LODRONE, Paride

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 65 (2005)

LODRONE (Lodron), Paride

Vittorio Mandelli

Nacque nel palazzo di famiglia a Castelnuovo di Noarna di Nogaredo, nel Trentino, il 13 febbr. 1586, primogenito di Nicolò di Paride, appartenente al ramo di Castellano e Castelnuovo (Perini, p. 88), e Dorothea di Christoph barone di Welsperg (1560-1615).

Il padre (Nogaredo 1549 - ibid. 10 nov. 1621), del quale rimane un doppio ritratto con la moglie (1629), opera a olio su rame di Donato Mascagni, commissionato dal L. per il deposito funebre nella chiesa di S. Maria Assunta in Villa Lagarina (Trento), fu un militare di carriera. Prese parte, per gli Asburgo, a campagne in Ungheria, Italia e Portogallo. Secondo De Festi (p. 54), ebbe gli incarichi di prefetto di palazzo dell'imperatore Rodolfo II e di consigliere segreto e gran scudiero dell'arciduca Leopoldo. Capitano generale delle milizie del Tirolo, si risposò (14 giugno 1620) con Johanna di Sigismund barone di Wolkenstein (1594-1657), un mese dopo (14 maggio 1620) essere stato incaricato di dirimere, per parte imperiale, con il provveditore oltre il Mincio A. Paruta, una questione di confini tra la Serenissima e Folgaria. Accasò tutte le figlie: Barbara (nata il 18 marzo 1587) con Vespasiano di Liechtenstein di Castelcorno; Eleonora (nata il 28 ag. 1589) con Pier Luigi Lodrone di Castel Romano; Beatrice con Francesco von Spaur e, in seconde nozze, con Jacopo barone di Welsperg. La precoce vocazione religiosa del L. costrinse Nicolò a passare al figlio minore Cristoforo (13 luglio 1588 - 30 nov. 1660), parimenti militare di carriera, diritti e obblighi del primogenito. Da Catharina von Spaur Cristoforo ebbe sette figli; con la nipote Caterina di Paride, moglie del nobile veneziano Giovanni Paolo Giovanelli (30 ag. 1688), si estinse il ramo.

Il L. intraprese gli studi ecclesiastici, di cui le fonti ricordano, dopo gli esordi a Trento (1597), un periodo trascorso a Bologna. Vi sono documenti certi solo per la fase finale del suo cursus studiorum, conclusosi all'Università di Ingolstadt con la tesi, a stampa, Disputatio philosophica de varietate scientiarum et artium… (s.l. 1604), discussa con il gesuita Paul Laymann, allora preside. Alla scelta della prestigiosa università bavarese non furono estranee le strategie del cugino paterno Antonio di Agostino, canonico di Passavia (1562) nonché del duomo di Salisburgo (1559), il quale, divenutone prevosto, nominò nel posto vacante il L. (1606).

Troppo giovane per occuparsi di tale carica - per di più non era ancora stato ordinato sacerdote - per contro, ben provvisto di protezioni, ebbe tempo di collezionare numerose prebende. La prima gli fu offerta quando fu chiamato a sostituire, come canonico di Trento, un cugino, Alfonso di Gaspare, tornato alla vita secolare per sposarsi (1608). Poi ottenne la prepositura di Maria Saal in Carinzia (23 maggio 1611) e il canonicato di Ratisbona. Nel 1612 andò a Roma. Qui coadiuvò il vescovo di Pola, Uberto Testa, mediatore nelle trattative per il caso dell'arcivescovo di Salisburgo, Wolf Dietrich von Raitenau, parente del L. per parte di madre, imprigionato dal successore, Markus Sittikus von Hohenems: imbarazzante situazione, dal momento che il Dietrich, in conseguenza della sconfitta nella "guerra del sale" con la Baviera nel 1611, fu imprigionato (e deposto da parte del capitolo) fino alla morte (16 genn. 1617). La frequentazione della Curia romana gli facilitò la concessione di un breve di papa Paolo V (27 nov. 1612), che gli assegnò, stante la nuova rinuncia a suo favore di Antonio di Agostino, la sopra citata pieve di S. Maria Assunta di Villa Lagarina, poi retta da vicari, ma dal L. sempre generosamente dotata. Tornò a Salisburgo insieme con il fratello Cristoforo: portò il pallio romano, simbolo della conferma papale, all'arcivescovo M. Sittikus von Hohenems, del quale, dopo aver preso gli ordini maggiori (marzo 1614), divenne consigliere. Morto Antonio Lodrone (10 dic. 1615), fu la protezione di Hohenems, a dare al L. la prepositura di Salisburgo (gennaio 1616), in luogo del candidato eletto dal capitolo, il vescovo di Chiemsee Ehrenfried von Künburg, presto convinto a rinunciare. Le non celate accuse di "doppiezza italiana" (Heinisch, p. 69) - ai canonici non era sfuggito l'accumulo di cariche - si spensero alla luce dei risultati del suo operato. Presidente della Camera di corte (18 marzo 1616), fu il responsabile di economia e finanze dell'arcivescovado. Riordinò la gestione delle miniere, in primo luogo quelle del sale, la fonte più cospicua delle entrate, riscattandole dai privati, portandole sotto controllo erariale e alle dirette dipendenze della Camera. In politica estera mostrò di sapersi pragmaticamente destreggiare, ponendo le basi di quel principio di equidistanza dall'Impero e dal Ducato di Baviera, suoi potenti vicini, principio osservato con coerenza e successo durante tutta la guerra dei Trent'anni. Gli fu delegata la costruzione del nuovo duomo, avviata da W. Dietrich; fu l'inizio di un duraturo e felice sodalizio con l'architetto Santino Solari: con la sua collaborazione il L. lasciò una forte impronta non solo in campo architettonico, ma anche in quello urbanistico e militare, rinnovando Salisburgo e aggiornandone le strutture difensive.

Morto Hohenems (9 ott. 1619), non giunse inaspettata, in tempi difficili, la nomina del L. alla cattedra arcivescovile salisburghese (13 nov. 1619, ma il pallio arrivò il 3 marzo 1621). La guerra - era passato poco più di un anno dalla "defenestrazione di Praga" (23 maggio 1618) - fece sentire le sue esigenze con pressanti richieste, da parte dell'Impero, di finanziamenti e truppe. Convocando gli Stati della provincia di Salisburgo, organo legislativo rappresentante le diverse classi sociali, per la prima volta dopo ventotto anni (1° giugno 1620), il L. si guadagnò il consenso, non solo politico, per avviare il programma di risanamento di un oneroso debito pregresso e, contestualmente, per reperire i fondi necessari alla difesa dello Stato. A fronte di dazi e imposte, impopolari ma redditizie, che colpivano le classi più basse, come quelle sulla birra e sull'idromele, venne sancito l'obbligo alla contribuzione di mercanti, cavalieri e canonici, incluso l'arcivescovo stesso che esibì 30.000 fiorini. Furono placate le insistenze della Lega cattolica - Salisburgo non ne aveva sottoscritto il patto (Monaco di Baviera, 10 luglio 1609) - nonché le forti e interessate pressioni di Massimiliano Wittelsbach di Baviera, miranti al controllo dell'arcivescovado, con l'invio di un contingente di soldati salisburghesi in Engadina (settembre 1620) e di un secondo, messo direttamente a disposizione dei Bavaresi. Qualche mese dopo, sottoscrivendo l'accordo monetario di Füssen (20 luglio 1621) con Impero, Baviera, Augusta e Ratisbona, rinnovato nell'aprile 1623, il L. mise fuori corso le monete di basso titolo, causa principale della forte inflazione in corso, dando forza al risanamento finanziario (Heinisch, p. 156). In materia di religione, pur appoggiando la causa cattolica, tenne verso i sudditi di confessione riformata un comportamento che, in relazione ai tempi, era pragmatico e tollerante, e comunque lontano dagli eccessi che si ebbero nella maggior parte dell'Impero. La necessità di sostenere tale posizione, criticabile in campo dottrinale, fu uno dei motivi che lo spinsero a rinnovare la richiesta, avanzata senza fortuna dai suoi predecessori, di aprire un'università a Salisburgo (8 ott. 1622, ma l'autorizzazione papale giunse il 15 dic. 1625). Affidatosi, per la selezione del corpo docente, a una confederazione di monasteri benedettini circonvicini, fece dell'Alma Mater Salisburgensis quasi l'alternativa all'Università di Ingolstadt (dal 1548 retta dai gesuiti), ossia al più importante punto di riferimento della politica culturale dell'imperatore Ferdinando II. Sceso in guerra Cristiano IV re di Danimarca (1626), si resero più gravi i dissensi con Massimiliano di Baviera e l'Impero per gli aiuti, in denaro e uomini, dovuti dai Salisburghesi.

Egli dovette, in primo luogo, affrontare una ribellione di contadini nell'Alta Austria. Gli insorti, guidati da Stephan Fadinger, erano arrivati alle porte di Linz; il L. fu così costretto a mobilitare truppe per garantire la sicurezza del suo stesso Stato. Quindi affrontò la richiesta di truppe da parte dell'Impero, ma ne promise (23 giugno 1626), più che inviarne: quelle mobilitate non furono neppure sufficienti a reprimere la sommossa, sedata peraltro dagli Imperiali (ottobre 1626).

Di fronte a tali difficili congiunture, il L. decise di dare segnali forti. Venne consacrato con sfarzo il nuovo duomo e furono opportunamente ritrovate le reliquie del protettore s. Ruperto (22 sett. 1627), alla presenza di Massimiliano di Baviera e dei principi elettori (25 sett. 1628). Poco dopo (maggio 1629), a S. Ruperto venne dedicata la nuova cappella - costata ben 75.000 talleri e opera degli stessi artefici del duomo, S. Solari e D. Mascagni - nella chiesa di S. Maria Assunta in Villa Lagarina. Egli legò, così, in un programma iconografico di grande respiro le origini della sua famiglia e le politiche di arcivescovo.

Difficile, a questo proposito, tracciare una linea tra nepotismo e senso dello Stato nelle scelte del L., che istituì una primogenitura piuttosto ricca (26 ag. 1637), per il nipote Francesco Nicolò di Cristoforo, e impose la nomina di suoi parenti a un episcopato importante come quello di Gurk, in Carinzia, andato prima a Sebastiano di Girolamo Lodrone (15 febbr. 1630) e poi al fratello di questo, Francesco (30 sett. 1643). E, d'altra parte, proprio dal suo patrimonio personale vennero i fondi per strutture universitarie, quali il Collegium Marianum e il Rupertinum, o religiose come la collegiata di S. Maria ad Nives, che portò al duomo ben 150.000 fiorini del Reno (Perini, p. 90).

La discesa in Germania dell'esercito di re Gustavo Adolfo II di Svezia (4 luglio 1630) causò un ulteriore inasprimento degli oneri militari e finanziari, che toccarono il picco più alto al tempo dell'occupazione svedese di Monaco di Baviera (17 maggio 1632) e della successiva peste (1634-36). Il L. seppe volgere tali difficoltà in una opportunità: impiegò parte delle truppe ancora acquartierate - sfruttando la diffusa credenza che l'aria malsana causasse il sorgere del morbo - per bonificare la zona paludosa di Schall e Itzling, rendendola disponibile per l'ampliamento della città. La vittoria delle armate cattoliche sulle svedesi a Nördlingen (6 sett. 1634) e la seguente pace di Praga (30 maggio 1635) non alleggerirono la crisi. La cifra dovuta all'imperatore Ferdinando III, succeduto al padre nel 1637 e coerente con lui nelle richieste di danaro, raggiungeva il considerabile ammontare di 428.720 fiorini (Heinisch, p. 274) ed era resa più pesante dal fatto che non si riusciva a riscuotere i proventi delle vendite di sale, in primo luogo dalla Baviera. Era una situazione assai complessa, non risolta neanche alla conclusione della Dieta di Ratisbona (10 ott. 1641) dove, a complicare le cose, i delegati mandati dal L. erano, in tema di religione, tra i cattolici moderati più concilianti verso i riformati. L'aperto intervento in guerra della Francia di Mazzarino e di Luigi XIV accanto alla Svezia, nonché la sconfitta degli Imperiali a Jankau (6 marzo 1645) minacciarono ancora una volta direttamente l'arcivescovado. Tuttavia, più che difendersi da un attacco che non arrivò, si dovette affrontare una nuova ribellione contadina tra le montagne dello Zillertal, ossia dentro gli stessi confini salisburghesi, scoppiata proprio per il peso eccessivo della tassazione (23 maggio 1645). Il L. rimosse funzionari corrotti o troppo invisi ai contadini, e, facendo leva sul timore della diffusione di simili sommosse negli Stati confinanti, chiese subito, e con forza, alla Baviera di saldare i debiti (24 maggio 1645). Questione annosa, alla fine risolta non tanto dalla pace di Vestfalia (24 ott. 1648) - il L. come arcivescovo e metropolita non poteva sottoscriverne i trattati, dovendo allinearsi al giudizio negativo di papa Innocenzo X e del nunzio Fabio Chigi - quanto dalla Dieta distrettuale di Wasserburg (1649). L'accordo sottoscritto gli consentiva di rendere contestuale il pagamento di 300.000 fiorini, concordati quale una tantum con l'Impero, con i pagamenti dovuti dalla Baviera. Il trentennio di guerre, coincidente con l'arcivescovado salisburghese, si concludeva quindi con il successo delle sue strategie diplomatiche: l'arcivescovado non fu mai direttamente coinvolto nelle operazioni militari, e nemmeno sostenne le spese e i danni, sempre grandi, dei tanto temuti acquartieramenti delle truppe imperiali. Le finanze, alle quali si era chiesto molto, si ripresero presto, tanto da consentire al L. di istituire una secondogenitura (29 ag. 1653), altrettanto ricca della primogenitura, per l'altro nipote, Paride di Cristoforo (1636 - 17 ott. 1703). Ugualmente consistenti furono i lasciti testamentari (23 ag. 1652): tra l'altro, dal suo patrimonio personale, vennero condonati debiti alla Provincia per ben 100.000 fiorini.

Il L. morì a Salisburgo il 15 dic. 1653. È sepolto nel duomo, nel monumento funebre erettogli dal successore, Guidobald von Thun und Hohenstein.

Fonti e Bibl.: Klagenfurt, Kärnten Landesarchiv, Archiv Lodron, Urk. (B) 344 (testamento del L.); Arch. di Stato di Venezia, Senato, Dispacci Germania, ff. 64, c. 21v; 74, cc. 3r, 507r; 83, c. 23v; Leo Lateranus… gentis Lodroniae aeternum decus Paridi Laterano principi atque archiepiscopo Salisburgensi…, Salisburgi 1621; B. Corsetti, Lodronii Leonis vetustatis ac virtutis inclytae monimenta, Brixiae 1683, p. 44; F.V. Zillner, Paris Graf von Lodron, in Allgemeine Deutsche Biographie, XIX, Berlin 1878, pp. 80-83; C. De Festi, Genealogia e cenni storici, cronologici e critici della nobil casa Lodrone del Trentino…, in Giorn. araldico italiano, XXI (1893), pp. 45, 47-50, 54, tav. II, n. 52; G. Giordani, Il conte P. L. arcivescovo di Salisburgo e la chiesa di Villa Lagarina, Rovereto 1908; Q. Perini, La famiglia Lodron di Castelnuovo e Castellano, in Atti della I.R. Accademia degli Agiati in Rovereto, s. 3, XV (1909), pp. 88-93; P. Guerrini, Per la storia dei conti di Lodrone…, ibid., pp. 313-336; G. Papaleoni, Studi lodroniani, in Arch. stor. italiano, s. 5, 1911, t. 47, p. 417; K.J. Grauer, Paris Lodron, Erzbischof von Salzburg. Ein Staatsmann des Friedens, Salzburg 1953; Il principe e l'architetto. L'attività di Santino Solari (1576-1646) al servizio di P. Lodron, a cura di R. Adami, Pomarolo 1993; G. Papaleoni, Tutte le opere, III, I Lodron, a cura di G. Poletti, Storo 1994, ad nomen; R.R. Heinisch, P. Lodron principe e arcivescovo di Salisburgo (1991), Rovereto 1998; W. Lippmann, Der Salzburger Dom 1598-1630. Unter besonderer Berücksichtigung der Auftraggeber und des kulturgeschichtlichen Umfeldes, Weimar 1999, ad nomen; Sulle tracce dei Lodron. Gli eventi, gli uomini, i segni (catal.), Trento 1999, a cura di B. Mosca, ad nomen; I Lodron a Villa Lagarina, a cura di E. Chini - D. Primerano, Rovereto 2003, passim; Erzbischof Paris Lodron (1619-1653). Staatsmann zwischen Krieg und Frieden… 2003 (catal.), a cura di P. Keller et al., Salzburg 2003; Biographisches Lexikon des Kaiserthums Österreich, XV, pp. 378-380; Inventari dei manoscritti delle biblioteche d'Italia, LXVII, p. 144; Hierarchia catholica, IV, p. 302.

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