MALATESTA (de Malatestis), Pandolfo. - Quarto di questo nome nel casato, nacque a Rimini il 5 luglio 1475 figlio illegittimo di Roberto il Magnifico, signore di Rimini, e di Elisabetta Aldobrandini. Aveva solo sette anni quando, il 10 sett. 1482, il padre morì lasciandogli in eredità la signoria.
Della vicenda resta documento coevo la pala di Domenico Ghirlandaio e bottega (Museo civico di Rimini), che rappresenta s. Vincenzo Ferrer fra i ss. Sebastiano e Rocco; sotto, in preghiera, Elisabetta Aldobrandini e Violante Bentivoglio da un lato, il M. e Carlo dall'altro. Questi esprimono devozione e riconoscenza ai patroni per un doppio rischio scampato: la congiura del 1492 e la peste del 1493.
Ormai sola a capo dello Stato, l'Aldobrandini continuò a escludere dal potere il M. che, occupato ad arte in cacce e gozzoviglie, non manifestava predisposizione per l'attività di governo. Elisabetta, del resto, aveva sempre esercitato sul figlio un forte ascendente, imponendogli le proprie scelte. L'intraprendenza materna indusse il M. a sposare, a soli dieci anni, Violante, figlia di Giovanni (II) Bentivoglio. Il 5 febbr. 1485, a Bologna, furono officiate per procura le nozze, ma l'effettiva celebrazione fu rinviata al settembre 1489 con l'ingresso ufficiale della sposa a Rimini. Dal matrimonio nacquero Sigismondo, Galeotto, Malatesta, Roberto, Annibale e Ginevra.
Mera pedina delle aspirazioni materne, il M. fu avviato, ancora giovanissimo, alla carriera militare, godendo della gloria riflessa del padre, stimato e valoroso condottiero. Tradizione vuole che, nel gennaio 1483, ad appena otto anni, il M. ottenesse la nomina di capitano generale su un contingente di 150 uomini con una provvigione complessiva di 16.000 scudi. Il reale debutto del M. sui campi di battaglia è però ragionevolmente da posticipare al settembre 1493 con l'assunzione di una condotta per conto della Serenissima. In un contesto mutevole, condizionato dall'imminente discesa di Carlo VIII di Francia nella penisola, il M. fu inviato a presidiare i confini di Ghiara d'Adda. Per contrastare l'avanzata dei Francesi, Venezia, il Ducato di Milano e il Papato costituirono una lega, nella quale fu indirettamente coinvolta anche la signoria riminese, confederata della Serenissima. L'esercito della Lega vinse lo scontro e il M. si distinse per coraggio e capacità tattica nella sanguinosa battaglia di Fornovo, presso il fiume Taro, il 6 luglio 1495.
Incapace di riversare il valore guerresco nella pratica di governo, il M., emancipato dalla tutela materna, inaugurò una stagione politica contrassegnata da cospirazioni ed efferati misfatti che gli valsero il dispregiativo di Pandolfaccio.
A causa del discredito acquisito dal M., le trattative furono condotte da Elisabetta, che ottenne per il figlio un insperato successo. Poco dopo il rientro in Romagna, tuttavia, l'Aldobrandini morì, lasciando il M. in balia di se stesso. Il deplorevole operato del M. favorì allora a Rimini l'insorgere di spinte centrifughe, che si tradussero presto in serrata opposizione.
Le difficoltà interne erano amplificate, a livello internazionale, dalle ambiziose iniziative di papa Alessandro VI, risoluto a costruire in Romagna un dominio per il figlio Cesare. La stessa Rimini cadde nelle mire del papa che vantava diritti legittimi sulla signoria, in virtù dei censi insoluti alla Camera apostolica. Minacciato dall'incalzare di Cesare Borgia, il M. invocò l'intervento di Venezia che tenne fede ai patti di mutuo soccorso siglati con i signori romagnoli, fornendo parte della copertura finanziaria per il pagamento degli arretrati.
Nel gennaio 1500 Forlì, dopo la strenua resistenza opposta da Caterina Sforza, era caduta nelle mani di Cesare Borgia. La stessa sorte toccò a Cesena, Imola e Faenza, mentre Rimini, spalleggiata dalle truppe di Bartolomeo d'Alviano, si preparava all'assedio con un contingente di oltre 1000 cavalieri. Il poderoso bastione difensivo fece desistere dall'impresa il Valentino, risparmiando la città. La salvezza della signoria dipendeva, dunque, dalla disponibilità di uomini e denaro forniti da Venezia. Ma il legame esistente tra Riminesi e Veneziani non raccoglieva il consenso dal papa che intimò alla Serenissima di ritirare la protezione ai Malatesta. Le pressioni pontificie, spinte sino alla minaccia di scomunica, erano puntellate dai Francesi che spingevano affinché i Veneziani assecondassero le mire del Valentino. La Serenissima sospese, quindi, ogni relazione con il M. che nell'ottobre 1500 inviò la moglie Violante e i figli a Bologna e, ceduta la custodia della città al Consiglio, si rifugiò nella rocca.
Il 30 ott. 1500 il Borgia entrò trionfalmente a Rimini acclamato da una folla festante che, esacerbata dal dispotismo malatestiano, lo accolse come un liberatore. Ma il nascente ducato del Valentino non era destinato a consolidarsi: nell'agosto 1503 Alessandro VI morì, segnando, di fatto, la fine del dominio di Cesare Borgia.
Il declino del Valentino e la vacanza della Sede apostolica favorirono il progressivo rientro dei principi negli antichi domini. Lo stesso M., con l'aiuto di Bartolomeo d'Alviano e del compagno d'esilio Guidubaldo da Montefeltro, tornò a Rimini suscitando la compatta e ostinata resistenza della popolazione.
Il M. partì, dunque, in gran fretta per Venezia, presentandosi inaspettatamente al doge Leonardo Loredan in compagnia del primogenito Sigismondo. La visita del M. e, tanto più, le allettanti proposte di vendita trovarono un'ottima accoglienza. I capitoli della transazione, ratificati il 16 dic. 1503 a titolo di purae et irrevocabilis permutationis, prevedevano il trasferimento di tutti i possedimenti romagnoli - incluse Sarsina e Meldola - entro la sfera d'influenza veneziana.
L'alienazione dell'avita signoria non modificò in sostanza il modus vivendi del M. e del fratello Carlo che continuarono a dedicarsi in primis al mestiere delle armi, facendo mostra di spiccate doti militari nella guerra che oppose Venezia all'imperatore Massimiliano I d'Asburgo. Carlo in particolare si distinse per valore sui campi di battaglia, pagando il proprio ardire con la morte nel febbraio 1508. Venezia aveva da tempo suscitato i risentimenti del papa Giulio II, che condannava il suo espansionismo sulla terraferma, reclamando l'assoluta esclusiva titolarità dei possedimenti romagnoli.
I colpi accusati dalla Serenissima iniziarono a far vacillare la fedeltà del M. che cambiò bandiera, passando tra le fila degli Imperiali. Con atto di sottomissione al nuovo alleato, il M. consegnò Cittadella a Massimiliano d'Asburgo che, in segno di riconoscenza, nell'agosto 1509 lo investì ufficialmente del feudo. Ma la città veneta, dopo numerosi passaggi di mano, tornò infine ai Veneziani, privando, di fatto, il M. dell'unico possedimento rimasto.
L'assegnazione di una condotta di 400 lance per presidiare le riottose circoscrizioni della Marca trevigiana distolsero per qualche tempo il M. dai domini romagnoli. Eppure il progetto di tornare a insignorirsi di Rimini non fu mai abbandonato dagli ultimi esponenti dei Malatesta. Nel marzo 1513 Troilo, figlio di Roberto il Magnifico, tentò inutilmente di entrare in possesso della città mentre Sigismondo, figlio del M., si adoperò inutilmente presso il papa per recuperare lo Stato paterno; passò poi all'azione armata: la vigilia di Natale 1521, con un centinaio di cavalieri, si presentò sotto le mura di Rimini. Ricacciato dalle archibugiate dei difensori non desistette e, trascorsi pochi mesi, replicò vittoriosamente l'impresa.
Grazie all'appoggio segreto di alcuni maggiorenti riminesi, il 24 maggio 1522 Sigismondo si introdusse furtivamente in città e, preso in ostaggio il governatore pontificio, si impadronì della rocca asserendo di assumere il potere in nome della S. Sede. Nell'arco di due giorni l'intero contado riminese fu riconquistato e il M., allora a Ferrara, fu richiamato nella città natale: dopo 19 anni di esilio rientrava a Rimini il 29 maggio 1522 in estrema povertà. Le difficoltà affrontate, d'altra parte, non avevano mitigato la sua linea politica ed egli riprese a governare in modo crudele e tirannico.
Il primogenito del M. continuò a nutrire la speranza di tornare a dominare su Rimini. L'occasione propizia giunse nel maggio 1527, all'epoca del sacco di Roma. Forte dello sbandamento che aveva investito lo Stato della Chiesa, il 14 giugno Sigismondo entrò in Rimini e richiamò al suo fianco il padre; i due misero allora in scena l'ultimo atto della saga malatestiana a Rimini.
Il 17 giugno 1528 i Malatesta abbandonarono per sempre Rimini, liberandola dalla tirannide, in cui era degenerata la signoria domestica. All'ingresso delle milizie pontificie in città, Sigismondo si allontanò, mentre iniziava per il M. un esilio condotto ai limiti della povertà. Rimasto vedovo, sposò Ippolita di Sebastiano Tebaldi, dalla quale nacquero Valerio e Cassandra. Con la nuova famiglia il M. si stabilì a Roma, dove morì nell'inverno tra il 1538 e il 1539.
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