PARRAVICINI, Ottavio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 81 (2014)

PARRAVICINI, Ottavio

Stefano Tabacchi

PARRAVICINI (Paravicini, Paravicino), Ottavio. – Nacque a Roma l’11 luglio 1552, figlio di Giovanni Michele e di Lomellina Laudata, di Gaeta. Apparteneva a una famiglia patrizia originaria di Como, che, insediatasi a Roma dalla prima metà del secolo, vi praticava attività mercantili. Il padre, morto nel 1565, era registrato nella corporazione dei mercanti di Ripa, mentre uno zio, Pietro Paolo, medico fisico, era rimasto in Lombardia ed era stato ascritto al patriziato milanese.

Sin dall’infanzia, intorno ai quattro anni, entrò in contatto con l’ambiente che ruotava intorno a san Filippo Neri, amico e conoscente del padre, e con l’oratorio filippino di S. Girolamo della Carità. Ebbe come precettore Cesare Baronio e lo stesso Filippo Neri fu suo confessore, come Parravicini raccontò distesamente nelle deposizioni che rese al processo per la canonizzazione del santo fiorentino. Anche in seguito, rimase fortemente legato all’ambiente oratoriano e in particolare a Baronio e a Francesco Maria Tarugi, che fu suo collega nel collegio cardinalizio.

Mentre il fratello maggiore, Pier Francesco, proseguiva la famiglia, sposando, nel 1577, Giulia Porcari, Ottavio fu avviato alla vita religiosa. È probabile che nella scelta abbiano pesato, oltre a strategie familiari e personali aspirazioni di Parravicini, timori per una salute cagionevole. Giunto alla maggiore età, egli appariva infatti caratterizzato da una deformazione toracica e da una qualche malattia oculare, oltre che da un fisico complessivamente debole.

Dopo un soggiorno in Spagna al seguito del cardinal Antoine de Granvelle (1580-83), il 5 marzo 1584 fu scelto da Gregorio XIII come vescovo di Alessandria. Pur essendo sino allora privo di significative esperienze religiose e pastorali, Parravicini fu ritenuto adeguato a questa importante diocesi proprio a causa della sua contiguità con l’ambiente oratoriano che, in quel giro di anni, costituiva la più innovativa esperienza religiosa romana. Fattosi consacrare da Carlo Borromeo, prese possesso della chiesa nel luglio dello stesso anno e, in settembre, iniziò la sua prima visita pastorale.

Pur rimanendo spesso assente dalla diocesi, avviò un governo episcopale forte, promuovendo diverse innovazioni nella vita pastorale e religiosa e un complessivo ammodernamento delle strutture religiose, grazie all’azione dei suoi vicari Girolamo e Orazio Confalonieri. In particolare, compì importanti lavori di adeguamento della cattedrale, al fine di valorizzare gli oggetti di culto di maggiore rilievo, secondo un programma religioso-pedagogico di carattere tridentino e borromaico, e del vescovato.

Il 19 settembre 1587 fu nominato nunzio in Svizzera, nel quadro di uno sforzo, già tenacemente perseguito da Gregorio XIII, di rafforzare la presenza di rappresentanti pontifici stabili in quell’area.

La realtà politico-religiosa in cui Parravicini fu chiamato a operare era particolarmente difficile, non solo per la frattura confessionale, accentuatasi dopo la formazione nel 1586-87 di una Lega dei cantoni cattolici, ma anche per il complesso mosaico di poteri politici ed ecclesiastici che caratterizzava la Svizzera. Il suo predecessore, Giovambattista Santoni, pur avendo ottenuto notevoli successi nel rafforzamento militare dei cantoni cattolici, era entrato in conflitto con il governo della città di Lucerna, che esercitava diversi poteri sui benefici ecclesiastici locali, e aveva dovuto essere richiamato nell’agosto 1587.

Oltre ad agire come osservatore politico a beneficio della Santa Sede e del granduca di Toscana, Parravicini dovette confrontarsi con le tensioni verificatesi nel cantone di Appenzell, dove la minoranza protestante aveva cercato di affermarsi su una maggioranza cattolica. A seguito di un’assemblea generale dei cantoni (aprile 1588), fu però possibile garantire la preminenza della religione cattolica. Si trattava di un primo, importante successo nell’opera di consolidamento del cattolicesimo nella Svizzera, che fu rafforzato, nel luglio 1590, dalla conversione del margravio Giacomo III di Baden-Hochberg.

Sotto il profilo strettamente religioso, Parravicini promosse la residenza dei vescovi, favorendo il passaggio della diocesi di Costanza dal cardinal Marco Sittico Altemps ad Andrea d’Austria, dopo che era sfumata la possibilità di concederla a un prelato di sicura affidabilità come Jacob Fugger. Cercò inoltre di consolidare la disciplina ecclesiastica, appoggiando l’azione dei cappuccini e dei gesuiti, che nel 1588 avviarono la costruzione di una chiesa a Lucerna.

Dopo averlo richiamato dalla nunziatura svizzera, papa Gregorio XIV gli conferì, il 6 marzo 1591, la porpora cardinalizia, con il titolo presbiteriale di S. Giovanni a Porta Latina che, nel 1592, Parravicini cambiò con quello di S. Alessio. La nomina cardinalizia, oltre a premiare le attività svolte dal cardinale a sostegno della riforma cattolica, era funzionale a rafforzare la componente filospagnola del collegio cardinalizio, dopo le tensioni ispano-pontificie che avevano caratterizzato il pontificato di Sisto V (1585-90). Parravicini non raggiunse immediatamente Roma, ma, nel mese di marzo, si trattenne in Svizzera per promuovere l’arruolamento di un contingente di mercenari destinati a supportare il corpo di spedizione inviato dal pontefice a sostegno della Lega cattolica che si contrapponeva a Enrico IV di Borbone. In agosto, fu designato come legato in Francia al posto di Marsilio Landriano, ma la nomina non ebbe esito a causa delle incertezze della politica pontificia sulla linea da seguire in quella fase della guerra tra Enrico IV e la Lega cattolica e, in dicembre, fu sostituito dal nunzio a Parigi Filippo Sega.

L’ingresso di Parravicini nel collegio cardinalizio coincise con una fase particolarmente complessa della storia del Papato, a causa del rapido avvicendarsi dei pontefici. Morto Gregorio XIV il 16 ottobre 1591, il nuovo pontefice, l’effimero Innocenzo IX (ottobre-dicembre 1591) lo nominò membro della Congregatio Germanica, istituita per sostenere gli sforzi di ricattolicizzazione nell’area dell’Impero. Mantenne l’incarico anche sotto il pontificato di Clemente VIII (1592-1605) e di Paolo V (1605-21).

Alla morte di Innocenzo IX, partecipò al conclave del gennaio 1592, nel quale si schierò contro l’elezione del cardinale Giulio Antonio Santori, che la mancò di pochissimo. Con l’elezione di Clemente VIII, alla fine di gennaio 1592, Parravicini rimase un autorevole cardinale di Curia, ma non ricevette altri compiti diplomatici, rimanendo relativamente ai margini del gruppo di governo che ruotava intorno ai due cardinali nipoti, Pietro e Cinzio Aldobrandini. Rinunciò al vescovato di Alessandria (1596), ma fu membro di numerose congregazioni, dedicandosi prevalentemente a questioni religiose e diplomatiche. Fu, tra l’altro, membro delle congregazioni del Concilio e per l’Esame dei vescovi, e, dal 1595, viceprotettore dell’Impero. Dopo la morte del cardinale Ludovico Madruzzo, nell’aprile 1600, svolse di fatto la funzione di protettore dell’Impero, che gli fu formalmente riconosciuta nel 1603. Già prima di questa data aveva tuttavia operato come principale rappresentante a Roma degli interessi degli Asburgo d’Austria, agendo in stretto collegamento con gli ambasciatori di Rodolfo II.

Nello stesso 1603, la Relazione di Battista Ceci, agente a Roma del duca di Urbino, non lo riteneva candidabile al papato, lo giudicava «molto intelligente delle cose ecclesiastiche» e «buon servitore del re cattolico» (Seidler, 1996, pp. 227 s.). Parravicini riceveva in effetti, sin dal 1601, una pensione di 1000 scudi da Filippo III di Spagna, pur non segnalandosi per posizioni apertamente filospagnole.

Alla morte di Clemente VIII, partecipò al conclave del marzo 1605, dal quale uscì eletto l’effimero Leone XI, appoggiando la candidatura di Baronio, che fu bloccata dall’opposizione spagnola, e poi a quello di Paolo V. Durante il pontificato di quest’ultimo, svolse ancora un ruolo di qualche rilievo nelle trattative per la difesa degli interessi cattolici nei territori imperiali e asburgici, in opposizione alle richieste degli Stati boemi, e per la composizione dei conflitti tra l’imperatore Rodolfo II e il fratello Mattia. Si occupò inoltre di promuovere la carriera del nipote Erasmo (1580-1640), che nel 1611 sarà nominato vescovo di Alessandria.

Nel 1606, dopo aver risieduto a lungo in palazzi d’affitto, acquisì per 20.000 scudi il palazzo della famiglia Rustici (ora Besso), nel rione Sant’Eustachio avviandone una complessiva ristrutturazione, non ancora del tutto completata alla morte del cardinale.

Il palazzo fu adornato da un ciclo di affreschi del pittore viterbese Tarquinio Ligustri, artista abbastanza in voga nella Roma del primo Seicento, che costituisce l’episodio più significativo della committenza di Parravicini. Come si rileva anche dagli inventari post mortem e da alcuni lavori commissionati dal cardinale (tabernacolo nella chiesa romana di S. Alessio, dipinti per la prioria di S. Andrea a Piazza Armerina), il gusto di Parravicini si orientava a una linea rigorista, con una decisa preferenza per la pittura sacra secondo moduli prettamente controriformistici.

Si colloca in questo quadro anche il ben noto episodio di una presa di distanza dai moduli pittorici caravaggeschi, che costituisce una delle non numerose testimonianze sulla percezione di Caravaggio nell’ambiente curiale. Nell’agosto 1603, poco dopo la realizzazione del dipinto la Cattura di Cristo, Parravicini scrisse a un suo antico amico, l’erudito vicentino Paolo Gualdo, manifestando una esplicita critica allo stile di Caravaggio in quanto lontano da moduli stilistici rigidamente ortodossi e propenso a una contaminazione tra figurazioni sacre e profane.

Al di là delle committenze artistiche, non si sa molto del rapporto del cardinale con la cultura del suo tempo. È tuttavia testimoniato un qualche rapporto con Torquato Tasso, recluso nel monastero di S. Onofrio di cui Parravicini era protettore, e sappiamo che, nel 1602, il cardinale prese al suo servizio il giovane letterato friulano Ludovico Leporeo, impiegato come scrivano alla Dataria apostolica.

Morì a Roma il 3 febbraio 1611 e fu sepolto nella basilica dei Ss. Bonifacio e Alessio sull’Aventino.

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