PAOLINO da Venezia, vescovo di Pozzuoli

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 81 (2014)

PAOLINO da Venezia, vescovo di Pozzuoli

Emanuele Fontana

PAOLINO da Venezia, vescovo di Pozzuoli. – Nacque con buona probabilità all’inizio degli anni Settanta del Duecento; nulla è noto della sua famiglia d’origine. La denominazione suggerisce che il luogo di nascita sia stata la città lagunare, ma non si può escludere che essa si riferisca all’ingresso nell’Ordine dei minori nel convento veneziano dei Frari.

Paolino compì i suoi studi probabilmente nelle scuole della provincia religiosa di Sant’Antonio. Nella documentazione egli è attestato in effetti per la prima volta il 12 dicembre 1293 nel convento di Padova, forse perché in quel periodo frequentava lo studium dei minori (Il «Liber contractuum», 2002, doc. 118, p. 337). Tuttavia l’11 ottobre 1295 fra Clarello, in occasione dell’esecuzione del testamento di Bartolomeo Enselmini, ritirò in sua vece, a Padova, il lascito a lui destinato; Paolino in quel momento era dunque assente o in un altro convento.

La sua iniziale carriera di insegnamento come lettore si svolse probabilmente ancora all’interno della provincia di Sant’Antonio, dove ricoprì anche incarichi di governo: guardiano, custode, inquisitore. Il 30 novembre 1301, in qualità di lettore del convento di Venezia, fu presente alle trattative tra l’inquisitore fra Antonio da Padova e il doge di Venezia Pietro Gradenigo riguardo all’introduzione delle costituzioni antiereticali negli statuti della città (Ilarino da Milano, 1983, p. 481 n. 111). Nel 1302, durante l’inchiesta sull’operato degli inquisitori francescani della Marca trevigiana ordinata da Bonifacio VIII, Paolino era guardiano del medesimo convento dei Frari: il 12 agosto il legato papale Guido di Neuville gli ingiunse di consegnargli il denaro che fra Alessandro Novello, vescovo di Feltre e Belluno, aveva elargito al convento di Venezia durante il periodo della sua attività di inquisitore (Mariano d’Alatri, 1986, p. 234). Infine, il 5 ottobre 1304 Paolino, in veste di custode di Venezia, fu presente nella chiesa di S. Francesco di Treviso a un atto successivo alla pace tra Padova e Venezia dopo la cosiddetta guerra del sale (Picotti, 1905, pp. 282 s.; Ghinato, 1951, pp. 20 s.).

Tra il 1305 e il 1307 ricoprì l’incarico di inquisitore per le diocesi di Treviso e Ceneda. Durante l’ulteriore inchiesta del 1307-08 condotta da Giovanni da Bologna e Guglielmo di Balait per ordine di papa Clemente V sull’operato dell’inquisizione nella Marca trevigiana e nella Lombardia, Paolino fu accusato da fra Ainardo da Ceneda di aver ricavato molto denaro durante la sua attività inquisitoriale: con le somme raccolte egli si sarebbe dato a spese eccessive, tra cui l’accumulo di pergamene di ottima qualità e l’acquisto e la realizzazione di numerosi libri. Nel 1308 Paolino era tornato in effetti a rivestire il ruolo di docente: il 23 marzo a Venezia, in qualità di lettore del convento, fu presente dinanzi al legato Guglielmo di Balait nel momento in cui l’inquisitore fra Ugo da Arquà ricevette l’ordine di consegnare (tre giorni dopo) a Treviso i registri dell’inquisizione al legato papale (Ghinato, 1951, p. 91). Il 24 ottobre successivo il legato autorizzò il vescovo di Padova Pagano della Torre ad assolvere dalla scomunica fra Paolino e a dispensarlo dall’obbligo di presentarsi in curia a patto che il frate gli consegnasse 200 fiorini d’oro prima della festa di Natale (Mariano d’Alatri,1986, p. 240). Forse anche negli anni successivi Paolino continuò la sua attività di insegnamento, ma non ne è rimasta traccia nella documentazione.

Tra il 1313 e il 1315 egli compose un trattato sul governo (di se stessi, della famiglia e dello stato), il De regimine rectoris, scritto in volgare veneto (con prologo in latino) e dedicato a un dux Cretae della famiglia Badoer, tradizionalmente identificato con Marino.

Nell’opera, rivolta al ceto dirigente patrizio, Paolino traccia con intento pedagogico il modello morale del buon governante, che si occupa del bene comune, a differenza del tiranno, che cura solo gli interessi personali. Il trattato, che conobbe una certa diffusione, dipende ampiamente dal De regimine principum di Egidio Romano.

Nel 1315 risulta presente nel convento di Treviso, dato che compare come membro della comunità in una lista di spese del Comune redatta il 22 settembre (Marchesan, 1923, II, p. 403). Tra la fine del 1315 e il 1316 Paolino fu ambasciatore della Repubblica di Venezia presso la corte di re Roberto d’Angiò: questa sua prima missione a Napoli riguardò i danni subiti dai veneziani a causa dell’interdetto contro Venezia inflitto dalla Santa Sede nella guerra di Ferrara (1309). Questa missione, che incontrò all’inizio parecchie difficoltà e che vide una fase di stallo, si concluse con il successo di Paolino nell’opera di mediazione e la firma di una convenzione vantaggiosa per Venezia.

Mancano sue notizie per gli anni successivi, ma verso la fine del 1320 Paolino fu impegnato in una seconda missione diplomatica, questa volta in Provenza e presso la Curia pontificia, dove re Roberto d’Angiò allora risiedeva: la questione, relativa a una nave veneziana depredata da mercanti genovesi presso Corfù, si risolse anche in questo caso a favore di Venezia. Paolino era ormai un personaggio molto in vista. Forse all’epoca della seconda missione aveva già ottenuto l’incarico di penitenziere apostolico; con certezza, ciò risulta nel mese di settembre del 1321. In tale data infatti ad Avignone, su mandato di papa Giovanni XXII, esaminò il Liber secretorum fidelium crucis del veneziano Marin Sanudo il Vecchio (detto Torsello), scritto per invitare i cristiani (e in particolare il papa) alla crociata (in Bongars, 1611, pp. 1 s.). Egli, inoltre, divenne nunzio del pontefice presso la Repubblica di Venezia. Nel 1322 fu impegnato in varie missioni diplomatiche per conto della Santa Sede presso Venezia e in particolare riguardo ai rapporti con i Visconti di Milano, gli Estensi di Ferrara e la città di Fano, che era stata presa sotto la protezione di Venezia pur essendo stata colpita dall’interdetto papale.

Il 20 giugno 1324 Paolino fu nominato da Giovanni XXII vescovo di Pozzuoli, diocesi suffraganea di Napoli (Bullarium franciscanum, 1898, V, p. 266, n. 541); poco dopo fu consacrato dal celebre cardinale francescano Bertrand de la Tour. Impegnato ancora a Venezia in una missione diplomatica per la Santa Sede, iniziò a svolgere il suo incarico a Pozzuoli solo due anni dopo, nel 1326.

Scarse sono le notizie sulla sua attività come vescovo, ma, pur risiedendo saltuariamente in sede, gestì la diocesi in modo energico. Presso la corte angioina fu autorevole consigliere di re Roberto d’Angiò e funse da intermediario per il già menzionato Marin Sanudo il Vecchio, del quale sono rimaste alcune lettere inviate a Paolino durante gli anni dell’episcopato. Nel periodo in cui Paolino frequentava la corte, era presente a Napoli anche il giovane Giovanni Boccaccio, che nelle Genealogiae (XIV, 8) ricorda alcuni discorsi del frate.

Al periodo dell’episcopato può essere ascritta la redazione definitiva di alcune opere del frate veneziano. Paolino è infatti famoso essenzialmente come autore di tre cronache universali, che dalla creazione del mondo e dell’uomo giungono fino ai primi decenni del XIV secolo: in primo luogo la Notabilium ystoriarum epithoma, che narra gli eventi fino al 1313; in secondo il Compendium, realizzato in due versioni (una estesa e una breve), giunto anche in una traduzione in provenzale (con un testo in parte rielaborato); e in terzo luogo la Satirica ystoria, ultima cronaca in ordine di redazione, conclusa verosimilmente nel periodo dell’episcopato puteolano. Le tre cronache, pur realizzate con modalità diverse, sono strettamente connesse tra di loro e rappresentano una concezione tradizionale della storia intesa come esempio per l’uomo. Paolino utilizzò varie fonti, ma in particolare attinse allo Speculum historiale di Vincent de Beauvais, e tuttavia non fu un mero compilatore, data l’ampiezza e l’originalità degli apporti personali. Alcuni manoscritti delle sue opere, destinati probabilmente a re Roberto d’Angiò e a Giovanni XXII, furono realizzati a Napoli sotto la sua diretta supervisione.

Il numero considerevole di manoscritti contenenti le sue cronache universali e le citazioni che autori molto noti trassero da esse attestano la notevole fortuna degli scritti storici di Paolino. Il doge Andrea Dandolo, contemporaneo del frate, utilizzò la Satirica ystoria nella sua Chronica per extensum descripta. Boccaccio, pur non stimando molto Paolino e riservandogli epiteti poco lusinghieri, utilizzò ampiamente nel suo zibaldone magliabechiano le descrizioni geografiche del Compendium, contenuto nel codice lat. 4939 della Bibliothèque nationale di Parigi, e alcuni passaggi della Satirica ystoria. Paolino continuò a essere citato anche nel Quattrocento, come dimostrano gli epistolari di Poggio Bracciolini e Coluccio Salutati; lo utilizzò anche il cronista polacco Jan Dlugosz.

Spettano a Paolino altri quattro scritti, complementari alla Satirica ystoria: un trattato noto come De mapa mundi, corredato di notevoli carte geografiche; un trattato sul gioco degli scacchi presentato in chiave metaforica (De ludo scacorum); un trattato sugli dei dell’antichità (De diis gentium et fabulis poetarum); un breve scritto sulla provvidenza (De providentia et fortuna). A Paolino sono attribuiti inoltre il Provinciale Romanae Curiae, ossia la serie delle province ecclesiastiche e delle rispettive diocesi, e il Provinciale ordinis fratrum Minorum, compilato intorno al 1334 e contenente l’elenco delle province minoritiche con l’organizzazione delle custodie e degli insediamenti. Infine sarebbe da ascrivere all’operato di Paolino il Liber privilegiorum ordinis Minorum (Padova, Pontificia Biblioteca Antoniana, 49), scritto intorno al 1323 e contenente documenti papali riguardanti l’Ordine dei minori (Cenci, 1976, p. 500). È certamente fondato il giudizio di Isabelle Heullant-Donat (1993, p. 382), secondo la quale Paolino fu il compilatore più prolisso tra i frati minori del Trecento.

Paolino morì a Pozzuoli prima del 22 giugno 1344, data in cui fu redatto l’inventario dei suoi beni a opera del collettore pontificio. Alcuni dei suoi libri andarono ad arricchire la biblioteca dei papi di Avignone.

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