RIARIO, Ottaviano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 87 (2016)

RIARIO, Ottaviano

Massimo Giansante

RIARIO, Ottaviano. – Figlio di Girolamo Riario e di Caterina Sforza, nacque a Roma il 1° settembre 1479. Il padre era figlio di Bianca della Rovere e quindi nipote di Francesco della Rovere, papa con il nome di Sisto IV dal 1471.

Interprete di rilievo dei progetti papali in Romagna, Girolamo ottenne dallo zio la signoria di Imola nel 1473 e quella di Forlì nel 1480. Il matrimonio fra Girolamo e Caterina, figlia naturale di Galeazzo Sforza, era stato organizzato dal tesoriere e legato pontificio Pietro Riario, cardinale di San Sisto e fratello di Girolamo, nel gennaio 1473, quando la fanciulla aveva appena dieci anni. Alla morte del padre, Galeazzo, assassinato il 26 dicembre 1476, Caterina lasciò Milano per raggiungere a Roma il marito Girolamo. Qui nacquero i primi tre figli: Bianca nel 1478, Ottaviano, Cesare nel 1480. Dopo la morte di Sisto IV (1484), Girolamo si trasferì con tutta la famiglia a Forlì, di cui era signore già da quattro anni; qui nacquero gli altri suoi figli: Giacomo Livio nel 1484, Galeazzo nel 1485 e Francesco Sforza, detto Sforzino, nel 1487.

Dopo un breve periodo di armonia, i rapporti fra la città e la famiglia signorile peggiorarono rovinosamente, a causa soprattutto di un’insostenibile pressione fiscale, finché, nell’aprile del 1488, Girolamo cadde vittima di una congiura. Con uno stratagemma, Caterina, con Ottaviano e gli altri figli, si rifugiò nella rocca di Ravaldino, il cui custode, Tommaso Feo, era rimasto fedele ai Riario, e qui resistette finché sopraggiunsero a liberarla le truppe milanesi e quelle bolognesi degli alleati Bentivoglio, guidate da Giovanni II in persona (Bonoli, 1661, 18262,II, pp. 242-246). Con l’appoggio dello zio Ludovico il Moro, che aveva tutto l’interesse a limitare l’espansionismo veneziano nell’area romagnola, Caterina recuperò in poche settimane il controllo di Imola e Forlì.

All’età di nove anni, dunque, il primogenito Ottaviano Riario si trovava erede della signoria paterna, anche se sotto la tutela della madre e del capitano Giacomo Feo, fratello di Tommaso. Nel 1489 Caterina avrebbe poi sposato Giacomo, ma in segreto proprio per non perdere quella tutela. La successione fu solennemente celebrata a Forlì il 30 aprile 1488, nella festa di san Mercuriale, patrono cittadino, alla presenza di Giovanni Bentivoglio e di altri alleati di Caterina (Cobelli, 1874, pp. 332 s.). Il 30 luglio successivo, papa Innocenzo VIII confermò il vicariato apostolico di Ottaviano e la tutela della madre, per la quale si fecero garanti alcuni forlivesi eminenti, fra cui Antonio Sassi, Giorgio Castellani, Francesco Talenti, Alberico Denti e altri. Da Imola, dove si trovava da qualche mese, Ottaviano fece il suo ingresso ufficiale a Forlì il 14 novembre 1488 (Bernardi, 1895-1897, I, 1, p. 277). Tutta l’operazione si svolse sotto la supervisione del cardinale Raffaele Sansoni Riario, cugino di Ottaviano, appositamente rientrato da Roma a Forlì.

La situazione interna rimaneva tuttavia assai convulsa e la posizione della signoria piuttosto incerta. Le prime cospirazioni vengono segnalate dai cronisti fra il settembre e il dicembre del 1491 (Bernardi, 1895-1897, I, 1, pp. 324 s.; Cobelli, 1874, p. 352). Nel settembre del 1491, mentre Ottaviano, con Feo e Caterina, si trovava a Imola, il custode del castello di Tossignano organizzò una congiura con la partecipazione di alcuni cittadini imolesi, esponenti del ceto artigianale e mercantile (Cobelli, 1874, p. 353). Scoperti, i congiurati dichiararono la loro intenzione di restituire la signoria a Ottaviano, che a loro parere stava subendo un’usurpazione da parte di Giacomo Feo; immediatamente giudicati e condannati, vennero tradotti nella rocca di Forlì. Più grave la congiura smascherata a Forlì fra il dicembre del 1491 e il gennaio del 1492, ma in atto, a quanto pare, già dalla tarda estate precedente. In questo caso il principale animatore della trama, Giovanni Solombrini, calzolaio di Villanova e partigiano di Antonio Ordelaffi, fu impiccato il 9 dicembre 1491 e rimase esposto sulla forca, a monito collettivo, fino al successivo 3 febbraio (Bernardi, 1895-1897, I, 1, pp. 328 s.). Il suo complice, Giovanni Montanari, fu invece graziato, dopo aver assistito con il cappio al collo al supplizio del compagno (Cobelli, 1874, p. 353).

Proseguiva, nel frattempo, la formazione di Ottaviano, che mise in luce più le sue doti militari che quelle politiche. D’altra parte, nel 1494, dopo un breve tentennamento, o meglio un insostenibile tentativo di neutralità, Caterina Sforza fu trascinata nella guerra fra Carlo VIII e Alfonso d’Aragona, per il controllo del Regno di Napoli. Verso l’alleanza francese la spingevano Ludovico il Moro, le sue origini familiari e un innegabile debito di fedeltà; sul fronte opposto l’attraeva invece la diplomazia pontificia, che infine prevalse, anche grazie alle sollecitazioni del sempre influente cardinale Riario. L’emergenza militare in cui Forlì fu coinvolta, scendendo in campo al fianco degli Aragonesi, accelerò il percorso del giovane Ottaviano come uomo d’armi. Tuttavia, l’esito contraddittorio della prima fase del conflitto, con l’iniziale, agevole vittoria dell’esercito francese a Napoli e la successiva sconfitta di Fornovo (luglio 1495), consigliò di nuovo ai Riario un atteggiamento di equilibrio fra le parti.

Sul piano interno intanto, si era rafforzata la posizione di Giacomo Feo, nominato da Caterina governatore generale di Forlì, ma la sua ascesa fu stroncata da un’ennesima congiura, cui probabilmente non era estraneo neppure il giovane Ottaviano, quantomeno al corrente della trama. Il 27 agosto 1495 Feo cadde vittima di un agguato, teso da alcuni suoi compagni d’arme; Ottaviano e la madre, anch’essi presenti all’aggressione, ne uscirono illesi (Bonoli, 1661, II, pp. 274 s.). I responsabili, che si proclamavano seguaci devoti della signoria, furono immediatamente giustiziati per volontà di Caterina, che tributò poi a Giacomo solenni esequie e fece costruire in suo onore un sontuoso monumento funebre all’interno della rocca (Bernardi, 1895-1897, I, 2, pp. 97 s.; Cobelli, 1874, pp. 384 s.).

Gli esiti successivi della guerra in corso ricondussero Forlì agli antichi legami con Milano e consentirono finalmente a Ottaviano di mettere alla prova la sua vocazione militare. Abbandonata nel 1498 l’alleanza con Venezia, Ludovico il Moro era passato a sostenere Firenze nelle sue ambizioni su Pisa, a sua volta difesa dalle truppe veneziane. Nel nuovo scacchiere furono coinvolti anche i Riario: Ottaviano, prima acconsentì al nuovo matrimonio della madre, il terzo, con Giovanni de’ Medici, da cui nacque il 6 aprile 1498 Ludovico (il futuro Giovanni dalle Bande Nere), poi scese in campo, nel giugno del 1498, al fianco dei fiorentini, guidando 150 lance e 100 balestrieri nella guerra contro Pisa (Bonoli, 1661, II, p. 280). L’intervento, che contrastava, in questo caso, con le indicazioni del cugino cardinale Raffaele e con la volontà di papa Alessandro VI, fu giudicato dai cronisti cittadini una scelta nefasta per Forlì e anzi, nel racconto di Cobelli, viene individuato come la vera origine delle sue disgrazie, preannunciate del resto da segni astrali, a suo giudizio inequivocabili (Cobelli, 1874, pp. 414-416).

In effetti Ottaviano dimostrò in quelle circostanze doti militari non disprezzabili, ma l’esito del conflitto si stava decidendo su uno scenario internazionale, fra Milano, la Francia, Venezia e papa Alessandro VI, che trascendeva totalmente il suo raggio d’azione. Tuttavia, nel momento più drammatico dello scontro, quando, nel novembre del 1499, l’esercito del Valentino puntò con decisione su Imola e Forlì, Ottaviano e la madre si diedero a organizzare la difesa, disponendosi a resistere all’assedio. Caduta Imola l’11 dicembre, Caterina si asserragliò a Forlì, nella rocca di Schiavonia, e si oppose strenuamente agli assedianti per tre settimane. Furono combattimenti sanguinosi, con numerosi morti su entrambi i fronti (Bonoli, 1661, II, p. 298). Nel gennaio del 1500, infine, caduto l’ultimo baluardo dei Riario, l’esercito del Valentino si diede al saccheggio della città. Caterina fu condotta a Roma, come preziosa preda di guerra, e custodita in Castel S. Angelo fino al 1501; Ottaviano e il fratello Cesare, riusciti invece a sfuggire alla cattura, si rifugiarono a Firenze, dove anche Caterina trascorse poi gli ultimi anni di vita.

Del periodo fiorentino di Ottaviano non sappiamo praticamente nulla, pochissimo anche degli anni seguenti. Certamente l’elezione al pontificato di Giuliano della Rovere (Giulio II), nel novembre del 1503, aveva riacceso le sue speranze. Legato a Ottaviano da vincoli di parentela, ma soprattutto fiero avversario della politica di Alessandro VI, Giulio II incoraggiò l’azione di riconquista dei Riario. A pochi giorni dall’elezione del nuovo papa, Ottaviano si presentò dunque alla rocca di Imola con un esercito di 2000 uomini, fornito dall’alleato Bentivoglio, e con il sostegno del cardinale Ascanio Sforza e del cugino Raffaele. L’impresa fallì miseramente: né la rocca imolese, né le altre della zona accettarono di aprirgli le porte. Le aprirono invece, nel gennaio del 1504, al fratello minore di Ottaviano, Galeazzo. Forte della parentela diretta che lo legava a papa Giulio II, del quale aveva sposato la nipote Maria Sista della Rovere, Galeazzo acquistò la rocca imolese dal suo castellano, Simoncello da Bologna, e prese possesso della città (Mancini, 1979, I, pp. 94 s.). Un possesso effimero, tuttavia, contrastato immediatamente dai rivali Sassatelli e poi vanificato dalla volontà di Giulio II, che il 4 novembre 1504 dichiarò il ritorno definitivo di Imola alle dirette dipendenze della S. Sede.

Per Ottaviano, che usciva malinconicamente dalla scena politica romagnola, si andava concretizzando nel frattempo un mutamento di orizzonti e di vocazione, tutt’altro che insolito in quel periodo e per quel ceto sociale: abbandonata la vita militare, il 16 settembre 1506 venne nominato vescovo di Viterbo, succedendo in quella carica al cugino Raffaele, amministratore apostolico della chiesa viterbese dal 1498 al 1506, appunto, quando aveva dato le dimissioni (Eubel, 19242, p. 335). Alla guida della diocesi viterbese Ottaviano rimase fino alla morte, avvenuta il 6 ottobre 1523, contribuendo in maniera non trascurabile, secondo una consolidata tradizione familiare, al rinnovamento architettonico e urbanistico della città, intervenendo sul palazzo Riario di via della Torre, fra i più caratteristici edifici viterbesi del Quattrocento, e anche sulla tenuta di Bagnaia, già fortificata da Raffaele e in seguito da lui arricchita di una palazzina da caccia (Scriattoli, 1915-1920, pp. 248 s.).

Fonti e Bibl.: P. Bonoli, Istoria della città di Forlì, I-II, Forlì 1661, 18262; L. Cobelli, Cronache forlivesi, dalla fondazione della città sino all’anno 1498, a cura di G. Carducci - E. Frati, Bologna 1874; A. Bernardi, Cronache forlivesi, dal 1476 al 1517, a cura di G. Mazzatinti, I-II, Bologna 1895-1897; A. Scriattoli, Viterbo nei suoi monumenti, Roma 1915-1920; C. Eubel, Hierarchia Catholica medii aevi, a cura di L. Schmitz-Kallenberg, III, Münster 19242; F. Mancini, Urbanistica rinascimentale a Imola da Girolamo Riario a Leonardo da Vinci, I-II, Imola 1979; P. Mettica, La società forlivese del Quattrocento dalla cronachistica cittadina, Forlì 1983; A. Vasina, L’area emiliana e romagnola, in Comuni e signorie nell’Italia nordorientale e centrale: Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Torino 1987, pp. 361-559; M. Luzzati, Firenze e l’area toscana, ibid., pp. 561-828; Storia di Forlì. Il Medioevo, a cura di A. Vasina, Bologna 1989.

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