EUGENIO IV, papa

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 43 (1993)

EUGENIO IV, papa

Denys Hay

Gabriele Condulmer nacque nel 1383, da Angelo, nobile veneziano, e da Bariola, figlia di Niccolò Correr e sorella di Gregorio XII, pontefice dal 1406 al 1415, anno in cui presentò la propria rinunzia al concilio di Costanza. A detta del Platina, l'elevazione al soglio di Gregorio XII fece decidere il nipote per una carriera nel clero secolare, piuttosto che continuare come canonico regolare di S. Giorgio in Alga, comunità agostiniana, in cui era canonico anche il cugino Antonio Correr. Gregorio XII, appena eletto, fece venire i due cugini a Roma. Come canonico di Verona, Gabriele venne promosso a protonotario papale e tesoriere; quindi, dopo aver ricevuto altri benefici, nel 1407 fu nominato vescovo di Siena, grazie ad una dispensa papale poiché non aveva ancora compiuto 25 anni.

Poco si può dire sul suo ruolo e sulla sua attività come vescovo di Siena: era, quella, una delle molte sedi lacerate da una nomina contrastante dell'antipapa Benedetto XIII, ed in ogni caso già nel 1408 Gabriele venne nominato cardinale da Gregorio XII col titolo di S. Clemente. Lo scisma che lo aveva toccato mentre era ancora vescovo di Siena doveva rimanere una delle principali preoccupazioni fino alla morte, anche perché, a differenza di precedenti divisioni in seno alla Chiesa, esso investiva questioni di principio, oltre che politiche. Lo scisma del 1378, infatti, rifletteva tensioni interne all'alto clero che parevano irrisolvibili coi meccanismi tradizionali, mentre contemporaneamente una diffusa condanna della corruzione sfociava tanto nell'eresia quanto in richieste di riforma. Per tutto il suo pontificato E. IV dovette preoccuparsi di questi problemi interconnessi, oltre che delle minacce allo Stato pontificio da parte di vicini rapaci. La sua elezione al soglio pontificio nel 1431 (3 marzo) ebbe luogo subito dopo il torbido avvio del concilio di Basilea, che era stato convocato ai sensi del decreto Frequens del concilio di Costanza, ma che doveva la sua concreta esistenza alle pressioni esercitate da Sigismondo di Lussemburgo sul papa.

Uno dei problemi più urgenti che E. IV si trovò ad affrontare fu il controllo di Roma, problema che egli rese di ancor più difficile soluzione attaccando i Colonna, famiglia del suo predecessore Martino V che dominava il Lazio grazie anche ad un'ampia rete di alleanze. All'elezione di E. IV seguì un assalto a Castel Sant'Angelo che venne represso con decisione. Quasi contemporaneamente il nuovo papa sciolse il concilio che aveva cominciato a riunirsi a Basilea. Entrambe queste misure si rivelarono malaccorte. 1 Colonna continuarono a fomentare torbidi in città, mentre i padri riuniti a Basilea ripresero la dottrina adombrata a Costanza che faceva del papa poco più di un monarca costituzionale, dando alla Chiesa quella che è stata definita una costituzione scritta. Martino V, come tutti i papi, si era naturalmente opposto a queste affermazioni di principio, ma poiché egli stesso era il risultato di un'elezione straordinaria compiuta dal concilio e dai cardinali riuniti in un unico conclave, non era stato nella posizione migliore per rinnegare il conciliarismo di Costanza. E. IV però non aveva vincoli del genere e il 18 dic. 1431 sciolse il concilio riconvocandolo per l'anno seguente a Bologna e sottraendolo così al controllo politico dell'imperatore. Di fronte alla decisa presa di posizione del pontefice, i padri conciliari di Basilea assunsero un atteggiamento di analoga intransigenza: non solo il concilio godeva della protezione di Sigismondo, ma il cardinale Giuliano Cesarini, presidente del concilio di nomina pontificia, vedeva nell'assemblea l'unica via per fare fronte all'ostinata resistenza ussita, dopo il fallimento della sua crociata contro gli eretici boemi. Forte di questi appoggi, il concilio non si sciolse e anzi convocò il papa a Basilea. E. IV capitolò il 14 dic. 1433, revocando la propria condanna del concilio e riconoscendo il carattere ecumenico dell'assemblea.

Il negoziato tra il papa e i padri di Basilea continuò in termini alquanto aspri. Nel periodo 1433-1436 il concilio privò il papa delle entrate fiscali ed ingiunse di mandare i pagamenti negli uffici della Curia che si era formata a Basilea. Da parte sua E. IV, condannando l'inefficienza dei padri, nel settembre 1437 trasferì il concilio a Ferrara. Nei successivi due anni tanto il papa quanto il concilio si preoccuparono di porre fine ad un altro scisma, quello con la Chiesa greca, iniziato nel lontano 1054- Infatti, la pressione esercitata dai Turchi ottomani su Bisanzio aveva indotto l'imperatore d'Oriente a prendere in considerazione l'ipotesi di sottomettersi alla Chiesa di Roma. Ma i Greci, sostanzialmente restii ad abbandonare dottrine e pratiche che li distinguevano dalla Cristianità occidentale, si trovarono di fronte una Chiesa latina spaccata: da un lato il pontefice e dall'altro il concilio di Basilea. Optando per il concilio convocato dal papa a Ferrara, decretarono la morte di quello di Basilea che, deposto E. IV come eretico nel giugno 1439, lo sostituirà nel novembre dello stesso anno con l'arrendevole Amedeo VIII di Savoia, salito al soglio col nome di Felice V. Riconosciuto solo da pochissimi Stati, debole sul piano politico, questi pontificò fino al 1449, quando i padri elessero, dopo la morte di E. IV, Niccolò V.

Frattanto i Greci, vale a dire l'imperatore Giovanni VIII Paleologo, il patriarca di Costantinopoli e circa ventidue vescovi, avevano dato inizio a Ferrara ai negoziati per la riunificazione proseguiti dopo il gennaio 1439 a Firenze, dove E. IV aveva trasferito il concilio. L'atto di unione venne firmato il 5 luglio 1439. Sul lungo periodo le conseguenze pratiche di questa unione, allora assai celebrata, non furono certo quelle che il papa auspicava: non Roma, ma la Russia (definita secondo una mitologia posteriore, la "terza Roma") assunse l'eredità spirituale della Chiesa greca; si affermò un crescente interesse sia erudito sia artistico per l'antichità greca piuttosto che per quella latina e, infine, si radicò nei futuri pontefici un timore per i danni creati dai concili, che doveva diventare cruciale durante i rivolgimenti del secolo successivo.

Nell'immediato tuttavia l'atto di unione servì a sostenere il credito di E. IV, mettendone in rilievo la statura. Il papa infatti fece circolare nelle chiese la notizia della fine del vecchio scisma e la conseguente sottomissione a Roma di altre Chiese eretiche del Levante, quali i maroniti, i caldeani ed altri. Le bolle che annunciavano il riconoscimento dell'autorità di E. IV da parte di queste Chiese rafforzarono non soltanto in generale la sua posizione globale in Occidente, ma anche, in particolare, in Italia, dove egli riuscì a raggiungere un accordo con Alfonso V d'Aragona. Questi aveva conquistato il Regno di Napoli approfittando del caotico conflitto per la successione dell'ultima sovrana angioina, Giovanna II, morta nel 1435. Le condizioni travagliate del Regno costituivano un'ulteriore minaccia per il papa in quanto i territori napoletani abbracciavano, per così dire, la parte meridionale ed orientale del Patrimonio di S. Pietro ed un sovrano aggressivo avrebbe potuto costituire per E. IV una minaccia tanto grave quanto quella rappresentata dal condottiero Francesco Sforza. 1 negoziati con Alfonso furono condotti dall'arcivescovo di Valenza, Alonso Borja, che nella quinta promozione cardinalizia di E. IV, il 2 maggio 1444, venne premiato con un cappello cardinalizio. Come l'unione con i Greci anche la promozione di un Borja era destinata ad avere conseguenze che E. IV non poteva certamente immaginare. Il nuovo cardinale era un potente nepotista e continuò a comportarsi come tale anche dopo la propria elezione a pontefice nel 1455 col nome di Callisto III: suo nipote Rodrigo Borgia, nominato cardinale nello stesso 1455, nel 1492 salirà al trono pontificio con il nome di Alessandro VI.

Se il Patrimonio era soggetto a minacce e pressioni napoletane, esso era anche contiguo per tutta la sua lunghezza, dal Ducato di Spoleto alla Campagna romana, alla via più breve utilizzata dagli eserciti impegnati a spostarsi dal Nord al Sud della penisola. Le Marche e perfino gli Abruzzi erano una vera tentazione per condottieri come Francesco Sforza, che aveva ambizioni territoriali nel Regno. Indebolito dal contemporaneo contrasto con il concilio, E. IV comprò la neutralità di Francesco Sforza concedendogli il titolo di marchese della Marca di Ancona e di gonfaloniere della Chiesa. Gli effetti di tale espediente furono di breve durata, e l'incapacità del papa di controllare lo Sforza lo spinse a servirsi di Giovanni Vitelleschi, che con estrema brutalità sottomise i Colonna e i loro alleati. Davanti a loro nel 1434 il papa aveva dovuto scappare da Roma in barca lungo il corso del Tevere fino al mare, dove aveva preso una galera per Pisa e di lì si era recato a Firenze.

Il Vitelleschi era vescovo di Recanati fin dall'aprile 1430 e le successive tappe della sua carriera furono frutto dell'efficace sostegno dato ad E. IV: nel 1435 fu nominato patriarca titolare di Alessandria e poi arcivescovo di Firenze; infine, nell'agosto 1437, fu creato cardinale. Nel marzo 1440 però Antonio de Rido, castellano di Castel Sant'Angelo, lo prese prigioniero e lo fece assassinare. Il ruolo del papa in questa vicenda resta oscuro; sembra però fuori dubbio che il de Rido considerasse il cardinale come un nemico del pontefice. E. IV sostitui il Vitelleschi a Roma con il prelato-condottiero Lodovico Scarampi, vescovo di Traù, che nell'agosto 1437 era stato nominato arcivescovo di Firenze e nel dicembre 1439 patriarca d'Aquileia, e che infine nel 1440 ottenne il cappello cardinalizio. I bellicosi prelati di cui si servi E. IV rientravano in un certo senso nella tradizione ed alla fine assicurarono Roma al papa.

Nonostante il papa desse la priorità assoluta alla riconquista di Roma e delle terre di S. Pietro, vanno esaminati anche altri aspetti del suo pontificato: la riforma della Curia, quella disciplinare degli Ordini religiosi e la riaffermazione dell'autorità pontificia sulla Cristianità in generale. E. IV aveva firmato una capitolazione elettorale, come ormai era consuetudine nei conclavi. Ma a differenza dei suoi immediati predecessori e dei suoi successori aveva commesso l'errore di confermare le clausole pattuite con una bolla. Queste clausole lo obbligavano a convocare un concilio generale, a riformaiè la Chiesa "nel capo e nei membri" e a non trasferire la Curia da Rom a senza l'approvazione della maggioranza dei cardinali. Inoltre lo impegnavano a nominare cardinali in proporzioni rappresentative delle diverse regioni della Chiesa, a non prendere provvedimenti contro alcun cardinale senza l'assenso della maggioranza del S. Collegio: a quest'ultimo, oltre che al papa, dovevano essere prestati i giuramenti di fedeltà dovuti alla S. Sede e ad esso spettava la metà delle rendite della S. Sede. Infine, il papa non poteva prendere alcuna iniziativa nel governo degli Stati papali senza il consenso del S. Collegio. Una riforma così concepita. poneva l'autorità suprema nelle mani dei cardinali e faceva del papa una specie di doge (come il veneziano E. IV poteva ben comprendere) piuttosto che il sovrano assoluto presupposto dal principio teologico papale. Questi aspetti della riforma non vennero però messi in pratica da Eugenio IV.

Il pontefice, un tempo canonico agostiniano seguì, comunque, la rinascita della religiosità claustrale e i canonici agostiniani non furono certo tra gli ultimi a ricevere la sua attenzione. Arrivato a Firenze, cercò di dare nuovo impulso all'antica badia fiesolana-sotto S. Domenico, dove i pochi benedettini che ancora vi dimoravano furono rimpiazzati dai canonici agostiniani della Congregazione di S. Maria di Fregionaia, vicino Lucca. E. IV tentò inoltre di riformare i canonici del Laterano, dignità allora in mano ad un clero secolare agiato e trascurato. La storia dei tentativi infruttuosi del papa di introdurre gli agostiniani riformati anche a S. Pietro la dice lunga sulla sua incapacità di imporre la propria volontà a Roma, perfino dopo che i due cardinali-guerrieri avevano ricondotto la città alla sua obbedienza. L'unico risultato conseguito da E. IV fu che la Congregazione del papa prese il titolo di canonici lateranensi. L'influenza della riforma veneziana, esemplificata da Ludovico Barbo (la cui riforma dell'Ordine benedettino a S. Giustina a Padova rifletteva l'austerità moderata della nobiltà veneziana) si evidenzia nel sostegno dato dal papa a Camaldoli ed al suo generale Ambrogio Traversari, non tanto per l'attività di umanista quanto per la personale devozione e l'attività riformatrice del Traversari.

Un'analoga ammirazione E. IV sembra aver nutrito nei confronti del Bessarione. Questi aveva fatto parte della delegazione greca al concilio di Ferrara e Firenze e fu creato cardinale nel dicembre 1439. Subito dopo E. IV lo designò responsabile per i monaci greci basiliani dell'Italia meridionale, compito che il cardinale prese molto sul serio. Altre manifestazioni del sostegno offerto da E. IV al moto di riforma furono la promozione di Antonino Pierozzi all'arcidiocesi di Firenze nel gennaio 1446 e la fiducia riposta in Giovanni da Capestrano, in rapporto a questioni sia diplomatiche sia religiose. Bernardino da Siena, che si ostinava a rifiutare l'autonomia concessa dal concilio di Costanza ai francescani osservanti (un aspetto questo delle interminabili tensioni in seno all'Ordine), fu obbligato dal papa ad abbandonare la sua opposizione al mitigamento della regola, attuato dal Capestrano al tempo di Martino V.

Tuttavia almeno per un'importante questione E. IV aderì alle prescrizioni dei concilio di Costanza: quella secondo cui i cardinali dovevano rappresentare la Chiesa nella sua generalità. Dei ventisette cardinali creati dal papa undici soltanto erano italiani e, a parte i suoi due nipoti (Francesco Condulmer e Pietro Barbo), nessuno era un esponente tipico delle famiglie principesche italiane che in seguito si assicurarono la partecipazione al S. Collegio. Si potrebbe pensare che questo fatto sia indicativo della scarsa importanza di E. IV nel mondo politico italiano, ma in ogni caso queste nomine, come quelle di Martino V, rispondevano in linea di massima alla richiesta di creare un clero adeguato proveniente "de omnibus christianitatis regionibus". E mentre procedevano i complessi negoziati con il concilio di Basilea, E. IV trovò utile rimproverare ai padri in rivolta di non aver preso misure adeguate per la riforma della Chiesa. Questo è anzi il punto centrale del Libellus apologeticus (giugno 1436) scritto dal papa e che divenne più persuasivo quando i "moderati" guidati dal cardinal Cesarini disertarono il concilio. Il colpo di grazia per il concilio fu, comunque, la decisione dei Greci di andare a Ferrara piuttosto che ad Avignone, luogo proposto dai padri di Basilea.

Così la sconfitta del conciliarismo, insieme con la proclamazione del primato di Roma nell'atto di unione, venne dichiarata da un concilio generale: per gli scrittori transalpini ciò era espressione significativa di una verità dogmatica "diventata fondamentale per l'evoluzione teologica della dottrina sul primato", secondo le parole di L. von Pastor (I, p. 320). Il trionfo definitivo del papa giunse proprio alla fine del suo pontificato nelle trattative concernenti questioni in cui i residui sentimenti coriciliaristi si alleavano al sentimento nazionale.

Sarebbe comunque sbagliato pensa re che la vita di E. IV si consumasse totalmente in lotte per asserire la propria autorità sopra il concilio di Basilea o la propria supremazia a Roma e nel Patrimonio di S. Pietro. Quando poté, diede sostegno alle tendenze riformatrici in tutta Italia e in qualche misura in tutta la Cristianità: tra le carte superstiti raccolte in un volume della Biblioteca apost. Vaticana (Vat. lat. 4883) dalla commissione di riforma (poi abortita) creata da Alessandro VI c'è anche una bolla di E. IV (f. 42). Intervenne senza risultato per riportare la disciplina in un elegante monastero femminile di Genova e, sempre a Genova, fu ostacolato dall'opposizione locale nel tentativo di sostenere i domenicani osservanti. Resistenze analoghe posero limiti ai suoi tentativi di utilizzare in modo più corretto i fondi che a Verona venivano impiegati per il mantenimento di 769 "chiericati" e che provenivano dalle rendite capitolari ed erano dati in dono al vescovo. Alla fine, posto di fronte ad una dichiarazione della città secondo la quale tale clero privo di benefici esisteva da tempo immemorabile, il papa giunse ad un compromesso e, invece di sopprimere i "chiericati", fondò una scuola e a questa assegnò i fondi provenienti dalle rendite dei benefici vacanti.

Sembra che l'istruzione del clero (benché di tipo assai tradizionale) sia stata cara ad E. IV, come è provato dalla riforma (di fatto quasi una rifondazione) dell'Università di Roma, la Sapienza, e dal potenziamento del collegio fondato dal cardinale Capranica. Parallelamente sosteneva l'Albergati, promuovendolo nuovamente vescovo di Bologna. E. IV si interessò soprattutto alla riforma del clero regolare, in particolare dei canonici agostiniani di S. Giorgio in Alga e della Congregazione benedettina di S. Giustina, che esercitò considerevole influenza sullo sviluppo della riforma del clero. La predilezione per i camaldolesi (l'Ordine del quale era stato cardinale protettore) si manifestò nei gia ricordati rapporti con il Traversari. Tuttavia la Chiesa italiana con cui si confrontava E. IV così come i governi secolari trovavano un'alternativa all'autorità pontificia nell'autorità rappresentata dal concilio di Basilea. Era la presenza del concilio che ostacolava le interferenze del papa a Genova e consentiva ai Fiorentini di ignorare nel 1436 iltentativo di E. IV di sciogliere la commissione comunale incaricata di controllare i conventi femminili mal regolati.

Benché fosse un ecclesiastico di indiscussa reputazione, ed eminente ai suoi tempi per moderazione e devozione, E. IV, di aspetto imponente e, a quanto pare distaccato ed inaccessibile, non era immune da un certo tipo di liberalismo "veneziano". Nel 1439 venne accusato a Basìlea di essere favorevole ai "fratelli del libero spirito", un movimento anarchico presente in modo discontinuo in tutta l'Europa tra XV e XVI secolo. Il loro testo principale era il Mirouer des simples ames di Marguerite Porete, condannata come eretica a Parigi nel 1310 e in seguito da parecchie altre autorità, tra cui anche Bernardino da Siena. Il concilio di Basilea attaccò E. IV nonostante questi avesse inviato Giovanni da Capestrano e Lorenzo Giustinian a sradicare questa eresia a Venezia, Padova, Ferrara.

In altre parti della Cristianità, soprattutto in Francia e nell'Impero, lo scontro tra E. IV e il concilio di Basilea si prolungò in quanto il clero adottò il punto di vista conciliarista. I sovrani, in Francia come in Inghilterra ed in Spagna, esercitavano da secoli un forte controllo sulla nomina dei prelati ed insistevano sulla tassazione del clero. La situazione tedesca era in qualche misura diversa, ma proprio in Germania si manifestava un sentimento antipapale, forse anche più violento che altrove. C'era dovunque un odio diffuso, addirittura a livello popolare, per il fiscalismo romano; l'avversione dei laici per la decima ed altre richieste del clero delle parrocchie era anche più intensa di quella del clero stesso per l'esazione delle annualità, per la moltitudine di tasse cancelleresche richieste per sbrigare gli affari negli uffici della Curia romana, e per la possibilità che avevano i prelati di trasferirsi da un beneficio concistoriale ad un altro. L'abolizione della riserva e delle aspettative papali, nonché l'eliminazione del sistema di tassazione pontificia, deliberate dal concilio di Basilea nella ventunesima e ventitreesima sessione (1435-36), fornirono al clero, ai sovrani e ai principi in Francia e in Germania un punto di riferimento importante per la loro politica, offrendo loro l'opportunità di comportarsi in maniera conforme ad una delibera ecumenica. In Germania nel 1438 e in Francia nel 1438-39 infatti venne adottato un atteggiamento che fu definito come neutrale rispetto al papa ed al concilio. In Francia un'assemblea plenaria del clero approvò la cosiddetta "prammatica sanzione" di Bourges. Quasi contemporaneamente l'elezione di un nuovo imperatore, Alberto II d'Asburgo, fornì l'occasione per una dichiarazione di neutralità. C'era ben poco che E. IV potesse fare per ammorbidire la posizione francese, che in seguito si sarebbe ulteriormente accentuata fino al concordato del 1516 con cui Leone X accettò di condividere col re il controllo della Chiesa in Francia. Per quanto riguarda la Germania E. IV, ormai malatissimo, grazie alla mediazione di Enea Silvio Piccolomini, riuscì a raggiungere un compromesso con la delegazione tedesca: dopo difficili negoziati questo venne confermato da quattro bolle papali (febbraio 1447); in seguito il papa dichiarò che la sua malattia gli aveva impedito una valutazione adeguata dei problemi implicativi e si riservò i diritti della Sede apostolica. Così il suo pontificato si concluse con la sottomissione formale degli inviati tedeschi al capezzale del papa morente, finale drammatico di un regno tempestoso. Roma si rallegrò dell'evidente vittoria del papa, che morì il 23 febbr. 1447 e venne sepolto in S. Pietro.

L'integrità morale di Eugenio IV è indubitabile; la sua devozione e la sua onestà personale furono ampiamente ammirate in un'epoca in cui la rilassatezza morale dei prelati di Curia era considerata con molta tolleranza. Anche il suo aspetto fisico impressionò i contemporanei, come, ad esempio, Vespasiano da Bisticci; la sua tomba, ora a S. Salvatore in Lauro, attribuita ad Isaia da Pisa, sembra confermare che il suo aspetto fosse imponente; è stato anche sostenuto che il beato Angelico lo dipinse come Sisto II nella cappella Nicolina in Vaticano. Anche se la lunga permanenza papale a Firenze doveva avere effetti di lunga durata sulla vita culturale della Curia pontificia, E. IV non sentì personalmente alcuna attrazione per i nuovi movimenti letterari e artistici. A vero che i negoziati per l'unione con i greci del concilio di Ferrara dettero un notevole impulso agli studi greci, ma questo fu un effetto secondario della politica papale, non certo il suo scopo. Pontificati successivi vedranno l'erezione a Roma di imponenti edifici realizzati nel nuovo stile rinascimentale e il rinnovamento urbanistico della città. Ben poco di ciò si era visto all'epoca di E. IV ed è forse significativo che la creazione artistica più celebrata del suo tempo sia una nuova tiara pontificia opera del fiorentino Lorenzo Ghiberti.

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