PALLAVICINO TRIVULZIO, Giorgio Guido, marchese

Enciclopedia Italiana (1935)

PALLAVICINO TRIVULZIO, Giorgio Guido, marchese

Mario Menghini

Patriota e uomo politico, nato a Milano il 24 aprile 1796, morto nel suo podere di Genestrelle, presso Casteggio, il 4 agosto 1878. Rimasto orfano del padre a sette anni, fu dalla madre, Anna Besozzi, fornito di un'accurata istruzione; e ancora giovanissimo intraprese viaggi in Italia, in Francia, in Inghilterra, in Norvegia, in Russia. D'indole ardente, amante delle libere istituzioni, che aveva ammirate nelle sue peregrinazioni, tornato in patria frequentò quel gruppo di aristocratici milanesi che dopo la caduta del Regno Italico erano animati d'amor patrio, e su consiglio del conte Confalonieri si affiliò alla setta dei federati. Quando nel marzo del 1821 scoppiò la rivoluzione piemontese, il P., insieme con Gaetano Castillia e con Giuseppe Arconati, si recò in Piemonte per intendersi con coloro che principalmente l'avevano promossa. A Novara ebbe un colloquio col conte di San Marzano, e a Torino un abboccamento con Carlo Alberto, che però non ebbe quei risultati che si attendevano gl'inviati milanesi. Frattanto la polizia austriaca, già vagamente informata dell'esistenza della setta dei federati, messa in sospetto per l'andata in Piemonte dei tre nobili milanesi, procedeva affannosa nelle sue indagini, che le furono facilitate dalla denunzia anonima di Carlo Castillia, uno dei federati. L'arresto, avvenuto il 2 dicembre 1821, di Gaetano Castillia e le dichiarazioni di costui causarono il giorno dopo quello del P., che nel secondo interrogatorio (13 dicembre) si lasciò andare (per debolezza, egli disse più tardi) a rivelazioni per cui il Confalonieri e altri federati furono catturati. Fu vano il pentimento del P. nei giorni successivi, in cui, fingendosi pazzo, smentì la precedente confessione. Condannato a venti anni di carcere duro con sentenza resa esecutiva dall'imperiale rescritto del 19 dicembre 1823, il P. giunse allo Spielberg il 29 febbraio 1824, e colà rimase internato lunghi anni. In preda a una grave forma di nevrosi, vi ebbe a compagni di cella il Borsieri e il Castillia, e vi tenne un contegno equivoco con i suoi antichi amici, al punto da promettere di far nuove rivelazioni contro il Confalonieri a patto che fosse trasferito ad altro ergastolo (1832). Rivelazioni che lo stesso direttore di polizia Muth giudicava destituite di fondamento e che hanno piuttosto, secondo il Sandonà, l'aria di un tentato ricatto. Nel novembre del 1835, per decisione imperiale del 4 marzo precedente, il P., invece di essere trasportato con gli altri condannati politici in America, ottenne di andare al confino a Praga; e quando uscirono nel 1837 le Memorie dell'Andryane, "banale ed esagerata apologia del Confalonieri", offerse al governo austriaco di ribatterle, specialmente nei riguardi del Confalonieri, che egli odiava; e infatti stese, sotto forma di note alle memorie dell'Andryane, un vergognoso libello che però il governo austriaco preferì di seppellire nei suoi archivî, ma che è stato dato in luce dal Sandonà nel 1911. Tornato poco dopo in Italia, si ritirò nella sua villa di San Fiorano, presso Codogno, e colà lo sorprese il moto rivoluzionario delle Cinque Giornate, al quale prese parte. Quanto il P. operò nella seconda fase della sua vita e i servigi resi alla causa italiana hanno riscattato la sua memoria. Sopraggiunta la restaurazione austriaca, esulò a Torino, e di là fece frequenti viaggi a Parigi, entrando in relazione con gli uomini politici più in vista di Francia, ma specialmente col Gioberti, e tenne sino alla morte una corrispondenza epistolare con lui (v. Lettere di V. Gioberti a G. Pallavicino, Milano 1875) e col Manin (v. Lettere di D. Manin a G. Pallavicino, Torino 1859-60). A Torino ebbe dimestichezza col Cavour e per suo mezzo il grande statista s'intese con l'ex-triumviro di Venezia. Come conseguenza del moto del 6 febbraio 1853, l'Austria sequestrò i suoi beni, che poi gli restituì tre anni appresso. Promotore nel 1856 della Società Nazionale diretta poi dal La Farina, fu uno dei più caldi fautori della politica piemontese e tuttavia nel parlamento (dove sedette per la II, IV, V e VI Legislatura) fu talvolta in opposizione al Cavour, e nel senato (dove entrò il 29 febbraio 1860) diede voto contrario alla cessione di Nizza e Savoia alla Francia e alla convenzione di settembre. Pochi giorni dopo l'ingresso di Garibaldi a Napoli fu nominato prodittatore, ma l'azione sua fu variamente discussa. Proclamato il plebiscito a Napoli, si dimise, ritraendosi nella solitudine di San Fiorano. Ebbe però dal re il Collare della SS. Annunziata. Inviato con pieni poteri in Sicilia poco prima di Aspromonte, gli fu rimproverata la sua condiscendenza per l'impresa di Garibaldi, e tornò a San Fiorano, dove nel 1867, dopo un viaggio elettorale rimasto storico, ospitò il suo grande amico; e colà visse gli ultimi anni di vita, assistito dalla consorte Anna Koppmann, figlia del governatore di Praga, con la quale si era unito durante la sua forzata dimora colà, e che fu editrice delle Memorie di lui (Torino 1882-1895, voll. 3).

Oltre a numerose lettere politiche il P. scrisse: Un episodio delle mie prigioni, Milano 1848; Spielberg e Gradisca, Torino 1856; Della questione romana, Torino 1863; Su le questioni del giorno, Milano 1874.

Bibl.: A. Tedeschi, D. Manin e G. P., in Nuova Antologia, 1° agosto 1878; V. E. Lidfortt, Le Memorie di G. P., Torino 1882; C. Negri, Le Memorie di G. P., Torino 1882; B. E. Maineri, G. P., rivendicazione, Roma 1884; id., G. P., in L. Carpi, Il Risorgimento italiano, I, Milano 1884; G. Weber, Un patriota italiano, Torino 1884; A. Sandonà, Contributo alla storia dei processi del Ventuno e dello Spielberg, Torino 1911 (fondamentale per la questione dei suoi rapporti con il Confalonieri); G. Maioli, Il fondatore della Società Nazionale, in Rass. d. Risorgimento, 1932.

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