tra le orchestre italiane.

Si ricordano anche le orchestre romana e torinese dell'E.I.A.R. Altre orchestre vivono di vita intermittente a Milano, Napoli, Bologna, Trieste, Venezia, ecc.

Direzione d'orchestra e grandi direttori. - L'utilità (che fino ad ora fu senz'altro necessità) di dare una guida ritmica ed espressiva a una massa di esecutori strumentali e vocali fu riconosciuta sin dall'antichità, né mancano le testimonianze dell'esistenza di questi musici "coordinatori" (e verosimilmente anche concertatori) in documenti di varie civiltà. In tempi a noi più prossimi vi sono già chiari accenni alla funzione del direttore nella Prattica di musica di L. Zacconi (1592), per quanto quella funzione appaia ancora assai ridotta e primitiva. Evidentemente, in quei primi tempi, il compito del maestro di cappella era soprattutto quello d'indicare il tempo e di limitarsi a equilibrare le voci. E l'arte del segnare il tempo doveva essere invero alquanto rozza, se si leggono le cronache dell'ultimo '500 e di tutto il '600, le quali deplorano continuamente il modo di battere il tempo sul leggio con un corpus solidum tanto forte che questo "tuono" (sic) impediva di sentire i cantanti (era anche frequente l'uso di battere il tempo coi piedi!). Né quest'uso doveva essere scomparso assai più tardi, poiché si vede J.-J. Rousseau, nel suo Dictionnaire de musique (1768), elevare fiera protesta contro il direttore dell'Opéra di Parigi, dicendo a sua volta che "le bruit insupportable de son bâton couvre et amortit tout l'effet de la symphonie". Però va ammesso che durante il '600 e soprattutto il '700 la cultura dei direttori fosse intanto assai migliorata. Essi divennero sempre più dotti, sino a quando la direzione d'orchestra (nel '700) venne praticamente assunta dai compositori. Furono così direttori J. S. Bach, G. F. Haendel, L. Leo, N. Piccinni, N. Jommelli, B. Galuppi, ecc. Ma solamente nell'Ottocento si forma la vera e propria arte direttoriale moderna nella quale il direttore cessa di essere anche esecutore (al cembalo) e assume la sua definitiva figura di musicista che non solo concerta e coordina l'insieme ritmico dell'orchestra, ma trasmette a quella la sua interpretazione a mezzo unicamente di gesti, facendo così del direttore un insieme di attore e musicista.

La tecnica del direttore d'orchestra si divide in ritmica ed espressiva. La prima è essenzialmente affidata al braccio destro, il quale segna il ritmo, disegnando mediante gesti convenuti (che sono oggi presso che identici in tutto il mondo) le divisioni della battuta. Il braccio sinistro invece ha funzioni quasi esclusivamente espressive e quindi indipendenti dall'altro. Il fatto che il direttore debba essere un mimo oltre che un musicista significa che sono importantissime per quell'arte determinate e speciali qualità fisiche. È evidente che una buona tecnica ritmica non basta a fare un grande direttore, al quale occorrono anche ben altre virtù musicali: R. Wagner divideva infatti i direttori d'orchestra in due categorie: quelli che assicurano semplicemente il buon procedimento ritmico, e quelli invece che sanno rendere ciò che egli chiamava il melos della musica (cioè il complesso lineare dei sentimenti varî che costituiscono nella loro successione il vero contenuto dell'opera d'arte musicale). Nei primi tempi dell'arte direttoriale dell'800 era ancora in uso il ritmo rigido e privo di ogni elasticità, e Mendelssohn stesso aborriva ogni libertà ritmica. Fu Wagner a rivendicare all'esecuzione orchestrale le medesime libertà espressive del solista, quell'ondeggiare, cioè, che si chiama tempo rubato e che oggi è divenuto possibilità corrente di qualsiasi orchestra anche non di prim'ordine.

Negli ultimi vent'anni la tecnica direttoriale ha subito nuove modificazioni, in conseguenza dello straordinario sviluppo, nelle composizioni contemporanee, dei cambiamenti di ritmo, per opera principalmente di Igor Stravinskij, il quale introdusse sin da Petrouchka, e sviluppò quindi nel Sacre du Printemps (1913) a un grado imprevedibile, un'incessante mutabilità di ritmi. Di fronte a questa nuova ritmica, è evidente che la vecchia tecnica direttoriale, frutto di esperienze secolari, è vero, ma basate sempre sulla invariabilità del ritmo, doveva necessariamente subire forti modificazioni. In molti casi si è già creata ed è oggi di uso corrente una nuova mimica, non più basata sulla rappresentazione spaziale della divisione della battuta, ma fondata invece sul giuoco sintetico e relativo dei varî gruppi ritmici, giungendo così talvolta a segnare levato ciò che con l'antica tecnica si darebbe invece in battere. Un'altra innovazione recente è quella del dirigere senza bacchetta, usanza introdotta per la prima volta dal russo V. I. Safonov (1852-1918), e oggi adottata da varî celebri direttori, tra i quali Fritz Reiner e Hermann Scherchen.

Fra i maggiori direttori del sec. XIX, possiamo citare in Italia: G. Spontini, A. Mariani, F. Faccio, C. Pedrotti, L. Mancinelli, G. Martucci, E. Pinelli; in Francia: H. Berlioz, F. A. Habeneck, J. Pasdeloup, E. Colonne, C. Lamoureux; in Germania ed Austria-Ungheria: L. Spohr, K. M. Weber, H. Marschner, F. Mendelssohn,O. Nicolai, J. Meyerbeer, F. Liszt, R. Wagner, H. von Būlow, H. Richter, Herm. Levi, F. Motta, A. Nikisch. Fra i maggiori direttori viventi ricorderemo in Italia: A. Toscanini, T. Serafin, B. Molinari, A. Guarnieri, V. Gui, V. de Sabata, E. Panizza, E. Vitale, G. Marinuzzi, e tra i giovani Willy Ferrero, M. Rossi e F. Previtali; in Germania ed Austria: W. Furtwängler, E. Kleiber, B. Walter, O. Klemperer, H. Scherchen; in Inghilterra: sir H. Wood e A. Coates; in Francia: P. Monteux; in Olanda: W. Mengelberg; in Cecoslovacchia: V. Talič; in Svizzera: E. Ansermet e Volkmar Andreae; in Spagna: E. Arbós e P. Casals; in Grecia: D. Mitropulos; in America: L. Stokowski, S. Kussevickij, F. Reiner, E. Goossens.

Non possiamo qui dimenticare di accennare a un curiosissimo tentativo artistico: quello dell'orchestra Persymphans, la quale si è fondata a Mosca dopo la rivoluzione e che, prima al mondo, ha soppresso il direttore, trasportando su un piano numerico assai superiore la tecnica della musica da camera. Certo, se le esecuzioni tecnicamente perfette di quest'orchestra hanno raggiunto lo scopo di dimostrare che il livello attuale delle orchestre permette loro di fare a meno del direttore, quando questi non sia una vera personalità artistica, non si può dire però che quelle esecuzioni siano tali da far ritenere definitivamente dimostrata l'inutilità del vero direttore, animatore dell'orchestra.

L'orchestra jazz. - L'orchestra jazzistica (v. jazz) si esprime per mezzo di complessi di piccola dimensione, comprendenti dai 6 ai 25 esecutori circa. L'organico si divide invariabilmente in due sezioni: quella ritmica, che comprende il pianoforte, la batteria, il banjo (v.) e il contrabbasso; e un'altra sezione, melodica, la quale si suddivide a sua volta in tre sottosezioni: saxofoni (generalmente tre, i cui esecutori non di rado alternano col clarinetto), trombe (quasi sempre anche tre), e tromboni (due più spesso che tre). Trombe e tromboni suonano invariabilmente con la sordina. Sotto apparenze puramente pratiche, vale a dire presentandosi sempre come un'arte destinata e limitata all'uso della danza, questa musica negro-americana ha avuto però fortissime ripercussioni nel campo della musica sinfonica e da camera. Anzitutto la tecnica degli ottoni è stata radicalmente trasformata, facendo acquistare alla tromba e al trombone un'agilità e un carattere che nessun compositore dell'Ottocento avrebbe mai osato intravvedere. Il larghissimo uso del saxofono, poi, ha dimostrato quanto considerevoli fossero le possibilità di questo strumento, che nessun compositore aveva preso sul serio durante il periodo 1840-1909. Infine il jazz ha moltissimo giovato, durante il ventennio 1914-34, a restituire ai compositori il senso di un'orchestra priva di raddoppî e basata unicamente su timbri puri ed elementari. In questo senso l'influenza del jazz è stata grandissima, e ha contribuito non poco all'evoluzione delle masse verso una dimestichezza con alcune sonorità moderne, che senza il popolarissimo jazz sarebbero rimaste per lunghi anni ancora sgradite all'orecchio comune.

Celebri sono le orchestre Paul Whiteman, Jack Hylton (nel genere più raffinato e tendenzialmente sinfonico), Duke Ellington (nel recente genere Jazz-Hot, d'indole più rude e libera da influenze culturali europee), M. Ted Lewis, Leo Reisman, ecc.