Cortesi, Paolo

Enciclopedia Dantesca (1970)

Cortesi, Paolo

Aurelia Accame Bobbio

Umanista (Roma 1465-1510), scrittore apostolico dal 1481. La sua posizione nei confronti di D. è in armonia con la sua umanistica esaltazione degli antichi. Essa risulta dal dialogo De Hominibus doctis, dedicato a Lorenzo il Magnifico e composto nel 1489, ma pubblicato soltanto nel 1734; egli immagina che la conversazione abbia luogo in un'isoletta del lago di Bolsena e che vi partecipino, oltre all'autore, Alessandro Farnese e Antonio Geraldini. Il C., volendo tracciare una storia degli uomini che dal primo risorgere delle lettere dopo la ‛ barbarie ' medievale fino ai suoi giorni conseguirono in Italia fama come scrittori o come maestri, prende inizio da Emanuele Crisolora, che primo introdusse in Firenze lo studio della lingua e quindi la conoscenza dei classici greci. Al Farnese che gli ricorda D. e il Petrarca prima di quello vissuti e gli domanda il suo giudizio su di loro, il C. risponde che non esita a riconoscere in entrambi un grande amore per le antiche lettere; ma in D., come in una vecchia pittura dove siano stati tolti i colori (" detractis coloribus "), resta a dilettare soltanto il disegno (" delineamenta "). Tale giudizio, come quello, pure negativo, che segue sul Petrarca, sembra riferirsi solo agli scritti latini di D., poiché subito dopo rende omaggio alla sua fama di autore in volgare per aver osato svolgere in questa lingua argomenti tanto difficili e astrusi; ne loda le " sententiae ", la forza dimostrativa e persuasiva dello stile, ma conclude rammaricando che non avesse potuto esplicare altrettanto bene i suoi concetti in latino come in volgare.

Il C. avverte dunque la potenza e originalità di D. come poeta dotto in volgare, ma bene nota che egli non può aver luogo nella sua storia della letteratura italiana umanistica, cogliendo felicemente nel paragone della pittura il rapporto fra D. e gli antichi, non solo per il suo latino, ma per quanto nella sua opera testimonia la conoscenza e l'amore che n'ebbe (" flagrantissimum studium "): concetti, immagini, episodi ne recano la traccia, ma degli antichi sono scomparsi i " colores " che ne costituivano l'anima e il carattere.

Bibl. - P.C., De Hominibus doctis, Firenze 1734. Per notizie generali sul C. (manca uno studio moderno complessivo), v. G. Tiraboschi, Storia della letter. it., II, Milano 1833, 535, 609-611; III, ibid., 137 (sul De Hominibus); sul giudizio intorno a D. cfr. anche il cenno di V. Rossi, in Il Quattrocento, Milano 1933, 384.