CATALDI, Paolo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 22 (1979)

CATALDI, Paolo

Valerio Marchetti

Nato a Bologna intorno al 1520 e assunto negli anni Cinquanta da Cornelio di Mariano Sozzini e Francesca di Giovanni Atoleo come maestro elementare per i loro figli, seguì la famiglia di cui era al servizio nel trasferimento a Siena, stabilendovisi nell'estate del 1558.

Dopo essere stato per poco più di un anno precettore nella villa di Scopeto, centro operativo del principale "gruppo ereticale" senese, decise di aprire una scuola pubblica per i ceti artigiani (da parte dei quali esisteva una forte domanda di istruzione primaria nonostante la grave crisi economica provocata dalla guerra) e di insegnare privatamente presso alcuni patrizi: Giovanni Francesco Sansedoni, Patrizio Venturi, Deifebo Turamini, Francesco Cristiani, Claudio Sozzini.

Questa decisione deve essere collocata all'interno del progetto sozziniano di proselitismo protestante tra tutte le classi sociali del dominio senese. Mentre Cornelio si occupava della penetrazione tra i contadini, Camillo Sozzini (insieme a Fausto e a Marcantonio Cinuzzi) agiva tra gli intellettuali dell'Accademia degli Intronati, Francesco Buoninsegni e Niccolò Spannocchi tenevano il raccordo con gli organi di governo, il C. aveva il compito di raggiungere le casate nobiliari isolate dal contesto culturale-politico cittadino e gli operai delle botteghe artigiane, che erano particolarmente inclini ad accettare l'ideologia della Riforma.

Nel luglio del 1560 venne denunciato all'arcivescovo e all'inquisitore, tramite un "pistolotto" anonimo, che però non era difficile ricondurre alle centrali gesuite che avevano raccordato tutta una vasta azione di repressione ereticale nella città. L'accusa era di essere "malsenziente" in materia di fede. Il Tribunale del S. Uffizio citò come testimoni tutti i clienti del "maestro d'abaco e scrivere". Preliminarmente furono esaminati alcuni membri della famiglia Venturi (Porzia, vedova di Patrizio, con i figli Giulio, Ascanio, Lucrezio) che risultava avere manifestato negli anni precedenti simpatie verso predicatori riformati. Dagli interrogatori si venne a sapere che il C. contestava l'autorità pontificia e il valore delle indulgenze; rifiutava il sacramento dell'eucarestia e quello della penitenza; non ammetteva il culto delle immagini sacre. Sulla base di queste accuse il C. venne arrestato e incriminato per causa d'eresia (20 luglio).

Inizialmente non volle riconoscere di aver parlato di cose contrarie alla fede cattolica. Ammise soltanto di essere stato implicato - senza prendere partito - in alcune conversazioni di argomento eterodosso di cui non sapeva nemmeno bene riassumere il contenuto. Ma, avendo dichiarato di essere stato un lettore delle opere di Erasmo da Rotterdam e di avere usato le traduzioni bibliche di Antonio Brucioli (che aveva consegnato all'inquisitore bolognese quando era stata ordinata la consegna dei libri proibiti), venne fatta una perquisizione nella sua abitazione e nei locali della scuola e furono trovati alcuni testi ereticali e negromantici. Inoltre la sua posizione venne così aggravata dalle deposizioni di alcuni allievi e dalle conferme dei loro genitori che il Tribunale decise di spingere a fondo gli interrogatori per ricostruire l'entità della sua azione e risalire ai mandanti del progetto di penetrazione dell'eresia. Dopo aver ottenuto una dilazione onde prepararsi all'esame, dato che aveva finalmente ammesso di essere pronto a dire tutta la verità intorno alle proprie opinioni e a rivelare i nomi dei complici, il 30 luglio il C. dichiarò di aver creduto a quelle opinioni che avevano denunciato i Venturi e di essere stato convinto alle idee protestanti da Cornelio e Camillo Sozzini. Sulla base di questa confessione il 6 agosto venne formalmente istituita una inquisizione nei suoi confronti, il cui contenuto venne accettato dall'imputato, eccetto l'accusa di far parte dell'organizzazione sozziniana per il proselitismo religioso e di aver compiuto esperimenti magici. Il giorno 13 ser Aurelio Manni fu nominato procuratore generale dell'accusato e presentò uno schema di difesa fondato sul riconoscimento delle imputazioni e la richiesta di perdono per gli errori commessi.

Le informazioni che il C. è in grado di dare, nel corso del dibattimento, sull'organizzazione ereticale sozziniana sono (nel loro complesso) molto limitate, lasciandoci intravvedere che egli - all'interno del gruppo - o era un esponente di secondo piano oppure era stato preparato, nell'eventualità di un arresto, a rivelare solo dati marginali. La notizia di gran lunga più importante è quella relativa alla struttura familiare della "ecclesiola" riformata senese e alla tendenza a espandersi anche tra i contadini, alcuni dei quali erano stati convinti "quod melius est laborare diebus festivis quam accedere ad missam et ecclesiam". Le dottrine cui il C. era stato convertito erano le seguenti:, il simbolismo del sacramento eucaristico ("un segno e una commemoratione de la passione"); la negazione della penitenza ("non se ha a confessare si non solo a dio"); il rifiuto della potestà del pontefice romano ("lui non ha autorità d'assolvere né rimettere"); l'abolizione del culto delle immagini ("non s'hanno a tener immagini, né per le chiese né per le case"). Nelle dottrine che non gli erano state interamente comunicate - come per esempio quella sul rapporto tra la fede e le opere nella giustificazione - manteneva una posizione formalmente ortodossa: "Io ho creso che l'homo si iustifichi per la fede e per la gratia di idio e con adempiere i precepti et commandamenti di dio e fare l'opere buone e da dio comandate". Il C., quasi a riservarsi un margine personale di autonomia dottrinale,diceva di non accettare, dell'insegnamento sozziniano, la tesi della non osservanza del digiuno e quella del celibato ecclesiastico, la teoria della negazione del purgatorio e quella dell'intercessione dei santi. È evidente che molti di questi rifiuti sono da considerarsi come pura simulazione. E tuttavia, se si tiene conto del sistema gradualistico sozziniano nella trasmissione dei valori contestativi della tradizione cristiana, non si può considerare del tutto falsa la risposta data agli inquisitori: "E' complici sopra nominati non m'hanno mai ragionato di queste cose".

Uno dei risultati più clamorosi provocati dalle deposizioni del C. fu l'irruzione nella villa di Scopeto (16 settembre) che portò all'arresto di Cornelio e di Dario Sozzini, cui seguì più tardi quello di Francesca d'Atoleo (28 giugno 1561). Mentre il secondo riuscì probabilmente ad evadere dalla prigione e a raggiungere la Svizzera, il primo venne trasferito a Firenze e poi a Roma, dove - dopo un lungo processo - abiurò (1563). Camillo fuggì nei Grigioni senza poter mai più fare ritorno in patria (la sentenza di scomunica in contumacia è del 25 ott. 1561) e Fausto si nascose a lungo prima di poter partire per Lione (21 apr. 1561). Si può dire dunque che il processo al C. segnò la crisi e la dispersione del gruppo ereticale senese raccolto intorno ai Sozzini.

Dalla metà di settembre del 1560 alla fine di febbraio del 1561 il C. rimase in prigione a Firenze, dove era stato inviato dal governatore Agnolo Niccolini su richiesta personale di Cosimo de' Medici. Formalmente si era in attesa di raccogliere ulteriori documentazioni intorno alla sua funzione. In realtà, era accaduto che il S. Uffizio romano giudicava ormai possibile lo "smascheramento" definitivo del gruppo senese e voleva il C. a Roma assieme a Cornelio e allo Spannocchi arrestato a Venezia. Il duca di Toscana era soprattutto preoccupato del fatto che le rivelazioni dell'imputato finissero col provocare delle gravi contraddizioni all'interno della classe dirigente senese nel momento della sua ricomposizione dentro il nuovo Stato. Troppo numerosa era infatti la presenza di nobili filomedicei (alcuni dei quali con responsabilità di governo) nel movimento di dissenso religioso. Il C. dunque restò sotto il controllo del duca che rifiutò la richiesta di estradizione e condusse tutta l'inchiesta per conto proprio. Segni evidenti della gravità della situazione politico-religiosa creatasi intorno al caso C. e, nello stesso tempo, pezze giustificative del rigido comportamento assunto da Cosimo, furono due tentativi contrapposti messi in opera rispettivamente da Celso Sozzini (insieme a Francesca d'Atoleo) e dal nunzio apostolico a Firenze. Il primo accusò - presentando due rivelazioni di Scipione Gennari e Claudio di Daniele - l'Inquisizione senese di aver falsificato le testimonianze processuali e (per poter incriminare la famiglia senza avere le prove necessarie) di aver estorto una falsa autocritica del C. in cambio dell'impunità. Il secondo predispose una azione tendente a scagionare del tutto l'imputato dall'accusa di eresia. Il 26 nov. 1560 la nunziatura fiorentina dava ordine al tribunale senese di procedere agli interrogatori di alcuni autorevoli testimoni (segnalati dall'imputato), che fecero emergere una figura del C. come "buon cattolico" rovesciando così tutte le responsabilità sui Sozzini.

Nella primavera del 1561 si preparò a Firenze la sentenza definitiva concordata con Michele Ghislieri e si compilò il testo dell'abiura (4 marzo). Il C. fu fatto ritornare a Siena ove il 19 abiurò solennemente nella chiesa cattedrale. Dopo questa data (che corrisponde anche alla definitiva scarcerazione) non ne abbiamo notizie. È certo comunque che fu costretto a ritornare a Bologna dopo essersi presentato davanti al S. Uffizio romano sotto la scorta di un bargello bolognese. Non sappiamo se il Cataldi che nel 1567 venne denunciato al tribunale di Modena durante il processo ad Antonio da Cervia sia lo stesso.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Siena, Notarile antecosimiano 2776; Archivio di Stato di Firenze, Miscellanea medicea 54 ins. 43; Ibid., Mediceo 3726, cc. 393, 410; 214, cc. 10, 21; Archivio di Stato di Bologna, Notarile G. C. Veli, 1560-1562, cc. n. n.; C. Cantù, Gli eretici d'Italia, II, Torino 1866, pp. 504 s.; P.Piccolomini, Documenti ffiorentini sull'eresia in Siena durante il secolo XVI, in Bull. senese di storia patria, XVII (1910), pp. 164-166; P. Pirri, Episodi della lotta contro l'eresia a Siena, in Arch. histor. Societatis Iesu, XXXII(1963), p. 121; J. A. Tedeschi-J. von Henneberg, Contra Petrum Antonium a Cervia relapsum et Bononiae concrematum, in Italian Reformation studies in honor of Laelius Socinus, Firenze 1965, pp. 250, 255; J. A. Tedeschi, Notes toward a genealogy of the Sozzini family, ibid., p. 300; V. Marchetti, Sull'origine e la dispersione del gruppo ereticale dei Sozzini a Siena (1557-1560), in Riv. stor. ital., LXXXI (1969), pp. 163-168; Id., L'archivio dell'Inquisizione senese, in Boll. della Società di studi valdesi, CXXIV (1972), p. 83; A. D'Addario, La Controriforma a Firenze,Firenze 1972, ad Indicem.

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