OROGENESI

Enciclopedia Italiana (1935)

OROGENESI (dal gr. ὄρος "monte" e γένεσις "origine"

Michele Gortani

È termine usato nel linguaggio geologico per designare soprattutto il sorgere delle grandi catene montuose a pieghe, in seguito a intense compressioni laterali e a spinte dal basso in alto; a differenza dei movimenti di epeirogenesi, cioè di semplice sollevamento delle zolle continentali o di parti estese di esse. Ma poiché spesso i due ordini di fenomeni si associano, e poiché sono anche collegati dalla categoria intermedia dei rilievi tabulari, dovuti soltanto a spinte verticali, così sovente il termine di orogenesi si suol estendere a tutto il complesso dei fenomeni endogeni che determinano le grandi linee del rilievo terrestre (e non soltanto continentale, ma anche sottomarino, quando si tratti di corrugamenti analoghi a quelli delle catene emerse). Le cause di tali fenomeni, a cui si associano di consueto anche intrusioni di magmi e un attivo vulcanismo, sono estremamente oscure. Una lunga serie di ipotesi e teorie, escogitate per darne una spiegazione, ha bensì permesso di mettere in luce fatti importanti, ma dimostra altresì quanto il problema sia complesso e lontano ancora dalla soluzione.

Le catene a pieghe rappresentano corrugamenti degli strati sedimentarî avvenuti in determinate zone e in determinati periodi separati da lunghissimi intervalli di assoluta o relativa quiete. Il corrugamento più recente (e forse più grandioso) fu quello che i geologi chiamano "alpino", compiutosi durante l'era terziaria e al quale sono dovute tutte le grandi catene montuose e le ghirlande insulari attuali, distribuite su due grandi zone o cinture: l'una circumpacifica (corrispondente cioè alla zona costiera del Grande Oceano), l'altra detta dei Mediterranei e comprendente i paesi mediterranei americani (Antille) ed europei-africani (incluse le Alpi), l'Asia anteriore e centrale e le Indie Orientali. Per trovare un altro grande corrugamento dobbiamo risalire fino al Paleozoico superiore, cioè all'orogenesi "varisco-ercinica", che si svolse per una minor parte in zone coincidenti con quelle destinate a piegarsi di nuovo nel Terziario (come p. es. le Alpi), e per una maggior parte in zone a queste adiacenti (come l'Europa media, l'Asia centrale a nord del Karakorum, il margine orientale dell'Australia) o con esse confluenti (come la zona degli Appalachiani). Un corrugamento più antico ebbe luogo nel Paleozoico inferiore (alla fine del Silurico) e interessò parte dell'Europa media e settentrionale, dell'Asia centro-settentrionale, dell'America nord-orientale; è questa la cosiddetta orogenesi "caledoniana". Essa fu preceduta da almeno altre due, che si ebbero nei periodi anteriori al Cambrico nelle zone corrispondenti ai massicci continentali antichi. Nell'insieme, le rughe si son venute manifestando in zone via via più esterne, ciascun corrugamento aggiungendo nuove terre e nuovi rilievi a quelli precedenti. Le pieghe sono in generale dissimmetriche e inclinate o rovesciate; talora, come in una parte delle Alpi, coricate, fagliate e protese per amplissimi tratti, sovrapponendosi le une alle altre (falde o coltri di carreggiamento).

Premesse queste nozioni fondamentali, risulta evidente che una teoria orogenetica, per poter essere accettabile, deve dare ragione di tutte le suaccennate circostanze di fatto. Che nessuna sia tale, emerge da una rapida rassegna delle più accreditate fra esse.

Si è cercata una spiegazione in forze estranee alla Terra, quali l'attrito di marea e lo spostamento dei poli. L'attrito di marea (ossia l'azione ritardatrice che l'attrito interno delle masse ingenera sul loro spostamento per l'attrazione luni-solare) tende a rallentare la velocità di rotazione della Terra, con conseguente diminuzione della forza centrifuga e dello schiacciamento del geoide; ammesso uno schiacciamento iniziale assai maggiore dell'attuale, il progressivo mutare delle condizioni d'equilibrio avrebbe indotto deformazioni della crosta e spostamenti tangenziali in direzione dei poli, con pressioni più intense nel senso dei paralleli fra le latitudini 35° e 55°, e con rughe anche nel senso dei meridiani per le parti sospinte verso latitudini più elevate e perciò costrette ad adattarsi in una superficie minore. Ma l'ipotesi non spiega la discontinuità dell'orogenesi, e non dà ragione del corrugamento terziario, compiutosi quando le condizioni del geoide erano pressoché identiche alle attuali; mentre per i tempi paleozoici le nozioni geologiche si oppongono al concetto di uno schiacciamento assai notevole del globo terrestre. E, in ogni caso, la causa invocata sarebbe sproporzionata agli effetti.

Lo spostamento dei poli terrestri di rotazione farebbe certo sviluppare tutta una serie di forze traslatrici, inerenti sia alla diversa posizione dei singoli elementi della crosta, sia allo spostarsi del rigonfiamento equatoriale e dello schiacciamento polare. Ma neppure qui si spiega la saltuarietà dell'orogenesi, mentre d'altro canto la possibilità di grandi spostamenti dei poli (che soli sarebbero in grado di produrre effetti notevoli) sembra per lo meno assai discutibile.

L'ipotesi detta dello scivolamento fa invece entrare in gioco la forza di gravità, generalizzando il concetto che potenti masse sedimentarie possano corrugarsi scivolando allorché si siano venute a trovare su di un piano inclinato per effetto di un dislivello iniziale. Ma in tal modo si possono spiegare alcune modalità locali dell'orogenesi, non già la causa di essa; causa che dovrebbe anzitutto generare dislivelli enormi, assai maggiori di quelli risultanti in definitiva dopo formate le catene. Si è tentato in questi ultimissimi anni di riprendere tale ipotesi, supponendo che forze ignote di origine cosmica, turbando l'equilibrio delle masse sul globo, provochino movimenti oscillatorî alternativi di sollevamento e di abbassamento specialmente ai margini dei nuclei continentali, e con ciò corrugamenti per scivolamento di masse dai fianchi delle aree d'intumescenza, e successivo sollevamento delle masse pieghettate così discese nelle aree depresse; ma a questa ipotesi oscillatoria manca così la base teorica, come la rispondenza alle caratteristiche generali dell'orogenesi.

Maggior valore ha la teoria isostatica. Si è dato il nome d' isostasi alla condizione di equilibrio (analogo all'idrostatico) che regola la posizione delle masse litoidi della crosta terrestre, gravanti su un substrato cedevole più denso di esse. L'erosione alleggerisce le zolle continentali e sopraccarica le zone costiere in cui i sedimenti si accumulano: le prime tendono a sollevarsi e le seconde ad abbassarsi, per ristabilire l'equilibrio. In tali movimenti si svilupperebbe una forte spinta tangenziale verso terra, come conseguenza degli spostamenti profondi di masse dal substrato della zona deprimentesi al substrato della zona sollevantesi. Anche ammesso il principio (che non è senza contrasti), l'ipotesi si rivela tuttavia estremamente insufficiente; sia perché non è in grado di spiegare la saltuarietà dell'orogenesi, né la contemporaneità dei grandi corrugamenti su tutta la Terra; sia per l'evidente sproporzione tra la possibile spinta verso terra e le formidabili energie capaci di corrugare in catene a pieghe gli enormi spessori delle masse sedimentarie; sia per la necessità di postulare una causa deformatrice primaria e per le speciali caratteristiche di struttura e di disposizione delle principali catene.

Conviene dunque cercare una spiegazione dell'orogenesi nelle forze interne del globo. Già ci si era pensato nell'infanzia della geologia; e una delle prime ipotesi formulate, quella della salienza dei magmi, fu anche recentemente ripresa non solo per spiegare determinate intumescenze, ma anche per dare ragione di notevoli sollevamenti di masse e perfino di pressioni laterali mercé la forza divaricatrice delle intrusioni: è superfluo aggiungere che tali idee non possono avere se non una portata e un'applicazione locale, mentre a esse sfugge il problema fondamentale. Altrettanto vale per la cosiddetta ipotesi dell'espansione, fondata sull'aumento di volume provocato dal lento ristabilirsi dell'equilibrio termico nelle parti profonde dei geosinclinali (ossia, in altre parole, dal riscaldamento dei sedimenti profondi, a misura che l'abbassarsi del fondo sotto il loro peso li trascina in zone dove regna una più elevata temperatura): anche accettato il principio, le conseguenze non potrebbero essere che modestissime.

Ha invece portata generale, ed ebbe grande fortuna, la teoria della contrazione, che interpreta la formazione delle catene come un raggrinzamento progressivo della crosta terrestre solida per mantenersi aderente al nucleo, supposto in via di progressiva contrazione per raffreddamento. Teoria accettata soprattutto perché capace di spiegare in modo semplice molti fatti, suscettibile di spiegarne altri con l'innesto d'ipotesi complementari, e atta a essere modificata in armonia col progresso degli studî. La principale di tali modificazioni si ebbe recentemente. Che il raffreddamento dovesse implicare una contrazione del nucleo, era apparso molto problematico quando si determinarono meglio le leggi che regolano il passaggio dei corpi dallo stato fluido allo stato solido sotto forti pressioni, e quando si pose mente al modo in cui il raffreddamento dovrebbe procedere: non mancò chi, in base a tali considerazioni, ritenne di dovere ammettere un aumento di volume nel passaggio dei magmi profondi allo stato cristallino, con spostamenti colossali di masse di cui i corrugamenti sarebbero una ripercussione. Ma la contrazione per causa termica dovette essere definitivamente abbandonata dopo la constatazione che la quantità di calore prodotta dalla disintegrazione delle sostanze radioattive contenute nelle zolle continentali è sufficiente a compensare per intero la quantità di calore che la Terra perde per irradiazione. Si è allora pensato a una contrazione nucleare per progrediente condensazione della materia, quale seguito dell'evoluzione della Terra come corpo celeste, ovvero per processi intratellurici di carattere termodinamico; e la teoria della contrazione, così modificata, conta numerosi fautori. Ma essa non sembra invece accettabile, a molti altri, per tutta una serie di ragioni: essa è in contrasto con la saltuarietà dell'orogenesi, con la localizzazione delle zone orogeniche, con l'intensità forse insuperata dell'ultimo corrugamento, con l'inclinazione delle pieghe e la direzione delle spinte; richiede, onde spiegare il corrugamento di fasce relativamente strettissime, la trasmissione delle pressioni attraverso le zolle continentali e suboceaniche, in modo da far attribuire loro una rigidità veramente inconcepibile; è incapace di spiegare le grandi fratture disgiuntive, la struttura delle catene a falde di carreggiamento, i fenomeni epirogenici e in genere tutti i veri e proprî sollevamenti; e infine è in netta antitesi con il principio isostatico (che ormai sembra assodato) e con l'assoluta mancanza di qualsiasi indizio che durante i tempi geologici si sia accelerata la rotazione terrestre, come conseguenza necessaria della progrediente diminuzione del raggio del pianeta.

Calcolatosi che le zolle continentali (essenzialmente granitiche, e supposte con tenore costante di minerali radioattivi per tutto il loro spessore valutato da 20 a 30 km.) bastino a compensare, mercé il calore di disintegrazione, la quantità di calore che la Terra irradia negli spazî (pari a 52 piccole calorie per cmq. all'anno), si è pensato che le masse basiche sottostanti debbano pure contenere sostanze radioattive il cui calore di disintegrazione si accumulerà in sito e potrà finire col provocare a un certo momento la fusione della roccia basica (il cui punto di fusione è più basso di quello dei graniti). Diminuendo, con la fusione, la densità del substrato, le zolle continentali vi si dovranno immergere di più, abbassandosi e dando adito a estese trasgressioni marine sulla loro superficie. Correnti magmatiche tenderanno a ristabilire l'equilibrio termico fra le aree subcontinentali e le suboceaniche e fra le zone più e meno profonde; l'attrazione di marea per l'inerzia delle masse viscoso-fluide finirà con lo sviluppare una componente orizzontale diretta in senso opposto alla rotazione terrestre, e pertanto, spostandosi la crosta solida verso occidente, i fondi oceanici si verranno a trovare sulle aree già. subcontinentali e più calde: per fusione, la crosta si assottiglierà dunque in corrispondenza di essi, lasciando così passare un maggiore flusso di calore. Intensificandosi in tal modo l'irradiazione, e aumentando la perdita di calore anche per le grandi estravasazioni di magmi nelle aree oceaniche, il bilancio termico si viene a trovare in difetto; quindi, nuovo irrigidimento dei magmi e conseguente diminuzione di volume, che implica corrugamento delle parti soprastanti. Il corrugamento si localizzerà nei geosinclinali, perché l'abbondanza di materiale terrigeno più radioattivo trascinato in zone profonde vi si viene a trovare, insieme col suo substrato pure radioattivo, in condizioni termiche meno lontane dal punto di fusione, e perché in coteste fasce costiere è massimo l'urto fra le parti rigide suboceaniche e le zolle continentali. Si noti che anche la deriva verso ponente può aver fatto arricciare il margine continentale che avanza. Ma, col raffreddamento, anche la deriva cessa, mentre le zolle continentali si risollevano per l'aumentata densità del snbstrato che si viene consolidando. Il Joly, autore di questa ipotesi della radioattività, calcola anche la durata di un tale ciclo, che sarebbe all'incirca di 50 milioni di anni; il Holmes la porta a 200 milioni, facendo corrispondere i maggiori corrugamenti (caledoniano, ercinico, alpino) alle fase culminanti dei grandi cicli, e innestando su questi una sovrapposizione di cicli più brevi (dovuti a diversa natura dei materiali subcrostali nelle zone più e meno profonde), a cui sarebbero dovuti i minori diastrofismi intermedî. Ma i geologi sembrano, in generale, molto scettici verso questa costruzione teorica, che lascia troppo largo campo alla fantasia proprio nella sua parte fondamentale, che presuppone una distribuzione delle sostanze radioattive in profondità corrispondente in tutto alla distribuzione nelle rocce superficiali e quindi con ogni probabilità diversa dalla reale, che implica una regolarità di ritmi e in ciascun ritmo un ordine costante di fenomeni non convalidato dalla geologia storica, e che spiega imperfettamente l'orogenesi, mentre non spiega affatto il vulcanismo.

Si fa sempre più strada, invece, il convincimento che il corrugarsi delle fasce orogeniche, relativamente ristrette, e che vengono via via ad aggiungersi agli antichi nuclei continentali, sia prodotto soprattutto dai movimenti delle grandi zolle rigide che fra esse s'interpongono. Che la posizione delle masse continentali non sia fissa, è dimostrato dalla presenza stessa dei corrugamenti: Europa e Asia erano certamente assai più distanti dalle masse africana, indiana e australiana prima che il corrugarsi dell'interposta fascia mediterranea raccorciasse di un migliaio di chilometri tale distanza. Che le zolle continentali si trovino in equilibrio isostatico, quasi galleggianti sul substrato (sia esso effettivamente plastico, come i più ritengono, o elastico) pare anche accertato. Ma oscurissimi rimangono il modo e la causa dei loro movimenti. Le ipotesi emesse a tale riguardo si possono ridurre a due gruppi: correnti magmatiche e movimenti di deriva. Le correnti magmatiche si suppongono causate sia da irregolare distribuzione di masse nel substrato profondo, sia da ripercussione profonda dell'irregolare distribuzione di masse nelle parti superficiali, sia da variazioni di gravità procedenti da fenomeni cosmici; la crosta solida sarebbe come ancorata su di esse e i loro reciproci movimenti porterebbero le zolle rigide ad affrontarsi corrugando le deformabili zone interposte. I movimenti di deriva presuppongono invece un comportamento passivo del magma e una traslazione delle masse continentali sollecitate da impulsi le cui cause si ricercano nella rotazione terrestre, nell'attrazione di marea e in altre forze cosmiche.

In base alle sole correnti magmatiche non si è riusciti a costruire una teoria orogenica vitale o che abbia almeno una qualche fortuna, soprattutto per la difficoltà di spiegare la saltuarietà dei grandi diastrofismi e di prospettare per le correnti un'origine non troppo immaginaria. La deriva dei continenti ha avuto recentemente un periodo di gran voga, per merito soprattutto di A. Wegener, che seppe congegnare una teoria organica, capace di spiegare un gran numero di fatti disparati e di dare impulso, come ipotesi di studio, a una lunga serie di ricerche. Egli sostiene che le sole parti fisicamente solide della litosfera sono quelle cristalline, granitiche (silico-alluminose, sial), formanti le zolle continentali; i fondi oceanici, essenzialmente basaltici (silico-magnesiaci, sima), sono soltanto irrigiditi e si possono considerare come uno stato estremamente viscoso di quello stesso magma viscoso-fluido sul quale galleggiano i continenti, come altrettante immense navi di grande pescaggio. Da principio il sial si doveva estendere più o meno uniformemente sul sima; ma, sotto l'impulso di forze traslatrici, finì per concentrarsi tutto in un emisfero, formando una primitiva grande massa continentale, la "Pangea", ispessita e intensamente pieghettata, unica anche se di tempo in tempo parzialmente coperta da lame di poco profondi mari "epicontinentali". I contorni degli attuali zoccoli continentali permettono dí ricostruirla: le Americhe adiacenti all'Eurafrica (come lo consente il parallelismo delle coste atlantiche), le zolle indiana australiana e antartica raggruppate a oriente immediato del Sud-Africa. Durante il Mesozoico avvenne lo smembramento della Pangea negli attuali continenti, che si andarono lentamente allontanando. I movimenti traslatorî sono duplici: di deriva verso l'equatore e di deriva verso occidente. I primi determinano il corrugamento delle zolle equatoriali, i secondi fanno increspare i margini occidentali delle zolle in moto, cui si oppone la. resistenza del sima estremamente viscoso. I grandi spostamenti di masse alla superficie provocano grandi spostamenti dei poli terrestri di rotazione, e quindi nuovi impulsi traslatorî. Le ghirlande insulari s'interpretano come festoni continentali rimasti indietro nel movimento di deriva. Il vulcanismo rappresenta l'espulsione di masse di sima rimaste intercluse nel sial.

Non ostante il favore con cui geologi e più ancora zoo- e fitogeografi hanno accolto la teoria di Wegener, le critiche serrate a cui essa ha prestato il fianco dimostrano come, se qualche concetto informatore di essa si può ritenere vitale, non si possa invece accettare l'insieme della costruzione. E proprio la spiegazione delle catene a pieghe - costituenti nel complesso un sistema unitario in ciascuna orogenesi - in base a due diversi ordini di fenomeni, è uno dei punti più deboli della teoria; la quale d'altra parte non spiega le orogenesi paleozoiche e non si accorda con la concomitanza dei diastrofismi orogenici in tutti i continenti, con la loro durata relativamente breve e con il loro riaccendersi dopo intervalli lunghissimi. Si è cercato di rimediare a questi difetti innestando sulla teoria di Wegener quella della radioattività, ma senza raggiungere un miglioramento persuasivo.

Di ben altra portata sono i concetti introdotti dall'Argand. Egli ammette il principio delle traslazioni, ma dirette in più sensi, così come lo indica l'esame delle varie direttrici tettoniche; attribuisce i sollevamenti delle masse corrugate antiche e dei geosinclinali pieghettati a una sorta d'incurvamento grandioso del continente che avanza; attribuisce l'origine delle deformabili strisce geosinclinali a stiramenti delle zolle sialiche, il cui assottigliamento nelle zone stirate dà anche facile adito alla salita dei magmi; confessa la nostra ignoranza intorno alle forze traslatrici, ma ammette che vi siano tanto traslazioni proprie delle masse sialiche, quanto derive causate da correnti del sima. Lo Staub a sua volta, dopo avere constatato l'unità di tutto il grandioso sistema orogenico terziario ("alpino") e la grandissima analogia che hanno con esso i sistemi orogenici paleozoici ("ercinico" e "caledoniano"), ne deduce identità e unicità di cause, e fissa queste ultime nell'affrontarsi ripetuto delle masse continentali boreali e australi animate da moto di deriva verso l'equatore. L'orientamento generale delle linee tettoniche è quindi secondo i paralleli, e la deviazione dei corrugamenti circumpacifici è conseguenza della rigidità dell'antico fondo del Grande Oceano. Il ritmo ripetuto dell'orogenesi si spiega ammettendo che la spinta alla deriva verso l'equatore si esaurisca con il corrugamento; forze antagoniste, tendenti a ricondurre l'equilibrio gravemente turbato nelle zone subcrostali, sotto forma di correnti magmatiche trascinano di nuovo verso i poli le masse continentali, riformando nuovi geosinclinali nella zona equatoriale in seguito allo stiramento del sial. In fine anche questa deriva cessa, e il gioco ricomincia. Ma neppure questo ingegnoso artificio, dove la fantasia ha troppo gran parte, dà al problema una soluzione persuasiva. Il moltiplicarsi delle ipotesi è chiaro indice della nostra fondamentale ignoranza. L'uomo non ha mai assistito, né assisterà mai, ad alcuna orogenesi; e probabilmente non riuscirà mai a scoprire come e per quali forze esse abbiano luogo.

Bibl.: K. Andrée, Über die Bedingungen der Gebirgsbildung, Berlino 1914; F. Nölke, Geotektonische Hypothesen, ivi 1924; M. Gortani, Ipotesi e teorie geotettoniche, in Giornale di geologia, Bologna 1928 (questi lavori, e soprattutto l'ultimo, sono corredati da ricchissima bibliografia fino al 1928); A. Wegener, Die Entstehung der Kontinente und Ozeane, 4ª ed., Brunswick 1929; Haarmann, Die Oscillationstheorie, Stoccarda 1930, e discussioni sulla stessa in Zeitschr. deut. Geolog. Ges., Berlino 1931.