LEONE XI, papa

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 64 (2005)

LEONE XI, papa

Matteo Sanfilippo

Alessandro de' Medici nacque a Firenze il 2 giugno 1536 da Ottavio di Lorenzo e da Francesca di Iacopo Salviati. Non si sa molto sulla sua infanzia e sull'adolescenza. Fu vicino al duca di Firenze Cosimo I de' Medici (cugino in secondo grado), che nel 1560 lo portò a Roma, dove conobbe Filippo Neri. L'incontro accentuò la spinta religiosa del Medici che, dopo la morte della madre, nel 1566, decise di prendere gli ordini. Fu ordinato sacerdote il 22 luglio 1567 e si ritirò nelle immediate vicinanze di Firenze fino a quando, il 10 giugno 1569, il duca lo designò ambasciatore a Roma per avere qualcuno della famiglia accanto al proprio figlio, il cardinale Ferdinando. Guglielmo Sirleto lo introdusse nella vita romana, mentre Francesco Pacheco e Michele Bonelli lo presentarono a Pio V, cui fece una buona impressione. Fu dunque nominato protonotario apostolico il 20 giugno 1569 e iniziò sotto i migliori auspici una permanenza destinata a durare a lungo.

Il Medici si dovette subito mettere all'opera per giustificare la posizione della Corona francese nella guerra di religione in corso e fronteggiare gli attacchi spagnoli alla politica filofrancese di Firenze. Si rivelò presto molto abile nello smontare le manovre degli avversari, ma la pressione crebbe quando Cosimo I tentò di fare avere a Caterina de' Medici la dispensa per il matrimonio di Enrico di Navarra, il futuro Enrico IV, con la figlia di Caterina, Margherita di Valois, sorella di Carlo IX.

In quei mesi il Medici, coadiuvato anche dal suo omologo in Francia, Giovanni Maria Petrucci, si adoperò per scalzare il nunzio pontificio a Parigi, Fabio Mirto Frangipani, giudicato il principale ostacolo al matrimonio. Inoltre tentò di minare la credibilità degli inviati spagnoli, tanto più che il papa teneva i Fiorentini all'oscuro di quanto si discuteva nella lega formata per contrastare i Turchi. Entrambe le manovre fallirono, quando la vittoria di Lepanto (1571) rafforzò la posizione spagnola e ridusse il credito fiorentino in Curia.

In questa prima fase della sua carriera, il Medici fu molto legato al cardinale Ferdinando, ma il suo maggiore referente romano fu Filippo Neri, con cui aveva riannodato i contatti non appena arrivato a Roma. Nel 1575 ebbe di conseguenza l'onore di posare la prima pietra della chiesa Nuova, della quale egli stesso celebrò poi la consacrazione nel 1599. Insieme con il cardinale Federico Borromeo si preoccupò inoltre di fare riesumare le spoglie di Filippo Neri, morto nel 1595, inizialmente poste nella tomba comune della Congregazione, per sistemarle in luogo più acconcio. Successivamente protesse sempre l'Oratorio e da molti fu considerato uomo di quel sodalizio.

I suoi primi passi non gli valsero l'assoluta confidenza di Cosimo, né quella del cardinale Ferdinando e, quando morì Pio V, nel 1572, Cosimo I, ora granduca di Toscana, inviò a Roma Bartolomeo Concini, suo primo segretario, e Belisario Vinta. Concini alloggiò presso l'ambasciatore ma, a dire di quest'ultimo, non tenne conto dei suoi suggerimenti. Il Medici non cercò di imporsi, tanto più che sperava, come il granduca, nell'elezione del cardinale Ugo Boncompagni, e utilizzò le proprie conoscenze per coadiuvare gli sforzi di questo.

Dopo l'elezione del Boncompagni (Gregorio XIII) sia Concini sia il cardinale Ferdinando si attribuirono ogni merito. Alessandro de' Medici era rimasto apparentemente in secondo piano, ma si era conquistato un accesso privilegiato al pontefice. Tale condizione gli venne utile quando si aprì la successione alla diocesi pistoiese, dove fu nominato il 9 marzo 1573 con il pieno assenso di Gregorio XIII, ma con l'opposizione del cardinale Ferdinando. Dovette comunque rimanere a Roma e governare tramite Bastiano de' Medici, a cui ordinò di fare applicare rigidamente i decreti tridentini. In ogni caso doveva preoccuparsi di Pistoia per poco: il 27 dic. 1573 Francesco de' Medici scriveva a Gregorio XIII per comunicargli la grave malattia di Antonio Altoviti, arcivescovo di Firenze; due giorni dopo ne annunciava la morte e sottolineava che Cosimo I avrebbe accolto con piacere la nomina del Medici. Il 4 genn. 1574 il cardinale Tolomeo Galli rispose a nome del papa che a Roma tutti erano d'accordo. In realtà il cardinale Ferdinando non era proprio di quest'opinione, ma la volontà granducale trovò riscontro nel rapporto privilegiato tra l'ambasciatore fiorentino e Gregorio XIII e il 15 genn. 1574 il Medici passò a Firenze. Anche in questo caso fu obbligato a restare a Roma e continuò a utilizzare Bastiano de' Medici come vicario.

Il suo governo a distanza, pur apprezzato, non fu esente da polemiche: i suoi uomini entrarono infatti in conflitto con i canonici della cattedrale e con l'ambiente nutrito di ideali savonaroliani. In questo scontro il Medici ebbe l'appoggio pontificio e granducale, nonché quello della Curia generale dei domenicani. Tuttavia il dissidio non si placò.

Nel frattempo il Medici utilizzò la relazione tra il granduca di Toscana Francesco I e Bianca Capello per guadagnarsi la fiducia del primo. Naturalmente ciò aggravò il suo dissenso con il cardinale Ferdinando, il quale mise in giro la voce che l'ambasciatore-arcivescovo non si preoccupava del benessere della propria città, ma mirava soltanto al cardinalato. Nonostante l'opposizione del potente cugino, il Medici ottenne comunque il cappello cardinalizio il 12 dic. 1583.

La promozione favorì anche la sua liberazione dagli impegni romani e il 12 maggio 1584 egli poté finalmente prendere possesso della diocesi. La sua attività si distinse allora per l'impulso riformatore e culminò nel sinodo del 1589, attraverso il quale il Medici cercò di ridisegnare la figura morale del sacerdote e del parroco. Ribadì inoltre l'importanza dell'Indice dei libri proibiti e impose uno strettissimo, ma di fatto spesso disatteso, controllo sulle botteghe librarie.

Il Medici passò il resto degli anni Ottanta nella sua diocesi, dove divenne un punto di riferimento per i nunzi pontifici. D'accordo con il granduca Ferdinando I, succeduto al fratello, rivalutò il passato religioso della città, con la ricognizione delle reliquie dei santi, e contribuì all'introduzione delle Quarantore. Nel 1589 ordinò una visita pastorale che si occupò anche delle pievi e delle parrocchie di campagna, nonché delle confraternite degli ospedali e degli istituti di carità.

Non abbandonò comunque lo scenario romano, tanto che il cardinale Alessandro Peretti, pronipote di Sisto V, lo presentò come papabile nel conclave che nel 1590 elesse Niccolò Sfondrati (Gregorio XIV). Fu riproposto anche nel 1591, quando la ferma opposizione spagnola gli fece preferire Giovanni Antonio Facchinetti (Innocenzo IX). In tale circostanza il Medici decise di appoggiare proprio quest'ultimo, scatenando le ire di Ferdinando I, a cui rispose, piccato, di non essere il suo "schiavo".

Dal 1590 visse di nuovo a Roma e la sua posizione divenne centrale sotto Clemente VIII, che lo ascrisse alla congregazione dei Riti e a quella delle Strade, lo designò protettore della Confraternita della Dottrina cristiana e lo fece partecipare "a tutte le cose di fabbrica e di palazzo e di suore" (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, f. 3766, c. 27). Da Roma comunque premette su Ferdinando I perché appoggiasse la riforma dei monasteri; in cambio agì nuovamente da intermediario fiorentino. Riprese inoltre a interessarsi delle questioni francesi. In particolare chiese al papa di assolvere dalle censure Enrico IV, convertitosi il 25 luglio 1593. Inoltre guidò abilmente il cardinale Jacques Davy Du Perron, venuto a Roma per difendere la causa del suo sovrano. Infine impedì che i gesuiti protestassero troppo veementemente contro il re francese, che non aveva loro concesso di rientrare nel Regno di Francia. Era quindi inevitabile che il pontefice pensasse proprio a lui, quando dovette inviare in Francia un legato affiancato dal nunzio Francesco Gonzaga. Il Medici non fu particolarmente contento per la nomina, ma fece in modo di ottenere in cambio numerosi benefici.

La sua missione aveva fini diplomatici (la pace fra Spagna e Francia per organizzare una crociata contro i Turchi e allontanare la Francia dall'Inghilterra e dall'Olanda) e religiosi (restaurare la religione cattolica e appianare le situazioni irregolari provocate dalle vacanze episcopali). Per raggiungere questo secondo scopo il legato doveva fare ratificare a Enrico IV l'atto d'abiura e ottenere la pubblicazione dei decreti tridentini e il rientro dei gesuiti in Francia. Il Medici ricevette il breve d'istruzione e nomina nel concistoro del 10 maggio. Partì da Roma il giorno seguente con un seguito di oltre duecento persone. Il 16 luglio era a Montlhéry, dove gli venne incontro lo stesso re. Il 21 luglio si rimise in marcia per Parigi, dove entrò solennemente. Nel frattempo scoppiò la polemica sulle sue credenziali, che il Parlamento parigino non voleva accettare per i riferimenti al concilio di Trento. Il Medici fece allora sapere che non avrebbe ratificato clausole restrittive, ma la registrazione e la pubblicazione delle credenziali avvenne con riserva. Comunque il re espresse pubblicamente il suo favore e il 19 ag. 1596 firmò l'atto di riconciliazione con la Chiesa romana.

Il Medici rimase due anni in Francia. Dall'8 dic. 1596 al 2 febbr. 1597 seguì la corte a Rouen; dall'ottobre 1597 al giugno 1598 fu invece in Piccardia, dapprima a Saint-Quentin e poi a Vervins, dove si era spostata la conferenza che doveva portare alla pace omonima. Nelle trattative il Medici, le cui facoltà erano state ampliate nel giugno 1597, si occupò delle questioni di etichetta e di precedenza e mise d'accordo i plenipotenziari spagnoli e francesi. In particolare presiedette senza segni visibili di cedimento i negoziati, che si susseguirono dal 9 febbraio al 2 maggio 1598.

Una volta firmata la pace, il cardinale e gli ambasciatori si attardarono sino alla fine di maggio, quindi il Medici rientrò a tappe a Parigi, dopo aver incontrato il re ad Amiens. L'ingresso a Parigi fu trionfale, ma l'utilità del Medici per Enrico IV era adesso diminuita, tanto più che il sovrano non aveva certo intenzione di accontentarlo sull'applicazione dei decreti tridentini e sul ritorno dei gesuiti in Francia. Inoltre il Medici si era inimicato Gabrielle d'Estrées, che temeva le sue manovre in favore di un matrimonio che unisse la famiglia reale francese e la famiglia de' Medici.

Quando in agosto fu invitato dal re a prendere la via del ritorno, il Medici si affrettò a partire e raggiunse Clemente VIII a Ferrara, dove fu ricevuto in concistoro il 10 nov. 1598. Il pontefice non soltanto lo lodò, ma ne scrisse anche al re di Francia; inoltre lo designò prefetto della congregazione dei Vescovi, carica che il Medici detenne almeno sino al 1600.

Una volta a Roma, egli non abbandonò le trattative francesi e continuò ad adoperarsi perché Enrico IV sposasse Maria de' Medici, figlia del granduca Francesco I. Ottenne quindi lo scioglimento del precedente matrimonio del re e presiedette, il 10 sett. 1599, la congregazione cardinalizia che concesse a Enrico IV di risposarsi. A sottolineare il ruolo del cardinale, nel 1602 i due sposi gli chiesero di battezzare il futuro Luigi XIII, ma egli rifiutò temendo di offendere i congiunti filospagnoli di Clemente VIII.

In effetti l'anziano cardinale voleva capitalizzare la sua influenza romana. Il 30 ag. 1600 era stato designato cardinale vescovo di Albano e il 17 giugno 1602 di Palestrina; intanto si tornò a parlare di lui come papabile, grazie anche agli ottimi rapporti con Alessandro Peretti e Pietro Aldobrandini, nipote del papa regnante. Nel frattempo non abbandonò la cura a distanza della sua diocesi e proseguì a interessarsi della riforma dei monasteri. Inoltre estese il raggio dei suoi interessi a tutta l'amministrazione dello Stato della Chiesa e si occupò, tra il 1601 e il 1604, dell'annoso problema del banditismo.

Il peggioramento della salute di Clemente VIII spingeva intanto le grandi potenze a preparare la futura elezione. Tra il 1604 e il 1605 Enrico IV esortò i suoi cardinali a tenersi uniti in caso di conclave e ad appoggiare il suo "congiunto" Alessandro de' Medici oppure Cesare Baronio. La Spagna invece sperava nel settantanovenne Tolomeo Galli, filospagnolo e facilmente condizionabile.

Alla morte di Clemente VIII, il S. Collegio era composto da sessantanove cardinali, di cui cinquantasei italiani, sei francesi, quattro spagnoli, due tedeschi e uno polacco. Nove non parteciparono al conclave, aperto il 14 marzo 1605, e i restanti erano divisi in numerosi partiti: in primo luogo i due gruppi contrapposti formati dai nove cardinali di Sisto V e dai trentotto di Clemente VIII, quindi il gruppetto dei sette cardinali di Pio IV e Gregorio XIII e i cinque di Gregorio XIV. Gli uomini del cardinale Peretti si avvicinarono agli spagnoli e Aldobrandini portò i suoi a fianco dei francesi. Quest'alleanza sosteneva il Medici, ma era aperta, su richiesta di Aldobrandini, anche alla possibilità di portare altri. Nel conclave si discussero ben ventuno papabili, più di un terzo dei presenti, ma i veri candidati furono soltanto il Medici e Baronio. Gli spagnoli li avversavano entrambi, ma odiavano soprattutto il secondo. Infine Peretti fece convergere i suoi voti sul Medici, tra il 1° e il 2 aprile, e questi ascese al soglio con il nome di Leone XI.

Il nuovo papa nominò segretario di Stato il pronipote Roberto Ubaldini, chiamato tra i suoi familiari al ritorno dalla Francia; maestro di Camera Pietro Giacomo Cima; tesoriere l'abate fiorentino Luigi Capponi; segretario dei brevi il fiorentino Pietro Strozzi; a capo della Consulta Pietro Aldobrandini, penitenziere Cinzio Aldobrandini e datario il cardinale Pompeo Arrigoni. Complessivamente favorì i concittadini, ma non i familiari, ai quali impedì persino di presenziare alla presa di possesso il 17 aprile.

Una delle prime e delle poche questioni di cui si occupò durante i ventisette giorni del suo pontificato fu l'appoggio degli Imperiali in Ungheria contro i Turchi. Al proposito si dichiarò, per il tramite del cardinale Ludovico Madruzzo, pronto a portare soccorso, anche se le casse della Santa Sede erano esauste. Inoltre, conformemente alla capitolazione elettorale, convocò una congregazione cardinalizia per riformare il conclave: voleva infatti abolire l'uso di eleggere il pontefice mediante l'adorazione pubblica, sostituendola con la votazione segreta. La notizia sorprese i testimoni, soprattutto francesi, che vi videro un modo per liberare il partito aldobrandiniano dal controllo del suo capo, ma anche per rimettere in gioco gli Spagnoli. Altre sorprese attendevano i Francesi: L. XI non si considerava infatti creatura di Enrico IV e comunicò al marchese di Villena, ambasciatore spagnolo, che il re di Spagna avrebbe trovato nel pontefice un vero amico.

Il suo pontificato fu comunque troppo breve per giudicare quale sarebbe potuto essere il suo corso. Risaltano nel suo brevissimo regno i festeggiamenti, che ebbero luogo a Roma e Firenze. A Roma in particolare L. XI mosse verso S. Giovanni in Laterano il pomeriggio del 17 apr. 1605, scortato da sessanta nobili romani e quaranta fiorentini. Nella piazza dopo ponte S. Angelo trovò l'arco trionfale eretto dalla comunità fiorentina. Proprio durante la presa di possesso si infreddolì e si ammalò gravemente. Persino sul letto di morte fu incalzato perché concedesse la porpora al nipote Ottaviano de' Medici, ma rifiutò e sostituì addirittura il proprio confessore, che aveva caldeggiato la candidatura.

L. XI morì a Roma il 27 apr. 1605. La sua scomparsa provocò molto cordoglio a Roma, a Firenze e in Francia. Le spoglie furono tumulate in S. Pietro, dove Roberto Ubaldini, divenuto cardinale sotto Paolo V, commissionò ad Alessandro Algardi un monumento funebre nella navata sinistra, che fu terminato alla metà del Seicento.

Fu ricordato come esempio di carriera percorsa salendo scalino dopo scalino e rispettando, allo stesso tempo, i propri principî e il Collegio dei cardinali (Narrativa delle azioni memorabili di papa L. XI, in Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 10420, cc. 55-70). Nella generale approvazione giocò anche la naturale modestia del personaggio, che seppe mantenersi distaccato dagli onori ricevuti: il 14 marzo 1573 a Pietro Vasari e il 25 genn. 1574 a Giorgio Vasari scriveva ringraziandoli per essersi felicitati della nomina a vescovo di Pistoia e poi ad arcivescovo di Firenze, ma sottolineava che tra amici non riteneva utile perdersi in complimenti. L'unico terreno in cui rinunciò a una condotta modesta fu quello artistico. Appena arrivato a Roma funse da acquirente di opere d'arte per la famiglia granducale: divenne così un collezionista accanito, e appena cinque anni dopo possedeva una pregiata raccolta di statue. Commissionò inoltre lavori per le chiese di S. Maria in Trastevere, S. Martino ai Monti, Ss. Quirico e Giulitta (restauri esterni e interni), S. Prassede (I misteri della Passione nella navata grande), S. Agnese fuori le Mura. A Firenze fece rinnovare il palazzo episcopale nel 1574 e restaurare il duomo nel 1582-83.

Fonti e Bibl.: L. von Pastor, Storia dei papi, IX-XII, Roma 1929-30, ad indices; A.E. Imhof, Der Friede von Vervins, 1598, Aarau 1968; A. Blunt, Three paintings for the "appartment" of Marie de Medicis in the Louvre, in Burlington Magazine, CXII (1970), pp. 166-169; H.F. Senie, The tomb of Leo XI by Alessandro Algardi, in The Art Bulletin, LX (1978), pp. 90-95; B. Barbiche - S. de Dainville Barbiche, Les légats a latere en France et leurs facultés aux XVIe et XVIIe siècles, in Archivum historiae pontificiae, XXIII (1985), pp. 93-165; J. Lionnet, Another musical coat of arms, in Early Music, XV (1987), pp. 520 s.; B. Barbiche - S. de Dainville Barbiche, Un évêque italien de la réforme catholique légat en France sous Henri IV: le cardinal de Florence (1596-1598), in Revue d'histoire de l'Église de France, LXXV (1989), pp. 45-59; P. Barocchi - G. Gaeta Bertelà, Collezionismo mediceo. Cosimo I, Francesco I e il cardinale Ferdinando, Modena 1993; B. Barbiche, Clément VIII et la France (1592-1605). Principes et réalités dans les instructions générales et les correspondances diplomatiques du Saint-Siège, in Das Papsttum, die Christenheit und die Staaten Europas 1592-1605, a cura di G. Lutz, Tübingen 1994, pp. 99-118; Id., Un légat en voyage: le cardinal de Florence (1596-1598), in Milieux naturels, espaces sociaux. Études offertes à Robert Delort, Paris 1997, pp. 605-620; Id., Le grand artisan du traité de Vervins: Alexandre de Médicis, cardinal de Florence, légat "a latere", in La paix de Vervins 1598, a cura di C. Vidal - F. Pilleboue, Vervins 1998, pp. 65-72; Enc. dei papi, III, pp. 276 s. (per più ampie indicazioni archivistiche e bibliografiche).

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