ERIZZO, Paolo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 43 (1993)

ERIZZO, Paolo

Giuseppe Gullino

Nacque a Venezia, nell'antica casa turrita degli Erizzo, sul rio di S. Canzian, da Marco di Stefano e da Maria Arbosani, nel 1411.

Riteniamo siano queste la paternità e la data di nascita da accettarsi, ancorché l'Indice dei matrimoni con figli, compilato sui registri degli avogadori di Comun, attribuisca a Marco Stefano tre maschi, nessuno dei quali fu chiamato Paolo; è lecito dunque il fraintendimento con un omonimo dell'E., Paolo di Marco Antonio, nato nel 1422, al quale tuttavia le fonti non attribuiscono alcuna carica politica di rilievo, mentre una carriera abbastanza prestigiosa fu percorsa dall'E. che il Segretario alle Voci accompagna sovente con la qualifica "maior".

L'E., diversamente dai fratelli Stefano ed Antonio (futuro procuratore di S. Marco), non si sposò né si dedicò al commercio, per rivolgersi completamente all'attività politica, i cui inizi si svolsero nell'ambito delle minori magistrature giudiziarie: giudice del Mobile nel 1443 (entrò in carica il 27 gennaio), l'anno seguente (13 settembre) assumeva l'incarico di avvocato alle Corti, al quale fu riconfermato l'11 giugno 1447. Fra queste date si inserisce un vuoto che si spiega con la condanna - peraltro abbastanza tenue - riportata dall'E. il 14 maggio 1446 ad opera degli avogadori di Comun, che in tal modo intesero punire la violazione del monastero di S. Caterina, da lui compiuta, a quanto risulta, in spregio a Federico Giustinian, che vi intratteneva una relazione con la monaca Ginevra Querini. L'episodio non ebbe gravi conseguenze, dal momento che, a partire dall'ottobre 1448, l'E. ricoprì la carica di savio agli Ordini, che mantenne sino al settembre del 1452, alternandola nei periodi di contumacia con la partecipazione alla Quarantia e, nel 1451, alla Giustizia Vecchia.

A partire dal 1453, tuttavia, e per un decennio, la sua figura sembra defilarsi: non c'è traccia di lui nel pur attivissimo mondo politico veneziano, con l'eccezione del 1455, allorché lo troviamo giudice di Petizion; poi, eccolo ricomparire nel 1463 bailo a Cipro, sbalzato di colpo dalla tranquilla frequentazione delle magistrature giudiziarie della Dominante alla responsabilità politico-amministrativa di una realtà al centro di interessi economici e intrighi diplomatici nei quali si trovavano coinvolte le principali potenze del Mediterraneo.

Il 28 febbr. 1463 il Senato, preoccupato della scomparsa del predecessore, sollecitava la partenza dell'E. "propter guerram et scandalla illarum partium": il conflitto che opponeva la regina Carlotta Lusignano al fratellastro Giacomo stava infatti risolvendosi a favore di quest'ultimo, e per la Repubblica era di vitale importanza tutelare gli interessi veneziani nell'isola e difendervi la propria supremazia politica, incalzata da troppi rivali, a cominciare dai Genovesi e dagli Aragonesi. Non sappiamo fino a quando l'E. si fermò nell'isola; certo, dovette fornire buona prova di sé, se alcuni anni più tardi (30 nov. 1468) veniva eletto ancora una volta bailo, stavolta a Negroponte.

Era appena reduce da un altro incarico, l'unico che gli si riconosce dopo il ritorno da Cipro: in unione con altri sei patrizi, nella primavera dello stesso 1468 aveva infatti percorso il Trevigiano per provvedere alla messa in opera di nuove arginature del Piave, che troppo frequentemente tracimava, arrecando gravi danni alle campagne circostanti.

Di ben altro respiro, però, la nomina a governatore di Negroponte, ultimo baluardo della Repubblica nell'Egeo dopo la sconfitta patita dalla flotta comandata da Vettore Cappello davanti a Patrasso, in seguito alla quale la marina veneta aveva perso la fama di superiorità sino allora goduta (agosto 1466); in pratica l'isola si trovava assediata ad opera degli Ottomani, ormai padroni della costa greca, e l'invio dell'E. e dei capitani Giovanni Bondumier e Alvise Calbo, insieme con ingenti rinforzi, voleva costituire un estremo tentativo, da parte dello Stato marciano, di evitare il collasso delle sue strutture e del ruolo stesso esercitato per secoli nell'arcipelago.

Coadiuvato dai colleghi, e favorito dall'impegno turco in Albania, che intendeva sfruttare la morte dello Scanderbeg, l'E. utilizzò parte del 1469 e del 1470 per rafforzare le difese dell'isola, che a giudizio del Babinger nella primavera del 1470 poteva così disporre di "ampie e potenti fortificazioni", e di un presidio "sufficiente e coraggioso..., ben approvvigionato", benché una fonte attendibile come il Malipiero precisi che l'E., dopo aver informato la Signoria che la città "è ben ad ordene de vittuaria, de munizioni e de bona difesa..., per el messo fa saver che in fatti è tutto 'l contrario, e che l'ha scritto così, azzoché, capitando le lettere in man de Turchi, perdessero la speranza de haver la terra".

È probabile, invece, che l'isola fosse davvero ben organizzata alla difesa, come del resto implicitamente prova lo spiegamento di forze messo in campo dai Tùrchi nel tentativo di conquistarla: l'armata che nella primavera del 1470 lasciava Costantinopoli per giungere nelle acque di Negroponte il 3 giugno era forte di trecento vele, al punto che il capitano generale che comandava la squadra veneziana, Nicolò Canal, non osò neppure tentare di intercettarla; ancora, fu lo stesso sultano Maometto II a guidare per via di terra un poderoso esercito e a volere la costruzione del ponte sull'Euripo, là dove non più di una settantina di metri separano l'Eubea dal continente.

Poi, mentre inspiegabilmente il Canal non solo rinunciava ad impedire l'azione ottomana, ma addirittura si ritirava a Candia, il 25 giugno i Turchi davano il primo assalto alla città, dopo che le loro offerte di resa erano state coraggiosamente e, a quanto pare, sprezzantemente respinte dall'E.; un secondo attacco ebbe luogo il 30 giugno, cui altri seguirono il 5 e l'8 luglio, tutti ricacciati con gravi perdite da ambo le parti. Finalmente, quando ormai gli assediati erano allo stremo, la mattina dell'11 luglio comparve da settentrione la squadra del Canal, composta di una settantina di legni; senonché questi, timoroso della propria inferiorità, ancora una volta non osò attaccare, limitandosi a fronteggiare il nemico da lontano, in attesa di rinforzi. Maometto allora decise di sfruttare l'occasione, e tra la costernazione dei difensori comandò l'attacco generale: così, il 12 luglio 1470, Negroponte cadeva e la sua popolazione subiva gli orrori di un inumano saccheggio, mentre la guarnigione veniva passata a fil di spada.

Ad eccezione del Malipiero ("Le scarse provision della Signoria, e del Capitan general, incredulo e timoroso, e de Polo Erizzo bailo e de Alvise Calbo capitanio, ne ha fatto perder quell'isola"), tutte le fonti concordano nel sottolineare il valore e la determinazione dimostrate dal bailo, che nell'eccidio perdette la vita.

L'impatto emotivo, e la paura, suscitate a Venezia dalla caduta di Negroponte, stimolarono la fantasia popolare non meno che quella colta, e sulla fine dell'E. fiorirono diversi racconti, alcuni dei quali suggestivamente gli attribuirono anche una figlia di singolare bellezza e di non men rara virtù - Anna - che avrebbe preferito affrontare la morte piuttosto che cedere alle lusinghe del sultano, fulmineamente invaghitosi di lei.

Dunque, ch'egli sia stato semplicemente ucciso sostengono il Malipiero, il Sanuto, e soprattutto il Rizzardo, unico diretto testimone degli avvenimenti: costui scrive che Maometto si limitò a scannare con le proprie mani l'E., lavandosi poi "le mani e 'l volto del suo sangue". Decisamente più romanzesca la variante proposta dal Malipiero, il quale narra come l'E. "se haveva redutto in patriarcado per mazor securtà, e se haveva fatto schiavo de un bassà el qual ghe haveva promesso de salvargli la vita, et per mantegnirghe la fede ghe aveva raso i cavelli, la barba et le cegie et l'haveva vestito de sacco per mandarlo a Napoli [Nauplia] per indur quella città a darse al Turco"; senonché, sventurato sino in fondo, l'E. era stato scoperto e ucciso. Inclina invece al cupo la testimonianza - forse non immune da reminiscenze evangeliche - di un anonimo veronese, secondo cui all'E. "fu tagliato el naxo e labri et vituperosamente conduto per li lochi et tandem impalato et doppo dì tre morì", mentre altre cronache (tra cui la Erizzo) e gli autori più antichi (anzitutto il Sabellico, che scrisse diciassette anni dopo l'avvenimento) sostengono che fu posto sopra un'asse e segato vivo in due pezzi, dopo che gli era stata promessa salva la testa da parte di Maometto, ma - con atroce inganno - non il resto del corpo.

In questa forma il martirio dell'E. fu dipinto da Pietro Longo nella sala del Maggior Consiglio, in palazzo ducale, e divulgato con le stampe.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. codd. I, Storia veneta 19: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii..., III, p. 415; Ibid., Avogaria di Comun. Indice dei matrimoni con figli, sub voce Marco Erizzo; per la data di nascita, Ibid., Avogaria di Comun, reg. 178: Prove di etàper patroni di galera, c. 61r; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Codd. Cicogna, 3782: G. Priuli, Pretiosi frutti..., II, c. 10r; per la carriera politica, Arch. di Stato di Venezia, Segretario alle Voci. Misti, reg. 4, cc. 7r, 11r, 18r, 38v, 123v, 145v; reg. 6, c. 79r; Ibid., Senato. Mar, reg. 3, cc. 83r, 85r-110r, 147v-200r; reg. 4, cc. 91r-114r e passim; sulla condanna riportata nel 1446, Ibid., Avogariadi Comun. Raspe, reg. 3649, c. 128rv; sul bailato a Cipro, Ibid., Senato. Mar, reg. 7, cc. 105r, 143v; per la missione nel Trevigiano, Ibid., Senato. Terra, reg. 6, cc. 11v, 19r; sul bailato a Negroponte, Ibid., Senato. Mar, reg. 9, cc. 42r, 44r; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, cod. 56 (= 8636): Cronaca Erizzo, ad annum; Venezia, Bibl. del Civ. Museo Correr, Codd. Cicogna, 3233: Chiesa di Ss. Apostoli, cc. non nn.; M. Sanuto, Vitae ducum Venetorum, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XXII, Mediolani 1733, col. 1191; M. A. Sabellico, Historiae rerum Venetarumab urbe condita, in Degl'istorici delle cose veneziane..., I, Venezia 1718, pp. 739 s.; D. Malipiero, Annali veneti, in Arch. stor. ital., VII (1843), 1, pp. 55, 57 ss.; G. Rizzardo, La presa di Negropontefatta dai Turchi ai Veneziani nel MCCCCLXX…, a cura di E. A. Cicogna, Venezia 1844, pp. 10, 12, 14, 16, 23, 41, 46, 55 ss.; M. Sanuto, Diari, V, Venezia 1881, col. 992; Monumenta spectantia historiam Slavorum meridionalium, XXI, Zagrabiae 1890, pp. 286, 289; Cronaca di anonimo veronese. 1446-1488, a cura di G. Soranzo, Venezia 1915, p. 272; J. Valentini Acta Albaniae Veneta sacculorum XIV et XV, s. 3, XX-XXI, Monaci in Bavaria 1974-75, ad Indices. - Cfr. inoltre: G. Sagredo, Memorie istoriche de' monarchi ottomani..., Venetia 1688, pp. 75, 77; E. A. Cicogna, Delle inscrizioniveneziane, VI, Venezia 1853, p. 578; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, IV, Venezia 1855, pp. 336, 341 s.; P. Molmenti, La storia di Venezianella vita privata dalle origini alla caduta della Repubblica, II, Torino 1880, p. 527; C. Cipolla, Storia delle signorie italiane dal 1313 al 1530, Milano 1881, pp. 552 s.; L. Fincati, La perdita di Negroponte (luglio 1470), in Archivio veneto, XXXII (1886), pp. 292-295, 302; C. Manfroni, Storia dellamarina italiana…, Roma 1897, pp. 68, 74; A. Medin, La storia della Repubblica di Venezia nella poesia, Milano 1904, p. 210; G. Tassini, Curiosità veneziane, Venezia 1933, pp. 244 s.; F. Babinger, Maometto il conquistatore e il suo tempo, Torino 1957, pp. 299, 301; A. Zorzi, Venezia scomparsa, II, Milano 1972, p. 465; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, sub voce Erizzo, tav. II; Diz. biogr. degli Italiani, XI, p. 741.

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