PALEOGRAFIA

Enciclopedia Italiana (1935)

PALEOGRAFIA (dal gr. παλαιός "antico", γραϕή "scrittura" e il suffisso -ia delle scienze)

Luigi SCHIAPARELLI
Paul MAAS
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È, come dice il nome, la scienza delle antiche scritture, limitatamente però a quelle dei documenti di carattere non monumentale; le scritture dei monumenti sono studiate dall'epigrafia (v.).

La paleografia studia lo sviluppo e le trasformazioni della scrittura, stabilendo per ogni tipo le caratteristiche e l'epoca in cui fu usato e permettendo così di stabilire con certezza l'autenticità dei documenti studiati e con grande approssimazione il tempo di quelli che non sono datati.

Come ben si comprende, ci possono essere tante paleografie quante sono le scritture usate nel mondo; ma lo studio si è limitato di fatto a quei sistemi, di cui si hanno documenti numerosissimi, che abbracciano un vasto periodo di tempo e che hanno notevole importanza sia storica, sia letteraria. La paleografia slava, quella araba (v. arabi, III, p. 866 segg.), quella siriaca e quella delle scritture indiane hanno avuto un loro sviluppo e valorosi cultori; tuttavia, poiché solo la paleografia greca e quella latina sono assurte a dignità di scienza autonoma, in questo articolo la trattazione è limitata ad esse.

Storia degli studî paleografici.

In tutto il Medioevo e nel Rinascimento non si studiò la scrittura con vero intento scientifico. Negli scrittori, specialmente del Rinascimento, si trovano indicazioni paleografiche, ma senza ordine e senza metodo. Dell'età dei codici indicazioni generali e indeterminate: saranno detti semplicemente antichi, di media, di reverenda antichità, antichissimi; dei generi di scrittura nessuna classificazione sistematica; nessuna notizia precisa relativa alla loro origine, e solo qualche vaga idea sull'antichità, sullo sviluppo ed estensione nell'uso di alcuni di essi; neppure un tentativo di descriverne i caratteri. Si distingue talvolta una scrittura in lettere grandi, onciali, si distinguono alcune scritture con nomi speciali, come scotica, beneventana, longobarda e longobardica, francisca o gallica, toletana, ecc., alcuni dei quali perdurarono fino a noi; ma questi vocaboli non hanno un significato generale ben determinato; anzi molti sono per lo più usati unicamente per indicare una scrittura straniera o diversa da quella comune o difficile a leggersi. Speciale attenzione attirarono invece assai presto, fin dall'età romana, le abbreviature, delle quali si fecero particolari raccolte e classificazioni con intento pratico.

Neppure si distinse nel Medioevo, a scopo di studio, la scrittura dei libri o codici da quella dei documenti o delle carte, ma quest'ultima richiamò maggiore attenzione per usi pratici. Fin da allora si ricorse in taluni casi al confronto della scrittura (comparatio o collatio scripturae o chartae) o all'esame di essa (forma scripturae), sia per riconoscere lo scrittore, sia per giudicare dell'autenticità dei documenti; ma in tutto ciò non vi è nulla di paleografico, bensì un tentativo di studio diplomatico. Notiamo intanto come già si avverta il legame tra scrittura e testo e come vi sia tendenza a rivolgere l'esame principalmente al documento anziché al codice, in considerazione della sua maggiore importanza pratica. Intensificandosi lo studio del documento, sempre maggiore attenzione si rivolgerà necessariamente alla scrittura, come elemento fondamentale per riconoscerne o dimostrarne l'autenticità. Ed ecco apparire l'origine della paleografia latina collegata a quella della diplomatica (v.). La paleografia pone le sue prime basi soprattutto nel documento.

La scienza diplomatica ha origine nel sec. XVII, in relazione con lo stato degli studî letterarî e storici di allora, specialmente in Francia. Erano sorte contestazioni vivacissime, con pubblicazioni polemiche (bella diplomatica), tra benedettini e gesuiti circa l'autenticità di antichi documenti. Rappresentante massimo dei gesuiti fu Daniel Papebroch (1628-1714), il successore di J. Bolland negli Acta Sanctomrm; dei maurini (i benedettini della congregazione di S. Mauro, fondata nel 1618) Jean Mabillon (1632-1707). Alla pubblicazione De diplomaticis, polemica e ipercritica, del Papebroch nel suo Propylaeum antiquarium circa veri ac falsi discrimen in vetustis membranis (negli Acta Ss. aprilis, II, 1675), con la quale rinnegandosi in genere l'autenticità dei più antichi documenti - secondo il Papebroch in tutto il regno franco non si avevano documenti autentici anteriori al sec. VII - si toglieva valore alle fonti più antiche della gloriosa storia dell'ordine benedettino e dei suoi monasteri, rispose il Mabillon con l'opera De re diplomatica libri IV (1681). Nel qual libro troviamo pure il primo tentativo di uno studio scientifico della scrittura latina. Non si ha in esso una vera trattazione di paleografia, ma una serie di notizie paleografiche, sparse qua e là; la paleografia latina non è ancora scienza a sé e neppure ben definita, ma s'intravede il suo sicuro sviluppo. Dal Mabillon ha principio lo studio scientifico della paleografia latina. In quel tempo fervevano tra i cultori dell'antichità discussioni sulla scrittura: se i Romani adoperassero un genere diverso per i libri e per le iscrizioni e per l'uso privato; se conoscessero la corsiva e la minuscola; se Ovidio, Cicerone, ecc., scrivessero in lettere maiuscole o minuscole. Il Mabillon non si smarrì nei particolari, e lasciando in disparte le scritture moderne, espose in breve un vero sistema di classificazione delle scritture antiche, sistema che risente degli errori di quell'età, ma rappresenta tuttavia un notevolissimo tentativo sistematico, tanto che alcune sue partizioni e alcuni nomi di scrittura da lui accolti sono passati nell'uso generale. A rivolgere ai codici quell'attenzione e quell'indagine che prima erano ristrette essenzialmente ai documenti concorsero, tra gli altri, con i loro paradossi e con le dispute cui diedero occasione, due gesuiti: F. Hardouin (1646-1729) e B. Germon (1666-1713).

Nel 1708 compare il primo lavoro di paleografia propriamente detto, che porta appunto della nuova disciplina il nome tecnico e scientifico, il lavoro di Bernard de Montfaucon (1655-1741) dal titolo: Palaeographia graeca sive de ortu et progressu literarum. Egli studia in particolar modo i codici, esamina lo sviluppo delle lettere, dà un elenco cronologico dei codici greci con notizie sugli scrittori e sulla scrittura. È il primo manuale di paleografia greca ed è anche il primo esempio di una trattazione paleografica a sé. L'esempio del Montfaucon non trovò subito imitatori nel campo latino, ma invitò a studî e a ricerche, sollevò discussioni che misero in maggiore evidenza l'importanza della scrittura nei codici.

Si pubblicarono frattanto testi corredati di facsimili, cataloghi di manoscritti, raccolte di materiali paleografici e veri studî paleografici; studiosi di varie regioni portarono il loro contributo col materiale a loro disposizione, dando impulso a trattazioni e fornendo sussidî di paleografia locale. Nuovi materiali furono rinvenuti e pubblicati, specialmente iscrizioni, che indussero gli studiosi, dalle lettere minuscole e corsive ivi apparse, a confronti con la scrittura delle carte e a tentativi di tratteggiare la storia della forma di alcune lettere.

Intanto alla paleografia latina generale veniva una nuova forza animatrice per opera di un Italiano. Nel 1713 Scipione Maffei aveva la ventura di ritrovare, in un ripostiglio in cima a uno scaffale della Biblioteca Capitolare di Verona, i codici colà nascosti forse per salvarli dall'inondazione dell'Adige del 1575 e poi dimenticati. Egli vide, esaminando questo prezioso materiale, in gran parte di origine veronese, vario per contenuto e generi di scrittura, di diverse età (un centinaio di manoscritti dal sec. V al X), come tutte le scritture latine derivino da un'unica fonte, dalla scrittura romana. L'aver egli compreso l'unità di origine dei varî generi di scrittura latina portò alla paleografia un principio nuovo, che, liberandola dalle strettoie in cui l'aveva lasciata il Mabillon - il quale considerava le varie scritture come prodotti dei diversi popoli barbarici che occuparono le provincie romane, come qualche cosa d'indipendente dalla scrittura romana, con origine e svolgimento proprio - la metteva sulla via del progresso e del perfezionamento. Secondo il Maffei si ha una sola scrittura, la romana, che si distingue in maiuscola, minuscola e corsiva; nega perciò che i popoli barbarici abbiano avuto parte nello svolgimento della scrittura latina e non riconosce le scritture nazionali. Egli però non scrisse un trattato di paleografia; diede soltanto osservazioni paleografiche, che si trovano sparse in alcune sue opere. Aveva però progettata una Bibliotheca Veronensis manuscripta, alla quale avrebbe premesso "un trattato degli antichi caratteri latini", e una pubblicazione di tavole ricavate dai codici veronesi.

Le idee del Maffei ebbero larga ripercussione tra gli eruditi di quella età. L'opera solidamente iniziata dal Mabillon e bene indirizzata dal Maffei fu riveduta e completata dai padri maurini Ch.-Fr. Toustain e R.-P. Tassin, che nel Nouveau traité de Diplomatique (voll. 6, 1750-1765) raccolsero tutto il sapere diplomatico e paleografico di quei tempi e un materiale ricco e vario. La trattazione è fatta con acume e grande dottrina, resa qua e là confusa e oscura da troppi particolari e da esagerate classificazioni, divisioni e suddivisioni. Comunque, è opera fondamentale, alla quale hanno aderito numerosi paleografi e a cui tuttora si ricorre con profitto. Ad essa risale la classificazione principale delle scritture latine adottata nei manuali moderni, come si devono ad essa la maggior parte dei vocaboli tecnici paleografici passati nell'uso generale. La paleografia non ha ivi ancora segnati i suoi confini con precisione, ma mostra la vastità del suo campo e le sue partizioni principali fissate in modo definitivo. Col trattato dei due maurini si può chiudere il primo periodo della storia della paleografia latina.

Tre fatti principalmente caratterizzano il periodo nuovo o moderno, che s'inizia col sec. XIX: 1. la paleografia latina si afferma come scienza a sé, distinta dalle altre; 2. alla riproduzione dei facsimili si applica la fotografia; 3. vengono alla luce nuovi materiali paleografici.

Il nome di paleografia latina, sebbene già usato nella seconda metà del sec. XVIII, soltanto verso la metà del sec. XIX diviene di uso generale; così la paleografia latina tarda a staccarsi dall'epigrafia, dalla cronologia e specialmente dalla diplomatica. Nella seconda metà del secolo XIX è pressoché da tutti avviata, senza deviazioni, per il suo cammino; e ora battendo strada propria acquista libertà e forza di sviluppo.

Con l'applicazione della fotografia alla riproduzione di facsimili paleografici si trovò lo strumento migliore per il suo studio: le difficoltà che presentavano la dispersione del materiale e la riproduzione di facsimili a mano furono eliminate. Si poterono in tal modo facilmente riavvicinare codici lontani e carte disperse, e fare larghi, minuti e precisi confronti per distinguere i generi di scrittura e le scuole scrittorie, riconoscere gli scribi, per datare codici e per osservazioni varie. Nella seconda metà del sec. XIX le pubblicazioni di facsimili si fanno numerose e via via aumentano e si perfezionano coi nuovi metodi fotomeccanici; si fanno riproduzioni di lusso e raccolte a uso scolastico; la produzione si estende a codici interi e s'iniziano particolari collezioni di codici riprodotti a facsimile. Con speciale metodo e con ottimi risultati si riproducono anche i palinsesti (v.).

La paleografia, avendo ora la strada aperta e possedendo uno strumento preciso e facile di lavoro, era in grado di progredire con mezzi proprî e per merito proprio, quando il ritrovamento e le pubblicazioni di nuovi materiali paleografici, codici e carte palinsesti, iscrizioni lapidarie, graffiti, papiri e pergamene, le dischiusero nuovi capitoli e le permisero di completarne e migliorarne altri.

Lo sviluppo degli studî venne così a far assumere alla nuova scienza un carattere di sempre maggiore autonomia, differenziandola ormai definitivamente dalla diplomatica con la quale era al suo nascere strettamente unita, distinguendola nettamente in paleografia greca e paleografia latina.

A tale sviluppo contribuì notevolmente l'istituzione di istituti scientifici speciali quali l'École des Chartes che, creata nel 1819 e saldamente organizzata nel 1847, riprese in Francia la grande tradizione dei padri maurini e costituì il maggior centro di studî paleografici in Europa verso la metà del secolo scorso. All'École des Chartes, alla cui fortuna è legato il nome di L. Delisle, che fu scolaro e poi presidente del consiglio amministrativo del grande istituto, insegnarono successivamente J.-A. Giry, autore anche di un Manuel de diplomatique (Parigi 1895), e il suo scolaro M. Prou, il quale con Julliot pubblicò il primo grande manuale di paleografia latina redatto con criterî scientifici (Manuel de paléographie latine et française du VIe au XVIIIe siecle, Parigi 1889) e si fece promotore della pubblicazione delle prime grandi raccolte di facsimili. Poco dopo l'École des Chartes, a Vienna veniva creato, con gli stessi fini del grande istituto francese, l'Institut für österreichische Geschichtsforschung (1854, ma ordinato definitivamente nel 1878), mentre in Germania la grande impresa dei Monumenta Germaniae historica indirizzava agli studî paleografici una larga schiera di studiosi tedeschi. Fra questi, oltre al grande diplomatista Th. v. Sickel, L. Traube assurse alla dignità di maestro di tutta una scuola di paleografi ed editori di testi medievali, come fondatore del metodo filologico per la ricostruzione dei testi antichi, sul fondamento dello studio paleografico e della tradizione dei manoscritti. In Inghilterra, inoltre, verso la fine del sec. XIX sorgeva in Londra la Palaeographical Society col fine di pubblicare i facsimili delle antiche scritture.

In Italia A. Gloria, scolaro del Sickel e professore di paleografia a Padova, fu autore di un Compendio di lezioni di paleografia e diplomatica (Padova 1869), che ebbe larga diffusione tra gli studiosi, e, a Firenze, C. Paoli, col suo Programma scolastico di paleografia latina e di diplomatica e con la pubblicazione della Collezione fiorentina di facsimili paleografici (1884-1898), pose le basi scientifiche dei nostri studî paleografici. Ma gli studî italiani di paleografia si sono recentemente affermati nel nome di un maestro la cui fama aveva da tempo valicato le Alpi: Luigi Schiaparelli, professore all'università di Firenze. Mercé l'opera dello Schiaparelli la paleografia latina, da scienza ausiliaria della storia, era divenuta una vera scienza dello spirito, in quanto egli studiava la scrittura in sé e per sé come documento storico, e come espressione saliente della civiltà umana. I suoi studî sulla tradizione dell'antica cultura portata col cristianesimo nelle lontane isole anglosassoni e tornata a rifluire sul continente europeo, dopo il periodo oscuro delle invasioni, per opera del monachismo irlandese, rappresentano mirabilmente il suo orientamento di studioso. Così è caratteristico della grande opera scientifica dello Schiaparelli il considerare le varie scritture non come distinte da rigidi schemi scolastici, ma come concrete espressioni di particolari ambienti storici e geografici, che spiegano le influenze e i contatti più diversi e eterogenei.

Per la paleografia greca i progressi della paleografia generale nel sec. XIX hanno portato all'opera fondamentale di Victor Gardthausen (1843-1925), Griechische Paläographie, 1ª ed., 1879 (utile ancor oggi per l'elenco dei manoscritti datati, omesso nella 2ª ed.), 2ª ed., Lipsia 1911-13. Dal punto di vista della compiutezza della raccolta del materiale, questa opera rappresenta per il nostro tempo ciò che rappresentò per il suo quella del Montfaucon (peraltro la parte epigrafica è esclusa); vi si trovano inoltre i risultati delle importanti ricerche del Gardthausen sulla storia della minuscola, e inoltre utilissime tavole dei varî tipi di alfabeti; mancano invece saggi di testi di una certa lunghezza. Il Gardthausen rivela un occhio sagace nel riconoscere le forme grafiche, e in generale sano giudizio, a meno che non gli avvenga di voler difendere a ogni costo i proprî errori; ma il suo libro manca di profondità, ed è inoltre ingombro di particolari irrilevanti. Al Gardthausen faceva difetto la conoscenza intrinseca dei testi della cui scrittura si occupava, nonché quella della civiltà del Medioevo greco donde provengono e scribi e committenti. Chi voglia compiere nel campo della scrittura greca del Medioevo ciò che in quello della latina hanno compiuto uomini quali Ludwig Traube e Luigi Schiaparelli (per tacere dei viventi), deve essere un bizantinista provetto e avere coi classici greci almeno quella stessa intimità che i Bizantini possedevano. Inoltre sarà difficile, in avvenire, potere scindere lo studio della paleografia greca da quello della latina dei secoli IV-IX, della siriaca e (per gli ultimi secoli) dell'araba.

Un sussidio d'indole assai più modesta, ma indispensabile, è quello dato alla paleografia greca da Maria Vogel, per suggerimento di Georg Wentzel e con la collaborazione del Gardthausen: Die griechischen Schreiber des Mittelalters und der Renaissance (Lipsia 1909), una serie di elenchi perspicui e sicuri, nei quali è raccolto un materiale di grande importanza per l'indagine paleografica.

Paleografia greca.

La disciplina che tratta della scrittura greca è stata assegnata in tempi recenti a diversi rami dello scibile, tra cui i principali sono: l'epigrafia greca, la papirologia greca, lo studio dei manoscritti medievali. I primi due di questi rami negli ultimi decennî si sono sviluppati, in seguito ai risultati degli scavi, a sezioni autonome e fiorenti della scienza dell'antichità. Pertanto la scrittura delle iscrizioni e dei papiri greci, cioè quella usata dal secolo VII a. C. all'VIII d. C viene trattata nell'ambito di queste due sezioni (v. epigrafia; papirologia). Nello studio dei manoscritti greci medievali la trattazione della scrittura occupa un posto d'importanza così preponderante, che l'intero campo di esso può essere semplicemente designato col nome di "paleografia greca", per quanto la denominazione più precisa sarebbe quella di "bibliologia del Medioevo greco".

Manoscritti datati. - Per i secoli IV-VIII si possiede un gran numero di documenti datati, sì che lo svolgersi della corsiva in questo periodo può seguirsi con sicurezza. Mancano invece quasi interamente i libri datati; ma, in base a considerazioni paleografiche generali, può assegnarsi ai secoli IV-VI un numero considerevole di libri. A partire dall'880, gli anni per i quali si possiedono codici datati si seguono così fittamente, da lasciare ben poco a desiderare (solo per il tempo dell'Impero latino d'Oriente, 1204-1261, il materiale sembra alquanto scarso). Tra l'880 e l'835 (data del più antico manoscritto in minuscola) si conoscono soltanto due manoscritti datati, ambedue dell'anno 862-3; il Salterio Uspenskij (onciale) e il cod. 591 del convento delle Meteore (onciale e minuscola, non ancora pubblicato in riproduzione). Poiché si hanno, per il periodo 800-950, pochissimi documenti databili, riesce impossibile farsi una idea precisa della corsiva contemporanea alla minuscola pura.

Nessun codice greco databile scritto in Oriente è finora noto per il periodo dal 600 circa all'835. Le cause probabili di tale lacuna sono: 1. l'arabizzazione dell'Egitto (quindi la quasi totale mancanza di ritrovamenti di carattere letterario nelle sabbie di Egitto per quest'epoca); 2. la lotta iconoclastica, ostile alla cultura umanistica: 3. il fatto che, dopo la introduzione della minuscola e dei segni diacritici, gli antichi codici in onciale e senza segni, divenuti di difficile lettura, non vennero più conservati; 4. il fatto che il papiro, sul quale certamente si scrivevano ancora molti codici nei secoli VII e VIII (p. es. il codice 279 della Bibliotheca di Fozio), non si è conservato, fuori d'Egitto, se non in via eccezionale. Ne consegue la perdita di ogni testimonianza intorno all'introdużione della minuscola letteraria, dei segni diacritici obbligatorî e del sistema della sottoscrizione, nonché quella di tutti i manoscritti della Bibliotheca di Fozio.

La scrittura dei secoli IV VIII. - La scrittura letteraria dei secoli IV-VI non è essenzialmente diversa da quella più antica. Si usa di preferenza l'onciale. Le lettere hanno un aspetto stereotipo e si susseguono verticali e senza legature, con larghezza pari all'altezza (solo I, P, B sono più esili, Ω più larga). La scrittura è di altezza uniforme, e solo poche lettere si estendono un po' al disopra e al disotto della duplice rigatura

Questo stile si ritrova così nei codici latini come nei greci di quell'età, tanto sacri quanto profani: tali i più antichi manoscritti biblici (Sinaitico, Vaticano della Bibbia, B, ecc.), il Cassio Dione della Vaticana, l'Iliade dell'Ambrosiana, il Dioscuride di Vienna (assegnabile al principio del sec. VI), ecc.

Nella corsiva contemporanea si sviluppa un tipo decisamente a tre gradi di altezza (corsiva minuscola), che sta in netto contrasto con l'onciale. Caratteristico è l'allungarsi di circa la metà delle lettere così in alto come in basso, mentre l'altra metà si mantiene rigidamente entro il grado mediano. Anche questa corsiva rassomiglia in maniera straordinaria alla scrittura latina congenere della stessa età: non solo alcune singole lettere, ma perfino intere sillabe e legature sono presso a poco identiche. L'introduzione dei tre gradi di altezza è decisiva per l'intero tipo della scrittura più recente: l'uniformità della scrittura a grado unico, avanzo dell'epigrafia antica, viene sacrificata alla chiarezza, all'agilità e alla differenziazione personale. Nei libri questa corsiva minuscola non è finora attestata che nel solo cod. Vat. 2200, il che è forse in rapporto con la sopra notata assenza di materiale per i secoli VII e VIII: non vi è dubbio che le annotazioni marginali dei codici in onciale di quel tempo non fossero scritte in corsiva minuscola di questo tipo.

La minuscola letteraria del sec. IX non è altro, in sostanza, che la stilizzazione della corsiva minuscola anteriore. Quelle poche forme che non erano ancora costituite nella corsiva del sec. VI si svilupparono nel corso dei secoli VII e VIII: ??? = μ, ??? = ν, ??? = π, ∞ = ω; non restava che diminuire gli allungamenti verso l'alto e verso il basso e limitare il numero delle legature.

Il più antico codice databile in tale tipo di minuscola è l'eiangeliario cod. Petersb. 219, scritto il 7 maggio 835 a Costantinopoli dall'abate studita Nicolaos. Tutte le caratteristiche della minuscola letteraria vi hanno già il loro pieno sviluppo.

Minuscola pura. - La minuscola letteraria deve essere stata introdotta, al più tardi al principio del secolo IX, mediante una riforma intenzionale da parte di un'autorità costituita: essa si stabilì infatti quasi senza resistenze in tutto quanto l'Impero; i tentativi di continuare l'uso dell'onciale nella scrittura dei codici (onciale liturgica) o di stilizzare altrimenti la corsiva (cod. Vat. 2200) rimasero isolati.

Questa riforma, la più profonda che la scrittura greca abbia subita nei 2500 anni della sua esistenza, non è menzionata da alcuna fonte storica; ed è altresì ignoto qual nome venisse dato al nuovo tipo di scrittura. Il termine "minuscola" non indica che una parte, e non la più caratteristica, del suo aspetto. A miglior diritto potrebbe chiamarsi minuscola l'onciale minore che si trova usata nei margini dei manoscritti dei secoli IX e X e che di fatto non si distingue dall'onciale liturgica contemporanea che per le dimensioni minori. Se dovesse confermarsi l'ipotesi che la minuscola letteraria sia stata introdotta dalla scuola calligrafica del monastero dello Studion di Costantinopoli, potrebbe proporsi la denominazione di "scrittura studita".

La "minuscola pura" unisce in sé la correntezza, la chiarezza e il rigore formale in maniera veramente mirabile.

Onciale minore. - L'onciale dell'età anteriore sopravvive soltanto, in formato ridotto, come scrittura marginale (scolî, ecc.), in formato maggiore nelle iniziali e nei titoli. Da questa coesistenza di due tipi di scrittura, coincidenti solo nella forma di poche lettere, l'apparenza gradevole dei manoscritti in minuscola pura viene straordinariamente accresciuta.

Minuscola mista. - Dal principio del sec. X in poi questa rigida distinzione dei due tipi comincia tuttavia a scomparire. Dapprima (in parte già prima del 900), le forme onciali ??? ??? ??? ??? ???, s'introducono accanto alle forme di minuscole, più tardi si aggiungono ??? ??? ??? ??? ??? ??? ??? ???, infine (dopo il 1000) ??? ??? ??? ??? ??? ??? : da principio esse compaiono soltanto isolate, in fine di riga, poi si equiparano alle forme di minuscola, finalmente prevalgono su esse. Il graduale predominio delle forme di onciale minore in seno alla minuscola costituisce certo l'indizio più importante per stabilire la datazione dei manoscritti dei secoli X-XII. Dopo l'anno 950 non si conoscono più manoscritti in minuscola pura: ogni scriba dispone d'ora innanzi di almeno due forme per la maggior parte delle lettere, e le alterna senza alcun criterio riconoscibile.

Introduzione della carta. - L'introduzione della carta come materiale scrittorio (sec. XI: i più antichi manoscritti cartacei datati sono della fine del XII) non sembra aver influito in maniera apprezzabile sul carattere della scrittura.

Corsiva dei secoli XII-XV. - Da questa minuscola mista, rimasta in uso fino al sec. XV per i manoscritti calligrafici, si è sviluppata a partire dal sec. XII una nuova corsiva, la quale mantiene soltanto poche forme della minuscola, mentre invece trasforma una parte delle forme onciali ??? = ν, ??? = τ, ??? = ϕ, introduce numerose legature ??? = το, ??? = εχϑ, congiunge i segni diacritici sia tra loro sia con le lettere a cui si riferiscono ??? = ἅ, ??? = ά, possiede carattere fortemente personale e abbandona ogni tendenza all'unità e alla stilizzazione. Da tutto ciò, peraltro, la chiarezza della scrittura non ha sofferto che lievemente, probabilmente a causa della dipendenza di questa scrittura dall'onciale, la cui forma tipica, di antichissima origine, è quella che le dà l'impronta più profonda.

I caratteri a stampa, nella loro forma più antica, derivano dai due generi di scrittura in uso nei secoli XIV-XV.

Sottoscrizioni. - Già il più antico dei manoscritti in minuscola, l'evangeliario dell'835, reca una sottoscrizione, che menziona il nome dello scriba e la data (secondo l'era della creazione, del 1° settembre 5508 a. C.). Questo uso è rimasto costante anche in seguito: dei manoscritti conservati integralmente circa uno su cinque mostra una siffatta sottoscrizione. Spesso è menzionata la sola data o il solo nome dello scriba: talvolta si trovano indicati il luogo o il nome del committente. L'arcivescovo Areta, il quale soleva far copiare i suoi codici da scribi di particolare perizia, annota spesso anche il prezzo della pergamena e della copia.

Nulla è noto intorno all'origine dell'uso delle sottoscrizioni. Esso si trova già in pieno sviluppo in Siria fin dal sec. V.

Assegnazione dell'età di manoscritti non datati. - Gli autori di cataloghi, di edizioni critiche, ecc., sogliono assegnare ogni manoscritto non datato a un determinato secolo, senza indicare i motivi di tale assegnazione. È probabile che essi stessi non abbiano un'idea chiara di tali motivi, e si limitino a paragonare l'impressione destata in loro da un dato manoscritto non datato col concetto che si sono formati, in base a manoscritti datati, dello stile calligrafico dei singoli secoli. Questo procedimento, qualora in chi lo adopera si trovino riunite le doti di capacità e di esperienza, può condurre spesso a risultati interamente o approssimativamente esatti. Sennonché si è spesso verificato il fatto che l'apprezzamento fatto indipendentemente da diversi studiosi ricchi di esperienza ha condotto ad assegnazioni riferentisi a secoli differenti, e neppur sempre contigui.

Per poter dare un carattere scientifico all'assegnazione della data, occorrerebbe che per un gran numero di singole caratteristiche fossero fissati i limiti inferiore e superiore in base all'esame dell'intero materiale datato esistente. Una simile indagine non è stata finora fatta con sufficiente ampiezza. Seguono qui alcuni dei suddetti limiti, in base al materiale non molto esteso di cui si dispone: a) minuscola pura: prima del 950; b) minuscola fortemente mista: dopo il 910; c) mancanza di accenti e spiriti su tratti alquanto lunghi: prima del 1000; d) accenti e spiriti congiunti tra loro o con le lettere: dopo il 1200; e) nomina sacra provvisti regolarmente di accenti: dopo il 1000; f) ï e v??? posti regolarmente per ı e v interni non dittongati: dopo il 1050; g) forme particolari di lettere: v. le tavole degli alfabeti nei manuali di paleografia; h) uso del papiro: prima dell'850 (eccezione: un palinsesto del sec. XII); i) uso della carta: dopo il 1100 (eccezione il cod. Vat. 2200 del sec. IX?).

Spesso il testo stesso del manoscritto può fornire criterî per la datazione: il terminus post quem è dato dal testo databile più recente (specialmente interpolazioni e glosse marginali di prima mano), quello ante quem dalla più antica glossa marginale di seconda mano. Talvolta anche la genealogia della tradizione manoscritta (stemma) può giovare alla datazione: questa deve necessariamente essere più recente, per un determinato manoscritto, del più recente suo modello databile, e più antica del suo più antico apografo databile. A siffatte questioni i compilatori di cataloghi prestano di solito assai poca attenzione.

In generale sarebbe raccomandabile di non menzionare, nelle datazioni fatte in base alla scrittura, un solo secolo, ma almeno due secoli contigui.

Localizzazione. - Qualora la sottoscrizione stessa non menzioni il luogo della copia, questo può determinarsi soltanto in via eccezionale. È relativamente raro che un manoscritto medievale si conservi tuttora nel luogo stesso in cui fu scritto (monasteri del Monte Athos, del Sinai, di Patmo, di Grottaferrata, ecc.); i prestiti erano frequenti fin dal Medioevo. Dei codici di autori classici scritti in Oriente è probabile che dal Rinascimento in poi circa il 99% sia emigrato nelle biblioteche dell'Occidente.

La scrittura, come mostrano i manoscritti dei quali è indicato il luogo d'origine, era la stessa in tutte le regioni dell'Impero bizantino. Alcuni codici scritti nei secoli X e XI in conventi dell'Italia meridionale possono riconoscersi dallo stile delle illustrazioni, dalla disposizione e dall'aspetto esteriori; ma si tratta di un fenomeno isolato. Talvolta il carattere tipicamente locale di una recensione testuale dà indizio intorno alla sua provenienza: così il cod. 279 della Bibliotheca di Fozio deve provenire dall'Egitto, il cod. Vat. 172 da Tessalonica.

Come mostrano le sottoscrizioni, i manoscritti di argomento profano non sono stati copiati in monasteri. Quasi tutti derivano, con ogni probabilità, da Costantinopoli o da Tessalonica.

Qualche utilità per la possibile localizzazione può anche derivare dallo "stemma" dei manoscritti, quando cioè o un loro modello o un loro apografo possa essere localizzato precisamente.

Autografi. - Parecchi degli scribi menzionati nelle sottoscrizioni, o dei quali si conosce il nome grazie ad altre circostanze, sono personalità ben conosciute: tali l'arcivescovo Areta (circa 900), S. Nilo di Grottaferrata (circa 950), Niceta di Serra (metà del sec. XI, cod. Marc. 476), Eustazio di Tessalonica (fine del sec. XII, cod. Laur. 59, 2 + 3), Massimo Planude (circa 1300, cod. Marc. 481), Demetrio Triclinio (circa 1320, cod. Marc. 464) e numerosi dotti del Rinascimento. Areta ed Eustazio possedettero importanti biblioteche di classici, sicché il ricercare le tracce delle loro mani nei manoscritti oggi sparsi qua e là in varie biblioteche può condurre a risultati importanti per la storia del testo.

Segni diacritici. - Il sistema bizantino degli accenti e spiriti che le stampe moderne hanno adottato tal quale, è stato inventato nel sec. IV d. C. Prima di allora si poneva il segno dell'accento grave su ogni sillaba non tonica, e per lo più sulla sillaba o le sillabe protoniche; dopo, l'accento grave indica soltanto la presenza di una sillaba ossitona nell'interno della frase. Lo spirito lene, che in origine era usato soltanto eccezionalmente, viene in seguito posto con la stessa regolarità dell'aspro. Questo sistema rende inutile il far risaltare la divisione delle parole mediante intervalli o punti. Gl'intervalli sono stati introdotti nella scrittura greca soltanto dopo l'invenzione della stampa.

Abbreviature. - Solo eccezionalmente si hanno testi scritti interamente in stenografia, e la loro importanza non è grande. Ma, contemporaneamente alla minuscola, si è introdotta una stenografia desinenziale, usata dapprima soltanto nelle annotazioni marginali, più tardi (dal sec. XI) anche nel testo, e perfino in opere poetiche; essa è penetrata finalmente nelle stesse iscrizioni. Queste abbreviature, che spesso dànno all'intero tipo della scrittura un carattere del tutto particolare, consistono di circa 35 segni che si pongono sopra l'ultima lettera della radice, e che contribuiscono pertanto anche a rendere più perspicua la divisione delle parole.

Questo sistema è in parte di origine prebizantina.

Paleografia latina.

Il campo della paleografia latina è ampio quanto quello della letteratura latina, senza restrizioni di tempo e di luogo, e si può estendere fin dove è fatto uso dell'alfabeto latino. Di questo la paleografia non indaga l'origine: lo presuppone noto nel suo svolgimento storico.

Se si considera la missione che ha avuta la scrittura latina nel campo della civiltà e della cultura, tramandando e conservando il sapere da remota antichità ai tempi moderni, emergerà l'importanza veramente grande della paleografia latina, che nell'ambito della paleografia generale è assurta alla dignità di scienza autonoma.

I Romani e i popoli romano-barbarici dell'Occidente non fecero della scrittura un uso largo quanto alcuni popoli dell'Oriente, e non adoperarono un materiale scrittorio che per la sua natura e per il clima fosse di lunga conservazione; il che spiega in parte perché di altri popoli ci siano pervenuti documenti originali relativamente numerosi e più antichi di quelli latini. Tuttavia, e fu somma ventura, le scuole scrittorie d'Occidente, in ogni periodo, attesero a copiare i prodotti dell'antichità, e così avvenne che, malgrado il materiale scrittorio facile a deteriorarsi e un clima e qualità fisiche del suolo non adatte alla sua conservazione, malgrado le devastazioni varie subite nei secoli, una parte del retaggio letterario e storico antico ci sia stato tramandato in copia. E così ai pochissimi documenti originali romani a noi giunti aggiungiamo fortunatamente i testi romani conservatici nei codici medievali. Soltanto con l'epoca medievale i documenti paleografici latini originali si fanno numerosi, soltanto da quest'epoca lo studio della paleografia latina può prendere grande sviluppo. Alla conservazione di antico materiale latino, letterario e documentario, concorse pure, in parte, l'Oriente, l'Egitto soprattutto. E su questo vario materiale di fonti manoscritte esercita il suo lavoro la paleografia latina.

Le principali scritture latine si possono dividere in due gruppi:

I. Scritture romane e romano-medievali, che comprendono: a) la capitale; b) la maiuscola corsiva; c) la minuscola corsiva; d) la semionciale arcaica; e) l'onciale; f) la semionciale.

II. Scritture medievali o nazionali, che comprendono: a) le scritture insulari (irlandese e anglosassone); b) la scrittura merovingica; c) la visigotica; d) la minuscola corsiva italiana; e) le precaroline; f) la carolina; g) la gotica; h) l'umanistica.

I. - Scritture romane e romano-medievali. - a) Capitale. -1. Capitale arcaica. - Diciamo capitale la scrittura, dalle lettere di uguale dimensione (maiuscole), usata nelle più antiche iscrizioni e in antichi manoscritti. Può essere eseguita in una forma più o meno accurata, cioè diritta o rotonda, più o meno corsiva. Vi è certamente unità di origine nelle varie forme della scrittura latina, attraverso i generi, le età e i luoghi; si risale cioè nello studio dello svolgimento di essa scrittura a una scrittura madre, di cui possiamo ritenere di avere il tipo in quella che chiamiamo capitale arcaica, la quale ci appare nelle epigrafi arcaiche dal VII-V sec. a. C. al sec. II a. C. Non possiamo dire a quale punto di sviluppo della scrittura latina ci troviamo con queste iscrizioni, ma notiamo attraverso la varietà di forma delle singole lettere e all'impronta generale della scrittura la tendenza verso un duplice svolgimento: da un lato verso forme più rotonde, diritte, eleganti e dall'altra parte verso forme più corsive.

Dal carattere epigrafico arcaico dei primi tempi che nel suo insieme ha qualcosa di duro, rozzo, vario, con forme miste e disuguali, per via di perfezionamenti e di eliminazioni, si forma un alfabeto capitale elegante; al quale si contrappone un altro più alto, più spontaneo, facile e libero nell'esecuzione, cioè l'alfabeto corsivo. Non tardiamo a vedere staccati dallo stesso tronco, cioè dalla capitale arcaica, due rami: l'uno che raggiungerà presto il suo massimo sviluppo, dalle forme ben regolari, diritte ed eleganti; l'altro più semplice, corsivo, al quale l'arcaica trasmette il suo maggior vigore, e destinato a dare germogli e frutti nuovi.

La scrittura diritta o rotonda, staccatasi dall'arcaica in seguito a un processo di sviluppo e di perfezionamento, in parte artificioso, raggiunse nelle epigrafi la sua perfezione al tempo di Augusto.

2. Capitale elegante e rustica lapidaria. - L'alfabeto di questa scrittura appare già in un notevole numero d'iscrizioni del sec. I a. C., ma il passaggio dalla capitale arcaica alla nuova si è verificato prima, e ha dato luogo al formarsi di due tipi di scrittura il cui uso è in qualche relazione col contenuto delle iscrizioni (tituli, le iscrizioni monumentali; e acta, le iscrizioni documentarie). Si distingue pertanto fino da allora una scrit. tura particolarmente usata nei tituli, di speciale eleganza e regolarità, la capitale elegante (lapidaria), e una scrittura particolarmente usata negli acta, più agile, stretta e di più facile esecuzione, la capitale rustica (lapidaria). Come furono preferiti per i tituli la pietra e il marmo, e per gli acta il bronzo, così l'elegante ricorre più spesso nelle iscrizioni in pietra e marmo, l'altra in quelle in bronzo (uno speciale gruppo di documenti in rustica ci è dato dai diplomi militari). Comunemente si chiama la prima monumentalis o quadrata, la seconda actuaria. L'alfabeto elegante rappresenta ancora oggi il tipo per eccellenza dell'alfabeto maiuscolo.

Delle due specie abbiamo saggi notevoli anche nella scrittura dipinta, e sono particolarmente importanti, per la loro affinità con la corrispondente scrittura dei manoscritti, quelli in rustica delle iscrizioni murali pompeiane.

Tra la capitale elegante e la rustica, due divisioni della eapitale diritta o rotonda, la differenza è di gradi. La rustica, forma più adatta a maggiore produzione scrittoria, finì per prevalere sull'altra. I medesimi generi, con lievi differenze di tratteggiamento, dovute essenzialmente al diverso materiale scrittorio (papiro e pergamena) e al diverso strumento (il calamo), si trovano nella scrittura a inchiostro, cioè nei manoscritti in scrittura libraria. L'epigrafia dà i materiali più antichi per lo studio delle forme della capitale non solo, ma mostra come i due generi di essa (elegante e rustica) abbiano avuto il primo uso e il principale svolgimento nella epigrafia (nella scrittura scolpita, o a sgraffio, o dipinta), donde sarebbero passati nella scrittura a inchiostro, poiché tarda e non abbondante è stata la tradizione scritta letteraria latina (non prima del secolo III a. C.), e relativamente tarda la conoscenza presso i Romani dei materiali più proprî per scrivere (il papiro, fra il sec. III e il II, e la pergamena alla fine della repubblica).

3. Capitale elegante e rustica libraria. - Nella scrittura a inchiostro col calamo, su papiro e pergamena, le stesse lettere capitali si fanno, pur essendo calligrafica l'esecuzione, meno dure o rigide; il tratteggiamento prende movenze più libere, facili e naturali, quindi talvolta si hanno tratti con prolungamenti in alto o in basso, altri più forti o più sottili, alcuni più curati e alcuni persino in legatura.

In capitale elegante, ci sono pervenuti solo frammenti di tre codici virgiliani, che si sogliono datare tra il sec. IV e il V d. C.; ma certamente tale scrittura è stata usata molto tempo prima (esempî in papiri d'Ercolano), sia in pergamena, sia in papiro, sebbene si possa supporre che l'uso ne sia stato limitato a testi di maggiore importanza o ai quali si voleva dare un carattere di speciale solennità, a rubriche, a titoli, a singole parole, come vediamo praticato dal sec. IV in poi.

Di questi tre codici virgiliani, l'Augusteo o Dionisiano (framm. Vatic., cod. 3256; framm. berlinese, cod. 416) ha una scrittura meno quadrata e regolare rispetto al tipo di elegante lapidaria; alcune lettere sono piuttosto proprie dell'alfabeto rustico come fattura, sebbene siano di tratteggiamento largo e in armonia con le altre lettere eleganti; il codice della biblioteca abbaziale di S. Gallo (cod. 1394) e quello egiziano (The Oxyrhinchos Papyri, VIII, n. 1098; framm. di soli 16 versi del secondo libro dell'Eneide) dànno un tipo di capitale elegante più regolare, l'ultimo di dimensioni più piccole.

La capitale rustica si può studiare su papiri e su pergamene; rari gli esempî anteriori al sec. IV, ma sufficienti a mostrarne l'uso ininterrotto dal sec. I d. C., se non prima (i papiri per il periodo più antico, e dal sec. IV i codici miniati).

Si può considerare come la scrittura libraria per eccellenza più antica, essendo stata certamente più adoperata della elegante, come è attestato dal numero stesso dei manoscritti in tal genere (circa dieci volte maggiore del numero di quelli in capitale elegante). Tra il sec. VI e il VII termina il suo periodo di vita spontanea, ma eccezionalmente è ancora usata come scrittura d'imitazione per codici interi o parte di codici nel sec. VIII e nel IX, e d'uso pure assai limitato, in titoli, rubriche, parole e iniziali di parole, e qualche pagina, al pari dell'elegante, attraverso il Medioevo, fino a noi. Abbiamo in questa scrittura molti testi letterarî, storici e giuridici, tutti di scrittori pagani - Virgilio è il più rappresentato - e cristiani dell'età più antica.

Due codici portano una data che serve come termine ad quem, ricavata da nota col nome dei consoli: il Virgilio Laurenziano (anno 494) e il Prudenzio di Parigi (anno 527).

Alcuni codici si possono raggruppare insieme per certi caratteri, considerando la dimensione della scrittura, le forme peculiari delle lettere e il loro tratteggiamento.

Mentre la elegante ha lettere eseguite ordinariamente con grande regolarità e rifinitura e che mostrano proporzione tra la larghezza e l'altezza, coi tratti orizzontali formanti angoli retti coi verticali, nella rustica le lettere sono più alte che larghe, e la scrittura appare più serrata, con mancanza di rifinitura nei tratti; appaiono in essa maggiori elementi corsivi in alcuni tratti; i tratti che nell'elegante formano un angolo retto qui sono corti e spesso inclinati. La scrittura nel suo insieme pare più scolpita o dipinta che scritta; e pure nella sua accuratezza di esecuzione appare libera e di più facile esecuzione.

Ha lettere particolarmente caratteristiche, come la A priva del tratto mediano; E, F, T coi tratti orizzontali corti o inclinati, come appena abbozzati; la G è di due forme, una tonda, come nella elegante, e l'altra caudata; nella H il tratto mediano principia a sinistra avanti di intersecare la prima asta verticale; talvolta la prima parte del tratto verticale di destra è più corto o di tratteggiamento libero, dando alla lettera aspetto di K; la L dal secondo tratto breve e inclinato o ondulato; B P R dagli occhielli piccoli e per lo più aperti; la V si fa tondeggiante.

4. Capitale corsiva e semicorsiva. - La capitale non fu solo eseguita con forme diritte o rotonde, ma anche più o meno liberamente, più o meno corsivamente. Abbiamo cioè anche una capitale corsiva e semicorsiva, usata per testi documentarî o librarî e anche per iscrizioni. Non sappiamo quale sviluppo dovette avere questo uso rispetto alle forme della capitale diritta (elegante e rustica), ma dovette essere piuttosto raro, poiché assai presto si ebbe come scrittura tipica corsiva la maiuscola corsiva.

Di quest'uso fanno testimonianza alcuni papiri ercolanesi ed egiziani: il carme De bello Actiaco (scritto fra il 31 a. C. e il 79 d. C.; cfr. G. Ferrara, Poematis lat. rell. ex vol. Herculanensi evulgatas denuo recogn., Pavia 1908) è in capitale semicorsiva, il papiro a. 143 (matricola di soldati, in Wessely, Studien, XIV, tavola VIII c), in eapitale corsiva.

b) Maiuscola corsiva. - L'origine della corsiva si perde nei tempi, col primo uso dell'alfabeto latino; gradatamente alcune lettere, per legge naturale di tratteggiamento dettata dalla fretta e comodità di esecuzione e col concorso del materiale scrittorio, andarono prendendo carattere speciale e furono usate frammiste a altre di forma diritta, e in un ultimo tempo si ebbe una corsiva distinta dalla diritta con alfabeto proprio. I più antichi documenti paleografici latini in tutta corsiva finora noti sono del sec. I d. C., senza escludere che qualcuno possa fors'anche risalire al sec. I a. C. Col I sec. d. C. possiamo studiare tale scrittura nei suoi particolari, in relazione col materiale scrittorio e con lo strumento adoperatovi, e distinguiamo principalmente due serie di documenti: i graffiti (murali, tavolette plumbee e cerate) e i papiri.

La corsiva del sec. I non è puramente la capitale diritta lapidaria e libraria di allora eseguita corsivamente; ma essa deriva dalla corsiva del periodo anteriore. Né si deve pensare a una separazione netta tra la scrittura capitale diritta (elegante e rustica, delle iscrizioni come dei manoscritti) e la corsiva, quella dell'uso giornaliero: i contatti sono stati continui e le due scritture esercitarono reciprocamente influenza l'una sull'altra, anche quando già ciascuna prese a battere un cammino proprio.

Nei papiri più antichi, l'aspetto generale della scrittura è ancora quello dei graffiti e le forme di lettere appartengono al medesimo genere con lieve differenza di tratteggiamento dovuta al diverso materiale scrittorio o allo strumento. Il papiro e il calamo permisero movimenti più liberi e più spiccati e favorirono lo svolgimento della scrittura, il quale tuttavia ci appare dal sec. I al III dell'era moderna piuttosto lento.

Nella corsiva si sono venuti elaborando assai presto alcuni tra gli elementi più caratteristici di due nuove scritture, dell'onciale e della minuscola, e vediamo pertanto non di rado, insieme con le lettere capitali, lettere di forma varia, tonde o tondeggianti, diritte e piccole, cioè tendenti all'onciale e alla minuscola, o vere minuscole e vere onciali. Da ciò la necessità di distinguere due specie di questa scrittura, tanto nelle iscrizioni quanto nei manoscritti: una capitale corsiva - quella con lettere tutte di tipo capitale - e una maiuscola corsiva - quella con lettere di diversi alfabeti, in qualsiasi proporzione. La capitale corsiva ricorre piuttosto di rado; la maiuscola invece frequentemente, anzi fu per eccellenza la corsiva antica dell'uso comune e giornaliero. Essa si modifica via via con processo spontaneo, sviluppando i germi che daranno origine alle altre scritture documentarie e librarie. Nel suo lento ma continuo sviluppo si muta tra il sec. III e il IV in un nuovo genere, nella minuscola corsiva. Essa è una scrittura mista, e mostra sempre più la tendenza ad abbandonare le forme originarie di tipo capitale per altre che da queste derivano in seguito a sviluppo naturale; è costituita di lettere maiuscole, ma anche la dimensione non si mantiene sempre regolare né costante: le lettere della minuscola corsiva, che stanno per derivarne, vanno prendendo a grado a grado la dimensione loro confacente. Nel suo primo periodo (sec. I a. C.- sec. I d. C.) ha ancora spiccati i caratteri generali della capitale, nel secondo (sec. II-III) appare più stretta e serrata, dalle aste inclinate e di tratteggiamento più sottile e libero. Sebbene sia la scrittura per eccellenza dei documenti più antichi, fu pure usata per manoscritti di contenuto qualsiasi, e se ne hanno esempî anche nelle iscrizioni. Assume varie gradazioni nell'esecuzione, può cioè essere più o meno corsiva e tendere verso le forme diritte o rotonde della libraria, perciò si distinguerà alle volte, nel campo epigrafico come in quello librario, una maiuscola semicorsiva. La maiuscola corsiva, come si può già intravedere dal materiale finora noto, sia graffito, sia papiraceo, ha preso atteggiamenti locali diversi nella forma di lettere, nei nessi e nelle legature, e nell'uso dei compendî.

c) Minuscola corsiva. - Dalla maiuscola corsiva si passa alla minuscola corsiva quasi senza distacco: la maiuscola termina il suo sviluppo, compiutosi gradatamente, divenendo minuscola, prendendo le dimensioni della minuscola e le forme di lettere proprie dell'alfabeto minuscolo. Non è da escludere che al formarsi o al fissarsi di alcune forme di lettere abbia concorso la scrittura libraria, precisamente quella di tipo misto e di posto intermedio. Essa è dovuta a un processo corsivo, spontaneo in gran parte, che vediamo essersi verificato, con diverse proporzioni, anche nella scrittura greca, dove, sotto l'azione delle stesse cause, alcune lettere raggiunsero prima che nella latina l'identica forma minuscola. Il passaggio si compie tra il sec. III e il IV; e sembra più probabile una qualche influenza generale della latina sulla greca che non viceversa, pur tenendo conto dello svolgimento naturale dello scrivere che può avere portato a forme simili in entrambe le scritture. Nella minuscola abbiamo lettere di due grandezze, secondo una regola: le une basse, le altre grandi; lettere centrali che formano il corpo della scrittura della quale determinano la grossezza e poggiano sul rigo, e lettere che s'innalzano e si abbassano. Le lettere, serrate o unite e di andamento meno pesante, perdono quel carattere di rigidità lineare che hanno le maiuscole per farsi più mosse, più agili, tondeggianti, con tendenze a inclinarsi verso destra.

Le lettere sono di tipo minuscolo, e le più caratteristiche, in quanto la loro forma è diversa dalla maiuscola, sono: a, b, d, e, g, h, m, n, q, r, s; solo occasionalmente ricorrono alcune maiuscole.

Alcuni dei caratteri esterni che essa presenta, come la maggiore libertà nei tratti, forti prolungamenti, apici, tratti unitivi, distacco fra tratti sottili e grossi, ecc., sono probabilmente in qualche relazione col materiale scrittorio (papiro e pergamena) e col nuovo strumento adottato, la penna di volatile, che finì per sostituirsi alla canna (calamo). Con le nuove lettere si vanno sviluppando nuove forme di legature, che diverranno particolari della minuscola. La minuscola ereditò tutta l'energia della maiuscola corsiva e acquistò forze proprie, che, sotto influenze varie, diedero origine a nuove scritture. Ben presto in alcuni luoghi, prendendo atteggiamenti particolari, si trasformò in scrittura locale. Essa diede origine alle scritture cosiddette nazionali del continente. Ma in Italia i suoi caratteri durarono più a lungo, e qui essa continuò pertanto il suo svolgimento. Mentre nei più antichi documenti di Francia (sec. VII) e di Spagna (sec. VIII) appare già modificata, in Italia ancora nel sec. VIII - e in alcuni luoghi anche più tardi, fino al sec. XI-XII, ma sentendo già l'influenza della minuscola carolina - si ritrovano i suoi caratteri fondamentali. Per quanto forte sia il distacco delle sue forme da quelle della scrittura libraria, ebbe con questa rapporti vivi, sicché dobbiamo sempre tener conto di una possibile reciproca influenza fra i due tipi (il librario e il documentario) in particolari caratteri e in determinate forme di lettera. Distingueremo con semicorsiva quella più accurata o calligrafica o di forme miste (libraria o documentaria) con tendenza ad accostarsi al tipo librario. Eccezionalmente fu anche usata per codici, come il Flavio Giuseppe ambrosiano (papiro, sec. VI-VII), il S. Massimo di Torino (cod. Ambrosiano c. 98 in fine, sec. VII, VIII) e il S. Gerolamo (De virts ill., sec. VIII, ed. 183), di Vercelli.

d) Semionciale arcaica. - In alcuni documenti, manoscritti e iscrizioni del sec. III o del principio del IV, appare una scrittura mista, diritta o rotonda, di tipo intermedio tra la libraria e la documentaria, che non si sa come definire (gli studiosi non sono d'accordo sul nome da dare ad essa): non è capitale diritta, non appartiene ai tipi di capitale o maiuscola o minuscola semicorsiva che conosciamo; non ha ancora tutti i caratteri della onciale quale vedremo dal sec. IV in poi, come non corrisponde interamente al tipo di scrittura detto semionciale, usato dal sec. V. In detti documenti frammiste a lettere capitali se ne hanno alcune onciali e alcune minuscole, appartenenti cioè a due generi di scrittura libraria (onciale e semionciale) che, a giudicare dalle fonti che conosciamo, non sarebbero ancora formati interamente o dell'uso comune. E poiché non sembra che si abbia in essi una scrittura mista dipendente dall'onciale o dalla semionciale, quali conosciamo dopo il IV secolo, riteniamo che essi diano saggi di una onciale o semionciale in un periodo antico. Inoltre l'esame delle singole forme di lettere sembra mostrare un periodo di transizione e di elaborazione degli elementi che per via di selezione e di sviluppo e sotto varia influenza daranno origine ai due nuovi generi. Appropriato sembra perciò il titolo di semionciale arcaica, perché, mentre questa scrittura mista del sec. III e del IV mostrerebbe il campo dove le forme onciali e minuscole della corsim avrebbero trovata elaborazione per la libraria, come e dove cioè si sarebbe venuta in parte formando l'onciale coi suoi elementi costitutivi, e darebbe saggi di una onciale non ancora completa, d'altra parte presenterebbe il più antico tipo di semionciale, da cui deriverebbe quello tipico o classico del sec. V, il quale mostra già ad un tempo l'influenza della nuova scrittura libraria (l'onciale) e della documentaria (min. corsiva).

e) Onciale. - È detta onciale una scrittura maiuscola che si distingue dalla capitale principalmente per alcune lettere di una csratteristica forma tondeggiante. L'alfabeto onciale, quale si trova già perfetto nei più antichi manoscritti, del sec. IV, consta di tre gruppi di lettere: onciali, a, d, e, m - come le lettere tipiche dell'onciale, che dànno il carattere fondamentale al nuovo genere di scrittura -, minuscole, h, l, q, e capitali le rimanenti. Le capitali, a seconda dell'età e del genere dei manoscritti, mostrano un tratteggiamento diverso, più corsivo o minuscoleggiante, delle corrispondenti forme nella scrittura capitale, e talune prendono anche, senza perdere il loro stampo di capitale, un proprio carattere distintivo, che può servire a datare e a dare impronta speciale a manoscritti in onciale.

La P è capitale nei più antichi saggi, sebbene col prolungamento dell'asta sotto il rigo si faccia minuscoleggiante; in seguito appare collocata sul rigo e con tale mutamento di posizione si ha la forma minuscola. La l è minuscola soltanto nei saggi più antichi; poi va prevalendo la capitale in una forma elegante e ricercata. Le quattro lettere tipiche dell'onciale hanno origine diversa e non raggiunsero tutte insieme la forma precisa e perfezionata, né sono entrate insieme nell'uso a costituire la scrittura di tipo onciale; di tarda formazione è la m, derivata dalla minuscola. L'onciale è scrittura maiuscola mista, non dovuta a svolgimento uniforme da scrittura anteriore di eguale tipo o costituzione. Sebbene si abbiano iscrizioni del sec. III e del IV con lettere onciali, non sembra che la sua origine si sia avuta nel campo epigrafico. Ha il carattere di scrittura libraria, e nei manoscritti se ne studia lo sviluppo.

Sembra di scorgerla in formazione nella scrittura mista libraria del sec. III, che abbiamo distinto come semionciale arcaica. Il passaggio si sarà compiuto gradatamente; gradatamente si arrivò a quella selezione e fissità e regolarità di forme che costituiscono l'alfabeto onciale del secolo IV. A completare i caratteri e ad estenderne presto l'uso deve avere concorso l'onciale greca. L'alfabeto dell'onciale rimase pressoché immutato sino alla fine; progredendo nell'uso, ora accentuò i caratteri tondeggianti delle lettere onciali, ora diede forma più pura nelle capitali, eliminando o diminuendo alcuni tratti minuscoleggianti; in ultimo si fece duro, manierato, ma non perdette mai i suoi caratteri fondamentali, né si trasformò in modo da dare origine ad altro genere di scrittura. L'onciale usata nella scuola carolingia è già di maniera, d'imitazione. Cessa, sembra, col sec. VIII o col principio del IX come scrittura per codici interi; ma ristretta a pagine, a rubriche, a parole, alle lettere singole tipiche è continuata, attraverso il Medioevo, fino a oggi.

Essendo i manoscritti in onciale relativamente numerosi - sono oltre quattrocento - e varî per età e contenuto, si può studiare l'onciale, entro certi limiti, nei suoi periodi di sviluppo (dal sec. IV all'VIII), in relazione col contenuto e secondo le scuole o per regioni. Tra i codici ne abbiamo alcuni (bibbie ed evangeliarî) di gran lusso, anche purpurei a inchiostro d'oro o d'argento, e giuridici, questi ultimi particolarmente notevoli per le abbreviature.

Presenta molta varietà di tipi: onciale di grandi e piccole dimensioni; onciale calligrafica e meno accurata; accanto a un'onciale comune o di tipo classico, si ha talvolta un'onciale non pura con forme particolari, con elementi minuscoli o minuscoleggianti o corsivi e con tratteggiamento più o meno diritto, più o meno corsivo, quindi, a seconda dei casi, distinguesi una onciale ieratica, diritta, semicorsiva o corsiva.

f) Semionciale. - A cominciare dal sec. V appare un nuovo genere di scrittura libraria. È di piccola dimensione, ha lettere appartenenti a varî alfabeti: minuscole la maggior parte, alcune maiuscole (capitali e onciali), alcune corsive o di tratteggio quasi corsivo; sta tra l'onciale e la minuscola corsiva, risentendo dell'una e dell'altra. Tra le scritture che finora conosciamo è quella più vicina al carattere minuscolo a stampa usato oggidì e alcuni vorrebbero chiamarla, anziché semionciale, minuscola precarolina o minuscola antica. Non si spiega la sua origine facendola derivare solo dall'onciale o soltanto dalla minuscola corsiva, né si può pensare che sia sorta d'un tratto; il suo divenire d'altra parte si sarà pure verificato nello stesso filone di scritture intermedie o miste cui appartiene, e poiché nella scrittura mista del sec. III e del IV (detta semionciale arcaica) si rilevano caratteri affini a essa, sembra che si riconnetta a quelle. Avremo nella semionciale arcaica il periodo anteriore o di preparazione della semionciale. Riconnettendola alla scrittura mista più antica (sem. arcaica), non si esclude che abbia sentito, e continui a sentire durante il suo uso, l'influenza della libraria (onciale) e della documentaria (minuscola corsiva), influenza che si è esercitata in vario modo nelle varie età secondo gli scribi e le scuole.

La semionciale non ha un alfabeto proprio, non forma di lettere costanti, né lettere che considerate a sé, staccate, possano a rigore dirsi caratteristiche e sue proprie. Tuttavia tra le più tipiche e più frequenti riterremo la a (corsiva aperta o chiusa), la g e la r, minuscole; ma spesso la n capitale; più eccezionalmente conserva altre maiuscole, F, L, Q, G (onciale); la e talvolta nella spiccata forma onciale col tratto mediano staccato, ma più spesso con questo tratto in alto, dando la forma della e minuscola diritta; piuttosto scarsi gli elementi corsivi: qualche legatura di e con lettera seguente o legature di ci, li. Non è affatto indice di maggiore antichità la presenza di maggiori elementi maiuscoli (onciali e capitali). In principio ha più del rozzo e del semplice; forme dure e incerte; poi si fa accurata, abbandona forme e tratteggiamenti corsivi per accostarsi di più al tipo librario accurato, come se mirasse a occupare il posto dell'onciale; e tra la fine del sec. VIII e il principio del IX fu creata per opera della scuola carolingia una semionciale (ricordiamo particolarmente la semionciale di Tours) più elegante e d'imitazione.

Mancando questa scrittura di un carattere ben definito con lettere tipiche, riesce difficile in alcuni casi dire se un manoscritto sia in semionciale o non piuttosto in onciale rustica o minuscola precarolina. Abbiamo un tipo che diremo più caratteristico o classico di semionciale, quale è dato da alcuni codici, come dal S. Ilario Vaticano (509-510), dal Sulpicio Severo di Verona (517), e abbiamo varietà di tipi, con maggiori o minori elementi maiuscoli e minuscoli.

Gioverà infine distinguere una semionciale rustica (quella che più si scosta dal tipo comune) che può essere così diritta, come corsiva e semicorsiva; queste forme sono specialmente usate nelle note marginali e aggiunte varie. In semionciale si dànno manoscritti di grande varietà di contenuto; alcuni in semionciale calligrafica, altri meno.

II. - Scritture medievali nazionali. - Delle scritture finora ricordate, la capitale diritta raggiunse il suo maggiore sviluppo e perfezionamento nell'età romana e continuò ad essere usata nei primi secoli del Medioevo; ma la capitale e la maiuscola corsiva non passarono nell'età medievale; mentre l'onciale, la semionciale e la minuscola corsiva, sorte negli ultimi tempi del periodo romano, fiorirono principalmente nel Medioevo. Le scritture romane e romano-medioevali, pur potendosi di alcune distinguere speciali usi e caratteri per scuole e per regioni, ebbero carattere di universalità nel campo latino. Nel Medioevo invece troviamo nuovi generi di scrittura proprî soltanto di alcuni paesi. Soltanto con l'età carolingia, con la scrittura minuscola carolina, si ritorna ad avere un genere di scrittura universale. Prima di questa età il Medioevo presenta nuove scritture che, essendo fiorite con particolari e spiccati caratteri in date regioni, si possono considerare nazionali; tali l'irlandese e l'anglosassone, la merovingica e la visigotica, nomi di un certo valore geografico, non storico. Le prime due, formanti il gruppo insulare, derivano principalmente dalla semionciale, le altre, del gruppo continentale, dalla minuscola corsiva; quando queste scritture cessano dall'uso sono sostituite dalla minuscola carolina. Poiché esse precedono l'uso della minuscola carolina in quelle regioni, e sono di tipo minuscolo (diritto o corsivo), si possono considerare e sono veramente minuscole precaroline. Il più antico tipo di minuscola libraria avanti le caroline ci è dato dalla semionciale.

Ma non furono le sole: in Francia, oltre al tipo generale detto merovingico, in Germania, nella Svizzera e in Italia si ebbero pure particolari minuscole precaroline, le quali però ebbero un uso limitato a scuole o a territorî più o meno ristretti. Queste minuscole precaroline - e sono quelle librarie, diverse dalla semionciale e dalle nazionali, che in senso più stretto sono dette comunemente precaroline - presentano varietà di tipi anche nello stesso scrittorio, e derivano da una duplice tendenza: tendenza della corsiva a divenire libraria sotto l'influenza dell'onciale e della semionciale; tendenza dell'onciale, e specialmente della semionciale, a farsi più agili e facili accostandosi alla corsiva. La semionciale offriva dovunque un esempio di scrittura minuscola libraria; ma l'impulso principale alla formazione delle scritture precaroline continentali è partito dalla corsiva.

a) Scrittura insulare. - Chiamiamo con un vocabolo unico, insulare, le scritture irlandese (scriptura scotica) e anglosassone (scriptura anglosaxonica). Quest'ultima è figlia dell'irlandese. La serittura nazionale irlandese è un prodotto della cultura romana, sviluppatasi in Irlanda con l'introduzione del cristianesimo e con la vita monastica. Tra il sec. IV e il V l'isola diviene cristiana, e col cristianesimo la cultura irlandese si arricchisce della lettura classica. Presto si operò in Irlanda, che dopo l'introduzione del cristianesimo non subì invasioni straniere, una fusione fra la tradizione e la letteratura pagana e la nuova scienza cristiana importata dalla Britannia e dal continente, e col sec. V ebbe inizio l'età d'oro della sua storia e della sua cultura, che durò fino al sec. IX. Al principio dell'era cristiana si usava in Irlanda - e poi si estese in Scozia e Inghilterra - una scrittura detta ogamica, con segni convenzionali; scrittura epigrafica e solo eccezionalmente usata nei manoscritti (esempî ancora nelle glosse del Prisciano di S. Gallo, sec. IX). Questa scrittura, a base lineare, ha lasciato traccia nel tratteggiamento e nella forma di alcune lettere. Così elementi di ornamentazione celtica hanno contribuito a dare un'impronta distintiva e monumentale alla scrittura latina nuova che si è formata nell'isola. La scrittura latina in Irlanda, nel suo primo periodo, dovette essere d'imitazione dei saggi importati dal continente; ma tosto si sviluppò liberamente, prendendo caratteri speciali, e quando il monachismo e la cultura furono in gran fiore, essa era oramai divenuta scrittura nazionale. Come si ricava dai più antìchi saggi di queste scritture, l'onciale e specialmente la semionciale dei manoscritti importati dalla Britannia e dalla Gallia furono la base della nuova scrittura.

Dai manoscritti giuridici importati appresero gl'Irlandesi le notae iuris, e da quelli in tachigrafia i segni tachigrafici di cui si servirono nelle abbreviature; e così adottarono un proprio sistema abbreviativo che si fonda sulle note giuridiche e sulle tachigrafiche. Tra il sec. VI e il VII il monachismo irlandese, che aveva raggiunto il massimo splendore, cominciò ad espandersi fuori dell'isola, e sorsero monasteri irlandesi in Scozia, in Inghilterra e nel continente. La scrittura irlandese si irraggiò tra i nuovi centri di cultura irlandese: tra i quali ricorderemo soltanto Luxeuil in Francia, Bobbio in Italia, Würzburg in Germania, S. Gallo in Svizzera.

L'Inghilterra ebbe cultura romana più antica dell'Irlanda, ma non raggiunse eguale splendore. Il cristianesimo, oppresso dai pagani invasori, non fiorì se non al tempo di Gregorio Magno. L'anno 597, quando approdarono nel Kent (isola di Thanet) i missionarî ricordati da Gregorio Magno, diretti da S. Agostino, per la conversione dei Sassoni, segnò il principio di un nuovo periodo per la cultura in Inghilterra. Il monastero di Canterbury divenne il centro principale della cultura occidentale. Quivi e altrove in Inghilterra si scrisse secondo i modelli del continente, in capitale, onciale e semionciale. I rapporti culturali dell'Inghilterra col continente, specialmente con l'Italia, continuarono anche dopo; ci è pervenuto un certo numero di manoscritti, codici e carte, scritti in onciale (sec. VII-VIII) in Inghilterra. Tra essi è famosa la cosiddetta Bibbia Amiatina (si veda la lista di tali codici in E. A. Lowe, Regula S. Benedicti, Oxf0rd 1929, pp 14-15).

Ma presso a poco nello stesso tempo penetrò in Inghilterra la nuova cultura e con questa la scrittura irlandese, e dal monastero di Iona partì principalmente il movimento. Il monastero di Lindisfarne, nel Northumberland, fondato da Aidan nel 634, divenne ben presto una delle principali scuole della nuova scrittura inglese; e via via l'irlandese si propagò, penetrando anche nelle scuole dove erano usate le scritture romane. La scrittura irlandese divenne così, con lievi modificazioni, la scrittura nazionale dell'Inghilterra, che monaci anglosassoni portarono anche nel continente, dove fondarono monasteri, specialmente in Germania. La nuova scrittura, l'anglosassone, prese un'impronta propria, usò pure alcuni particolari compendî, ma nell'insieme mostra i medesimi caratteri dell'Irlanda, usa i medesimi generi, adotta il medesimo sistema abbreviativo; sicché in uno studio generale si possono considerare le due scritture, madre e figlia, come una sola, e si può cioè parlare unicamente di scrittura insulare.

Questa scrittura insulare ha interesse generale per la cultura medievale; ché si scrive anche nel continente in scrittura irlandese e in anglosassone; e i due generi esercitarono influenza su particolari minuscole del continente; mentre inoltre compendî insulari furono usati in altre scritture e alcuni passarono nel sistema comune abbreviativo medievale. Particolari tipi d'irlandese si ebbero anche nella Britannia, come il tipo gallese; cfr. Lindsay, Early Welsh Script (St Andrews University, X, 1912). I più antichi manoscritti in scrittura insulare rimontano al secolo VII, ma la scrittura che appare in essi era certamente già usata prima. Si hanno nell'irlandese come nell'anglosassone due tipi: una semionciale (o rotonda) che si potrà distinguere in elegante e rustica, scrittura calligrafica usata specialmente per libri religiosi e dell'uso liturgico, e una minuscola (o acuta) derivata dalla rustica, usata per codici e per carte, eseguita in forma diritta o corsiva, che può distinguersi in minuscola elegante e una minuscola corsiva. Quest'ultima ebbe particolare sviluppo in Irlanda, dove col secolo XI prese forme divenute fisse, stereotipate. I due tipi di scrittura furono anche usati in iscrizioni antiche. E in corrispondenza coi generi di scrittura si ebbe pure nei mss. una particolare minuscola, irlandese-anglosassone, che esercitò influenza nel continente.

Della semionciale irlandese il saggio più perfetto si ha nel Book of Kells (sec. VII-VIII) e di quella anglosassone nella Bibbia di Lindisfarne (circa 700). L'antifonario di Bangor (680-691), nell'Ambrosiana di Milano, dà la minuscola irlandese già perfetta; come nel Martirologio di S. Willibrod (703-721) si ha un antico esempio di minuscola inglese.

La semionciale insulare ha lettere tipiche (a, g, r) che mostrano le sue relazioni con la semionciale del continente; ma pure regolarmente lettere capitali e onciali che si possono spiegare come dipendenti da un tipo simile di semionciale rustica del continente (forse della Gallia), o come dovute a traccia di uso precedente dell'onciale in Irlanda. Tra le caratteristiche dell'insulare, si nota la forma sinuosa della b e della l, specialmente nella semionciale, e nella minuscola la forma della s, e l'uso di speciali nessi e speciali legature (con lettere sottoscritte) e soprattutto, nei due generi, l'ingrossamento, a guisa di triangolo o cuneo, all'inizio delle aste calate, che dà alla scrittura una particolare tendenza all'ornamentazione, dovuta a influenze di un comune motivo di ornamentazione celtica.

Alla fine del sec. IX in Inghilterra si nota presto l'influenza della carolina e via via si accentua durante il sec. X. La carolina già penetra nell'uso per i manoscritti in lingua latina (si trova l'uso contemporaneo dei due generi) e tra il sec. XI e il XII penetra anche nei testi in lingua nazionale. In Irlanda dura tutto il Medioevo per i testi latini e fino ad oggi per quelli in lingua nazionale (gaelica).

b) Scrittura merovingica. - La minuscola corsiva (romana) fu un tempo in Francia la scrittura di uso generale; ma tra il sec. V e il VI prese spiccati caratteri proprî, tali da distinguerla e da farla considerare come scrittura nazionale. Al principio del sec. VII (in un diploma di Clotario II, 625) appare già perfetta, con tutti i suoi particolari caratteri. Forse nel manoscritto di S. Avito della Nazionale di Parigi (lat. 8913, in papiro), da ascriversi al sec. VI, abbiamo un saggio di merovingica nel suo periodo di formazione. È scrittura essenzialmente documentaria, e sembra che nella cancelleria merovingica abbia fissato i suoi caratteri. Passò anche nei codici, facendosi più regolare e calligrafica; ma senza spodestare interamente l'onciale e la semionciale. Nel sec. VIII incomincia a decadere; verso la fine di esso e il principio del sec. IX è abbandonata, e occupano il suo posto le precaroline e la carolina. Continua però a essere usata nella cancelleria dei primi Carolingi, e così resta ancora in uso come scrittura cancelleresca. Da essa derivano principalmente, o risentono della sua influenza, minuscole precaroline di scrittorî francesi; come il tipo di Luxeuil, che sembra una forma calligrafica della merovingia, i tipi di Corbie, Laon e altri. Scrittura di spiccata impronta propria: dura, pesante, con lettere tendenti a inclinarsi a sinistra, addossate e strette, a tratti ondulati o serpeggianti; ha numerose legature, alcune irregolari o artificiose. Non ha sviluppato un proprio sistema abbreviativo, e solo alcuni compendî, come quelli di per e que, possono considerarsi proprî di essa. Fu adoperata in tutto il territorio franco e al di qua delle Alpi la troviamo nelle carte della Novalesa. Si nota la sua influenza più o meno forte in varî scrittorî d'Italia: a Bobbio, a Verona, a Lucca, a Roma e sembra anche a Montecassino; nelle carte s'incontrano sottoscrizioni in merovingica; e non è forse da escludere che due codici del tipo di Luxeuil in biblioteche italiane (lvrea, Bibl. Capit. n. 1; Verona, Biblioteca Capit. n. XL) siano stati scritti in Italia. È assai probabile che scrittori francesi abbiano scritto in Italia e fatto scuola.

Non abbiamo antichi documenti per lo studio della scrittura in Germania; ma sappiamo che nel secolo VIII nei suoi scrittorî si usarono pure minuscole precaroline o scritture miste con influenza merovingica o insulare specialmente nel sistema abbreviativo (cfr. ad es., Ehrle e Liebaert, Specimina Cod. Lat. Vatic., tavole 27, 28). In Svizzera il monastero di S. Gallo offre il più antico e copioso materiale di pergamene originali (dal 744) e di libri, materiale che permette di studiare la scrittura nel territorio alemanno-retico. Scrittura principalmente sotto l'influenza franca. Anche qui si sviluppa dalla corsiva (di tipo merovingico) con l'influsso dell'onciale e della semionciale una minuscola precarolina, che appare nei documenti e nei codici.

c) Scrittura visigotica. - Diciamo visigotica la scrittura latina usata con particolari caratteri in Spagna dopo la conquista visigotica, più probabilmente verso la fine di questa dominazione. Probabilmente ebbe origine nel secolo VII; ma non sappiamo se avesse già tutti i suoi caratteri distintivi al tempo d'Isidoro di Siviglia (morto nel 636). I più antichi saggi sono del sec. VIII: il più antico codice non è posteriore al 732 (codice LXXXIX della Capit. di Verona) e la più antica carta originale è del 775. Si distinguono una corsiva e una minuscola visigotica. L'origine della corsiva dalla minuscola corsiva romana - che fu un tempo di uso anche generale in Spagna - è manifesta, e sembra che soltanto tra il sec. VII e il principio dell'VIII essa abbia preso tutti i suoi caratteri tipici. Si è formata gradatamente, e mostra qualche affinità con la merovingica e qualche influenza araba rispetto alla struttura di alcune lettere e di alcuni segni. Forse nel cod. 27 di Autun si ha esempio della scrittura corsiva visigotica più antica (secolo VII-VIII), cioè, non mostrando essa influenza araba, avanti la conquista araba (711).

La minuscola visigotica sorge dalla corsiva; è la minuscola precarolina usata in Spagna. Dapprima fu usata contemporaneamente alla semionciale, ma finì per sostituirsi ad essa. Continuò invece l'uso dell'onciale, come scrittura più elegante. Anche della minuscola visigotica abbiamo forse i più antichi saggi (sec. VII-VIII) nel cod. 27 di Autun. Nella sua composizione entrano alcuni elementi onciali (la G soprattutto); anch'essa sentì l'influsso generale della semionciale e qualche influsso arabo nel tratteggiamento e conserva tracce della corsiva. Nel sec. IX sente l'influenza della minuscala carolina e principia a modificarsi; inizia così il suo decadimento, abbandonando a grado a grado le sue forme caratteristiche per confondersi sempre più con la carolina, l'azione della quale si fa sentire dapprima in Catalogna già nel sec. IX, poi anche nelle altre parti della Spagna (sec. X-XI, principalmente nel XI). E tra il secolo IX e il X in Catalogna si principiò a usare la carolina che raggiunse la perfezione nell'XI, e verso la metà del sec. XII la minuscola carolina ha quasi interamente soppiantato la visigotica (esempî tardi, del secolo XII, in Portogallo). La minuscola visigotica fu importata dai monaci di Cluny. La corsiva e la minuscola visigotica hanno preso atteggiamenti diversi - nei codici come nei documenti - secondo le età e le regioni. Fiorirono varie scuole; ricorderemo Toledo, León, Ripoll, Oviedo. L'azione della visigotica si nota in scrittorî di Francia e d'Italia.

Non abbiamo nella visigotica un sistema abbreviativo speciale; ma solo segni abbreviativi e compendî caratteristici di essa; ed è particolarmente notevole la tendenza - sotto l'azione delle lingue semitiche - a fondare il compendio sulle sole consonanti, omettendo le vocali. Caratteristici nessi e particolarità ortografiche.

Si adoperò la visigotica anche in Italia; certamente a Lucca. L'influenza sua, tenendo anche conto dei compendî, si avverte in alcune carte e in alcuni codici. La notiamo specialmente a Verona e, sembra, a Montecassino (cfr. Schiaparelli, Influenze straniere, ecc., p. 3 segg.; E. A. Lowe, Nugae palaeographicae, in Persecution and liberty: Essays in honor of George Lincoln Burr, New York 1931, pp. 55, 58-59).

d) Minuscola corsiva italiana. - In Italia non si ebbe una scrittura di uso generale con caratteri distintivi speciali che, come le altre ricordate, possa dirsi nazionale; e ciò si spiega con le diverse condizioni storiche e letterarie del paese. Occorre in Italia considerare separatamente la documentaria e la libraria, tenendo conto dei caratteri particolari secondo le regioni o i territorî.

Nel campo documentario, per i primi secoli, fino all'VIII, si ha in genere una minuscola corsiva di tipo unico, la quale è semplicemente la minuscola corsiva romana che continua, sul nostro suolo, il suo uso, prendendo modificazioni che via via si accentuano col tempo e coi luoghi. Questi caratteri si fanno più spiccati nella seconda metà del sec. VIII, e specialmente nel IX; e solo da allora possiamo parlare di scritture corsive locali con spiccata impronta propria, e seguirne le vicende. In alcuni luoghi i caratteri più antichi si conservano più a lungo, ancora nel sec. XI-XII, come in Toscana. Questa minuscola corsiva delle carte italiane fino al secolo VIII si potrebbe designare come minuscola corsiva italiana, essendo stata di uso generale in Italia quando non era più usata negli altri paesi. La troviamo usata a Ravenna (dal sec. V; papiri editi dal Marini, n. 73 segg.) a Siracusa (papiro del sec. V, Marini 82), a Cagliari (anno 609-510; sottoscrizione del S. Ilario del Capitolo di S. Pietro in Vaticano), a Roma (sec. VII, Marini, pap. 92), a Rieti (sec. VI, Marini 79), a Monza (sec. VII, Marini 143, Steffens, Lateinische paläographie, I, 1903, tav. 22). Il materiale si accresce nel sec. VIII con le pergamene originali longobarde (dal 720).

Nell'Italia meridionale carte della fine del sec. VIII e principio del IX (la più antica è del 792, Forino nell'Irpinia) mostrano pure il suo uso, che volge al termine. Saggi di questa scrittura, ma non sempre con data sicura, si hanno anche in codici antichi dove fu usata per note e glosse e raramente anche per pagine e codici interi; in quest'ultimo caso è d'ordinario più accurata o diritta, si fa cioè semicorsiva.

Da questa scrittura di uso generale derivano gradatamente le corsive locali. Scompare gradatamente il tipo comune di corsiva per dar luogo a varietà di generi, più o meno spiccati, di vario sviluppo. Si notano varietà anche tra luoghi vicini, varietà nel tratteggiamento delle lettere, nell'uso di certe legature e abbreviature e relativi particolari segni. In alcuni luoghi la scrittura documentaria sente l'influsso della libraria usata nelle scuole ecclesiastiche (capitolari, vescovili, monastiche) del luogo o della regione, e quindi accanto a saggi in pura corsiva o semicorsiva ne appaiono altri che possono dirsi, e sono veramente, in minuscola precarolina più o meno pura.

Alcune di queste minuscole corsive nuove hanno esercitato larga influenza nei territorî vicini, e quindi un tipo di corsiva locale si suddivide alla sua volta in varietà minori entro una data circoscrizione. La scrittura di un luogo può avere esercitato influenze su altre di località vicine. Indicheremo queste corsive col nome del luogo principale del loro uso; e parleremo, ad es., di corsiva pavese, lucchese, pistoiese, pisana, fiorentina, aretina. Per i fondi che hanno carte del sec. VIII si può notare il sorgere della nuova scrittura locale (sec. VIII-IX). Tra quelle che ebbero più largo uso e importanza maggiore paleografica o storica vanno ricordate le ravennate che, dato il materiale antico, si può studiare nel suo formarsi e in tutto il suo sviluppo, e la curiale romana (del sec. X), la scrittura dei tabellioni nuovi, che sembra abbia preso i suoi caratteri così tipici sotto l'influenza della curiale pontificia. Nell'Italia meridionale si formano scritture particolari assai tipiche; le scritture curiali di Gaeta (dall'839), Napoli (912) e Amalfi (825), usate nei rispettivi ducati. Scritture locali si notano in altri luoghi al principio del secolo IX, come a Taranto (dall'809), come a S. Martino al Volturno (819), come a Trani (834), a Tito (Potenza; 823), ecc.

Queste scritture hanno avuto varia durata, e risentiranno più o meno presto, più o meno forte, saltuariamente o no, l'influenza della minuscola libraria (carolina o gotica). Nelle carte meridionali si avmrte presto l'influenza beneventana, nonché talvolta l'influenza cancelleresca (dei diplomi regi e imperiali e delle bolle pontificie o dei documenti di autorità minori). I caratteri locali vanno sempre più alterandosi verso una scrittura di tipo comune con differenze essenzialmente personali. Si attenua sempre più il distacco tra la scrittura libraria e documentaria. La minuscola libraria penetra dapprima nelle sottoscrizioni, anzi in queste troviamo spesso varietà librarie documentarie.

e) Scrittura precarolina. - La minuscola corsiva italiana, cioè la corsiva delle carte italiane di tipo pressoché generale usata fino al secolo VIII o ai primi del IX ha esercitato influenza nel campo librario, dove eccezionalmente è anche penetrata, ma con tratteggiamento meno corsivo (e perciò la distinguiamo semicorsiva); ma non diede origine a un tipo unico di scrittura libraria, favorì bensì, con intensità diversa secondo i luoghi, il formarsi di particolari minuscole (precaroline). Nel campo librario, mentre si continuava in Italia a adoperare la onciale e semionciale (e le forme rustiche dell'una e dell'altra), nel sec. VIII appaiono, ma il fatto non è ristretto all'Italia, nuove minuscole di tipo misto che mostrano la loro derivazione dalle scritture allora in uso e che possiamo distinguere in tre tipi: il tipo che deriva principalmente dall'onciale (es. a Lucca) quello che deriva principalmente dalla semionciale (notevoli esempî a Verona) e quello di derivazione principalmente dalla corsiva. Di queste minuscole librarie precaroline abbiamo saggi si può dire in tutti i più antichi scrittorî eon esempî anche nelle carte; abbiamo varietà di tipi anche nello stesso scrittorio e saggi di una bellezza e regolarità di forme singolari. Ad es., troviamo queste precaroline in codici di Novara, Vercelli e Ivrea; ricorderemo particolarmente i prodotti degli scrittorî di Verona, di Nonantola, e Lucca; troviamo anche queste scritture precaroline a Roma, a Chieti, e principalmente a Montecassino dove l'intensa attività di quel famoso scrittorio diede origine alla cosiddetta beneventana cassinese, illustrata specialmente dalle opere classiche del Piscicelli Taeggi e del Lowe.

Nei nostri scrittorî esercitarono influenza anche le scritture straniere, l'irlandese, la merovingica e la visigotica e quindi troviamo in queste precaroline tracce di queste (cfr. Schiaparelli, Influenze, op. cit.). Tipi di precarolina di scrittorî italiani di diverse regioni mostrano grande affinità di caratteri, come quelli che derivano principalmente dalla comune corsiva italiana. Si può pensare ad influenza di uno scrittorio (specialmente di Montecassino) su altri; ma probabilmente sono minuscole le quali si sono formate indipendentemente sotto le stesse cause generali e le medesime influenze.

Non solo, ma il tipo simile a quello che troviamo a Montecassino e in varie parti d'Italia, specialmente nella settentrionale, lo si vede comparire anche in Francia e nella Rezia.

Sembra anzi probabile che questo tipo sorto in Italia, in varie regioni, e che ha per base la minuscola corsiva italiana, abbia sentito nella sua f0rmazione l'influenza d'oltr'Alpe (cfr. Schiaparelli, p.45 segg.).

f) Minuscola carolina. - La minuscola carolina venne usata dapprima in Francia dopo che Pipino aveva ordinato la revisione dei libri ecclesiastici e a Corbie l'abate Mordranno faceva comporre la famosa Bibbia che in parte è giunta a noi col suo nome. Valido propagatore di questa riforma, che dalla Francia si estese poi a tutti i maggiori territorî dell impero carolingio, fu il monaco Alcuino che dello scrittorio del monastero di S. Martino di Tours, dove si ritirò nei suoi ultimi anni, fece l'officina principale dei codici scritti nella nuova scrittura, oggi sparsi in parecchie biblioteche d'Europa. Dalle lettere di Alcuino appare chiaramente che questi, per riformare la scrittura francese, si valse del modello di codici romani e inglesi richiesti per mezzo di messi. Ma le ricerche ultime hanno messo in evidenza che la carolina deriva dalla piccola onciale e dalla semionciale con elementi delle corsive manipolate nei varî scrittorî dell'Europa occidentale.

La carolina ebbe lunga vita, dal sec. VIII al XII. L. Delisle ne ha illustrato 25 codici sparsi in varie biblioteche d'Europa. Tra questi sono famosi l'Evangeliario scritto a Roma per ordine di Carlomagno nel 781, da Godescalco, e la famosa Bibbia detta di Carlo il Calvo dell'abbazia di S. Paolo pure di Roma, scritta da Ingoberto. Recentemente F. Lauer ha illustrato i codici non meno famosi del monastero di Corbie.

Nella sua lunga esistenza la carolina subì varie trasformazioni, abbandonando nel secolo X gli elementi corsivi (a, g, r), i nessi e le maiuscole (N, T) proprî del primo periodo (secolo VIII-IX), e assumendo nei secoli XI e XII carattere di speciale perfezione. La carolina fu pure usata nelle cancellerie dei Carolingi e degli Ottoni come scrittura cancelleresca.

g) Scrittura gotica. - Il nome è tardo (sec. XVI) e servì a indicare non una scrittura che avesse a che fare con i Goti, ma la scrittura medievale che, pur con differenze nazionali, s'era diffusa, in contrapposizione alla littera antiqua, cioè l'antica carolina, in tutta l'Europa dal secolo XII in poi. La gotica infatti deriva direttamente dalla carolina, tranne che i tratti delle lettere sono in essa divenuti spezzati e angolosi. Caratteristiche di questa scrittura sono anche la S maiuscola, la r, l'uso grandissimo dei nessi e delle abbreviature. Essa fiorì specialmente dal sec. XII al XIV. Poi andò decadendo di fronte all'affermarsi della nuova scrittura umanistica.

h) Scrittura umanistica. - Nel sec. XV si verifica un fatto pressoché nuovo nel campo della scrittura; si rimette in uso un genere da secoli abbandonato. Ciò è dovuto al rifiorire degli studî classici. Un movimento simile, ma di proporzioni assai minori e con ben altro risultato, si ebbe nella rinascenza carolina. Gli umanisti si proposero, anche nel campo della scrittura, di ritornare alle fonti della classicità romana, scrivendo l'antica scrittura, che ritenevano romana, quella in cui erano tutti i migliori codici dal sec. IX al XII, cioè la minuscola carolina. È in parte una reazione contro la scrittura gotica, la scrittura brutta dei barbari.

L'umanistica, con questo nome viene chiamata la nuora scrittura carolina, cioè l'antica carolina rimessa nell'uso (littera antiqua horum temporum o con espressioni simili fu designata nel secolo XV), è sorta come scrittura libraria.

Di preciso nulla sappiamo sulla sua origine, ma tutto fa ritenere che sia sorta a Firenze, e certamente a Firenze fiorirono i migliori scrittorî e da Firenze, che nella seconda metà del Quattrocento fu un'officina libraria, partirono innumerevoli codici oggi conservati in varie biblioteche italiane e straniere. Ebbe un periodo di preparazione. Vediamo infatti nell'ultimo periodo della gotica usata una scrittura che sta tra essa e la umanistica, una scrittura che diremo semiumanistica o preumanistica; la quale mostra una gotica raddolcita nel tratteggiamento, più arieggiata, rotonda e fine, con particolarità di lettere, maiuscole specialmente (capitali rustiche) e minuscole (di tipo caotico) e modo speciale di eseguire tratti e segni abbreviativi. Sembra che dall'uso delle maiuscole antiche si sia dapprima iniziato o accentuato il movimento.

La semiumanistica continua però ad essere usata qua e là anche quando l'umanistica è perfetta; anche dallo stesso scrittore che adopera quest'ultima. Il Petrarca dà tipici saggi di tale scrittura, e col Boccaccio s'inizia veramente la riforma scrittoria, non del tutto spontanea, ma essenzialmente voluta, che darà il nuovo genere. Con Niccolò Niccoli (1364-1437) e Poggio Bracciolini (1380-1459) l'umanistica ha già raggiunto il suo pieno sviluppo.

Nell'imitazione della carolina si è in alcuni casi raggiunta una grande perfezione, tanto da doversi considerare attentamente, per riconoscerla. Le abbreviature sono meno numerose. Si hanno anche esempî di imitazione di scritture più antiche e persino tracce d'influenza greca, come in Ciriaco d'Ancona, che intercala lettere capitali e onciali, insieme con antiche legature. Nella umanistica di Pomponio Leto si ha la G onciale.

L'umanistiea da scrittura d'imitazione pedissequa, di forme stentate, si fece agile, con movenze libere, e diventò scrittura viva; fiorì tosto in Italia nei centri di maggiore cultura, con impronte caratteristiche e varietà locali o personali, raggiungendo, insieme con la miniatura, nei prodotti di alcuni scrittorî una bellezza veramente artistica. Essa servirà in seguito di esempio alla migliore scrittura, sia dei manoscritti sia dei libri a stampa.

Come per la gotica, distinguiamo l'umanistica diritta o rotonda e la corsiva, e di questa due specie: la corsiva libraria, derivata dalla umanistica diritta o dalla corsiva gotica libraria, e la corsiva documentaria, la quale rappresenta essenzialmente la continuazione della precedente corsiva gotica documentaria sotto l'influenza della umanistica libraria. Si hanno generi misti di semilibraria e semicorsiva, con varietà.

Ha esercitato influenze sulle scritture cancelleresche, e fu creata con forme più o meno pure nelle cancellerie; nella pontificia, da Eugenio IV (1431-1447), i brevi sono in umanistica. Verso la metà del secolo penetrò nella stampa per opera dapprima di tipografi tedeschi, e abbiamo esempî di codici scritti da Tedeschi della prima metà del sec. XV. Pian piano l'umanistica venne a rompere l'unità nell'uso della gotica, penetrando anche negli altri paesi, venendo così a modificare i caratteri della gotica che era colà usata.

Col sec. XV si pone fine in genere allo studio sistematico delle scritture latine, perché gl'inizî della stampa e il decadere delle antiche scuole scrittorie, segnano, anche nei manoscritti, la fine dell'uso di particolari scritture stese secondo norme generali e tradizionali, e si sostituisce la libertà delle scritture individuali anche con sistemi abbreviativi del tutto personali e arbitrarî. Unica eccezione rimarrebbe la bollatica, usata nella cancelleria pontificia, per l'estensione delle bolle, in tutta l'età moderna fino al sec. XIX, ma si tratta di scrittura di carattere puramente artificioso e non spontaneo.

V. tavv. I-VIII.

Bibl.:

I. Paleografia greca: Opere fondamentali: Montfaucon, Gardthausen, Vogel, v. sopra, pp. 35-36.

Manuali: W. Wattenbach, Anleitung zur griechischen Paläographie, 3ª ed., Lipsia 1895 (l'elenco dei saggi di scritture datate finora pubblicate non è stato ancora né sostituito né continuato; utile è anche la lista delle forme delle lettere e delle abbreviature); E. M. Thompson, An introduction to Greek and latin Palaeography, Londra 1912 (con molti e bei saggi di scrittura e pregevoli tavv. di alfabeti per i secoli IV-VIII); P. Maas, Griech. Paläogr., in Gercke e Norden, Einl. in die Altertumswissenschaft, I, 3ª ed., Lipsia 1924, pp. 70-81 (senza figure).

Ricerche monografiche: Fr. J. Bast, Commentatio palaeographica (in appendice a Gregorius Corinthius ed. da H. Schäfer), Lipsia 1811, con 7 tavole (vi è constatato che alcuni determinati errori della tradizione sorgono da scambî di lettere o segni simili; oggi è da usarsi con precauzione); P. Batiffol, L'abbaye de Rossano, Parigi 1891 (scoperta della peculiarità dell'ornamentazione dell'Italia meridionale nei secoli X e XI); G. Zereteli, De compendiis scripturae codicum graecorum, 2ª ed., 1904; K. Brandi, Archiv für Urkundenforschung, 1907 (lettera imperiale del sec. IX su papiro); E. Martini, in Rhein. Mus., LXII (1907), p. 273 (sugli autografi di Eustazio); N. A. Bees, Revue des Études grecques, XXVI (1913), p. 54 (lista dei mss. datati del sec. IX); B. Melioranskij, in Mémoires de l'Académie imp. des sciences de St.-Péterbourg (1889), e Th. W. Allen, in Journ. Hell. Stud., XL (1920), p. 1 (sull'importanza degli Studiti per l'origine della minuscola); S. B. Kougéas, ‛Ο Καισαρείας 'Αρέϑας, Atene 1913 (sulla biblioteca di Areta, con 7 tavole); E. Jacobs, Untersuchungen zur Geschichte der Bibliothek im Serai, 1919 (sui mss. greci che non si trovano più a Costantinopoli); A. Mentz, Geschichte d. griechisch-röm. Schrift, Lipsia 1920 (suggestive osservazioni sul problema ancora insoluto dello sviluppo parallelo dei due alfabeti); A. Deissmann, Forschungen und Funde im Serai, Costantinopoli 1933 (sui mss. greci ancora esistenti), A. Deissmann e P. Maas, in Aegyptus, XIII (1933), p. 11 (palinsesto su papiro, rescritto nel sec. XII); Fr. Lenz, Der Vaticanus gr. 1, eine Handschrift des Arethas, in Nachr. Gött. Ges. Wiss., 1933 (cfr. Byz. Zeitschr., XXXIV [1934], p. 177).

Grandi e recenti raccolte di tavole: G. Wattenbach e A. von Velsen, Exempla codicum graecorum litteris minusculis scriptorum, Heidelberg 1878; H. Omont, Facsimilés de manuscrits grecs des XVe et XVIe siècles, Parigi 1887; id., Facsimilés des plus anciens manuscrits grecs en onciale et en minuscule du IVe au XIIe siècle, Parigi 1892; id., Facsimilés des manuscrits grecs datés de la Bibliothèque Nationale du IXe au XIVe siècle, Parigi 1890; G. Vitelli e C. Paoli, Collezione fiorentina di facsimili paleografici greci e latini, Firenze 1884-97; G. Cereteli e S. Sobolevski, Exempla codicum graecorum litteris minusculis scriptorum annorumque notis instructorum, I: Codices Mosquenses, Mosca 1911; II: Codices Petropolitani, Mosca 1913; K. P. Lake, Dated Greek Minuscule Manuscripts to the Year 1200, I: Manuscripts at Jerusalem, Patmos and Athens, Oxford 1934; J. Bick, Die Schreiber der Wiener griechischen Handschriften, Vienna 1920; V. Scholderer, Greek Printing Types, Oxford 1927; Fr. Dölger, Facsimiles byzantinischer Kaiserurkunden, Monaco 1931.

Raccolte minori di tavole per l'insegnamento: W. Wattenbach, Scripturae graecae specimina, 3ª ed., Berlino 1897 (30 tavole dei più importanti mss.); P. Franchi de' Cavalieri e J. Lietzmann, Specimina Codicum Graecorum Vaticanorum, 2ª ed., Bonn 1929 (60 ottime tavole, maneggevole e pratico).

Cataloghi di mss.: V. Gardthausen, Sammlungen und Kataloge griechischer Hasndschriften, Lipsia 1903; O. Schissel, Kataloge griechischer Handschriften, Graz 1924. Dell'innumerevole congerie di cataloghi si citano qui solo le due grandi opere comparse negli ultimi 30 anni: Catalogus codicum graecorum bibliothecae Ambrosianae, di E. Martini e D. Bassi, Milano 1906 (1093 mss.); Codices Vaticani graeci, a cura di Giov. Mercati e P. Franchi de' Cavalieri, I, Roma 1923 (329 mss. profani).

Rassegna bibliografica corrente: Byzantinische Zeitschrift (dal 1891), parte 3ª di ogni fascicolo (dal 1898, parte 3ª, 2, dal 1913, parte 3ª 2B).

II. Paleografia latina. - Principali raccolte di facsimili: Bond e Thompson, The Palaeographical Society. Facsimiles of manuscripts and Inscriptions, Londra 1873-83; della raccolta si è cominciata una nuova serie: The New Pal. Soc.; E. Monaci, Archivio paleografico italiano, Roma 1885, I-IX,; A. Chroust, Monumenta paleographica, Monaco 1902; F. Steffens, Lateinische Paläographie, Friburgo 1903; F. Ehrle e P. Liebaert, Sapecimina Codicum Latinorum Vaticanorum, Roma 1912; E. Monaci, Esempî di scrittura latina, Roma s. a.

Principali manuali: C. Paoli, Programma scolastico di paleografia latina e di diplomatica, Firenze 1883-99 (trad. in tedesco da C. Löhmeyer, Grundriss der latein. Paläogr., Innsbruck 1883-85); W. Wattenbach, Anleitung zur lateinische Paläographie, Lipsia 1886; É. Reusens, Éléments de Paléographie, Lovanio 1889.

Scrittura capitale: Fondamentale per lo studio della scrittura sulle epigrafi è l'opera di E. Hubner, Exempla scripturae epigraphicae latinae a Caesaris dictatoris morte ad aetatem Justiniani, Berlino 1855, p. lxxix seg. Raccolta d'iscrizioni ad uso scolastico: E. Diehl, Inscriptiones latinae, in Lietzmann, Tabulae in usum scholarum, L. Bonn 1912. Per la datazione dei codici in capitale vedi E. A. Lowe, More facts about our oldest latin manuscripts, inThe Classical Quarterly, XIX (1925), p. 197 segg., e XXII (1928), p. 1 segg.; L. Traube, orlesungen und Abhandlungen, I, Monaco 1909, p. 161. - Per facsimili cfr. principalmente: Zangemeister e W. Wattenbach, Exempla codicum latinorum litteris maiusculis scriptorum, Heidelberg 1876, suppl. 1879. Alcuni codici sono stati riprodotti per intero a facsimile, come il Virgilio Augusteo e il Laurenziano: Codicis Vergiliani qui Augusteus appellatur reliquiae. Praef.... R. Sabbadini (Codices e Vaticanis selecti phototypice expressi. Series maior n. xv, Parigi 1929; Il Codice Mediceo di Virgilio della R. Biblioteca Laurenziana di Firenze con illustrazione storico-paleogragica di E. Rostagno, Roma 1931. Per il Virgilio Vaticano (3225), il Romano (1867) e il Palatino (1631) vedi Codices e Vaticanis selecti, nn. I, II, XIV. Esempî di capitale semicorsiva e corsiva, e di maiuscola semicorsiva e corsiva sono ricordati in L. Schiaparelli, La scrittura latina nell'età romana, Como 1921, p. 117, nota 1.

Corsiva antica: Speciali raccolte scolastiche di facsimili in corsiva antica: V. Federici, Esempi di corsiva antica dal sec. I dell'èra moderna al IV, Roma 1907; C. Wessely, Schriftäfel zur älterer lateinischen Paläographie, Lipsia 1898 (e cfr. dello stesso autore, Studien zur älte Paläographie und Papyruskunde, XIV, 1914). Si veda la monografia di H. B. Vantloesen, Roman cursive Writing, Princeton 1915. Circa la formazione delle singole lettere minuscole come per esempî di semionciale arcaica e osservazioni sulla sua importanza v. L. Schiaparelli, La scrittura latina, cit.

Onciale: Una ricca rccolta di facsimili in onciale dà É Chatelain, Uncialis scripture codicum latin. novis exemplis illustrata, Parigi 1901, 1902, 60 tavv. in onciale; non sempre la datazione di questi codici è sicura. Una lista dei codici in onciale datati, con nome circa la datazione dei codici in tale scrittura, dà E. A. Lowe, in Lowe e E. Kennard Rand, A sixth-century Fragment of the Letters of Pliny the Younger, Washington 1922, p. 16 segg., e cfr. pure Lowe, in The Classical Quarterly, XIX (1925), p. 197 seg.; XXII (1928), p. 1 segg. Per la denominazione e i caratteri della rustica nel sec. VIII cfr. L. Schiaparelli, Il codice 490 della Biblioteca Capitolare di Lucca e la scuola scrittoria lucchese (sec. VII-IX), in Studi e testi, XXXVI, pp. 21 seg., 65.

Semionciale: Raccolta di facsimili in É. Chatelain, Uncialis Scriptura, II. Per la semionciale di Ursicino e dei codici di Verona nei secoli VI-VII, cfr. Monumenta palaeographica Veronensia, I, Roma 1929. Si veda pure E. A. Lowe, A handlist of half-uncial manuscript, in Miscellanea Francesco Ehrle. Scritti di storia e paleografia pubblicati... in occasione dell'80° natalizio dell'E.mo card. F. E. (voll. 5 e album), IV: Paleografia e diplomatica, Roma 1924 (Studi e testi, numeri XXXVII-XLII), p. 34 segg.; id., in The Classical Quart., XIX (1925) e XXII (1928).

Irlandese e anglosassone: Si veda principalmente: E. M. Thompson, An introduction to Greek and Latin Palaeography, Oxford 1912, p. 371 seg.; P. Lehmann, Lateinische Paläographie bis zum Siege der karolingischen Minuskel, p. 50 seg.; L. Schiaparelli, Note paleografiche. Intorno all'origine e ad alcuni caratteri della scrittura e del sistema abbreviativo irlandese, in Arch. st. it., 1916; Gercke e Norden, Einleitung in die Altertumswissenschaft, I, 3ª ed., p. 10.

Merovingica: L. Schiaparelli, Note paleografiche. Intorno all'origine e ai caratteri della scrittura merovingica, in Arch. st. ital., s. 7ª, XVI (1931), p. 169 seg.; id., Influenze straniere nella scrittura italiana dei secoli VIII e IX, in Studi e testi, XLVII (1927), p. 23 seg. - I diplomi merovingi, che offrono i saggi più caratteristici di merovingica e sono la fonte più antica e più copiosa per il suo studio, sono riprodotti a fondo da F. Lauer e Samaran, Les diplômes originaux des Mérovingiens, Parigi 1908.

Visigotica: A. Millares Carlo, Tratado de Paleografía española, 2ª ed., Madrid 1932; L. Schiaparelli, Note paleografiche. Intorno all'origine della scrittura visigotica, in Archivio st. ital., s. 7ª, XII (1929), p. 165 seg. Raccolte di facsimili: P. Ewald e G. Loewe, Exempla scripturae Visigoticae de tabulis expressa, Heidelberg 1883; F. M. Burnam, Palaeographia Iberica. Facsimilés de manuscrits espagnols et portugais: IXe-XVe siècles, avec notices et transcriptions, I, II, III, Parigi 1912-1925; C. U. Clark, Collectanea Hispanica, in Transactions of the Connecticut Academy of arts and sciences, XXIV, Parigi 1920; Z. García Villada, Paleografía Española, II: Album, Madrid 1923. Elenco dei codici visigotici in A. Millares Carlo, op. cit., p. 451 segg.

Scrittura tedesca e svizzera: A. Bruckner, Paläographische Studien zu den älteren St.-Galler Urkunden, I: Zum Problem der rätischen Schrift, II: Die alemannischen Schrifttypen und ihre Ausdehnung, in Studi medievali, n. s., IV.

Scrittura in Italia: C. Marini, I papiri diplomatici, Roma 1905; Th. v. Sickel, Monumenta graphica medii aevi, Vienna 1858; G. Bonelli, Codice diplomatico longobardo. Riproduzione in eliotipia di tutti i documenti anteriori al 1000 esistenti in Lombardia, Milano 1910; L. Schiaparelli, Il codice 490 della Bibl. Capitolare di Lucca (sec. VIII-IX), in Studi e testi, XXXVI; Th. v. Sickel, Prolegomena zum Liber diurnus, in Sitzungsberichte dell'Accademia di Vienna (1888); I. Giorgi, Appunti intorno ad alcuni manoscritti del Liber pontificalis, in Arch. R. Soc. rom. st. patr., XX; V. Federici, L'antico evangelario di S. Maria in Via Lata, in Arch. R. Soc. rom. st. patr., XXI; L. Schiaparelli, Intorno all'origine della scrittura romana, in Arch. st. ital., VI (1926); A. Gallo, La scrittura curiale napoletana nel Medioevo, in Bull. Ist. st. ital., XLV (1929); id., Contributo allo studio delle scritture meridionali nell'alto Medioevo, in Bull. Ist. st. ital., XLVII (1932); O. Piscicelli-Taeggi, Paleografia artistica di Monte Cassino, Montecassino 1877-1881; E. A. Lowe, The Beneventan Script. A History of the South Italian Minuscula, Oxford 1914.

Minuscola carolina: L. Delisle, Mémoire sur l'école calligraphique de Tours au IXe siècle, Parigi 1885; id., Notices sur les mss. disaparus de Tours, in Notices et extraits des mss. de la Bibl. Nat. de Paris, XXXI, p. 1 segg.; F. Lauer, La réforme carolingienne de l'écriture latine et l'école calligraphique de Corbie, in Mem. de l'Acad. des Inscript. et belles lettres (1924).

Minuscola gotica: W. Meyer, Die Buchstaben-Verbindungen der sogenn. götischen Schrift, in Abhandl. der kön. Gesellschaft der Wiss, di Gottinga, 1897.

Per la paleografia musicale, v. notazione.

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