Pallante

Enciclopedia Dantesca (1970)

Pallante

Antonio Martina

Figlio di Evandro, il re della colonia di Arcadi venuto, prima della distruzione di Troia, sulle rive del Tevere, dove aveva fondato Pallanteo, così chiamata dal nome del progenitore. Pallante (Virg. Aen. VIII 51 ss.), da cui avrebbe preso poi nome, secondo una tradizione attestata in Livio (I V 1), il Palatium, cioè il colle Palatino.

Fu tra gli alleati di Enea (Aen. VIII 454-519) che, su suggerimento del dio Tiberino (vv. 26 ss.), si era recato da Evandro per chiedere aiuto. Cadde per mano di Turno, re dei Rutuli (X 439 ss.), che restituì il cadavere al padre dopo averlo spogliato del balteo, preda fatale che, risplendendo come trofeo di guerra sul corpo di Turno, rinnovò in Enea, pur incline alla compassione, il fiero dolore (XII 945 " saevi monimenta doloris ") inducendolo all'inesorabile decisione di non risparmiargli la vita.

Una tradizione diversa da quella seguita da Virgilio voleva che P. seppellisse sul Palatino il padre Evandro.

Nella seconda metà del sec. XI si credé di aver scoperto in Roma la tomba e il corpo miracolosamente intatto dell'eroe virgiliano, la cui memoria lo studio dell'Eneide aveva contribuito a mantenere viva tra i ‛ chierici '. La scoperta della tomba fu oggetto della cronaca di Martino Polono e successivamente degli scritti dello Pseudo-Brunetto e di Tolomeo da Lucca, contemporanei di Dante.

P. è ricordato da Giustiniano in Pd VI 36 (e cominciò da l'ora / che Pallante morì per darli regno). La virtù dell'aquila ha il punto di partenza e insieme il suo fondamento giuridico nella morte di P., del quale Enea ereditò i diritti e fu de l'alma Roma e di suo impero / ne l'empireo ciel per padre eletto (If II 20-21). D. non ricorda P. nella rievocazione dello speziale nascimento e dello speziale processo dell'Impero universale di cui tratta in Cv IV V 10 ss., ma ne fa ampia menzione nella corrispondente sezione della Monarchia (II IX 12-14), dove dichiara che quicquid a primordialibus Imperii romani diudicandum erat per duellum esse discussum (§ 12). Ricordando il duello tra Turno ed Enea, ut in ultimis ‛ Aeneydos ' canitur (§ 13), osserva: In quo quidem agone tanta victoris Aeneae clementia fuit, ut nisi balteus, quem Turnus Pallanti a se occiso detraxerat, patuisset, victo victor simul vitam condonasset et pacem, ut ultima carmina nostri Poetae testantur (§ 14; cfr. Aen. XII 940 ss.).

Come nota il Renucci (p. 289), il comportamento di Enea che uccide Turno che implora di risparmiargli la vita, non sarebbe conforme ai formalia di cui D. parla, se non intervenisse a giustificarlo la vista del balteo tolto da Turno a P., che egli ha il diritto e il dovere di vendicare (cfr. Aen. XII 948-949 " Pallas te hoc volnere, Pallas / immolat, et poenam scelerato ex sanguine sumit ").

Nel c. VI del Paradiso D. indica quindi nell'ora della morte di P. il punto di partenza e il fondamento giuridico della prima grande gesta operata da Enea, da cui prende le mosse il provvidenziale costituirsi dell'Impero universale di Roma, che s'inquadra nell'assunto che romanus populus per duellum acquisivit Imperium: ergo de iure acquisivit (Mn II IX 21).

Vi è chi (Benvenuto, Buti, Vellutello, Tommaseo, Scartazzini, Moore, Casini) attribuisce al poeta e non a Giustiniano le parole e cominciò da l'ora (" e Giustiniano cominciò rifacendosi ai tempi in cui P. morì "). Ma a prescindere dalle considerazioni di cui sopra, si spezzerebbe così anche l'unità e la compattezza del canto che, unico in tutto il poema, sembra essere costituito dal discorso di un solo personaggio, quasi a significare l'importanza che D. vi annetteva. Per l'importante problema testuale cfr. la nota del Petrocchi ad l. e la particolareggiata discussione del Mariotti.

Bibl.-Oltre ai commenti alla Monarchia e alla Commedia, v. E. Moore, Studies in D., I, Oxford 1896; F. P[Intor], recens. a G. Zacchetti, Briciole dantesche (Bari 1900), in " Bull. ". VIII (1900-1901) 324; O. Bacci, Il canto VI del Paradiso, Firenze 1904, 16; S. Debenedetti, Chiose ad un passo del canto di Giustiniano. Par. VI, vv. 28-36, in " Studi d. " IV (1921) 107; P. Renucci, D. disciple et juge du monde gréco-latin, Parigi 1954, 289 ss., 388; S. Mariotti, Il canto VI del Paradiso, in Nuove letture, V, Firenze 1972, 384 e n. 1.

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