Panteismo

Dizionario di filosofia (2009)

panteismo


Composto dei termini gr. πάν «tutto» e ϑεός «dio». Ogni dottrina che consideri divina la totalità delle cose o che identifichi la divinità con il mondo. Il termine entrò in uso agli inizi del Settecento: il deista inglese Toland parlò per la prima volta di pantheists «panteisti» nel suo Pantheisticon (1705; trad. it.).

Il panteismo filosofico

Possono essere individuate più forme di p. diversissime tra loro, a seconda del modo in cui è concepito il rapporto tra la totalità delle cose e il suo carattere di divinità. Nel p., il principio divino è sempre più o meno distinto dalla molteplicità delle cose singole, le quali, appunto in quanto molteplici, si contrappongono alla sua essenziale unità, pur partecipando a essa in qualche modo (senza di che non ci sarebbe p., ma semplicemente monoteismo, implicante la rigida trascendenza della divinità rispetto alle cose). Se quindi è accentuato il principio della divina unità delle cose, gli aspetti di molteplicità e di reciproca differenza delle cose stesse vengono svalutati, e spesso rigettati come mere apparenze: così può aversi il p. acosmistico, ossia negatore del mondo, come esempio del quale possono essere citate la concezione buddistica e, sotto un certo aspetto, anche quella eleatica, quando se ne scorga soprattutto l’aspetto teologico della realtà dell’Uno-Tutto. Non acosmistica è invece, a rigore, la concezione spinoziana, che può essere considerata come esempio della forma più classica di panteismo. Per essa, infatti, la realtà di tutte le cose è divina, perché unica è la loro sostanza, che è Dio; e d’altra parte esse non svaniscono nel nulla, perché permangono nella sostanza come modi dei suoi attributi. Se d’altra parte la realtà delle singole cose, universalmente sostanziate dal principio divino e comunque da esso distinte, è concepita non come contemporanea a tale principio, ma come eternamente promanante da esso, il p. acquista carattere emanatistico, e tende senz’altro a confondersi con l’emanatismo, come accade, per es., nelle concezioni del neoplatonismo antico e medievale. In senso più generale, poi, può essere considerato panteistico ogni sistema filosofico che, ponendo un principio assoluto della realtà, faccia derivare da quello i suoi aspetti particolari, senza quindi mantenere quel principio nella sua rigida trascendenza: così si è parlato di p. hegeliano, di p. idealistico, e così via.

Il panteismo religioso

Nelle varie religioni si sono delineate correnti e si sono verificate manifestazioni che, avvicinandosi al concetto filosofico del p., a buon diritto possono chiamarsi panteistiche. Il p. religioso – come quello filosofico – presuppone la concezione dell’Universo come unità del Tutto; tale concezione può costituirsi anche anteriormente a ogni pensiero speculativo, e proprio nelle più indifferenziate figure di esseri supremi delle religioni primitive si potrebbero ravvisare i germi di un’identificazione spontanea della divinità con il mondo sentito come unità. Tuttavia questa idea religiosa implica ancora una netta distinzione tra dio (o mondo) e uomo, cioè un rapporto «io-tu» tra l’uomo e dio. Questo rapporto resta per lo più inalterato anche in quelle approssimazioni religiose al p. che sorgono in seno alle religioni politeistiche, quando una crescente tendenza sincretistica porta all’identificazione dapprima di alcune, infine di tutte le divinità, come avviene nell’antico Egitto, dove per es. Amun, dio supremo della capitale del Nuovo Regno, Tebe, finisce per essere concepito come identico al dio sole Ra, a Osiride e via via a tutte le divinità del pantheon. Tuttavia, anche dall’antico Egitto abbiamo testimonianze di una concezione più decisamente panteistica, in cui il dio unico e identico all’Universo pervade anche il soggetto adorante: «non c’è in me un solo membro privo di dio», dice un passo del Libro dei morti. L’approssimazione massima al p. è in una particolare corrente del brahmanesimo, espressa soprattutto dalle Upaniṣad, in cui però hanno ormai gran parte i motivi speculativi; qui viene esplicitamente affermata l’identità tra Brahman (concepito come dio universale, comprendente in sé tutte le divinità e manifestantesi nel cosmo) e l’ātman, cioè l’essenza dell’Io. Sospendendo il rapporto io-tu tra uomo e dio e negando la trascendenza della divinità rispetto al mondo, il p. religioso può sfociare nell’irreligiosità, in quanto l’uomo, partecipando della natura divina, non prova più il bisogno dell’adorazione. Accenni a una tendenza panteistica non mancano neanche in altre religioni, benché si trovino, per lo più, in una sfera intermedia tra religione e filosofia: così, nella Grecia antica, gli orfici esaltavano Zeus al punto da identificarlo con il Tutto.