PASINI, Pace

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 81 (2014)

PASINI, Pace

Quinto Marini

PASINI (Pasino, de Pasino, Pacino), Pace. – Nacque a Vicenza il 17 giugno 1583.

La famiglia, originaria della val Sabbia, si era trasferita, in un primo momento, a Schio; se ne trovano presenze a partire dal XV secolo. Non dovette essere di cospicua nobiltà e nel pieno Seicento alcuni Pasini di Vicenza figurano tra i mercanti di seta e panni grossi.

Assunti i rudimenti grammaticali a Vicenza, nei primi anni del Seicento Pasini compì studi giuridici a Padova (fu in seguito ascritto al collegio dei giuristi di Vicenza, cfr. Archivio di Stato di Vicenza, Corporazioni soppresse - Collegio giuristi, b. 2845), ma ben presto trascurò la giurisprudenza per interessarsi della nuova scienza (fu in contatto con Galileo Galilei e con Johannes Kepler) e soprattutto per dedicarsi alla filosofia, seguendo assiduamente le lezioni di Cesare Cremonini, impegnato nel commento 'mortalista' della Fisica e del De coelo di Aristotele e seguace dell’aristotelismo critico e razionalistico di Pietro Pomponazzi, che metteva in discussione il principio dell'immortalità dell'anima e alcuni dogmi cattolici. A tale adesione alcuni biografi settecenteschi (Nicola Comneno Papadopoli, Paolo Calvi), riprendendo moralisticamente il ritratto libertino delle Glorie de li Incogniti, attribuiscono la causa di futuri guai di Pasini e della relegazione per due anni a Zara.

Come invece dimostra una serie di documenti dell’Archivio di Stato di Venezia, fu la natura violenta di questo degno esponente della riottosa nobiltà di provincia di primo Seicento a determinare il provvedimento giudiziario. Per un futile contenzioso privato (un diritto di passaggio riconosciuto a dei vicini), insieme con il fratello Vittelio e alcuni sicari, il 9 luglio 1623 nella villa Pavaran, ora frazione di Campiglia dei Berici, Pasini uccise l’avvocato Roberto Malo e ne ferì gravemente il fratello; nel marzo del 1624 fu condannato a cinque anni di relegazione a Zara, poi ridotti di circa la metà (fu assolto e liberato il 28 gennaio 1627).

Nuovamente integrato nella società vicentina, fu dal 25 luglio 1630 vicario a Barbarano e dall’8 luglio 1635 a Orgiano, dove era già stato agli inizi della carriera, nel 1618. La sua vita dovette scorrere come quella di tanti nobili di provincia, tra affari privati non sempre tranquilli (nella Biblioteca civica di Vicenza ci sono i documenti della lite con un nobile Fracanzani, cfr. Archivio dal Ferro Fracanzani, Serie Processi, b. 113), responsabilità amministrative, passione letteraria e interessi culturali, spesso rivolti al più importante coté intellettuale veneziano, a personaggi come Baldassarre Bonifacio o ai facoltosi accademici Incogniti e al loro leader Giovan Francesco Loredano (ebbe rapporti anche con i conterranei Guido Casoni, Pietro Paolo Bissaro, Francesco Belli, Liberal Motense). Né mancarono gli ossequi al potere della Serenissima: dediche e composizioni sono spesso dirette a podestà, capitani e dogi (Domenico e Francesco Molin, Girolamo Priuli, Vincenzo Grimani ecc.). L'attività culturale costellò un’esistenza sostanzialmente modesta e, a parte il periodo dell’esilio in Dalmazia, circoscritta tra Vicenza, Padova e Venezia: con una discreta accensione negli ultimi anni, per un più stretto legame con gli Incogniti e per una produzione letteraria in incremento quantitativo e qualitativo.

Pasini morì a Padova nella seconda metà del 1644.

L'esordio letterario di Pasini avvenne nel 1612 con un libretto in dodicesimo stampato a Vicenza da Francesco Grossi, Rime varie, et Gli increduli, overo De' rimedii d'amore, dialogo di Pace Pacino.

La minuscola miscellanea contiene sedici componimenti in metro vario e un dialogo finora ignoto alla critica. Le Rime varie sono tutte di tematica amorosa, secondo una casistica artificiosa occasionale che sembra discendere dalle Rime amorose di Giovan Battista Marino, ma il conterraneo Casoni ha senz'altro avuto il suo influsso insieme a quel marinismo veneto (Loredano, Pietro Michiele e altri) che recuperava anche l'eredità di Petrarca attraverso il Tasso «settentrionale» e certe linee di Chiabrera, di Testi, di Ciampoli. Molto interessante è il dialogo Gli increduli, overo De' rimedii d’amore, impostato sullo schema usuale dell'incontro di gentiluomini – qui Marcantonio Montechiaro, Marzio Capirossi e Teseo Lipi – in luoghi vicentini, poi sviluppati in spazi surreali e allegorici, cornice non del solito trattato d’amore (il titolo riecheggia l’ovidiano Remedia amoris, ma alcuni aspetti rinviano alla Magia d’amore di Casoni), bensì di un racconto tutto barocco su «certi accidenti maravigliosi» capitati a Teseo in preda a farneticazione amorosa.

La seconda opera a stampa di Pasini è un componimento di quasi 900 versi settenari ed endecasillabi sciolti, uscito nel 1614 a Vicenza presso Francesco Grossi e dedicato a un membro dell'illustre famiglia Molino: Campo Martio, overo Le bellezze di Lidia.

Dopo l'avviso A chi legge che precisa il rispetto della «religion catolica romana» per termini usati «credendo da cristiano e scrivendo da poeta» (ibid., pp. 5 s.), l’autore celebra ancora con un procedimento allegorico le bellezze della sua donna, inserendola in un vivace spazio reale di Vicenza – Campo Marzio era il passeggio di dame e gentiluomini – e quindi coinvolgendola in un «successo inusitato e strano»: in una nube le appare Amore circondato dalle nove muse, le quali intonano le lodi delle singole parti del corpo di Lidia con una progressione di metafore continuate.

Nel 1618 Pasini ebbe dalla sua città l’incarico di scrivere il prologo al Torrismondo del Tasso, messo in scena al Teatro Olimpico – unica rappresentazione nel Seicento – alla presenza dell’ambasciatore francese a Venezia, Leone Bruscart.

Il testo fu inserito nella raccolta complessiva delle Rime di Pace Pasini (Vicenza, Eredi F. Grossi, 1642, ed è costituito di 150 endecasillabi sciolti. Per bocca di Ercole, «protettor dell’Academia Olimpica», Pasini celebra i «Gigli d’or» della monarchia francese.

Di non scarso rilievo, perché documento dell’interesse di Pasini verso la nuova scienza e le implicazioni religiose della  filosofia empirica acquisita a Padova, è una lettera scritta a Kepler da Vicenza nel Capodanno del 1621.

Dopo aver lodato in forbito latino l’astronomo tedesco, Pasini gli pone cinque quesiti. I primi quattro riguardano problemi tecnico-astronomici, sulla costruzione della figura, sui confini, sulla grandezza dei pianeti e sul loro moto. L'ultimo quesito è di scottante argomento dottrinale-religioso: «Ultimum quaenam sit de opificio certior doctrina; qui enim hac in re Ptolomaeum sequuntur, hircum (ut aiunt) mulgere, ni fallor, experientia didici» (Epistolae ad Joannem Kepplerum, Lipsia 1718, p. 693).

Ancora di ambito politico-encomiastico è Il sogno de l’illustrissimo sig. Pietro Memo, ristampato ad apertura della sezione Honori nelle Rime del 1642, ma risalente al 1623 (il 7 maggio di questo anno il nobile veneziano concludeva l’incarico di podestà di Vicenza relazionando al Senato, cfr. Relazioni dei Rettori veneti in Terraferma, VII, Podestaria e Capitanato di Vicenza, Milano 1976, pp. 287-290).

Il poemetto di sessantasei ottave, costruito sul modello di visione del Somnium Scipionis, ma anche con ambiziosi calchi danteschi e con citazioni da Ovidio e dall’iconologia contemporanea, racconta allegoricamente come il Sogno trasporti il podestà attraverso i cieli sino alla via Lattea, dove trova gli eroi che hanno illustrato la sua famiglia. In particolare, lo zio Marcantonio, già al governo di Vicenza, Bergamo, Padova e infine doge dal 1612, presentate le glorie del casato e descritta la sede celeste, incita il nipote a guadagnarsi questa beatitudine tramite l’impegno politico.

Di notevole importanza storico-biografica, poiché datata «Di Padova li 27 Genaro 1629» e dedicata a Giovanni Ciampoli, è la canzone La Relegazione, che si legge in un’edizione con proprio frontespizio (Vicenza, G. Amadio, 1642) alla fine della sezione Miscugli delle Rime del 1642.

Dopo un decennio di silenzio editoriale seguono intensi gli ultimi quattro anni di vita: Pasini dà alle stampe l’opera omnia delle sue poesie, preceduta da un trattato sulla metafora, e, svolta notevole, rivela la sua vena narrativa partecipando con due testi alle Cento novelle amorose de i Signori Accademici Incogniti, postumi nell'edizione di Venezia, Guerigli, 1651 (Parte seconda, nov. XV, pp. 89-94; già nella stessa posizione in Novelle amorose de’ Signori Academici Incogniti, a cura di G.B. Fusconi, Venezia, Guerigli, 1643; e Parte terza, nov. XXXVII, pp. 261-267), e soprattutto scrivendo il romanzo che lo renderà famoso, l’Historia del Cavalier Perduto.

Il Trattato de' passaggi dall’una metafora all’altra, et de gl’innesti delle stesse, edito a Vicenza nel 1640 da Giacomo Zampieroni e poi ristampato nel 1642 da Giacomo Amadio, si inserisce nella vasta trattatistica dell’età barocca aderendo alle linee sperimentali degli Incogniti veneziani. In una quarantina di pagine l’autore si propone di mostrare «che cosa sia metafora, di quante sorti siano le metafore, et in che siano differenti dall’allegoria e dall’enimma»; quindi «come la metafora nella nostra favella, o ragionare, possa adoperarsi»; infine «le autorità di quelli c’hanno approvato gli innesti et i trappassi da metafora a metafora di genere diverso» (La metafora. Il trattato e le rime di Pace Pasini, a cura di M.T. Pedretti, 2005, p. 6).

La raccolta complessiva delle sue Rime fu stampata a Vicenza nel 1642 con dedica al doge Francesco Erizzo. Oltre al recupero di quasi tutte le Rime varie del 1612, è notevole la suddivisione in sezioni tematiche (Errori, Honori, Dolori, Verità, Miscugli), che riporta alla Lira del Marino, modello fondamentale, omaggiato nei sonetti 14 e 15 degli Honori.

Ultima e più nota tra le opere di Pasini (almeno per la rilevanza acquisita con il saggio di Giovanni Getto) è l’Historia del Cavalier Perduto, stampata a Venezia nel 1644 da Francesco Valvasense, l’editore degli Incogniti, e dedicata al leader della stessa Accademia, Loredano (due lettere attestano che ne seguì la stesura e ringraziò per la dedica: G.F. Loredano, Lettere, Venezia 1655, pp. 277, 442 s.).

L’opera si inserisce nella tradizione del romanzo barocco veneto e dei narratori Incogniti, secondo una linea che intreccia avventure cavalleresche amorose a tematiche storico-politiche (Biondi, Loredano, Bisaccioni, Belli, Brusoni iniziale), e di altri romanzieri italiani (evidenti gli influssi del primo Calloandro di Giovanni Ambrogio Marini o del Principe Altomiro di Poliziano Mancini). L’ambientazione storica è ripresa dall’Italia liberata dai Goti del vicentino Gian Giorgio Trissino, ma sullo sfondo della guerra tra Totila e i Bizantini (metà del VI secolo) vivono temi e valori della società nobiliare del Seicento quali l’onore e la reputazione. Alla labilità storica, che permette l’innesto anacronistico della guerra tra Orsini e Colonnesi, corrisponde la labilità geografica: le zone d’azione principali rimangono quelle ben note al Pasini, tra i Monti Berici e i Colli Euganei, nei castelli del veronese, del vicentino e del padovano, nonché la Dalmazia e Giadra conosciute in esilio, ma si estendono all’Italia tutta, a Bologna, Firenze, Napoli, gli Abruzzi, le Puglie e l’Oriente, varcando le coste d’Africa e il Mediterraneo, oltre Gibilterra, e non risparmiando il Nord (Gallia, Germania, Inghilterra, e Irlanda). La struttura narrativa circolare si regge sulla misteriosa identità del protagonista, il Cavalier Perduto, il quale impegna quasi tutta la prima metà del romanzo nell’affannosa inchiesta di se stesso. Scoperta la quale – è Adoino, figlio del duca Mundilla Orsini – vive tutto il resto del romanzo guerreggiando contro Policarpo, principe dei Goti, e quindi contro i Colonnesi guidati da Rodoaldo, fino al matrimonio finale con Dobbrizza di Giarda agevolato dall'azione diplomatica di un misterioso re persiano, Saporeso, che impone ai contendenti un «atto cortese e generoso e grande». Finale altamente politico: un romanzo barocco iniziato come avventurosa inchiesta di se stesso, termina nel nome della ragion di Stato e dell’utilità della pace in un «secol di ferro».

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Consiglio dei DieciCriminali, filza 50; Comuni, filze 368, 373; Vicenza, Biblioteca civica, Mss., 3395: G. Da Schio, Persone memorabili in Vicenza, c. 10r; Le Glorie de' gli Incogniti, o vero gli huomini illustri dell’Accademia de' Signori Incogniti di Venezia, Venezia 1647, pp. 368-371; B. Pagliarino, Croniche di Vicenza, Vicenza 1668, p. 336; N.C. Papadopoli, Historia Gymnasii Patavini, II, Venezia 1726, p. 297; Biblioteca e storia di quegli scrittori così della città come del territorio di Vicenza che pervennero fin ad ora a notizia del P.F. Angiolgabriello di Santa Maria [Paolo Calvi], carmelitano scalzo vicentino, VI, Vicenza 1782, pp. LXXVII-LXXX; G. Getto, Echi di un romanzo barocco nei «Promessi sposi», in Lettere italiane, XII (1960), pp. 141-167; Id., Il romanzo veneto nell'età barocca, in Barocco europeo e barocco veneziano, a cura di V. Branca, Firenze 1963, pp. 177-204; M. Zoric, Due romanzieri veneti del Seicento e il mondo slavo, in Culture regionali e letteratura nazionale, Atti del VII Congresso dell’Associazione internazionale per gli studi di lingua e letteratura italiana, Bari, 31 marzo - 4 aprile 1970, Bari s.d., pp. 423-445; M. Capucci, P. P., in Romanzieri del Seicento, a cura di M. Capucci, Torino 1974, pp. 151 s.; G. Mantese, Il Manzoni e Vicenza. Il «Cavalier Perduto» del vicentino P. P. e i «Promessi sposi», in Manzoni, Venezia e il Veneto, a cura di V. Branca - E. Caccia - C. Galimberti, Firenze 1975, pp. 89-124; M. Santoro, L'Historia del Cavalier Perduto di P. P., in "La più stupenda e gloriosa macchina". Il romanzo italiano del sec. XVII, a cura di M. Santoro, Napoli 1981, pp. 163-230; G. Auzzas, Le nuove esperienze della narrativa: il romanzo, in Storia della cultura veneta, IV, 1, Il Seicento, Vicenza 1983, pp. 274 s.; G. Baldassarri, «Acutezza» e «ingegno»: teoria e pratica del gusto barocco, ibid., pp. 233 s.; A. Mura Porcu, Note sulla lingua dell’«Historia del Cavalier Perduto», in Sentir e meditar. Omaggio a Elena Sala Di Felice, a cura di L. Sanna Nowé - F. Cotticelli - R. Puggioni, Roma 2005, pp. 99-108; C. Povolo, Il romanziere e l’archivista. Da un processo veneziano del ’600 all’anonimo manoscritto dei «Promessi sposi», Sommacampagna 2004, pp. 44-48; La metafora. Il trattato e le rime di P. P., a cura di M.T. Pedretti, Trento 2005; Q. Marini, Fortuna e sfortuna di un letterato seicentesco, in Per civile conversazione con Amedeo Quondam, a cura di B. Alfonzetti et al., Roma 2014, pp. 723-738.

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