ANACLETO II, papa

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 3 (1961)

ANACLETO II, papa

Raoul Manselli

Al secolo Pietro, nacque negli ultimi decenni del sec. XI, da Pietro di Leone della famiglia romana dei Pierleoni.

Discendenti dell'ebreo convertito Benedetto Cristiano, per la loro ricchezza ed abilità politica i Pierleoni avevano saputo ben presto acquistare un posto di primo piano nella vita cittadina, grazie anche all'appoggio di vari pontefici, tra cui Gregorio VII (che sarebbe stato anzi, secondo una ipotesi assai discussa del Fedele, addirittura cugino di A.), Urbano II e Pasquale II. Fra tutti ebbe particolare rilievo appunto Pietro di Leone, che diede il cognome al casato e si oppose con tutte le sue forze al prevalere della famiglia rivale dei Frangipane.

Recatosi a Parigi per compiervi gli studi, Pietro si conquistò l'amicizia e la benevolenza del principe Luigi, più tardi Luigi il Grosso, re di Francia. Entrato fra i cluniacensi, prese nella stessa Cluny l'abito monastico, non sappiamo in quale data, certo prima del 1116, se dobbiamo dar credito alla notizia del Chronicon Mauriniacense, per cui sarebbe stato chiamato da papa Pasquale II a Roma e trattenuto in Curia per qualche tempo anteriormente alla sua elezione al cardinalato.

Certo nei primi mesi del 1116 (o negli ultimi dell'anno precedente) il giovane Pierleoni fu nominato cardinale diacono dei SS. Cosma e Damiano, comparendo per la prima volta in una sottoscrizione apposta il 24 marzo 1116 a una bolla del papa Pasquale II per la chiesa cattedrale di Besançon.

Morto Pasquale II nel 1118, il cardinale Pietro ebbe, nell'elezione di Gelasio II, avvenuta il 24 novembre, una parte di notevole rilievo, appoggiando appunto un fedele di Pasquale II, favorevole perciò ai suoi familiari Pierleoni. Solo così si spiegano i tumulti provocati in Roma. dai Frangipane, che costrinsero il papa appena eletto, con pochi cardinali, tra cui Pietro, a fuggire in Francia, a Cluny, ove rimasero alcuni mesi, fino al gennaio 1119, quando Gelasio morì.

Riuniti i cardinali per la elezione del nuovo pontefice, Pietro appoggiò l'elezione di Guido, arcivescovo di Vienne (poi Callisto II), cui fece anche ottenere, grazie all'intervento di suo padre, sempre potentissimo in Roma, il consenso unanime dei cardinali rimasti in Roma e del clero e del popolo romano.

Con Callisto Il Pietro rimase qualche mese in Francia, ottenendo dal nuovo pontefice riconoscenza e stima, culminata poi nella promozione nel II 20 a cardinale prete di S. Callisto (S. Maria in Trastevere). Alla fine dello stesso anno si recava in Francia come legato del papa insieme con Gregorio Papareschi, cardinale diacono di S. Angelo, per una missione di cui ignoriamo il fine e la portata. Dalla Francia si recò poi nelle isole britanniche per un viaggio nel regno d'Inghilterra, nel regno di Scozia, in Irlanda e nelle Orcadi.

La missione di Pietro costituisce uno degli episodi più caratteristici delle difficili relazioni fra la Curia romana e il regno d'Inghilterra, ove il re, pur facendogli splendide accoglienze, gli proibì ogni visita a chiese e monasteri del reame, dandogli così la prova di avere il pieno controllo sulla vita della Chiesa inglese. A Pietro non restò che tentare di appianare il contrasto che da tempo divideva, e continuò a dividere, gli arcivescovi di Canterbury e di York. Ben comprendendo allora l'inutilità della sua missione, Pietro tornò in Francia.

Dopo un periodo di permanenza a Roma, nell'autunno del 1123, il Pierleoni veniva mandato di nuovo in Francia come legato del papa, ed ancora in compagnia del cardinale di S. Angelo, Gregorio Papareschi, allo scopo di porre rimedio, in tutto ciò che fosse necessario, alle deficienze della vita della Chiesa in Francia.

Questa legazione, per cui il Pierleoni visitò buona parte della Francia, incontrando tra l'altro a Limoges Stefano di Muret, che volle i due legati nella sua abazia di Grandmont, e a Noyon Norberto di Magdeburgo, che chiese ed ottenne l'approvazione della regola dei suoi canonici, detti poi prernonstratensi, il 28 maggio [o giugno] 1124, ebbe due momenti culminanti nei sinodi del 12 marzo a Chartres e di qualche mese dopo a Beauvais.

Tornato in Italia nella primavera dei 1125, Pietro vi trovò già eletto il nuovo pontefice, quell'Onorio II, che da cardinale gli era stato decisamente ostile e che, papa, lo tenne deliberatamente in disparte. Anzi proprio la difficile situazione nella quale il Pierleoni era venuto a trovarsi va considerato uno dei motivi che prepararono quell'acceso contrasto fra i cardinali, di cui lo scisma fu poi l'espressione più viva. Infatti, mentre un gruppo di cardinali, legati appunto al Pierleoni, si facevano esponenti delle esigenze locali romane, un altro gruppo, che faceva capo al cardinale francese Almerico, dava più importanza agli interessi sovranazionali e universalistici del papato.

In una situazione così difficile e per lui così piena di amarezza, il Pierleoni cominciò a prepararsi il terreno per evitare, in un futuro conclave, un'altra elezione, che si potesse rivolgere a suo danno.

Alla morte di Onorio II, nel febbraio del 1130, l'intreccio di interessi assai stretto tra cardinali e gruppi cittadini ed insieme i contrasti che dividevano il collegio cardinalizio resero possibile al Pierleoni di porre la sua candidatura al pontificato e- di farsi eleggere, fondandosi specialmente sull'appoggio del clero e del popolo di Roma, assumendo il nome di Anacleto II.

Le vicende della elezione di A. non sono ancora del tutto chiare, neppure dopo le minute analisi del Palumbo (Lo scisma del MCXXX, pp. 174 ss.), perché rimangono immutate le perplessità degli storici di fronte al contrasto delle fonti: i fautori di A. posero in rilievo la illegalità dell'azione del cardinale Aimerico, ostile al Pierleoni, che aveva convocato il conclave subito dopo la morte di Callisto II e in gran segreto aveva fatto eleggere il nuovo pontefice, Innocenzo II. Tanto mistero - fu allora sottolineato - voleva appunto indicare la cattiva coscienza e il tentativo di occultare un procedimento non del tutto conforme ai canoni, mancando per di più il previsto consenso "per clerum et populum". Dalla parte innocenziana fu invece ribadito che proprio il tumultuoso favore dei Romani per il Pierleoni avrebbe minacciato il sereno svolgimento del conclave, che s'era perciò dovuto svolgere in segreto e senza il consenso del clero e del popolo. L'elezione di Innocenzo soltanto doveva perciò considerarsi valida e, precedendo nel, tempo quella di A., la rendeva, anche solo per questo fatto, nulla, togliendo ogni valore, al consenso del clero e del popòlo, clamoroso certo, ma sospetto senza dubbio di simonia.

La potenza di A. e dei Pierleoni diede loro un indubbio vantaggio iniziale, costringendo Innocenzo II e i cardinali suoi fautori alla fuga da Roma, ma restò aperto per i due contendenti il problema di riunire attorno a sé i consensi di coloro che, senza prendervi parte, avevano assistito alla vicenda.

Mentre tutta la cristianità veniva a conoscere, nelle lettere che Innocenzo e A. indirizzarono da ogni parte, la notizia della doppia elezione e, dello scisma conseguitone, l'esistenza del papa e dell'antipapa veniva subito ad assumere un'importanza che andava al di là del solo aspetto religioso della questione, come fu in Inghilterra ed in Scozia, dove i sovrani trassero motivo dalla debolezza del potere pontificio per proseguire e rafforzare la loro politica di fermo e deciso controllo sulla Chiesa nei loro regni.

Diversa e più complessa, la situazione in Francia, ove il re Luigi il Grosso era stato già in rapporti di buona conoscenza con A. - questi dice addirittura amicizia, in una lettera indirizzata al re (cfr. Palumbo, p. 329) - ma dove aveva trovato rifugio Innocenzo II e dove si profilò subito l'ardente opposizione di s. Bernardo di Clairvaux, che di A. sarà il nemico più accanito. Proprio da s. Bernardo, legato in stretti rapporti d'amicizia con quell'Aimerico che di Innocenzo II era stato fautore deciso, anzi il promotore dell'elezione, partì quel moto di opposizione ad A., che doveva concludersi nell'adesione della Chiesa francese a Innocenzo. Nel concilio di Etampes, infatti, dell'estate del 1130 la Francia si dichiarò per Innocenzo. Inoltre s. Bernardo trascinò con sé, nell'adesione a Innocenzo e nell'opposizione ad A., anche s. Norberto di Magdeburgo, che pure A., ancora cardinale, aveva conosciuto in Francia approvando appunto l'Ordine dei premonstratensi, e con lui l'Inghilterra che a Chartres riconobbe Innocenzo nel gennaio 1131 e poi anche le Chiese di Germania e di Spagna con una serie di concili tenuti a Chartres Liegi e Reims. Rimanevano ad A., oltre la Scozia e l'Aquitania, anche molta parte dell'Italia: particolarmente importante il Regno normanno.

Lo scisma era scoppiato in un momento assai delicato dei rapporti tra il papato e i Normanni dell'Italia meridionale. Morti i successori del Guiscardo, Ruggero II aveva concluso l'opera di unificazione del Mezzogiorno contro la volontà della Chiesa, che fino ad Onorio II aveva suscitato contro la corte di Sicilia l'opposizione delle città e dei feudatari anelanti a maggiore autonomia. Con A., che aveva ottenuto anche il consenso dei monaci di Montecassino, la situazione cambiò radicalmente. A. per assicurarsi il favore normanno tolse ogni appoggio ai ribelli e, accordatosi con Ruggero, gli riconobbe i possessi, concedendogli il 27 sett. 1130 il titolo di re e celebrando un solenne concilio a Canosa poco dopo, il 9 novembre, con la partecipazione di membri della Chiesa orientale.

Non meno importanti furono le trattative, che., nella speranza di attirare nella sua orbita la Germania, A. tentò di iniziare con Lotario II a Viterbo; esse rimasero, però, senza risultato, perché Innocenzo II, che dalla Francia era tornato in Italia prendendo sede a Pisa, era riuscito a tenersi Lotario II amico, favorendolo nella sua politica verso le città italiane ed appoggiando l'abbazia imperiale di Farfa, favorevole ad Innocenzo, contro Montecassino, favorevole invece ad Anacleto.

Costretto dalla presenza di Lotario II e delle sue truppe, nonché dai tumulti suscitati in città dai Frangipane, A. si era ritirato a S. Pietro, senza poter impedire, il 14 maggio 1133, l'incoronazione di Lotario nella basilica lateranense.

Dopo questi colpi il prestigio e la potenza di A. si andarono lentamente indebolendo, ogni suo appoggio riducendosi al solo Regno normanno e reagendo egli con energia sempre minore all'iniziativa passata ormai tutta nelle mani del suo avversario. Il colpo finale gli venne col dibattito di Salerno in cui i suoi fautori, tra cui l'insigne canonista Pietro da Pisa, si incontrarono tra la fine di novembre e l'inizio di dicembre del 1137, alla presenza di Ruggero II, con i fautori di Innocenzo II, capeggiati dallo stesso s. Bernardo di Clairvaux: molti seguaci di A., tra cui lo stesso Pietro da Pisa, cedettero all'eloquenza di Bernardo.

Pur tuttavia A., forte e potente in Roma, resisteva tenacemente, ma infine, il 25 genn. 1138, la sua morte sancì, con la scomparsa di uno dei protagonisti, il completo fallimento dello scisma.

Bibl.: P. F. Palumbo, Lo scisma del MCXXX, Roma 1942; Id., La cancelleria d'Anacleto II, in Scritti di paleografia e diplomatica in onore di Vincenzo Federici, Firenze 1945. pp. 80-131, alle cui conclusioni in parte contrasta l'importante lavoro di F.-J. Schmale, Studien zun Schisma des Jahres 1130, KöIn-Graz 1961; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., II, coll.1408-1419; Encicl. Ital., III, p. 68; Encicl. Catt., I, pp. 1126 s.

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