Parma

Enciclopedia Dantesca (1970)

Parma

Giorgio Baruffini
Pier Vincenzo Mengaldo

Città dell'Emilia, situata in un'importante posizione strategica, che consentiva i collegamenti tra la Lunigiana, via obbligata per Pisa e il meridione, e la signoria di Ezzelino da Romano, P. aveva costituito uno dei punti di forza nella politica padana dell'imperatore Federico II fino all'estate del 1247, quando un improvviso colpo di mano dei fuorusciti guelfi sottrasse la città al controllo imperiale. Ne derivò un lungo assedio, condotto dallo stesso Federico II, che, certo del successo e già preannunciando l'esemplare distruzione della città ribelle, poteva addirittura iniziare la costruzione di un nuovo borgo dall'altisonante nome di Vittoria. Una repentina sortita degli assediati, forse avvertiti che l'imperatore si trovava a caccia, pose però fine all'assedio con la dispersione degl'imperiali e il sacco di Vittoria, dove il tesoro della corona fu preda degli assalitori (18 febbraio 1248). Il fatto fece enorme scalpore, e se ne legge un'eco nel tentativo di D. di ricondurre alla disperazione per la mancanza di cibo il successo dei Parmensi (malesuada fame urgente murmurantes invicem " prius moriamur et in media arma ruamus "), i quali inoltre ibi sunt de dolore dolorem memorabiliter consecuti (Ep VI 19): probabile allusione alla sconfitta, di assai minor portata, che i medesimi subirono due anni dopo per opera dei Cremonesi.

È questo l'unico avvenimento della storia di P. che trovi spazio nell'opera di Dante. Dei personaggi danteschi che in qualche modo ebbero a che fare con la città - Asdente, lo calzolaio da Parma (Cv IV XVI 6, If XX 118-120), Adriano V (Pg XIX 88-145) che fu arcidiacono della cattedrale, e Bonifacio Fieschi (probabilmente parmense di nascita) che pasturò col rocco molte genti (Pg XXIV 28-30) - nessuno è ricordato esplicitamente in rapporto a Parma.

Forse per la limitata attenzione prestata da D. alla storia cittadina, P. non fu mai un vero centro di culto dantesco. Si hanno notizie di opere del poeta nelle biblioteche parmensi del sec. XV, ed era originario di P. quel Matteo Codecà (o Capcasa) che stampava a Venezia la Commedia col commento del Landino (1491); ma è significativo che le prime e uniche edizioni del poema impresse a P. siano quelle del Bodoni (1795 ss.).

Un certo rilievo ha invece P. nel campo dell'iconografia dantesca. Sorvolando sulla tesi, assai poco credibile, secondo cui avrebbe tratto ispirazione da Pd XXIII il Correggio nell'affrescare la cupola del duomo, un inventario del 1630 ricorda un ritratto di D. dipinto da G. Bedoli Mazzola, che è forse quello custodito attualmente nella biblioteca Palatina, nella quale si trova anche la ‛ sala dantesca ', ornata di pregevoli freschi neoclassici dello Scaramuzza; buone illustrazioni dantesche espose A. Foà alla mostra romana del 1921; più recenti quelle del Nattini, che riscossero buon successo di pubblico.

Nel fondo parmense della biblioteca Palatina sono conservati quattro manoscritti trecenteschi e due quattrocenteschi della Commedia; sempre nella Palatina si custodiscono nove incunaboli del poema e uno del Convivio.

Bibl. - Fonti fondamentali: Salimbene de Adam, Cronica, a c. di G. Scalia, Bari 1966, passim; Chronicon Parmense, a c. di G. Bonazzi, in Rer. Ital. Script.² IX 9, Città di Castello 1902-1904. Saranno da tenere presenti inoltre le numerose cronache municipali delle città limitrofe.

Ancor oggi fondamentale: I. Affó, Storia della città di P., Parma 1792-95 (nuova ediz. 1956-57) III-IV; ma v. anche B. Angeli, Historia della città di P., ibid. 1591 (nuova ediz., Bologna 1969), 121-133; F. Bernini, Storia di P., Parma 1954, 51-76. Su D. e P.: N. Pelicelli, D. (Gli Aldighieri di P. Antonio Pelacani. Bartolomeo da P. Asdente. L'arcivescovo Bonifazio), Parma 1921; G. Copertini, Un ritratto sconosciuto di D. dipinto da G. Mazzola-Bedoli, in " Aurea Parma " VII (1923) 365-368; L. de Giorgi, Elementi parmensi nel poema dantesco, ibid., XIV (1930) 28-32, 61-69; M. Kai Nörregaard, Correggio e D., ibid., XV (1931) 47-54; L. de Giorgi, Correggio e D., ibid. 115-121; F. Bernini, Come D. giudicò P.? Male, ibid., XX (1936) 191-197; G. Forlini, G. Taverna studioso di D., in " Arch. Stor. Parmense " s. 4, XVI (1964) 153-158.

Lingua. - Il dialetto parmigiano è citato in VE I XV 4 tra le parlate della ‛ Lombardia ' riprovevoli per chioccia asprezza o ‛ garrulitas ', e pertanto incapaci di produrre poeti aulici, poiché i nativi propriae garrulitati assuefacti nullo modo possunt ad vulgare aulicum sine quadam acerbitate venire. Anzi il giudizio negativo è più marcato nei confronti del parmigiano che degli altri vernacoli (ferrarese, modenese, reggiano), pure appartenenti all'Emilia, che D. nomina nello stesso contesto: Quod multo magis de Parmensibus est putandum, qui ‛ monto ' pro " multo " dicunt.

Il particolare linguistico incriminato da D. non è per la verità troppo specifico di P. (dove lo segnala già il Vocabolario parmigiano-italiano di C. Malaspina, Parma 1856-59), poiché è noto anche dal genovese antico (cfr. G. Flechia, in " Arch. Glott. Ital. " VIII [1882-85] 370), oltre che essere genericamente diffuso un po' in tutta l'Emilia (v. G. Flechia, ibid. II [1876] 340; Sprach und Sachatlas Italiens und der Südschweiz I 65, IV 703-704, V 988, VI 1105, VII 1248-1249: mon(t)ben/mondben, dimondi, ecc.), spingendosi fino alla zona di Rovigo (cfr. Rohlfs, Grammatica § 245). E si tratta comunque di un fenomeno di nasalizzazione di l in nesso con altra consonante (specie dentale) abbastanza atipico, e presente già, come osserva il Rohlfs (loc. cit.) in un " muntu " delle iscrizioni pompeiane.

Bibl. - Marigo, De vulg. Eloq. 128.

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