PAOLO Uccello

Enciclopedia Italiana (1935)

PAOLO Uccello

Matteo Marangoni

Il pittore Paolo di Dono, detto Paolo Uccello, nacque nel 1396 o 1397 a Pratovecchio (Casentino), morì a Firenze nel 1477. Giovinetto, esordì nell'arte come aiuto del Ghiberti nella seconda porta del Battistero. Dal 1425 ȧl 1432 fu a Venezia, dove compì musaici (distrutti) per la facciata di S. Marco; fu forse in questo tempo a Padova, dove dipinse in chiaroscuro, nella casa Vitaliani, alcune figure di giganti (scomparse) molto ammirate dal Mantegna. Tornato a Firenze lavorò lungamente per il duomo; nel 1434 dava disegni per una vetrata (cappella di S. Zanobi), nel 1443-1444 altri disegni per gli occhi della cupola; nel 1436 rifaceva l'affresco, già dapprima esegu̇ito, di Giovanni Acuto; nel 1437 eseguiva la sfera delle ore (esiste ancora; ma ridipinta); nel 1452 affrescava il beato Andrea Corsini nella libreria del duomo (perduto). Nel 1465 andò a Urbino, dove nel 1468 dipinse una tavola scomparsa, di cui rimane la predella (museo di Urbino).

Essendo perdute quasi tutte le opere ricordate dai biografi (affreschi dell'ospedale di S. Matteo, del monastero di Annalena, di S. Maria Maggiore, del monastero degli Angioli, di un tabernacolo di S. Margherita a Montici, del Mercato Vecchio, ecc.), il giudizio sull'opera di P. si fonda su poche cose certe di lui: tre delle quattro battaglie (episodî d'una sola battaglia: di S. Romano), dipinte per i Bartolini, rispettivamente nelle gallerie degli Uffizî, del Louvre e di Londra; i resti dei rovinatissimi affreschi con storie dell'Antico Testamento nel Chiostro Verde (così detto perché questi affreschi furono eseguiti in terretta verde) in S. Maria Novella di Firenze; l'affresco di G. Acuto; l'affresco con la Natività nel chiostro dell'Ospedale di San Martino in Via della Scala a Firenze; la predella di Urbino; e su quelle che per analogia gli sono attribuite: la Caccia notturna dell'Ashmolean Museum di Oxford; due storie di S. Giorgio che libera la principessa dal drago, delle collezioni André di Parigi e Lanskoronsky di Vienna; una crocefissione della collezione Thissen di Rohoncz; varî ritratti di dame e di gentiluomini delle collezioni Gardner di Boston, Rockefeller, Duveen, Lehman, Bache di New York e del museo di Chambéry; la Tebaide dei magazzini degli Uffizî, un gradino d'altare di S. Bartolomeo a Quarata, Firenze.

Nella vita di P. il Vasari delineò il carattere e il valore dell'opera dell'artista, che rimasero poi tradizionali. P. "si affaticò - sono parole del Vasari - e perse tempo nelle cose di prospettiva... per andar dietro sempre alle cose dell'arte più difficili", onde rese "sterile e difficile" il suo ingegno, di natura "leggiadro e capriccioso". Ma il voler vedere in P. solo l'innamorato della prospettiva è vedere semplicemente un lato, e forse il non essenziale, della sua personalissima arte. La mancanza di opere certe dell'attività giovanile - cui può supplire appena in parte la Caccia di Oxford, concordemente attribuitagli - non permette di precisare quali siano le forme a cui si educò. Con tutta probabilità fu alle ultime propaggini di quel gotico internazionale, che egli, spirito nostalgico e sognatore, seppe far rivivere nella Caccia di Oxford.

Ma, d'altra parte, egli era della generazione di Masaccio e del Brunelleschi; il rigore prospettico di questo, e la potenza plastica di quello impressionarono il suo spirito, sopra il substrato sostanziale dell'educazione gotica.

Da questo raro e quanto mai felice connubio di tendenze opposte, sorsero le opere perfette della maturità; le Battaglie (compiute circa il 1433), e gli affreschi del Chiostro verde. La visione prospettica che l'artista presenta in queste opere non è unitaria (poiché non compose in unità le varie parti della scena) ma frammentaria, episodica, perché ogni figura e ogni elemento hanno il loro speciale problema prospettico, non subordinato all'insieme, che il pittore risolve caso per caso, quasi compiaciuto di questo.

Accanto a puri profili, di derivazione gotica, ecco poi impostarsi salde figure di una gravità così monumentale da essere degne discendenti di quelle di Masaccio, e precorritrici in ordine spirituale, dell'umanità biblica di Michelangelo. Una qualità altrettanto alta di P. è nel colore: colore puro, senza ombre, disteso a intarsio nelle zone ben delimitate volta a volta dai netti contorni o da precisi volumi: vibrante e luminoso colore, nei toni di rosso, di verde, accanto a zone profonde di nero e di grigio. Quest'insieme è tale che la realtà è superata di continuo in un sovrano giuoco fantastico.

Anche nella tarda predella di Urbino, nella logica composizione spaziale, che si dilata per la grandezza della resa prospettica, le figure s'isolano: estranee, ideali, in un perfetto mondo di sogno. Qualità analoghe rivelano gli scarsi frammenti di affreschi - con le storie dei Santi Padri che riapparvero sotto la calce nel chiostro di S. Miniato al Monte (Firenze). Per quanto alterato da restauri, occupa un posto a sé il monumento equestre a Giovanni Acuto: così vigoroso è il suo plasticismo, nel contenuto colore, da dare l'impressione di un gruppo statuario di bronzo.

Le opere attribuite all'artista - particolarmente le due storie di S. Giorgio e i deliziosi ritratti femminili - mostrano invece il carattere più fantastico dell'arte di P., poiché sono irreali visioni di un mondo di fiaba, sul tessuto di una squisita sensibilità gotica.

P. non ebbe seguaci diretti: ma la sintesi prospettica della forma e del colore, cui giunse talvolta, è il precedente immediato dell'arte di uno dei massimi maestri italiani: Piero della Francesca. Seguì l'arte paterna una figlia di P., Antonia, che fu suora carmelitana. Essa visse fra il 1456 e il '91: nessuna sua opera ci è giunta. (V. tavv. LVII-LX).

Bibl.: G. Vasari, Le Vite, ed. Milanesi, Firenze 1878; A. Venturi, Storia dell'arte ital., VII, i, Milano 1911, p. 331 segg.; M. Marangoni, Osservazioni sull'Acuto di P. U., in L'Arte, XXII (1919), pp. 37-42; id., Gli affreschi di P. U. in S. Miniato al Monte, in Riv. d'arte, XII (1930), pp. 406-17; id., Una predella di P. U., in Dedalo, XII (1932), pp. 329-47; R. van Marle, The development of the Italian schools of painting, X, L'Aia 1928, pp. 203-50; Ph. Soupault, P. U., Parigi 1929; L. Venturi, P. U., in L'Arte, XXXIII (1930), pp. 52-87; J. v. Schlosser, Künstlerprobleme d. Frührenaissance, II: Piero della Francesca; III: P. U.; IV: Michelozzo u. Alberti (Akademie d. Wissenschaften in Wien. Phil.-hist. Klasse Sitzungsber., col. 214), Vienna 1933; W. Boek, Ucello-Studien, in Zeitschr. f. Kunstgesch., II (1933), pp. 249-75; G. Poggi, P. U. e l'orologio di S. M. del Fiore, in Miscellanea Supino, Firenze 1933, pp. 323-36; G. Pudelko, The carly works by P. U., in The Art Bulletin, XVII (1934), p. 231-59; W. Paatz, Una Natività di P. U. e alcune considerazioni nell'arte del maestro, in Riv. d'arte, XII (1934), pp. 111-48.

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