PAKISTAN

Enciclopedia dell' Arte Antica (1996)

PAKISTAN

S. Pracchia
P. Callieri

Protostoria. - Nel Belucistan pakistano, regioni del Makran e Jhalawan, le ricerche archeologiche presero avvio negli anni '20 con H. Hargreaves, ma fino all'inizio degli anni '50, quando W. A. Fairservis iniziò le ricognizioni nella valle di Quetta e B. De Cardi scavò Anjira, si limitarono a brevi saggi e prospezioni di superficie, quali quelle condotte da M. A. Stein a Sur Jangai nel 1927 o da E. J. Ross nella valle di Loralai negli anni '30. Negli anni '70 un impulso determinante agli studi fu dato dall'attività di scavo nel territorio di Mehrgarh, nella piana del Bolan, da parte di una missione archeologica francese. La lunga sequenza che senza interruzione va dall'VIII alla metà del III millennio a.C. è sinora la documentazione più ricca e continuativa delle trasformazioni subite dalla prima comunità agricola del P., fino a una fase di incipiente urbanizzazione. Le valli interne del Belucistan pakistano rimangono pressoché inesplorate dal punto di vista archeologico, mentre sulla costa si conoscono diversi insediamenti identificati da G. Dales, il più noto dei quali è Balakoṭ. Per la valle dell'Indo, culla assieme al Belucistan orientale della civiltà di Harappā, e per le ricerche protostoriche nello Swāt, si rimanda alle rispettive voci.

Dalla fine del Neolitico, ampiamente documentato dal sito di Mehrgarh (v.), il territorio del P. attuale mostra una relativa uniformità culturale nelle facies denominate di Kači (tra la fine del VI e l'ultimo quarto del V millennio a.C.) e di Qile Gul Mohammad (dall'ultimo quarto del V alla metà del IV millennio a.C.). A partire dalla fine di quest'ultima, si manifesta un processo di diversificazione regionale della cultura materiale documentato principalmente dalle trasformazioni della ceramica dipinta. Dalla seconda metà del IV millennio al 3000 a.C. circa, alla facies di Keči Beg si sovrappone quella finale del sito di Balakoṭ, posto a occidente del delta dell'Indo e, a partire dal 3200 a.C. circa, quella di Nal. Con il III millennio si accentuano i processi di «regionalizzazione» e «frontierizzazione», secondo le definizioni proposte rispettivamente da J. G. Shaffer e da M. Tosi per il Belucistan, per indicare il moltiplicarsi di tradizioni culturali locali e il ruolo periferico che la regione assume nei confronti della formazione ed espansione territoriale della civiltà dell'Indo.

Le facies di Damb Sadaat, Nal e Periano coesistono durante la prima metà del III millennio e si affiancano alla cultura pre-harappana dell'Indo, che nello stesso periodo mostra segni di rapida trasformazione. Nella stessa epoca il sito di Mehrgarh (fasi VI, VIIA-C) assume caratteri protourbani; verso la metà del III millennio, quando la cultura dell'Indo si affaccia alla sua fase definita «matura», alle trasformazioni in atto all'interno delle culture più antiche si associa la facies di Kulli, che avrà fine attorno al 2000 a.C. Il processo di urbanizzazione coincide con l'intensificarsi dei contatti tra aree spesso molto diverse dal punto di vista ambientale e produttivo che si integrano incrementando le basi del sostentamento e la circolazione di manufatti e materiali di pregio. Il circuito di scambi si estende progressivamente a un territorio che va dalle regioni a E del Caspio alla Mesopotamia, alla costa sull'Oceano Indiano e alla piana dell'Indo.

Attorno al 2500 a.C. circa i siti della civiltà dell'Indo nella fase matura si contrappongono e in parte sostituiscono quelli del Belucistan, in un processo di espansione culturale senza precedenti che si estenderà ben oltre i limiti del P. attuale. Nawšaro, nella piana del Bolan, con le sue fasi pre-vallinda e vallinda, si affianca alle ultime fasi di Mehrgarh e si sviluppa dopo la definitiva scomparsa di questo sito.

Nella seconda metà del III millennio una complessa gerarchia insediamentale, dominata per estensione da siti come Harappā e Mohenjodaro, è caratterizzata dalla presenza di ampi edifici in mattone cotto disposti in un tessuto urbano pianificato su assi ortogonali e spesso collocati al di sopra di colossali piattaforme artificiali in mattoni. Tali evidenze, che indicano la presenza di un articolato sistema di gestione capace di mobilitare ingenti quantità di risorse, si affiancano a quelle di una avanzata tecnologia nelle manifatture artigianali, dell'esistenza di un complesso apparato sociale e amministrativo, come suggeriscono i sigilli, e dell'adozione della scrittura. Tutti segni, questi, di una segmentazione della società, che trova corrispondenza in un accentramento demografico insieme a una diffusione territoriale di tratti culturali comuni comparabile solo a fenomeni molto più tardi connessi con la rinascita urbana d'epoca storica. I commercianti della Melukhkha dei testi accadici, identificati con i Vallindi, hanno in Mesopotamia comunità stabili ed esportano, specie nell'ultimo quarto del III millennio, corniole, ebano, rame, avorio, oro e perle. Le città fortificate dell'Indo che sorgono sulla costa del Makran evidenziano contrasti con le zone interne per il controllo delle rotte verso il Golfo Persico e lo sfruttamento della fascia costiera dell'oceano.

Verso la fine del III millennio le culture che vivono ai margini della civiltà dell'Indo divengono probabilmente elementi vitali dal punto di vista della produzione primaria, all'interno di un vasto circuito d'integrazione economica e culturale. Mentre lo spostamento verso l'Indo del principale polo economico dell'area corrisponde alla scomparsa di molti siti delle; zone interne del Belucistan, in altri casi si riscontrano indizi di crescita e autonomia culturale delle zone periferiche, in un quadro di profonde trasformazioni degli equilibri sui quali si era fondato il mondo vallindo. Dal punto di vista della cultura materiale indizi in tal senso sono costituiti dai ricchi corredi funerari ritrovati nella valle di Quetta e nella necropoli di Mehrgarh Vili (databili attorno alla fine del III millennio), dove i numerosi manufatti di pregio indicano la vitalità dei potentati delle aree marginali in contrasto con il rapido e inarrestabile declino delle città della pianura.

Nell'arco del secondo quarto del II millennio a.C. le tracce della civiltà dell'Indo scompaiono definitivamente, mentre alcuni dei siti periferici, anche se in un quadro di crescente disaggregazione insediativa, continuano a esistere almeno fino alle soglie dell'Età del Ferro. Come documentato dal sito di Pirak, il loro sostentamento si fonda ormai sulla coltivazione di nuovi cereali introdotti da Oriente come il riso, il sorgo e il miglio. L'incremento della diffusione del cammello e l'introduzione del cavallo sono altri elementi che mostrano, nel II millennio, le notevoli trasformazioni dei vecchi reticoli commerciali che costituivano il tessuto vitale delle grandi città del III millennio.

V. anche harappā; indo, civiltà dello; mehrgarh; mohenjo-daro; swāt.

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(S. Pracchia)

Periodo storico. - II territorio di questo stato del subcontinente indiano ha visto nell'ultimo ventennio una notevole intensificazione della ricerca archeologica, sia a opera del Dipartimento governativo di Archeologia e delle università locali, sia per l'attività di missioni straniere. Di pari passo con l'esplorazione archeologica, lo studio delle diverse fonti storiche (greco-romane, indiane, cinesi, tibetane, arabo-persiane) permette una ricostruzione più ampia della civiltà delle diverse regioni nell'arco di tempo compreso tra il periodo achemenide (VI sec. a.C.) e l'inizio del periodo islamico (Vili sec. nel Sud, XI sec. nel Nord).

Le antiche aree culturali trovano una corrispondenza approssimativa con le moderne suddivisioni amministrative, all'interno di una distinzione più marcata tra le province settentrionali e quelle meridionali. Al Nord, le vicende storiche accomunano i territori della North-West Frontier Province (N.W.F.P.), del Panjab settentrionale e dell'alta valle dell'Indo in una cultura che ha i suoi centri d'irradiamento in un primo momento nel Gandhāra e a Taxila, poi nel Kashmir, regione questa che, per gli eventi politici e bellici seguiti al raggiungimento dell'indipendenza da parte di India e Pakistan, è attualmente un territorio conteso, diviso dalla linea di cessate il fuoco del 1965. Le provincie meridionali del Belucistan e del Sind, con la parte meridionale del Panjab, rappresentano al contrario due aree distinte, fortemente legate la prima al mondo iranico, la seconda alle limitrofe regioni dell'India centro-occidentale. Questa diversificazione rende accettabile un'articolazione del discorso che segue la suddivisione in provincie.

Dopo l'indipendenza del P. nel 1947, il Dipartimento governativo di Archeologia divenne l'organismo statale per le attività di ricerca e conservazione dei monumenti fino ad allora curate dall'Archaeological Survey of India dell'Amministrazione Britannica. Ai musei di Lahore (1864), Peshawar (1907) e Taxila (1928) si aggiunsero il National Museum of Pakistan di Karachi (1950) e altri musei locali, a Saidu Sharif nello Swāt (1963), a Banbhore nel Sind (1967), a Chakdara nel Dīr (1970), solo a ricordare quelli che interessano il periodo storico pre-islamico.

Nel quadro attuale degli studi, la problematica storica e artistica, sollevata in primo luogo dai risultati degli scavi, è particolarmente ricca, ed è necessario ricordare le tematiche di maggior interesse che ne permettano l'inquadramento.

Nella regione gandharica e nelle aree circostanti il rapporto tra le fonti scritte che segnano l'ingresso di queste aree nella storia e una cultura materiale che al contrario perpetua ancora a lungo una tradizione protostorica si presenta di grande complessità. Gli scavi eseguiti in numerosi centri abitati della regione (Bhiṛ Mound, Sirkap, Bālā Ḥiṣṣār, Šaikhān Dherī, Aligrāma, Bīr-koṭ-ghwaṇḍai, Damkoṭ, ecc.) hanno infatti portato alla luce testimonianze la cui collocazione cronologica è fonte di discussione, soprattutto per la mancanza di solidi punti di riferimento, ma che rivestono un'enorme importanza per la comprensione delle dinamiche storiche e culturali della regione. La dominazione achemenide, il passaggio di Alessandro Magno, la presenza maurya, sono tutti eventi storici che devono ancora mostrarsi appieno nel loro reale peso nel periodo compreso tra il VI e il II sec. a.C.

Un secondo tema centrale è rappresentato dall'arte del Gandhāra, dalla sua origine, dalla sua storia, dal suo significato. Oltre agli studi storico-artistici e iconografici, è la ricerca archeologica a costituire uno dei principali strumenti d'indagine.

Un terzo tema di grande ricchezza è rappresentato dalla cultura del periodo post-gandharico, dal V sec. d.C. fino all'arrivo dell'Islam. L'eredità della solida tradizione artistica gandharica assume connotazioni originali in relazione alle mutate condizioni storiche e sociali; nuovi centri di potere si sostituiscono ai vecchi e regioni vissute prima ai margini della storia assurgono a ruoli di guida. È a questo stesso periodo che risalgono le testimonianze artistiche e archeologiche più consistenti per il Sind, dove la nascita di una produzione artistica che ha origine nell'arte gupta ma che non è priva di rapporti con la tradizione gandharica rappresenta un fenomeno degno della massima attenzione.

In ultimo la conquista araba delle regioni meridionali, nell'VIII sec., e la successiva penetrazione ghaznavide nel Nord dell'attuale Pakistan, nell'XI sec., segnano l'inizio dell'islamizzazione del paese, un processo che rimane ancora in gran parte noto solo nelle sue vicende politiche ma che ben meriterebbe un'approfondita indagine nei suoi aspetti culturali, religiosi, sociali ed economici.

1. N.W.F.P. e alta valle dell'Indo. - Le aree dove si è concentrata la ricerca archeologica sono i distretti di Peshawar, Mardan, Dīr e Swāt, cui si sono recentemente aggiunti i territori dell'alta valle dell'Indo (Gilgit Agency e Baltistan), mentre nei distretti meridionali di Kohat, Bannu, Dera Ismail Khan e nelle Tribal Areas l'attività archeologica ha interessato solo insediamenti di età protostorica, e siti di grande interesse come Akra, presso Bannu, o i due Kāfir Koṭ Ν e S nel Derajat attendono ancora un'esplorazione approfondita.

Nella pianura gandharica, agli scavi di Chārsada, diretti da M. Wheeler e A. H. Dani rispettivamente a Bālā Hissār a Šaikhān Ḍherī (v. S 1970, p. 208), si sono aggiunti i lavori della missione giapponese dell'Università di Kyoto, diretta da S. Mizuno e T. Higuchi, negli anni 1959-67, a Čanaka Ḍherī, Mekha Sanda, Tharelī e Kašmīr Smast, e quelli di un'altra missione dell'Università di Kyoto, direttala K. Nishikawa, a Rānīgat (a partire dal 1984).

A Čanaka Ḍherī, nei pressi della località di Sāhbāzgaṛhī famosa per gli editti rupestri di Aśoka, sono stati portati alla luce tre edifici, interpretati come resti di un palazzo di età kusāna. Il primo è compreso in un perimetro rettangolare (57 x 35 m) con alcuni ambienti di pianta e dimensioni differenti eretti su una massiccia fondazione; di particolare interesse è una grande sala all'estremità E, che conserva sei basi circolari del diametro di 4 m ciascuna, costruite in blocchi di pietra, allineate su due file, interpretate in via ipotetica come basi di grosse colonne. Resti di una rampa di scale indicano l'esistenza di un secondo piano. Il secondo edificio ha pianta rettangolare (72 x 47 m), con piccoli ambienti disposti lungo un portico rialzato attorno alla corte centrale aperta, secondo una planimetria tipica dei monasteri buddhistici. Del terzo edificio rimane solo il basamento di pianta rettangolare (36 x 19 m), con fondazione interrata. Un secondo periodo, successivo all'abbandono degli edifici più antichi e attribuito a età post-kusāna sulla base del rinvenimento di alcune monete kidarite, ê testimoniato da resti di abitazioni di un villaggio.

A Mekha Sanda, a E di Čanaka Ḍherī, è stato integralmente portato alla luce un complesso buddhistico costruito su alcune terrazze di un colle, con un impianto irregolare che segue l'andamento del terreno. Gli edifici principali sono posti sulle due terrazze superiori, e comprendono uno stūpa principale privo di scalinata e ornato da una ricca decorazione figurata in stucco, posto al centro di una corte di cappelle (vihāra) e stūpa minori, comunicante con una serie di ambienti di natura congregazionale tra cui un'ampia sala di riunione. Su altre cinque terrazze digradanti sono altrettanti gruppi di ambienti monastici e monumenti sacri, collegati da scale. Oltre alle sculture in schisto e stucco, sono i rinvenimenti di monete tardo-kusāna e sasanidi a indicare per il complesso una data posteriore al IV sec. d.C.

Il centro buddhistico di Tharelī, non lontano dall'altro famoso sito di Jamālgarhī, è distribuito lungo il pendio di una stretta gola, presso una fonte. Tre sono i gruppi di edifici esposti, che secondo una planimetria estremamente complessa, condizionata dal terreno, vedono stūpa e vihāra isolati o raggruppati in serie allineate, affiancati ad ambienti che costituivano le celle dei monaci, secondo una tipologia monasteriale diversa da quella più diffusa con le celle attorno alla corte centrale. Il gruppo di maggior interesse è quello posto presso il fondo della valle, disposto su tre terrazze di cui quella al centro occupata da un lungo portico colonnato. La decorazione scultorea, architettonica e figurata, eseguita prevalentemente in schisto, rappresenta una testimonianza della ricchezza culturale del centro. Le strutture, via via aggiuntesi in tempi diversi a un nucleo iniziale, sembrano databili tra il II e il IV sec. d.C. su base numismatica.

Kašmīr Smast, una grotta naturale su una cima dei monti sovrastanti la pianura di Mardan, secondo la tradizione locale ingresso di una galleria sotterranea che condurrebbe al Kashmir, rappresenta l'unico complesso architettonico rupestre rinvenuto in Pakistan. L'interesse principale è fornito non da resti scultorei o pittorici, come nelle grotte dell'Afghanistan orientale o dell'India occidentale, ma dalle strutture che occupano sia l'interno della grotta sia l'area esterna antistante. Tra quelle nella grotta, che seguono il suo contorno irregolare, ricordiamo un ambiente ottagonale, una bassa cisterna rettangolare e una cappella quadrata coperta da cupola su trombe che occupa l'area più interna. All'esterno si conservano resti notevoli di due edifici, il principale dei quali costituito da diversi ambienti tra cui una seconda cappella con cupola su trombe. L'assenza di strutture identificabili come stūpa e di sculture gandhariche, e la presenza di un liṅga di pietra suggeriscono una presenza scivaita nel complesso, che viene invece interpretato dagli archeologi giapponesi come un santuario buddhistico. Un'iscrizione in caratteri brāhmī di epoca gupta, già scoperta nel 1882, databile tra il V e il VI sec. d.C., fornisce il principale riferimento cronologico, assieme ad alcuni resti di scultura lignea datati tra il VII e l'VIII sec.; la ceramica rinvenuta nel corso dello scavo è stata attribuita all'XI-XII secolo.

A Rānīgat, non lontano dalla cittadina di Swabi, sulla sommità di un colle che si affaccia sulla pianura, è un importante complesso buddhistico circondato da una sostruzione in blocchi di granito con passaggi coperti a volta. Note agli studiosi già dal 1848, ma ancor più ai cercatori di sculture, le notevoli rovine sono pesantemente disturbate. Con un'opera di pulizia e ulteriore sterro sono stati portati alla luce i monumenti su gran parte della terrazza. A Ν è una corte di stūpa, limitata a E da alcuni vihāra allineati e a O da un recinto in muratura con ampia porta d'accesso; lo stūpa principale al centro, con scalinata a O, nelle sue ricostruzioni evidenziate dai successivi spostamenti della scalinata stessa, ha inglobato una parte degli stūpa circostanti, in una successione non del tutto chiarita. Nell'area sacra sono state riconosciute cinque fasi, di cui la prima anteriore alla costruzione dello stūpa principale, edificato nella seconda assieme ai monumenti della sua corte; nella terza fase, in cui la corte fu lastricata con un pavimento in pietra, l'area sacra si espanse verso S; nella quarta fase lo stūpa principale fu ingrandito, con una ristrutturazione complessiva della corte, mentre nell'ultima fase fu aggiunto uno stūpa a SO. Da ricordare sono alcune monete inserite in piccoli fori nelle lastre del pavimento antistante lo stūpa principale. Sulla base del raggruppamento della ceramica rinvenuta in alcune trincee di saggio non stratigrafico, in sei periodi caratterizzati dalle diverse tipologie del vasellame e delle lucerne, e delle monete rinvenute, l'arco di vita del sito è stato collocato in un periodo compreso tra la fine del I sec. a.C. e il VI sec. d.C.

Nel Dīr meridionale il Dipartimento di Archeologia dell'Università di Peshawar ha condotto un'intensa attività di scavo incentrata nelle aree di Timargarḥa e Chakdara. Oltre alle necropoli e agli insediamenti scavati negli anni 1964-66 a Timargarḥa, appartenenti alla stessa cultura protostorica testimoniata dalle necropoli e dagli insediamenti dello Swāt, nei pressi di Chakdara sono state portate alla luce le aree sacre buddhistiche di Andān Ḍherī (1966) e Čatpat (1968), ed è stato esplorato il colle di Damkoṭ (1968).

L'area sacra di Andān Ḍherī, in cui gli archeologi hanno riconosciuto tre successivi periodi strutturali compresi tra la fine del I e l'inizio del IV sec. d.C., si compone di uno stūpa principale a E, di un monastero a O e di una serie di quattordici monumenti, stūpa e vihāra, al centro; lo stūpa principale, datato al III sec. d.C., è costituito da un alto basamento quadrato di 36,5 m di lato, costruito con cortina di blocchi parallelepipedi di pietra e base modanata, con scalinata sul lato O; sulla sommità del basamento si imposta il primo corpo cilindrico di 17 m di diametro, conservato per breve altezza. Il materiale scultoreo rinvenuto nel corso dello scavo è stato ordinato in sequenza cronologica sulla base della stratigrafia, ma la provenienza di tutto il materiale da strati di crollo, per giunta disturbati da scavatori clandestini, rende poco credibile questo tentativo di definizione cronologica dell'arte del Gandhāra.

Mentre il complesso di Andān Ḍherī si trova al centro della fertile piana di Adinzai, quello di Čatpat è adagiato su una terrazza artificiale presso la sorgente di un ruscello in una piccola valle laterale a O della piana, in una posizione isolata comune a gran parte dei monasteri buddhistici. Anche qui gli archeologi hanno individuato tre periodi strutturali, compresi tra la fine del I sec. d.C. e il IV sec. d.C. L'area sacra, priva di uno stūpa principale, è costituita da trentotto monumenti, vihāra e stūpa, questi ultimi conservati quasi ovunque solo nel basamento a pianta quadrata. L'impianto del; periodo finale vede gli stūpa raggruppati al centro della terrazza, in modo disordinato ma con un orientamento che segue quasi ovunque quello delle costruzioni più antiche, mentre due file di vihāra costruiti nell'ultimo periodo limitano la terrazza a O e a N, dove si appoggiano al taglio nel terreno. La terrazza era collegata con scale al ruscello e al pendio del colle, occupato da diverse celle monastiche isolate. Le abbondanti sculture in schisto blu e grigio provengono tutte da strati di crollo e la periodizzazione proposta sulla base della stratigrafia, non diversamente da Andān Ḍherī, è poco credibile.

Sul colle di Damkoṭ, che domina la valle dello Swāt nel tratto in cui questa si collega alla via che porta al Dīr e al Bajaur, sono stati portati alla luce uno stūpa buddhistico datato al IV-V sec. d.C. e un forte del periodo degli Hindu-Śāhi (c.a X sec.), precèduti da strutture e livelli di frequentazione più antichi. La sequenza stratigrafica proposta è la seguente: periodo I (prima metà del I millennio a.C.): occupazione priva di strutture seguita da un lungo periodo di abbandono; periodo II (I sec. a.C.-I sec. d.C.): strutture di ottima qualità, nella opera muraria a lastre di schisto nota con il termine inglese di «diaper masonry»·, periodo III (II-III sec. d.C.): strutture di qualità inferiore alle precedenti; periodo IV (fine Ill-fine V sec. d.C.): uno stūpa con cortina in blocchi di granito (area A) e un monastero buddhistico (area B) costruiti sulle strutture precedenti; periodo V (VIII-X sec.): fortificazione di tutto il colle, dalla sommità sino al fiume, con un muro di cinta in muratura a blocchi di pietra e lastrine, con bastioni rettangolari e torrette circolari, e sviluppo di una vera e propria cittadella con stalla e bottega di fabbro ferraio. In realtà la fase più antica di occupazione (Damkoṭ I) presenta, nei materiali pubblicati, due tradizioni ceramiche nettamente distinte non solo nell'aspetto fisico ma anche nelle tipologie formali: mentre la ceramica grigia mostra caratteristiche comuni a materiali di età protostorica rinvenuti in altri siti, la ceramica rossa sembra meglio inquadrabile in un orizzonte di età storica databile a partire dal II sec. a.C. Se la stratigrafia è stata correttamente seguita, è evidente la natura composita degli strati in questione. La ceramica e le monete rinvenute costituiscono il materiale di maggiore interesse, per la loro rilevanza ai fini della interpretazione storica della sequenza stratigrafica. Degni di nota sono alcuni oggetti rinvenuti in una cisterna del periodo IV, attribuiti alla fase finale di questa occupazione (V sec.): una placca di terracotta raffigurante il Buddha nel gesto della messa in moto della ruota della Legge (dharmacakramudrā), seduto sul «trono dei leoni» (siṁhāsana) sorretto da loto aperto; una testa del Buddha in argilla cruda; una placca di rame (che costituiva il supporto per un'immagine di Bodhisattva o Buddha), che conserva le due figure laterali di Bodhisattva e in alto un alone con fiamme (?); una cretula con la formula di credo buddhistico ye dharma...; diversi modelli di stūpa in argilla; una cretula con l'impronta di un sigillo raffigurante un busto di tipo hūṇa; alcune lucerne di terracotta e numerosi bracciali di pasta vitrea. Si tratta di un gruppo omogeneo di materiali (la cui datazione va probabilmente posticipata di un secolo) che costituiscono un'importante testimonianza del periodo compreso tra la fine dell'arte del Gandhāra e l'inizio di quella degli Śāhi.

A Ν di Damkoṭ si estende la regione dello Swāt (v.), dove le ricerche della missione italiana dell'IsMEO, diretta da G. Tucci prima e D. Faccenna poi, vòlte a un'indagine complessiva di tutti gli aspetti culturali e ambientali del passato della regione, dall'età protostorica a quella islamica, costituiscono una preziosa fonte di informazioni. È proprio attraverso lo Swāt che passava una delle vie che collegavano il Gandhāra all'alta valle dell'Indo e di lì al bacino del Tarim.

La regione impervia dell'Alto Indo (Northern Areas), nota fino alla fine degli anni Settanta solo per ricerche etnografiche e sporadici rinvenimenti di antichità, è divenuta negli ultimi anni una delle aree su cui si sono concentrate le ricerche, grazie all'opera di K. Jettmar e della missione congiunta pakistano-tedesca, da lui diretta assieme a A. H. Dani. Il tratto del corso dell'Indo tra Pattan e Bunji, le regioni di Gilgit e Hunza, il Baltistan, sono dal 1979 oggetto di un'intensa attività di ricognizione e documentazione di migliaia di graffiti e iscrizioni rupestri, lungo le vie di comunicazione, spesso concentrate nei punti di attraversamento dei fiumi. Per un lungo arco di tempo, dal I sec. a.C. al VII sec. d.C., questa regione impervia vide il passaggio di genti (gli Śaka migrati dal Pamir al Gandhāra nel I sec. a.C.), di monaci (particolarmente in relazione all'espansione del buddhismo verso l'Asia centrale), di mercanti (come senz'altro indica la consistente presenza sogdiana). Oltre alle iscrizioni, in genere costituite da nomi propri o brevi dediche buddhistiche, in lingue indiane (scritte in caratteri kharoṣṭhī fino al V sec., poi in brāhmī) ma anche in battriano, in sogdiano e in cinese, sono le testimonianze figurative a completare il complesso quadro della cultura della regione. I soggetti più antichi mostrano una marcata affinità con l'arte delle steppe centroasiatiche del I millennio a.C., mentre altri soggetti analoghi (asce, ibex, ecc.) sembrano caratterizzare i graffiti più recenti. Sono tuttavia i soggetti religiosi a costituire il nucleo più consistente, con immagini hindu (Visnu, liṅga, ecc.) e, soprattutto, buddhistiche (stūpa, Buddha, Bodhisattva, ma anche jātaka, cioè narrazioni di episodi delle precedenti incarnazioni del Buddha). La tecnica di esecuzione è limitata in genere al graffito o all'incisione, anche se nella regione non mancano rilievi veri e propri (p.es. il Buddha di Karga). Una parte notevole di queste testimonianze figurative trova confronto da un lato con le pitture che decorano le copertine lignee dei manoscritti buddhistici rinvenuti a Gilgit negli anni Trenta, dall'altro con le statuette bronzee finora attribuite esclusivamente al Kashmir o allo Swāt, permettendo di delineare il momento di massima fioritura creativa della regione: questo si può far coincidere con il periodo di regno dei Patola Śāhi di Gilgit (VI-VII sec.). Colpisce tuttavia la scarsità di resti strutturali di un certo rilievo, solo in parte giustificabile con l'impetuosa azione delle piene dei fiumi. Oltre alle rovine presso Skardu, possiamo ricordare solo un monastero buddhistico di notevole estensione individuato presso Šigar, che attende ora l'esplorazione archeologica. Si segnala il rinvenimento fortuito nei pressi di Pattan di un grosso anello rituale (?) d'oro del peso di 14 kg completamente decorato a rilievo con scene naturalistiche, in uno stile con forti connessioni scitiche (Śaka?).

2. Panjab. - Nei distretti nord-occidentali della provincia del Panjab, che rientrano nell'area di cultura gandharica, è il centro di Taxila (v. vol. il, p. 620 e S 1970, p. 770) che ha continuato a rappresentare il principale oggetto di ricerca, da parte del Dipartimento governativo di Archeologia. Gli scavi di Sarai Khola, conclusi nel 1972, assieme al risultato principale costituito dalla testimonianza di un'occupazione a Taxila già dalla fine del IV millennio a.C., hanno portato alla luce una necropoli di incerta datazione (attribuita dall'antropologo W. Bernhard a genti di origine mediterranea del III-II sec. a.C.) e un insediamento riconducibile al periodo degli Hindu-Śāhi. Anche i recenti scavi sul colle di Hiathiāl, che avevano come principale oggetto lo studio delle culture protostoriche, hanno prodotto abbondanti materiali di età storica che attendono ancora una prima sistemazione, ma che sembrerebbero riferibili al III-II sec. a.C. e potrebbero indicare la localizzazione dell'abitato del periodo indo-greco, che un riesame dei dati archeologici (Erdosy, 1990) mostra non più collocabile a Sirkap.

Non lontano da Taxila, a Hāǰī Šāh Morr presso Attock Khurd, uno scavo di salvataggio condotto dal Dipartimento governativo di Archeologia ha esposto un'area sacra buddhistica costituita da due corti di stūpa separate da un monastero a pianta rettangolare, con celle disposte su tre lati attorno alla corte centrale aperta. Di un certo interesse è il materiale scultoreo recuperato, di tipo gandharico, in schisto e stucco. A S di Taxila, sulla via che conduce a Lahore, l'area di Mānikyāla, già nota dalle prime esplorazioni di G. B. Ventura (1830), C. A. Court (1834) e A. Cunningham (1863-1878), è stata riesaminata attraverso una trincea di saggio nei pressi del grande stūpa·, qui sono state portate alla luce testimonianze di una prima occupazione buddhistica, dal I al V sec. d.C., interrotta da un incendio e seguita da una seconda occupazione terminata nell'VIII secolo.

Nel Panjab meridionale, una regione gravitante attorno alla antica città di Multan (in cui le conoscenze archeologiche si limitano ai pochi saggi condotti nel secolo scorso), l'unico insediamento noto grazie a scavi scientifici è quello presso Tulamba, 80 km a NE di Multan. Qui nel 1967 il Dipartimento governativo di Archeologia ha scavato alcune trincee di saggio che hanno individuato livelli di occupazione pre-greci (IV-III sec. a.C.) e indo-greci (II sec. a.C.), strutture in mattoni crudi e cotti appartenenti a quattro periodi strutturali dal IV al VI sec. d.C., caratterizzati da ceramica decorata a stampo con confronti in area gupta, e, in ultimo, un insediamento musulmano, scandito in otto periodi strutturali dall'XI al XVI secolo. Aspettano ancora un'indagine archeologica i siti di Sui Vihar, presso Bahawalpur, e di Pattan Manara, nel Cholistan, dove si ergono resti di edifici in mattoni.

Belucistan. - Le regioni che compongono questa vasta provincia, a SO i territori corrispondenti all'antica Gedrosia e a NE l'area compresa tra l'antica Arachosia e la valle dell'Indo, hanno visto un'intensa attività archeologica interessata quasi esclusivamente al periodo pre- e protostorico, mentre nessuno dei numerosi siti di età storica pre-islamica individuati nelle ricognizioni condotte da A. Stein negli anni Venti è stato oggetto di indagini recenti: si segnala un unico studio dedicato alle iscrizioni e ai graffiti su roccia scoperti nell'area del santuario buddhistico di Tor Ḍherai presso Loralai (c.a III sec. d.C.), in parte scavato negli anni Venti (anni a cui risale anche l'esplorazione del sito di Sampur, presso Mastung, che restituì tra l'altro un vaso d'argento con paralleli nella Taxila partica). Una missione ecologico-archeologica dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che conduce dal 1987 un'attività di ricognizione nella regione costiera del Makran, ha individuato nel sito di Kuh-Batil, presso Gwadar, una diga costruita in pietra, con paramento in blocchi accuratamente squadrati e tenuti insieme con un sistema di tenoni e mortase: la struttura è stata posta in relazione ai sistemi idraulici dei regni sudarabici e datata tra il II sec. a.C. e il III sec. d.C. Caratteristici della regione in questo periodo, denominato «di Zanǰān», sono estesi cimiteri di tombe a tumulo, datati dalla presenza di ceramica dipinta Londo Ware.

Sind. - Anche in questa provincia gran parte delle ricerche archeologiche dell'ultimo ventennio sono state concentrate sulla protostoria, e gli unici due siti di età storica interessati da scavi sono Banbhore (v. S 1970, p. 135) e Manṣūra, entrambi riguardanti principalmente il periodo della prima islamizzazione. L'arte e l'architettura buddhistica, che pure hanno dato testimonianze di grande valore quali lo stüpa di Mīrpūr Khās, per lunghi anni sono rimaste note unicamente attraverso la fondamentale opera di H. Cousens (1929) e solo recentemente hanno richiamato l'attenzione degli studiosi, con la ricognizione delle aree di maggior interesse e la riconsiderazione di monumenti già noti (quali il presunto stūpa di Mohenjo-daro).

A Manṣūra, nel Sind centro-orientale, gli scavi intrapresi dal Dipartimento governativo di Archeologia a partire dal 1966 e tutt'ora in corso, hanno portato alla luce resti considerevoli di quella che le fonti storiche indicano come la seconda fondazione araba nel Sind. La città, interamente costruita in mattoni cotti e cinta da mura con bastioni semicircolari con quattro porte, ha un impianto regolare, con vie che intersecandosi ad angolo retto limitano le diverse zone residenziali, commerciali e artigianali (lavorazione del ferro); particolarmente accurato è il sistema sotterraneo di canali di scolo. La Grande Moschea, di pianta rettangolare, presenta uno schema simile a quello della moschea di Banbhore e rappresenta il centro della città, attorno a cui si accorpano il mercato, la scuola teologica e la residenza del governatore, non diversamente da quanto attestato per le più antiche moschee della regione mesopotamica. Le strutture sono state distinte in sei periodi strutturali riconducibili a quattro fasi culturali comprese tra la fondazione della città attorno alla metà dell'Vili sec. e il suo decadimento verisímilmente provocato da un mutamento nel corso dell'Indo, verso la fine del XIII secolo. L'insediamento islamico sorge su uno spesso deposito alluvionale che copre un'occupazione di età storica non meglio datata, ma che comunque per la maggior parte degli archeologi pakistani non corrisponde alla città pre-islamica di Brahmanābād, contrariamente a quanto ritenuto prima dell'inizio degli scavi e a quanto invece forse ancora sostenibile.

V. anche butkara; gandhāra, arte del; peshawar; swāt.

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I periodici di archeologia pubblicati in P. sono APk, del Dipartimento di Archeologia dell'Università di Peshawar, PkA, del Dipartimento governativo di Archeologia, Lahore Museum Bulletin e Journal of Pakistan Archaeologists Forum (dal 1992). Anche il JCA del Centro per lo studio delle civiltà dell'Asia centrale, Università Quaid-i-Azam, Islamabad, ospita frequentemente lavori di archeologia, mentre contributi di un certo interesse per gli archeologi compaiono a volte sul Journal of the Pakistan Historical Society, Karachi.

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(P. Callieri)