Paesaggio

Enciclopedia Dantesca (1970)

paesaggio

Guido Di Pino

Alla definizione del concetto di p. nell'opera di D. concorrono, da un lato, gli elementi fantastici che costituiscono la struttura e gli scenari oltremondani della Commedia, dall'altro i molteplici richiami a reali luoghi terreni. Per la qualità fortemente unitaria della fantasia dantesca, non è sempre agevole distinguere le due diverse accezioni del termine: tanto, infatti, si compenetra di terrenità la memoria delle anime, e tanto giovano le immagini del mondo a creare condizioni di probabilità alle rappresentazioni metafisiche. Ma la visione delle regioni ultraterrene risponde alla rigorosa e articolata dimostrazione di quel rapporto tra luoghi e significato morale che è alla radice del disegno allegorico; e questo dà alle scene dell'itinerario mistico limiti e forme ben definiti. Si pensi alle selve del poema, che è quanto dire agli scenari di più evidente suggestione mondana. Delle tre; nessuna - non quella dello smarrimento del pellegrino, non il bosco dei suicidi, non la landa del Paradiso terrestre - presenta veri e propri valori di p.; ma tutte denunziano un'essenza di cose trascendenti per la quale non prende spessore di terra la natura su cui si muovono le fiere, né ha orizzonte di cielo la vegetazione dei violenti, né corso di stagioni la foresta dell'Eden. Dentro quest'accezione morale e allegorica del p. si spiegano i terrificanti strapiombi, le piaghe di fuoco, di acque morte e di gelo dell'Inferno; si spiegano gl'itinerari rupestri della montagna del Purgatorio; si spiega, infine, la trasparente geometria dei cieli. Un drammatico sviluppo di piani, di volumi e di prospettive domina il p. delle tre figurazioni dell'oltretomba e conferisce a ognuna di esse una tipica atmosfera.

Nell'invenzione dantesca, l'abisso infernale non è fatto di oscurità assolute: vi prevale quel color perso che è (come si dice in Cv IV XX 2) uno colore misto di purpureo e di nero, ma vince lo nero. In effetti, una temperanza di luci oblique e di gravi vapori si smuove dal fondo cieco dei luoghi verso i primi piani della visione e allenta la densità del nero in toni rossigni e di nebbia. Gli scenari di maggiore suggestione e sgomento - dalla campagna acherontea al sabbione di fiamme, dal pozzo dei giganti alla superficie vetrigna del Cocito - ricevono forza fantastica da una tecnica narrativa sapientemente affidata al rapporto di puntuali baleni e di ombre senza confine. Questo fa potente l'effetto dei subiti riconoscimenti e crea l'imprevedibilità dell'orrore. La stessa insistenza del poeta sulla ‛ nudità ' degli spiriti dannati si traduce, in chiave figurativa, in un'evidenza di corpi che contrastano, per chiarità, col fondo ambientale: la sequenza degl'ignavi, la caccia agli scialacquatori entro la selva dei suicidi, l'immenso naufragio dei traditori sotto il plumbeo serrame del gelo, ecc. I profili più drammaticamente solitari della cantica (pensiamo a Farinata) prendono maggiore dimensione proprio da questo rapporto tra la nudità della figura e l'ombra profonda dalla quale emergono.

Diversa la situazione nel Purgatorio dove, per la presenza del sole, le figure perdono l'appoggio delle tenebre e il pellegrino risulta come l'unico vero corpo capace di creare un netto confine tra l'ombra e la luce. Dei tre mondi ultraterreni, il Purgatorio è quello che riflette, nel p., il sentimento del tempo: la poesia dell'alba e del crepuscolo, dei luoghi assolati e notturni. Al di là delle balze dell'Antipurgatorio, per le quali la poesia annota ancora il fascino dei colori del mondo (il lume dorato della chioma di Manfredi, i fiori della valletta dei principi), le situazioni del secondo regno si sviluppano tra lo scenario rupestre della montagna e il cielo: una montagna che varia via via il suo fondo cinereo in visioni lumeggiate dal sole (Pg IV, V, XIV, XXVI, ecc.), in piaghe di nebbia (XVII 1-9), di lume lunare (XVIII 76-90), di fuoco (XXV 112-114); un cielo che fa da costante orizzonte e che non è solo luogo di mistiche operazioni (VIII 22-36), ma anche modulato tema di poesia stellare (IX 1-6, XVIII 76-81, XXVII 88-90, ecc.). Oltre le cornici, la foresta edenica: un paesaggio misterioso e solenne che da una soglia di primavera (XXVIII 1-18) si spinge in prospettive sempre meno illuminate (l'ombra perpetua e l'acqua bruna bruna, vv. 28-33), fino alla scena della processione nella quale il lustro dei sette candelabri lumeggia dall'interno il fogliame della selva e fa ‛ splendere ' le acque del Lete.

Per quanto manchi di scenari sensibili, anche il Paradiso dantesco offre un suo particolare paesaggio. Da luogo a luogo, infatti, la luce compone e scioglie differenti corali di anime mostrandole variamente raggruppate e disposte (in corona, croce, aquila, scaleo d'oro, ecc.) contro la temperie trasparente dei cieli, fino allo spettacolo di quell'immenso anfiteatro di bianche stole (la candida rosa) nel quale si assomma e sigilla, in figura, quell'ideale di circolarità che è trascrizione di valori perfetti (cfr. Vn XII 4, Cv II XIII 26, IV XVI 7-8, Quaestio 7).

A questi scenari, per i quali la fantasia di D. finge forme reali, fanno riscontro le visioni terrene che punteggiano tutto l'arco della materia allegorica. Sono p. - direttamente evocati o rammentati per similitudine - i quali compongono, nel loro insieme, attraverso immagini naturali o indicazioni di topografie cittadine, l'orizzonte umano del poema. Il primo di tali p., quello più frequentemente richiamato sulla pagina e sempre sottinteso, è Firenze.

Prima che nella Commedia, Firenze si scorge nei paragrafi della Vita Nuova. La città - come pure la sua campagna (passando per uno cammino lungo lo quale sen gia uno rivo chiaro molto, Vn XIX 1) - si offre come un mondo quotidiano e vissuto, vero nelle sue pietre, nei suoi costumi, nelle consuetudini gentilizie. Solo che questa realtà, ubbidendo alla giovanile poetica della ‛ trasfigurazione ', non si disegna in linee esplicite, ma si annida, in sembianze trasognate, nel fondo di studiate perifrasi, si fa fuggevole entro il gioco spirituale dei giorni. Al contrario, nel poema, quando ormai l'arte del poeta ha superato la lirica esitazione tra realtà e visione, e tutto il congegno dell'invenzione può passare, senza attenuazione né sfaldamento di contorni, nelle trame narrative dell'allegoria, Firenze appare una città salda e vera. Anche se il poeta - ormai esule - la ridisegna a memoria sul vivo ordito delle memorie giovanili, essa sembra ancora parlare dalle sue case e dalle sue contrade fervide di vita artigiana, di tempo in tempo splendide di celebrazioni o attraversate da violenze di parte. Mura, porte, ponti e sestieri compongono, da cantica a cantica, un p. che fa da sfondo necessario e sensibile ai temi civili e autobiografici della Commedia.

Il primo diretto accenno alla topografia cittadina si ha nella chiusa del canto dei suicidi, là dove la fantasia del poeta offre lo scorcio di Ponte Vecchio con la statua di Marte (If XIII 146-147). Poi, da canto a canto, il p. si svolge e si articola nei suoi termini cardinali - da Marte al Battista - qua e là punteggiato da annotazioni di evidente forza evocatrice: i fori fatti per loco d'i battezzatori (XIX 16 ss.), la contrada del Gardingo (XXIII 107-108), il ponte di Rubaconte con le scalee che salendo a man destra portano alla chiesa di San Miniato (Pg XII 100 ss.), ecc. Questo p., ripensato, oltre che nella cornice naturale, nelle testimonianze storiche, ha il suo tempo epico nei canti di Cacciaguida (Pd XV-XVII). Dentro il perimetro della cerchia antica dominata, nel suo ricordo, dalla chiesa della Badia (XV 98), D. ha rivisto i sestieri e le dimore che formarono, nei secoli, la struttura artigiana e gentilizia della città: da quell'ultimo sesto comprendente le case degli Elisei (Pd XVI 40-42), a porta San Piero con le case dei conti Guidi, dei Ravegnani e, alla fine, dei Cerchi (la nova fellonia, vv. 94 ss.). I nomi delle casate, e i giudizi che li accompagnano completandone il richiamo, suggeriscono scorci spesso d'incerta identificazione, ma tutti riconducibili a quei termini del mondo quotidiano di D. entro cui si collocano, via via, le immagini dei luoghi a lui variamente familiari: Fiesole (If XV 62), Caprona (XXI 94-95), Montereggioni (XXXI 41), la pineta di Ravenna (Pg XXVIII 20), il crudo sasso della Verna (Pd XI 106), l'eremo di Fonte Avellana (XXI 106-111), ecc.

Nella Commedia le visioni terrene non fanno mai quadro a sé, ma aprendosi nel vivo delle situazioni dell'oltretomba rammentano l'insopprimibile ragione della riviera umana: Siede la terra dove nata fui (If V 97); Li ruscelletti che d'i verdi colli / del Casentin discendon giuso in Arno (XXX 64 ss.); l'ossa del corpo mio sarieno ancora / in co del ponte presso a Benevento (Pg III 127 ss.), ecc. Anche nel Paradiso la terra è presente. Per le articolazioni dottrinali della cantica sale una linfa di memorie che si affaccia, di tempo in tempo, tra le vaste plaghe della luce celeste. Dove essa affiora, la pagina si fa umanamente commossa; e non è solo la commozione del bello ovile o della vita mendicata a frusto a frusto, ma anche quella della perla in bianca fronte, del fantolin che 'nver' la mamma / tende le braccia, della fronda che flette la cima / nel transito del vento: similitudini attraverso le quali l'immagine della nostra aiuola passa di cielo in cielo fino all'Empireo. Ed è una forza profonda e nascosta all'occhio; che non si dimostra più per figure e nella mobilità della sembianza umana, ma è assimilata dalle strutture celesti che la ripropongono in nuovo linguaggio di poesia. Da questa linfa di memorie erompono, da luogo a luogo, scorci memorabili: Come 'n peschiera ch'è tranquilla e pura / traggonsi i pesci (Pd V 100 ss.); Quale ne' plenilunïi sereni / Trivïa ride tra le ninfe etterne (XXIII 25 ss.); come clivo in acqua di suo imo / si specchia, quasi per vedersi addorno, / quando è nel verde e ne' fioretti opimo (XXX 109 ss.); e così via. I p. cui l'arte di D. affida l'illustrazione di un personaggio o di un costume sono quelli nei quali meglio si esperimenta, per necessità di sintesi, la concentrazione descrittiva del linguaggio: ne' monti di Luni, dove ronca / lo Carrarese che di sotto alberga (If XX 47-48); lo dolce piano / che da Vercelli a Marcabò dichina (XXVIII 74-75); In sul paese ch'Adice e Po riga (Pg XVI 115 ss.); Intra Tupino e l'acqua che discende / dal colle eletto dal beato Ubaldo (Pd XI 43-44); Tra ' due liti d'Italia surgon sassi (XXI 106 ss.); ecc.

I p. terrestri che la fantasia di D. è portata a evocare riguardano in prevalenza i rilievi montani e i fiumi. D., si può dire, è poeta di questi aspetti della natura più di quanto non sia descrittore del mare. Non mancano ovviamente nel poema comuni richiami geografici (il Carnaro, If IX; l'Adriatico, XVI; il Mediterraneo, Pd IX; ecc.), ma a parte l'accenno favoloso all'isola di Creta (If XIV 94 In mezzo mar siede un paese guasto), le due grandi pagine marine della Commedia - quella di Ulisse (If XXVI) e quella della spiaggia del Purgatorio (Pg I) - mostrano lo spettacolo di uno stesso oceano. Nel primo episodio, la distesa di acque fa da scena all'ardimento folle dell'eroe, ed è un mare uguale e di piombo; nel secondo, la vasta superficie si accende e s'increspa ai primi bagliori dell'alba (il tremolar de la marina, v. 117): un mare che il pellegrino potrebbe ancora scorgere lungo l'ascesa delle cornici guardando da quella banda / ... onde cader si puote (XIII 79-80), ma che scompare invece dagli occhi del lettore - e dalla poesia - non appena l'incitamento di Catone mostra la montagna (II 122 Correte al monte) come l'unico e imperioso orizzonte del viaggio.

La poesia della montagna, da certe evocazioni di p. appenninico (Pratomagno, Pg V 115 ss.; Quel monte a cui Cassino è ne la costa, Pd XXII 37; ecc.), si spinge fino a cenni di natura alpestre e di gelo: come di neve in alpe sanza vento, If XIV 30; Sì come neve tra le vive travi / per lo dosso d'Italia si congela, Pg XXX 85-86.; un'ombra smorta, / qual sotto foglie verdi e rami nigri / sovra suoi freddi rivi l'alpe porta, XXXIII 109-111; ecc. Ma soprattutto è tipica, in tutte e tre le cantiche, l'insistenza della terminologia fluviale. Con i nomi dei fiumi D. definisce regioni (il corso del Po, If XVI 94 ss.; il Gange, Pg II 5; il Giordano, XVIII 135; il Tronto, Pd VIII 63; la Magra, IX 89; ecc.) o, con più largo moto della fantasia, allude a uomini ed eventi storici: l'Arbia colorata in rosso (If X 86), i fiumi della Marca Trevigiana (Pd IX 25-51), l'Ema (XVI 142-144); ecc.

Non tutti questi passi geografici fanno p., ma alcuni racchiudono visioni che restano impresse nel lettore: i castelli lungo la Brenta (If XV 7-9), la Danoia gelata in Osterlicchi (XXXII 26), la desolata riviera di Manfredi (Pg III 124 ss.), l'Archian rubesto (V 94-129), la fiumana bella che intra Sïestri e Chiaveri s'adima (XIX 100-101).

Per D. un corso d'acqua è una realtà vivente (il Po che scende al mare per aver pace co' seguaci sui, If V 99), un contrassegno che fa intelligibili popolazioni e costumi. Si tratta di una predilezione fantastica che sembra suggerita, nel poeta, dalla sua stessa sorte di uomo nato e cresciuto sovra 'l bel fiume d'Arno a la gran villa (If XXIII 95). L'Arno è il ricorrente clima delle meditazione giovanili e di quelle dell'età virile. Lungo le sue sponde (uno rivo chiaro molto, Vn XIX 1) giunge a lui volontà di dire di Beatrice, e si fissa per sempre il momento dell'apparizione (cum primum pedes iuxta Sarni fluenta securus et incautus defigerem, subito heu! mulier, ceu fulgur descendens, apparuit, Ep IV 2); presso la sua sorgente (in finibus Tusciae sub fontem Sarni, VI 27) l'exul inmeritus scrive agli scelestissimis Florentinis intrinsecis (VI 1).

Tutto questo concorre a comprendere come si svolga, dal punto medio di tutto il poema, l'epica amara di quella valle dell'Arno (Pg XIV 16-17. Per mezza Toscana si spazia / un fiumicel che nasce in Falterona) a cui D. ha dato - luogo per luogo - il volto di ogni umana malizia. Il senso morale del discorso fa passare quasi inosservato il disegno paesistico: ma dal Casentino, dove drizza prima il suo povero calle (v. 45), all'ansa che esso forma presso Arezzo (venendo giuso e quindi torcendo il muso, vv. 46-48) fino al suo restringersi nei pelaghi cupi (v. 52) sotto la Golfolina, il corso del fiume apre scorci precisi. Manca semmai a quest'itinerario fluviale il quadro della foce; ma il lettore non dimenticherà, letto il canto di Ugolino, quel p. tirrenico che da Bocca d'Arno si slarga fino alle isolette del litorale (If XXXIII 82-84).

A queste diverse accezioni del concetto di p. concorrono anche, da molteplici passi della Commedia, le visioni del mondo che quotidianamente prendono il cuore dell'uomo; soprattutto visioni del cielo: la suggestione di luoghi in luce di tramonto (Pg VIII 1-9), lo spazio animato di voli (If V 40-47, Pg XXVIII 15 ss., Pd XX 73 ss.), la natura che si accende al raggio di sole filtrato dalle nuvole (XXIII 79-80.), il cielo lunare e stellato, e così via. A questo livello di valori, però, i termini delle evocazioni e delle similitudini paesistiche si allargano sensibilmente e le immagini rifluiscono, senza particolari distinzioni, nella sostanza universale della poesia dantesca.

Bibl. - V. Alinari, Il paesaggio italico nella D.C., Firenze 1921; M. Casella, Questioni di geografia dantesca, in " Studi d. " XII (1927) 65-78; A. Momigliano, Il p. nella D.C., in " Annali Scuola Norm. Sup. Pisa " s. 2, I (1932), rist. in D., Manzoni, Verga, Messina 1944, 9-33; C. Casamorata, I ‛ canti ' di Firenze, in L'universo, Firenze 1944, XXV 3; G. di Pino, La figurazione della luce nella D.C., ibid. 1953 (Messina-Firenze 1962²); A. Sacchetto, Con D. attraverso le terre d'Italia, ibid. 1954; O. Baldacci, I recenti contributi di studio sulla geografia dantesca, in " Cultura e Scuola " 13-14 (1965) 213-225.