Paleomagnetismo

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In geofisica, disciplina che studia la direzione fossile del campo magnetico terrestre e le sue inversioni attraverso la misura della magnetizzazione acquisita dalle rocce al momento della loro formazione (➔ magnetismo). Il p. ha costituito un supporto fondamentale all’ipotesi di espansione dei fondali oceanici e quindi alla teoria della tettonica delle placche; è utilizzato per datare le rocce ignee e sedimentarie, grazie alle inversioni del campo magnetico in esse registrate, per ricostruire gli spostamenti e le deformazioni subiti dai corpi rocciosi e per valutare lo spostamento che hanno subito le placche litosferiche nel corso delle ere geologiche.

Misure del paleomagnetismo

fig. 1

Per le misure del p. sono usate principalmente le rocce vulcaniche, che possiedono una magnetizzazione termoresidua (o termorimanente) e che sono ottimali in quanto si raffreddano più rapidamente rispetto ai cambiamenti del campo geomagnetico; di conseguenza, il vettore paleomagnetico che si registra all’interno di una determinata unità vulcanica in raffreddamento rappresenta una misura istantanea del campo magnetico terrestre in quel momento. Vengono utilizzate anche le rocce sedimentarie, che invece possiedono una magnetizzazione residua di sedimentazione o deposizionale rimanente (fig. 1); rispetto alle rocce vulcaniche, in quelle sedimentarie la registrazione ottimale del paleocampo magnetico è funzione del processo e dell’ambiente deposizionale nel quale si sedimentano i granuli magnetizzabili. Dato che la sedimentazione è relativamente continua, le misure del p. nei sedimenti offrono anche la possibilità di avere una campionatura nel tempo del campo magnetico.

fig. 2

Ripulitura magnetica. - La raccolta dei campioni per l’analisi paleomagnetica deve essere molto accurata; è infatti essenziale raccogliere campioni orientati, sui quali, già direttamente in campagna, devono essere registrate la direzione del polo nord magnetico attuale e le eventuali inclinazioni di origine tettonica, per permettere, in una fase successiva, le dovute correzioni. Poiché nel corso del tempo geologico le rocce che hanno subito una magnetizzazione iniziale possono in seguito essere state magnetizzate anche più volte (sovraimpressione magnetica), pur conservando la magnetizzazione primaria, per misurare il p. della roccia si devono eliminare queste sovraimpressioni magnetiche realizzando quella che è chiamata ripulitura magnetica; due sono le tecniche di smagnetizzazione generalmente usate per la ripulitura: smagnetizzazione con campo magnetico alternato e smagnetizzazione termica (fig. 2).

Inversioni periodiche del magnetismo terrestre

fig. 3

Il p. ha rivelato le periodiche inversioni del campo magnetico terrestre, registrate per la prima volta nelle lave presenti al di sopra dei fondali oceanici, magnetizzate per metà con direzione nord (polarità normale) e per metà con direzione sud (polarità inversa). Inizialmente si pensò a un fenomeno di autoinversione ma, con il procedere delle misure nei diversi bacini oceanici, venne chiarito che le inversioni si succedevano con un certo ordine cronologico. Questo permise di realizzare una scala cronologica delle inversioni del campo magnetico (magnetostratigrafia), in cui il tempo geologico è diviso in periodi che costituiscono intervalli costanti di tempo con polarità magnetica normale o inversa (fig. 3).

L’unità fondamentale del tempo geologico in termini di polarità geomagnetica è il crono di polarità (durata 105-106 anni), al quale si aggiungono intervalli di polarità di ordine gerarchico superiore (supercrono, durata 106-107 anni) e inferiore (subcrono, durata 104-105 anni). Per convenzione ai croni è stato dato il nome di famosi paleomagnetisti e geomagnetisti e ai subcroni quello delle località in cui sono stati scoperti. La scala delle inversioni magnetiche, inizialmente compilata per gli ultimi 5 milioni di anni, è stata estesa fino a 165 milioni di anni sulla base delle anomalie magnetiche misurate nelle lave dei bacini oceanici.

fig. 4

Le lave magnetizzate normalmente producono un’anomalia positiva quando il loro magnetismo si somma a quello terrestre attuale, e un’anomalia negativa quando il loro magnetismo si sottrae, diminuendolo, dal magnetismo terrestre attuale. L’aspetto più interessante è comunque rappresentato dal loro andamento, il quale si presenta a bande, alternativamente positive e negative, parallele e lineari, con un’ampiezza variabile da 1 a 100 km, interrotte solo in corrispondenza delle grandi zone di frattura. L’importanza di queste anomalie, che hanno una distribuzione simmetrica rispetto agli assi delle dorsali oceaniche (fig. 4) ed età via via più antiche man mano che ci si allontana dall’asse delle dorsali stesse, consiste nella possibilità di calcolare il tasso medio di espansione dei fondali dei più importanti bacini oceanici.

Lo studio in dettaglio delle variazioni del campo magnetico terrestre nel passato geologico e nelle note inversioni di polarità ha condotto a una migliore comprensione delle caratteristiche fondamentali del campo magnetico stesso. La durata di una transizione (inversione) di polarità è stata stimata in circa 5000-10.000 anni, durante i quali il campo magnetico mantiene una struttura prevalentemente dipolare. Sviluppi ulteriori del p. hanno anche condotto alla ricostruzione delle variazioni di intensità del campo magnetico terrestre nel corso del passato geologico e quindi alla definizione di curve della paleointensità del campo, in particolare con notevole dettaglio per gli ultimi 800.000 anni.

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