PAOLO SIMONE di Gesù Maria

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 81 (2014)

PAOLO SIMONE (Rivarola) di Gesu Maria

Stefania Nanni

PAOLO SIMONE (Rivarola) di Gesù Maria. – Nacque il 10 aprile 1576 a Genova da Vincenzo, del ramo genovese dei Rivarola (o Riparola, de Riparola), discendenti dall’«antica stirpe de’ Rossi di Parma» (Spotorno, 1817, pp. 16 s., 96; Pedevilla, 1930-1931, pp. 532-538; De La Rosa Olivera, 1966, pp. 167-173) e da Maria Lodisio. Le poche notizie dei suoi primi anni si limitano al battesimo, a imprecisati studi in Alcalà e Salamanca (Roggero, 1974, p. 192; Florencio del Niño Jesús, 1929, p. 152). Alla fine del 1594 entrò nel noviziato di S. Anna, prima fondazione italiana dei carmelitani scalzi riformati, dove emise la professione il 12 nov. 1595 (Giuseppe di Santa Teresa, 1701, p. 694).

Il Carmelo riformato italiano trovava allora nella comunità genovese il suo centro propulsore, organico alla linea di disciplina del pontefice (Boaga, 1971, p. 50 n.) mentre, all’ombra di Filippo II e con successivi riverberi sulla geografia delle missioni, si preparava la separazione degli scalzi teresiani d’Italia dall’‘antica osservanza’ di Spagna e si chiudeva il discusso generalato di Giovanni Stefano Chizzola (Voerzio da Cherasco, 1613, pp. 9-73). Insediatisi ormai a Roma (1597) e in vista delle prime Costituzioni (1599), gli scalzi italiani affinavano il proprio carisma sul modello «penitente e di tanta dottrina» del convento genovese dove, anche grazie a religiosi giunti dalla Spagna come Juan de San Pedro y Ustarroz (Giovanni di Gesù Maria) e Pedro Villagrasa (Pietro della Madre di Dio), prendeva forma la vocazione apostolica missionaria della congregazione italiana. Si trattava di un nodo identitario delicato e destinato a contrapporre per decenni, fino al generalato di Paolo Simone del 1632, gli scalzi difensori del carisma contemplativo-mendicante e quelli propensi alle missioni ad gentes, sostenuti da Giovanni di Gesù Maria, Tommaso di Gesù (Tomás Díaz Sánchez Dávila) e da Pietro della Madre di Dio, incaricato da Clemente VIII, negli anni in cui prendeva forma la Propaganda Fide, di sovraintendere alle missioni «en todo el mundo, excepto en los dominios españoles» (Florencio del Niño Jesús, 1929, p. 13). Questa apertura all’apostolato si accompagnava al crescente impegno per la formazione culturale e linguistica dei novizi sull’Est europeo e asiatico (Roggero, 1974; Pizzorusso, 2008); soprattutto, si giustapponeva a inediti scenari diplomatici e strategici che avvicinavano Roma, la Russia e la Persia di ‛Abbas I in funzione antiottomana.

Sulla scia di linee avviate al tempo di Sisto IV, delle guerre turco-persiane e turco-russe, e sotto lo sguardo discreto di Venezia (Casari, 2007a; Rota, in Iran and the World, 2012), legazioni a iniziativa lusitana-spagnola-pontificia avevano raggiunto la corte safavide tentando un’alleanza militare (García Hernán, 2010, pp. 214-225). Così, per esempio, sotto Pio V e Gregorio XIII nel 1572, 1576, 1582, mentre partivano carmelitani per i regni di Congo e Angola, e si complicava l’asse romano-iberico. Due anni dopo infatti due diverse legazioni venivano inviate nella Persia safavide, l’una pontificia, affidata dal card. Ferdinando de’ Medici al fiorentino Giovanni Battista Vecchietti (con importanti esiti culturali: Casari, 2007b) e l’altra assegnata agli agostiniani (Vanes, in Iran and the World, 2012; Flannery, 2013, pp. 44-67) da Filippo II nell’ambito dell’‘accerchiamento’ della Persia (Gil Fernández, 2006; Subrahmanyam, in Iran and the World, 2012) tentato poi anche con delegazioni dei viceré dell’India nel 1594 e 1596. Roma da parte sua intendeva contrastare il controllo iberico delle missioni del mare arabico avviato dai gesuiti a Hormuz nel 1549 (Gil Fernández, 2008), perseguito dall’arcivescovo di Goa con gli agostiniani (1572), e dare ascolto alla richiesta di aiuto dei cristiani ruteni, armeni e georgiani dopo la pace turco-persiana del 1590 che li assegnava alla Porta (García Hernán, 2010, pp. 232 s.; Matthee, 2012, pp. 1-53).

Nel clima, segnato dalle resistenze delle élites persiane verso la diplomazia ‘antiottomana’ dello shāh ritenuta filocristiana (Matthee, 2010, p. 254), nel giugno 1599 ‛Abbas I inviava un’ambasceria a Praga, Roma e Valladolid (Alonso, 1989), guidata da Husein Ali Beg e dall’avventuriero inglese Anthony Sherley (Gil Fernández, 2006, pp. 211-215; Ali Sadeghy - Shahidani, 2009; Subrahmanyam, 2011, pp. 73-171; Mehrad, 2012, pp. 35-43), con i mercanti Assad Beg e Diego de Miranda e l’allora ex gesuita Francisco de Costa. Si tratta di personaggi che, collaborando a vario titolo a «progetti del Levante», si ritrovano nella legazione a senso inverso che nel settembre 1600 il pontefice inviò a Ispahan dopo un complicato accordo con Filippo III (Alonso, 1996, pp. 20-26) e in quella di segno politico-missionario che affidò nel 1603 ai carmelitani scalzi.

In tale circostanza le fonti consentono di recuperare la figura di Paolo Simone, che ritroviamo nel 1602 sottopriore del convento di Napoli (dove l’orientamento missionario era maggioritario), e partecipe di progetti di segno orientale, come l’invio di missionari carmelitani in Terrasanta e il ‘recupero’ alla cristianità del Monte Carmelo, riferimento identitario delle origini e dal 1632 secondo titolo del preposito generale.

Clemente VIII propose agli scalzi un incarico in Persia, adeguato all’avvicinarsi a Roma della flemmatica delegazione dello shāh, ma già programmato per l’inopportuno legame tra autorità luso-spagnole e agostiniani presenti a Ispahan dal 1602 per mandato di Filippo III (Alonso, 2000; Istruzioni, 2006, pp. LXXIV s.). Alla fine del 1603, la guida della missione fu affidata a Paolo Simone, accompagnato da Juan Tadeo Roldán de S. Eliseo, Vicente Gambart de S. Francisco, dal «fratello donato» umbro Giovanni Angeli dell’Assunzione e da Francisco Riodolid de Peralta, ufficiale reduce delle Fiandre incaricato di fornire allo shāh «ingegneri militari e altri uomini di guerra» (Gonzáles Cuerva, 2008, pp. 1474-1479).

Il 6 luglio 1604 i tre scalzi partirono per la più sicura via di terra nell’Europa centrorientale, fino a Praga dove, ai primi di agosto, furono ricevuti dall’imperatore Rodolfo II prima di spostarsi nella confederazione polacco-lituana, dove prese forma la «missione ai Ruteni», avanzata dalla Chiesa di Kiev nel 1596, favorita da Sigismondo III Vasa e dai gesuiti di Polock, e rivolta ai cristiani di rito bizantino nel Nord-Est dai mobili confini, ora polacchi, ora russi (Kowalowka, 2003). Dopo quindici mesi, costretti a evitare la via russa per la critica situazione politica, i carmelitani ripresero il cammino verso i khanati di Crimea, di Boukara e il vilâyet ottomano di Trebisonda. La sopraggiunta notizia della morte dello zar Godunov li decise il 29 novembre 1605 a partire per Mosca; di lì nella primavera 1606 giunsero a Novgorod, rallentati dalla guerra civile, e lungo il Volga fino al delta sul Caspio, dove a fine luglio 1607 Giovanni e de Peralta, ammalatisi, persero la vita.

Il 2 dicembre 1607, dopo tre anni e mezzo di viaggio, introdotti da Robert Sherley, fratello del defunto Anthony «incontrato» a Kasbín, i tre ‘missionari-ambasciatori’ entrarono nella nuova capitale Ispahan. Paolo Simone consegnò ad ‛Abbas I preziosi doni (Florencio del Niño Jesús, 1929, p. 116) e il breve di Clemente VIII rinnovato da Paolo V il 20 luglio 1605, illustrandogli (in diversi incontri dal 3 gennaio 1608) i «punti segreti» antiottomani proposti da Roma, che offriva una grande armata cristiana per l’offensiva sul mare e 4000 soldati scelti europei al suo servizio (AGOCD, 234b, Relatione...); per evitare intrighi e inimicizie intercristiane (De Ghantuz Cubbe, 1988, pp. 137 s.), il pontefice proponeva uno scambio di ambasciatori permamenti nelle due capitali. ‛Abbas vantò l’antica amicizia con i principi cristiani (Sutūda - Afšār, 2004) ed espresse piena condivisione dei «negozi segreti» mentre, nonostante le dicerie europee sul sovrano (che lo davano addirittura sul punto di battezzarsi), la tolleranza safavide verso i cristiani si era affievolita dopo la pace tra Asburgo e Ottomani del 1606 (Morató-Aragonés Ibáñez, 2013, p. 42).

L’ambasceria si concluse il 24 marzo 1608, con la partenza di Paolo Simone per Baghdad, Alessandretta e il mare. Arrivò a Napoli il 25 luglio con le lettere sigillate dello shāh al papa e a Filippo III nascoste nella Bibbia, e fu ricevuto dal vicerè Juan Alonso Pimentel de Herrera; a Roma alla fine di agosto, lavorò a dare forma organizzativa e culturale all’apostolato persiano (Florencio del Niño Jesús, 1930; A chronicle, 1939, II). A metà settembre riferì al pontefice della sua missione e ai primi di novembre, dopo un intenso scambio di dispacci tra Roma, Napoli e Madrid, partì per la Spagna. Missionario-‘agente’ di Paolo V (Alonso, 1967) e del cardinal nipote, cominciò a ‘trattare’ l’eventuale partecipazione dei ducati di Toscana e Savoia alla lega antiturca; raggiunta Madrid, fu ricevuto da Filippo III e attese in stretto contatto con Roma che il Consiglio di Stato si pronunciasse sull’impresa del Levante; nell’aprile 1609 la guerra ai Turchi fu ufficialmente rinviata, accantonata dai veri problemi della monarchia che si giocavano in Europa e nella «sicurezza delle rotte di commercio e di comunicazione tra i suoi diversi possedimenti» (Bunes Ibarra, 2002, p. 218). Mentre lo shāh, spazientito dal silenzio d’Occidente, minacciava di scacciare i carmelitani (Ortega García, 2012, pp. 12 s.), Rivarola fu richiamato a Roma in maggio e trasferito al convento di Montecompatri: «parlando, scrivendo e agendo», si era mostrato incauto, «impertinente e temerario» (Silverio de S. Teresa, 1937, pp. 42-46; Alonso, 1967, pp. 475-482).

Le fonti non consentono di chiarire gli anni successivi, fino al 1614, quando fu nominato priore del convento di Cracovia; al ritorno in Italia fu definitore della provincia genovese e priore del convento di S. Anna (1617); secondo definitore generale (1620), preposito generale (e «priore del Monte Carmelo») nel 1623-26, 1632-35, 1641-43. Svolse tale ufficio con prudenza, promuovendo la disciplina e l’osservanza delle Costituzioni del 1611 (Pablo de la Cruz, 1685, p. 185). Morì il 27 luglio 1643 nel convento della Scala a Roma.

Sotto il suo generalato, con la Propaganda Fide e la benevolenza di Urbano VIII (Roggero, 1974, p. 179), l’Ordine ampliò l’azione apostolica nel Vicino e Medio Oriente, si insediò stabilmente in Aquitania, Irlanda e Inghilterra, a Malta, affinò la formazione culturale e linguistica dei missionari, incentivò una straordinaria produzione di libri sulle lingue e culture orientali (Richard, 1990).

Fonti e Bibl.: Roma, Archivio generale dell’Ordine dei carmelitani scalzi (AGOCD), Relazioni della missione in Persia: 1605-1606, 235i; 1604-1609, 234b; 1609, 234b, 234i; Lettere: da Ispahan, 1604-1609, 238e; altre lettere: 234b; 236a; 238c. Voerzio da Cherasco, Breve relatione della vita et gesti, del R.mo P. M. Enrico Silvio, Asti 1613; Pablo de la Cruz, Recopilacion sumaria de la historia de la Orden de Nuestra Señora del Carmen…, Madrid 1685; Giuseppe di Santa Teresa, Riforma De’ Scalzi…, IV, Parma 1701; G.B. Spotorno, Per la faustissima promozione alla sacra porpora di sua eminenza signor card. Agostino Rivarola, Bologna 1817; Florencio del Niño Jesús, A Persia (1608-1624)…, Pamplona 1929; Id., En Persia (1608-1624)…, Pamplona 1930; G. Pedevilla, Memorie della famiglia Rivarola di Chiavari, in Rivista Araldica, XXVIII, 20 nov. 1930, pp. 532-538; XXIX, 20 febbr. 1931, pp. 49-57; Silverio de S. Teresa, Historia del Carmen Descalzo en España, Portugal y América, VIII, Burgos 1937; A chronicle of the Carmelites in Persia…, a cura di H. Chick, I-II, London 1939, 2012; L. De La Rosa Olivera, La varia fortuna de los Rivarola, in Anuario de estudios atlánticos, 1966, n. 12, pp. 167-200; C. Alonso, Un agente de Paulo V en la corte española (1605-1609), in Augustinianum, VII, 1967, pp. 448-485; E. Boaga, La soppressione innocenziana dei piccoli conventi in Italia, Roma 1971; A. Roggero, Genova e gli inizi della riforma teresiana in Italia (1584-1597), Roma 1974; M. De Ghantuz Cubbe, La fondazione della missione dei Carmelitani scalzi a Goa, in Civiltà indiana ed impatto europeo…, a cura di E. Fasana - G. Sorge, Milano 1988, pp. 127-160; C. Alonso, Embajadores de Persia en las cortes de Praga, Roma y Valladolid (1600-1601), in Anthologica annua, XXXVI (1989), pp. 11-271; A.M. Piemontese, Catalogo dei manoscritti persiani conservati nelle biblioteche d’Italia, Roma 1989; F. 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