GALEATI, Paolo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 51 (1998)

GALEATI, Paolo

Alessandra Cimmino

Nacque a Imola, l'8 genn. 1830 da Ignazio, proprietario di un'avviata tipografia.

Compiuti i primi studi in città, iniziò a far pratica nella ditta paterna e si legò d'amicizia con alcuni suoi concittadini, tutti, con varie sfumature, scontenti del governo pontificio e desiderosi di cambiare le cose (fra questi: G. Scarabelli Gommi Flamini, L. Lolli, P. Pirazzoli, A.D. Gamberini, nomi che continueranno ad apparire a fianco di quello del G. nelle future vicende imolesi).

Ignazio, vedendo che il G., nel clima politico romagnolo pericolosamente radicalizzato di quegli anni turbolenti, andava orientandosi verso l'ala estrema mazziniana e repubblicana, addivenne volentieri al desiderio, più volte manifestato dal figlio, di trascorrere un periodo a Firenze per perfezionarsi nell'arte della tipografia.

Attraverso lo Scarabelli il G. ottenne una presentazione per Felice Le Monnier che - in data imprecisata dal momento che alcune fonti parlano del 1847, altre del 1849 (e quest'ultima sembrerebbe essere la più probabile) - lo accolse nella sua casa editrice e lo prese a benvolere. Tre volte a settimana, la sera, dopo il lavoro in tipografia, per approfondire la sua cultura generale, il G. prendeva lezioni da P. Thouar, con cui frequentò il gabinetto Vieusseux e gli ambienti più qualificati del liberalismo moderato fiorentino. Fu, questo di Firenze, un periodo assai proficuo per lui, che ne riportò notevoli competenze per la futura attività tipografica e conoscenze utili e durature, sia sul piano lavorativo sia su quello personale. Influì anche sul G. il contatto con un più disteso approccio alla politica, sicché rientrò a Imola, nel novembre 1851 - lasciata la Toscana in giugno compì prima di rimpatriare, un lungo viaggio in Italia -, sempre animato da sentimenti patriottici, ma ben più moderati, e maturo, come molti altri all'epoca, per trasformarsi in "sabaudista" (aveva letto e apprezzato proprio quell'anno il Rinnovamento civile d'Italia di V. Gioberti, appena pubblicato).

Per quanto il G. fosse desideroso di apportare cambiamenti e innovazioni nella conduzione della ditta di famiglia, tuttavia, finché visse il padre, si limitò a coadiuvarlo nelle già collaudate linee di gestione.

Ignazio Galeati, nel lontano 1816 aveva affittato, insieme con il socio G. Benacci, una delle due tipografie - in realtà semplici stamperie - allora esistenti a Imola: la tipografia del seminario, sorta nel 1792 e fornita di bei caratteri acquistati direttamente a Parma da G.B. Bodoni e, più tardi, a Bologna, dagli allievi dello stesso Bodoni, gli Amoretti. I due soci l'avevano rilevata nel 1824 e, due anni dopo, il padre del G. ne era rimasto unico proprietario. In venticinque anni circa di attività professionale questi l'aveva portata dalla produzione di semplici stampati a quella di libri veri e propri, fornitrice, oltreché del seminario e della curia, anche della provincia cappuccina di Bologna, con proprie collane finanziate da associati; nel 1849 era rimasta l'unica tipografia di Imola.

Dopo la morte di Ignazio, avvenuta nel 1856, il G. - maturato dall'esperienza fiorentina e dal contatto con tipografi-editori del livello di Le Monnier e di G. Barbera (anch'egli attivo presso Le Monnier proprio in quegli anni) - orientò l'attività dell'impresa al fine di ampliare la committenza oltre i ristretti confini della sua città, consolidare e incrementare la produzione propriamente libraria, accrescere l'eleganza e la raffinatezza formale dei volumi, secondo una linea esecutiva collegata al Bodoni, ispiratore e nume tutelare del G., che egli, fra i primi in Italia, ripropose fattivamente all'attenzione dei suoi colleghi e cui guardò sempre come a un maestro, punto di riferimento irrinunciabile per chiunque esercitasse l'arte tipografica.

I primi frutti concreti della presenza del G. in officina si ebbero nel 1854-55 con la pubblicazione dell'opera di F. Giovanardi Il sistema ipotecario, in 2 volumi; seguirono, nel '59, gli Studi sulla flora fossile e geologia scientifica del Senigalliese dell'amico G. Scarabelli e di A. Massalongo. Ma il G. poco poté curare questo lavoro, veramente impegnativo per l'ampiezza e la presenza di numerose tavole, essendo, all'epoca, interamente assorbito dall'attività politica.

Rientrato a Imola, infatti, il G., sia pure nei ristrettissimi margini consentiti dalla situazione locale, non aveva tralasciato di riprendere i contatti con gli ambienti liberali, partecipando anche, secondo la miglior tradizione della borghesia risorgimentale, a varie attività filantropiche di solidarietà sociale, quali, ad esempio, la locale Cassa di risparmio (1854), la gestione dell'asilo infantile, la Società di mutuo soccorso fra gli operai (fondata nel 1854; dal 1859, Società operaia di mutuo soccorso). Nel 1858 fu subito fra i promotori del Comitato imolese della Società nazionale, di cui divenne dirigente, insieme con il Gamberini e lo Scarabelli. Uno fra i primi segni della presenza del Comitato fu, nel marzo 1858, la posa di una lapide in onore di Felice Orsini; il 7 agosto dello stesso anno, durante una rappresentazione del Nabucco al teatro Comunale, vennero lanciati manifestini patriottici, stampati nella tipografia del Galeati.

Arrestato in seguito a questo episodio, fu condannato a otto mesi da scontarsi nel carcere di Civita Castellana e a due mesi di confino che trascorse in un monastero di Vetralla; rientrò, dunque, a Imola il 22 giugno del '59, quando le Legazioni erano ormai libere da alcuni giorni.

Ripreso il suo posto nella direzione del Comitato, nei momenti di crisi che seguirono l'armistizio di Villafranca svolse con successo, all'interno della sezione imolese e in generale della Società, un'utile e proficua opera di mediazione fra l'ala moderata e i piccoli artigiani e gli operai, di estrazione mazziniana e repubblicana, ora vicini a Garibaldi, onde evitare una scissione. Per questo, nel gennaio 1860, partecipò al convegno di Faenza e compì una positiva opera di propaganda anche in occasione del plebiscito nel marzo dello stesso anno. Le tensioni interne, però, si riproposero anche a Imola sia in occasione dell'impresa dei Mille, sia al momento delle elezioni per il nuovo Parlamento, quando l'opzione trasformista, per certi versi insita nella struttura stessa della Società, rese possibile l'elezione di vecchie figure politiche di estrazione clericale; il comportamento personale del presidente G. La Farina nei confronti di Garibaldi determinò, infine, le dimissioni del G., che finì per operare a sostegno dei comitati filogaribaldini di A. Bertani.

Trascorso questo momento di urgenza e di massima partecipazione alla vita civile, il G. riprese a occuparsi prevalentemente della sua tipografia, anche se non abbandonò mai completamente la politica (che era poi, in certo modo, collegata all'attività professionale in quanto il G. era stampatore quasi ufficiale del Comune e destinatario di molte commesse pubbliche collegate alle attività del Municipio): fu infatti ininterrottamente consigliere comunale dal 1860 al 1889, poi dal '97 fino alla morte, sempre consultato per ogni questione inerente il collegio di Imola dagli uomini politici romagnoli, spesso a lui legati da amicizia, come C. Casarini, G. Finali, G. Codronchi Argeli.

Negli anni immediatamente successivi all'Unità la produzione libraria della Ignazio Galeati e figlio - questa rimase la ragione sociale della ditta - fu molto contenuta (tra il 1860 e il '62 non più di una diecina di libri): lo stabilimento del G. lavorò soprattutto a manuali scolastici, pubblicazioni di interesse locale, commesse della provincia cappuccina di Bologna. Egli si era anche liberato dalle collane collegate alle associazioni, residuo della gestione paterna, che non amava; cominciò invece a stampare per conto di librai-editori di altre città: ad esempio nel 1861 pubblicò, per Romagnoli di Bologna, la 2ª ed. di Le opere volgari a stampa dei secoli XIII e XIV… di F. Zambrini. Una svolta decisiva si ebbe, comunque, nel 1868 quando, su indicazione del poeta imolese Pietro Codronchi, gli venne affidata la stampa della raccolta Poesie per Bettina Alessandretti pubblicate il dì V maggio MDCCCLXVIII anniversario III della sua morte; entrò, così, in contatto con gli estensori di questi versi, quasi tutti esponenti della cosiddetta Scuola romana, un cenacolo di poeti e letterati attivi a Roma dalla fine degli anni Cinquanta. Da allora, e per un decennio, il G. pubblicò vari volumi (versi per lo più, ma anche saggi e dispense universitarie) di personalità aderenti a questo entourage culturale, nel cui ambito si possono ricordare i nomi di G.B. Maccari, E. Novelli, L. Parini, del decano della Scuola, di origine romagnola, A. Monti, di L. Celli, P.E. Castagnola, I. Ciampi, Domenico Gnoli (con lo pseudonimo di Dario Gaddi). Sempre in questi anni (dal 1872 al '76), e sempre da Roma, il G. ricevette l'incarico di stampare la Rivista di filologia romanza, appena fondata e, nel 1872-73, Il giornale del foro.

In effetti, il G. era entrato in contatto al momento giusto con l'ambiente culturale di una città cui lo statuto di capitale aveva elargito una sconosciuta libertà di stampa, fervore di nuove iniziative ma, sul momento, ben poche strutture in grado di attuarle. Finché le grandi case editrici nazionali non ebbero stabilito solidi contatti e le nuove imprese non si furono consolidate, il G. si trovò a godere di un insperato spazio di mercato, che gli venne, però, a mancare quando l'assestarsi della situazione in loco, per un verso rese meno significativi i vantaggi di una stampa accurata e relativamente economica e, di contro, mise invece in evidenza la marginalità geografica e le dimensioni ridotte di una ditta come quella del Galeati.

Di fatto al G. fu proposta, proprio in questo torno di tempo, una possibile soluzione per uscire dall'impasse in cui automaticamente lo stavano mettendo la ristrettezza del mercato e il potenziale limitato della sua impresa. Infatti, sul finire del 1878, I. Del Lungo e B. Ricasoli, principali azionisti della tipografia Successori Le Monnier, offrirono al G., insieme con lo stesso F. Le Monnier, la direzione e la compartecipazione alla florida ditta fiorentina. Si trattava, però, di assumersi anche la gestione commerciale e imprenditoriale dell'impresa; e questo era proprio quanto il G., che si considerava, e soprattutto si voleva, tipografo puro, non si sentiva in grado di fare.

Il G., infatti, era interessato agli aspetti tecnici e formali della tipografia che riteneva un'arte a sé stante, nel senso di un alto artigianato che non doveva essere compromesso da considerazioni di tipo "contenutistico" e commerciale: una concezione estremamente raffinata, bodoniana appunto, ma proprio perciò attardata, limitata all'esecuzione su committenza, e che finiva, quindi, per legare la vita dello stabilimento quasi esclusivamente al tessuto economico e culturale locale, destinandolo, sulla lunga distanza, a ridursi di nuovo a semplice stamperia.

Dopo lunga meditazione, nel marzo 1879, rifiutò l'offerta, proponendosi solo come direttore tecnico, impegno che la Le Monnier ritenne insufficiente. Il G. continuò per lunghi anni a stampare ma la strada che aveva imboccato, quella cioè di limitarsi a una produzione occasionale e quasi esclusivamente locale (non amava, e comunque non seppe mantenere, rapporti continuativi di committenza da parte di altre case editrici, anche se lavorò parecchio per Romagnoli, Loescher, Zanichelli) mentre il mercato dell'editoria si ampliava a livello nazionale e l'accelerazione del progresso tecnico richiedeva l'introduzione di macchine sofisticate e costose, non poteva che condurre l'impresa a una lenta, ma inesorabile, crisi economica.

Le conoscenze e i rapporti, spesso amichevoli, con editori e personalità della cultura e della politica (il G. ebbe corrispondenza, intensissima, con l'amico Le Monnier; nonché, fra gli altri, con P. Barbera, S. Landi, G. Carducci, G. Uzielli, G. Finali), poterono, infatti, rallentare ma non arrestare questo processo, che divenne irreversibile quando la vittoria del blocco popolare alle elezioni comunali di Imola, nel 1889, e il sorgere di nuove tipografie - tra cui la Lega tipografica, una cooperativa promossa da ex operai della Galeati - insidiarono la posizione della ditta anche in città.

Il 1897 fu un anno cruciale; il G. si vide venir meno due grosse commesse che avrebbero forse potuto risolvere la sua situazione: una fornitura per la Real Casa, che sfumò probabilmente per un equivoco, e la stampa dello Zibaldone di G. Leopardi: in questo caso, neppure l'appoggio del Carducci, del Codronchi, ministro della Pubblica Istruzione, e la copertura editoriale della Zanichelli poterono dissipare i dubbi della committenza circa la capacità tecnica necessaria all'approntamento di un'opera così impegnativa.

Infine, nel 1900 il G. finì per aderire alle proposte che già da qualche anno gli venivano dalle altre tipografie imolesi - proposte dotate di valenze politiche e quindi sponsorizzate dagli esponenti dei partiti popolari, in particolare da Andrea Costa - e fece confluire il suo stabilimento in una cooperativa, la Cooperativa tipografica editrice, in cui ricoprì il ruolo di direttore tecnico.

Il G. prese questa decisione malvolentieri, criticando in privato alcune decisioni, di coloratura politica, assunte dalla nuova amministrazione quali, in particolare, l'abolizione del cottimo e la riduzione dell'orario di lavoro. Si limitò, quindi, senza particolare entusiasmo, alla gestione tecnica, tanto che il suo nome non figura neppure nel consiglio d'amministrazione.

Tuttavia il prestigio del G. e della sua antica ditta erano tali che, dopo la morte, avvenuta a Imola il 1° marzo 1903, si volle ricordare la sua figura e ribadire una continuità modificando la ragione sociale della tipografia in Cooperativa tipografica editrice P. Galeati.

Lo stile tipografico del G. si richiama, ovviamente, al rigore neoclassico del Bodoni non solo da un punto di vista strettamente formale (impiego quasi esclusivo dei caratteri bodoniani; equilibrio dell'impaginazione ricercato attraverso il sapiente uso dei pieni e dei vuoti; cura del frontespizio e della copertina, che presentano spesso eleganti ed essenziali riquadrature) ma anche nella concezione generale dell'arte tipografica laddove si intende conseguire la bellezza dell'edizione attraverso l'uso accurato e raffinato dei soli mezzi tipografici, tralasciando cioè qualsiasi elemento pleonastico o espediente che peccasse di eccessivo decorativismo (in controtendenza con gli indirizzi imperanti nella stampa fin de siècle, preraffaellita e liberty).

Fonti e Bibl.: Per qualsiasi approfondimento e riscontro bibliografico si rimanda al catalogo Un tipografo di provincia. P. G. e l'arte della stampa tra Otto e Novecento (Imola 1991), in cui si trovano, oltre a una raccolta di saggi sul G. e sulla sua azienda, un'esaustiva bibliografia accompagnata dall'elenco completo della produzione libraria della tipografia - comprese le pubblicazioni minori - e un inventario dell'archivio della stessa, dal 1851 al 1951 (attualmente conservato presso la Biblioteca comunale di Imola).

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