Paleopatologia

Universo del Corpo (2000)

Paleopatologia

Arthur C. Aufderheide

La paleopatologia (composto del greco παλαιός, "antico", πάθος, "malattia", e λόγος, "studio") è la disciplina che studia le malattie di uomini e animali nell'antichità. I suoi obiettivi principali rientrano nell'ambito di quelli definiti dall'epidemiologia moderna: la paleopatologia cerca pertanto di stabilire la presenza e la prevalenza di specifiche patologie in popolazioni antiche di vari luoghi e periodi, di determinarne i modelli demografici e l'impatto sugli individui o le popolazioni affette, di chiarire le risposte adattative sia degli agenti di malattia sia dei malati, nonché i fattori genetici, ambientali, climatici, comportamentali o d'altro genere, che hanno influenzato il corso delle patologie.

Materiali e metodologie

I materiali studiati dai paleopatologi consistono quasi interamente di resti, umani e/o animali, i più antichi dei quali spesso sono parzialmente o completamente fossilizzati. Per lo più si sono conservate solamente le ossa, sebbene in una minoranza di casi una quantità variabile di tessuti non scheletrici o molli - muscoli, organi interni o pelle - sia sopravvissuta alle condizioni ambientali post mortem per un processo di mummificazione, avvenuto spontaneamente, in quanto prodotto da eventi ambientali, o come risultato deliberato dell'opera umana. Numerosi eventi post mortem possono procurare nei tessuti un ampio spettro di alterazioni distruttive, in grado di sfidare l'abilità interpretativa del paleopatologo che li esamina e di compromettere le analisi di laboratorio. Alla paleopatologia possono essere applicate molte procedure diagnostiche moderne, anche se è tuttora prevalente la tecnica più tradizionale: la semplice ispezione a occhio nudo, purché ben esperto, in quanto una corretta interpretazione richiede un'approfondita conoscenza dell'anatomia e della biologia delle ossa. La degenerazione cellulare post mortem, pur non escludendolo, limita l'esame microscopico, mentre un valido strumento è rappresentato dalla radiologia. Le radiografie, infatti, rivelano particolari di fratture e alterazioni scheletriche, incluse le linee di densità trasversali (linee di Harris) alle estremità delle ossa, che riflettono episodi pregressi di malattie febbrili o di malnutrizione di gravità sufficiente ad arrestare la crescita (simili condizioni di stress producono anche, durante lo sviluppo dei denti, cavità e solchi molto evidenti sullo smalto per ipoplasia dello smalto lineare), ed esplorazioni tomografiche computerizzate (TC) possono visualizzare nei più fini dettagli la struttura interna anche di una mummia sfasciata oppure di un osso intatto; il relativo software è in grado di tradurre le immagini trasversali in un corpo tridimensionale, includendo la ricostruzione facciale, mentre da un'immagine TC può essere generata, mediante la stereolitografia, una scultura in resine di polimerizzazione.

Poiché le malattie acute raramente lasciano modificazioni visibili nelle ossa e l'esattezza dei metodi morfologici a occhio nudo è limitata anche dal piccolo numero di forme in cui l'osso può reagire a un'ampia gamma di stimoli, negli ultimi decenni sono stati introdotti altri metodi di laboratorio. L'esame microscopico di campioni di antichi tessuti disidratati ha rivelato il cancro in alcune mummie; test sierologici effettuati su tessuti contenenti sangue hanno consentito di individuare, nei resti mummificati, la malaria perniciosa o la schistosomiasi; tecniche radioimmunologiche hanno accertato, in campioni di mummie di 3000 anni fa, la presenza di cocaina, riflesso della pratica della masticazione di foglie di coca; mediante gascromatografia è stata chiarita l'origine di alcuni materiali balsamici, come il bitume del Mar Morto, usati in Egitto durante il periodo tolemaico; la biologia molecolare ha stabilito la natura di infezioni ossee e polmonari di mummie peruviane di 1000 anni fa mediante l'estrazione, l'amplificazione e la sequenziazione di un segmento di DNA caratteristico del bacillo di Koch, documentando così la presenza della tubercolosi nell'America precolombiana; con tecniche di spettrografia del rapporto di massa ionica applicate al collagene osseo si possono misurare le percentuali di isotopi stabili di carbonio, azoto, zolfo e stronzio, con precisione tale da determinare la composizione dell'alimentazione antica. Questi e altri nuovi metodi hanno dunque notevolmente ampliato il tipo di informazioni che possono essere desunte dai resti dell'antichità.

Lineamenti paleopatologici di alcune malattie

a) Lesioni traumatiche

Le lesioni traumatiche, in particolare le fratture ossee, erano comuni nei tempi antichi. A seconda dell'epoca storica oppure dell'area geografica prevalgono diverse tipologie: in Europa si trovano lesioni inflitte da clave e tagli procurati dalle spade medievali; in Perù lacerazioni da arpione e da pugnale o ferite da fionda; nelle ossa degli indiani nordamericani non di rado si trovano conficcate punte di frecce; in Messico le ferite da tagli inferti trasversalmente alla parte superiore dello sterno rispecchiano la pratica azteca dell'estrazione del cuore, ancora pulsante, delle vittime sacrificali. In generale, le numerose fratture del lato sinistro del cranio suggeriscono ferite di battaglia inferte da un avversario destrorso, mentre le fratture dell'avambraccio sono talvolta chiamate 'da parata', nel presupposto che la vittima stesse tentando di schivare un colpo; il troncamento trasversale delle vertebre cervicali indica la decapitazione e i segni incisi sulla calotta cranica, in assenza di simili sulle altre ossa, segnalano l'esecuzione di scalpi; le fratture bilaterali delle parti inferiori delle gambe e le perforazioni delle unghie dei piedi (con l'unghia ancora presente in un esempio), riscontrate in corpi egiziani e palestinesi del periodo romano, attestano la pratica della crocifissione. La cronologia dei processi di risanamento osseo è stata calibrata sulla base di campioni moderni; complicazioni comuni delle fratture erano rappresentate dalla mancata riduzione, dalle infezioni e dal mancato saldamento osseo.

Una pratica ampiamente attestata è la trapanazione del cranio, eseguita tagliando, raschiando o perforando i crani di persone vive, probabilmente senza arrivare a scalfire lo strato sottostante (dura madre) delle meningi; alcuni dei teschi ritrovati mostrano anche sette di tali trapanazioni incomplete. Molti di questi crani rivelano chiari segni di risanamento, testimoniando così che gli individui sopravvivevano a tale chirurgia primitiva. Si ritiene che la trapanazione fosse di tipo terapeutico in Perù, dov'è comunemente associata a fratture craniche precedenti, e invece di tipo rituale in Europa (soprattutto in Francia) e nelle altre regioni in cui non si riscontra la presenza di traumi cranici preesistenti. L'ipersviluppo dei legamenti muscolari indica una generale robustezza se è diffuso in tutto il corpo, mentre può essere considerato la conseguenza di uno sforzo legato al lavoro quando è localizzato. La deformazione cranica intenzionale, verosimilmente impiegata per scopi di affiliazione tribale, appare ampiamente diffusa nel mondo; era ottenuta mediante l'applicazione di una benda strettamente legata intorno alla testa e produceva una gamma di forme craniali talvolta sconcertanti. Alcune forme probabilmente causavano la morte in tenera età, per la prematura saldatura di più suture craniche; tuttavia molti esempi di allungamenti craniali anche estremi in adulti di una certa età indicano che, nel conformarsi a queste aberrazioni morfologiche, il cervello subisce un danno limitato o nullo. La presenza di automutilazioni intenzionali dei denti, comune in alcuni gruppi del Vecchio e del Nuovo mondo, può avere avuto motivazioni simili a quelle della deformazione cranica. Mentre si sa che le tsantsas (le testine in miniatura dai lunghi capelli degli indios jivaro della Colombia) hanno scopi sia rituali sia profani (vendetta), si è meno certi delle intenzioni riferibili ai 'crani-trofeo' sospesi a corde, riscontrati nella cultura nazca del Perù, risalente a circa 1800 anni fa.

b) Malattie infettive

Nell'antichità causa frequente di infezioni ossee erano le fratture agli arti con lacerazione della pelle sovrastante; in altri casi, i batteri portati dal sangue infettavano le parti terminali delle ossa lunghe e le articolazioni. Le infezioni di solito diventavano croniche, con estesa distruzione dell'osso e abbondante produzione di neoformazioni ossee reattive, irregolari e cosparse di fori dovuti al drenaggio del pus. La decalcificazione e l'atrofia di ossa non infettate degli arti inferiori indicano che, a causa di tale tipo di infezioni, questi non erano più in grado di sopportare il peso; ritrovamenti siffatti testimoniano anche la tolleranza della popolazione nei confronti di un membro disabile. La tubercolosi può estendersi dai polmoni alle costole adiacenti e il flusso sanguigno può portare i bacilli ad altre ossa, determinando l'insorgenza di tubercolosi ossea, la quale comunemente distrugge una o più vertebre che collassano producendo una caratteristica deformità gibbosa (morbo di Pott). Simili lesioni tubercolotiche sono state riscontrate in scheletri antichi, diffuse dalla spina dorsale alle anche; effetti locali distruttivi sono stati ampiamente rilevati nel ginocchio e in altre articolazioni. La validità dei riferimenti alla lebbra contenuti nella Bibbia e in molti altri documenti è ostacolata da problemi di traduzione, ma la caratteristica alterazione dovuta alla distruzione dell'osso nasale (facies leprosa) è stata osservata negli scheletri di lebbrosi rinvenuti nell'oasi egiziana di Daklech, che possono essere fatti risalire almeno al 200 a.C. Tali alterazioni sono accompagnate, negli scheletri nordeuropei, dalla deformazione o perdita di varie dita delle mani e dei piedi. Le treponemosi da spirocheta includono forme di infezione veneree (sifilide) e non (framboesia, sifilide endemica), le cui rispettive lesioni sono spesso indistinguibili: focolai di distruzione ossea nel cranio con indurimento dei margini delle lesioni (caries sicca) ed estesi ispessimenti delle ossa lunghe. Tali lesioni sono state individuate in molti siti del Nuovo mondo, risalenti a circa 3000 anni fa; resta invece controversa, nel Vecchio mondo, la presenza di lesioni da treponemosi anteriormente al 1492, per la quale sarebbe necessario analizzare raccolte di scheletri più ampie di quelle che si hanno a disposizione.

Analogamente occorrerebbero indicatori più precisi per le forme individuali di treponemosi prima di poter determinare l'origine dell'epidemia venerea verificatasi nell'Europa del 16° secolo. Restano privi di conferma i vari casi di vaiolo ipotizzati per le mummie faraoniche egizie. Mentre i documenti storici fanno pensare a milioni di casi di vaiolo in Europa, è stato riferito un unico esempio di presenza di questo virus in un corpo antico (appartenente alla nobiltà rinascimentale italiana), presenza che è stata rintracciata mediante il microscopio elettronico a scansione e comprovata con metodi immunologici.

c) Neoplasmi

Un tumore benigno che insorge nelle membrane che ricoprono il cervello può stimolare la volta cranica sovrastante a proliferare, generando un massa locale di osso reattivo che si presenta corrugato e più spesso del normale. Si è frequentemente affermato che il cancro fosse raro o assente nelle popolazioni antiche: forse perché la brevità dell'arco vitale non permetteva loro di arrivare a quelle età avanzate in cui il cancro è più frequente, o forse perché non erano esposte al moderno inquinamento industriale dell'ambiente, né al tabacco. Più di recente sono stati però riportati vari esempi di alterazioni devastanti e spesso proliferative tipiche della forma primaria di cancro alle ossa (osteosarcoma). Tuttavia, questo tumore ancora oggi non è frequente e i metodi paleoepidemiologici non sono abbastanza sofisticati da risolvere la questione riguardante la comparazione della incidenza del cancro nelle popolazioni antica e moderna. L'osteosarcoma di rado si diffonde ad altre ossa, mentre lo fanno i cancri primari che si originano negli organi interni. Tali tumori primari scompaiono con la decomposizione dei tessuti molli dopo la morte, ma le lesioni diffuse e distruttive (o talvolta proliferative) del tessuto osseo restano facilmente riconoscibili negli scheletri. Ciò nondimeno, la localizzazione del cancro primario del tessuto molle diffusosi alle ossa può essere determinata solo raramente dallo studio delle lesioni metastatiche dello scheletro. Il mieloma multiplo (cancro primario delle plasmacellule del midollo osseo) può talvolta somigliare alle lesioni multiple del carcinoma metastatico alle ossa, rendendo difficoltosa la distinzione.

d) Patologie congenite

Negli scheletri antichi sono stati riportati pochi esempi di malformazioni maggiori, come l'anencefalia (assenza di cranio e cervello); la scarsità di malformazioni gravi nei materiali paleopatologici può essere dovuta alla morte precoce, durante l'infanzia, di tali casi, la cui delicata ossatura dopo il decesso si disintegrava. La maggior parte delle malformazioni congenite riscontrate ha solo effetti disfunzionali minori, o non ne ha affatto. Una spina bifida parziale per mancato saldamento degli elementi dell'arco sacrale era comune, mentre erano rare le lussazioni congenite dell'anca, sebbene siano stati descritti casi isolati, riconosciuti dall'acetabolo poco profondo che non ha mai alloggiato la testa del femore.

e) Lesioni articolari

La forma di osteoartrosi 'da usura' era diffusa ed è facilmente riconoscibile negli scheletri antichi, in quanto il contatto tra le ossa durante la vita produce una superficie liscia e levigata (eburneazione) con noduli di forma irregolare di neoformazioni ossee, che riflettono l'irritazione dovuta all'anormale contatto tra le superfici articolari. Le testimonianze di quella patologia infiammatoria moderna che chiamiamo artrite reumatoide non sono comunque comuni nell'antichità, e molti la ritengono assente. L'attuale alta prevalenza di gotta nelle isole del Pacifico è rispecchiata da quella presentata dagli scheletri della popolazione di Guam (5% degli individui) di 500-1000 anni fa. La mummia di un anziano sacerdote dell'antico Egitto ha rivelato nel corpo disseccato non soltanto le lesioni ossee della gotta, ma gli aggregati cristallini di acido urico responsabili delle alterazioni, intrappolati dai tendini sovrastanti nei tessuti molli colpiti. Sono state frequentemente descritte, in scheletri provenienti dall'Europa, dalle Canarie, dal Nuovo mondo e da altri luoghi, lesioni vertebrali in via di calcificazione causate dalla spondilite anchilosante della colonna.

f) Disturbi endocrini e del metabolismo

Queste condizioni non appaiono di frequente nelle raccolte di scheletri antichi. Le ossa arcuate del rachitismo sono facilmente riconoscibili, ma la vita all'aria aperta, che le antiche popolazioni tendenzialmente conducevano, di norma forniva abbastanza luce solare da generare la quantità di vitamina D necessaria a evitare tale patologia. La maggior parte dei rari reperti tende a concentrarsi nel periodo medievale e in quello industriale. Lo scorbuto (deficienza di vitamina C) è stato individuato con maggiore frequenza nei climi nordici, ma bisogna precisare che il sottile e superficiale rivestimento di sangue calcificato sulle ossa degli arti è meno specifico, sotto il profilo diagnostico, di quanto non lo siano le ossa rachitiche. L'osteoporosi è stata rilevata in molte popolazioni antiche, spesso in età precoce rispetto a quella dei gruppi moderni; nella maggior parte degli esempi la sua causa è enigmatica tanto quanto oggi. L'iperparatiroidismo (riconoscibile al microscopio per via del singolare effetto tunnel che produce nell'osso midolloso, dovuto a cellule che dissolvono le ossa) è stato osservato in corpi peruviani di 1000 anni fa e in corpi egiziani ancora più antichi. Cretinismo e gozzo sono raramente attestati nei reperti paleopatologici.

g) Disturbi della dentizione

Il logoramento delle corone dentarie era assai marcato nei gruppi antichi di nomadi vegetariani, ma si verificava anche in qualche comunità di orticoltori, forse perché la macinazione a pietra dei cereali introduceva della sabbia abrasiva nel cibo consumato. Tale attrito patogeno, insieme alle carie provocate da un regime alimentare a base di carboidrati e da infezioni gengivali avanzate (periodontiti) nelle età più mature, aveva come esito l'esposizione della polpa, con conseguenti ascessi dentali, di cui alcuni esitavano in infezioni sanguigne letali.

h) Manifestazioni patologiche nelle mummie

L'introduzione dello studio del tessuto molle dei resti umani mummificati ha ampliato la gamma delle patologie individuabili nelle popolazioni antiche. La polmonite è facilmente identificabile ed è stato accertato che nell'antichità costituiva la causa di morte più comune. Una grave patologia delle arterie coronariche è stata riscontrata nel corpo di un cinese di 2000 anni fa. Calcoli biliari, alla vescica e al rene sono stati osservati numerose volte in corpi di circa 1500 anni fa. Lo studio dei coproliti (feci essiccate) ha dimostrato la presenza non solo di vermi cilindrici e piatti (carne di maiale, cane e pesce), di anchilostomi e di altri parassiti, ma anche di polline, che è stato usato per rivelare la stagione della morte. Sono state individuate cirrosi del fegato, nefriti e varie altre condizioni patologiche. Comunque, il fatto che le cellule epiteliali non possano quasi mai sopravvivere all'ambiente post mortem, specie nei corpi naturalmente mummificati, ostacola le indagini anatomiche al microscopio di molte patologie tessutali, compresa gran parte dei cancri. Tra le altre patologie utili a valutare la salute delle popolazioni dell'antichità sono incluse le malattie indotte da anemie gravi, come l'anemia falcemica o talassemia, nella quale il midollo osseo, sottoposto a un superlavoro, si espande causando l'ispessimento delle ossa della calotta cranica e l'esposizione del midollo spugnoso, trabecolare, emopoietico alla superficie dell'osso (iperostosi porosa) o della volta orbitale (cribra orbitalia).

Bibliografia

A.C. Aufderheide, C. Rodriguez-Martin, The Cambridge encyclopedia of human paleopathology, Cambridge, Cambridge University Press, 1998.

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D.J. Ortner, W.G.J. Putschar, Identification of pathological conditions in human skeletal remains, Washington, Smithsonian Institution Press, 1985.

C. Roberts, K. Manchester, The archeology of disease, Ithaca (NY), Cornell University Press, 19952.

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