Parola

Enciclopedia Dantesca (1970)

parola

Domenico Consoli

Ciascuno degli elementi lessicali di cui è composto il discorso. Solo due volte ha valore di " vocabolo singolo ": in tale accezione è al singolare, preceduto da ‛ ultima ', e all'interno di modi idiomatici che alludono alla fine di un discorso: Sì tosto come l'ultima parola / la benedetta fiamma per dir tolse (Pd XII 1); Né venni prima a l'ultima parola... (XXI 79); in Vn XII 4 alcuna parola, con valore di plurale.

Normalmente al plurale, come insieme di vocaboli che hanno senso compiuto e formano " discorso ".

L'interesse di D. per il linguaggio si estende a qualche spunto teorico sulla natura e la funzione della parola. Premesso che il parlare è facoltà esclusiva dell'uomo in quanto essere razionale, differenziato in singoli individui per modi propri d'intendere e giudicare, la p. si configura come suono vocale che accoglie le conceptiones dell'animo e ne permette la comunicazione agli altri: è cioè, secondo la definizione del Nardi (D. e la cultura medievale, Bari 1949², 165) " sintesi viva del concetto col segno sensibile ", centro di valore spirituale: Oportuit ergo genus humanum ad comunicandas inter se conceptiones suas aliquod rionale signum et sensuale habere... sensuale quid est, in quantum sonus est; rationale vero, in quantum aliquid significare videtur ad placitum (VE I III 2-3; cfr. Arist. Interpret. 2, 16a 19-20; Alb. Magno Periherm. I, tr. 2, c. 1; Tomm. Sum. theol. I 107 ad 1, II II 85 1; Isidoro Etym. I IX 1 " Sunt autem verba mentis signa, quibus homines cogitationes suas invicem loquendo demonstrant ": per altre precisazioni v. la voce LINGUA).

Com'è comprensibile il termine, nelle frequentissime occorrenze dantesche, assume toni e gradi espressivi assai vari, spesso definiti da qualifiche attributive.

Si vedano questi esempi: ne le sue parole dicea molte cose, le quali io non intendea se non poche (Vn III 3); pensando a le sue parole, mi pareo che m'avesse parlato molto oscuramente (XII 5); se 'l parladore è mal disposto, più volte sono le sue parole dannose (Cv IV II 8); rispondere si vorrebbe non con le parole, ma col coltello (XIV 11); laide parole (XXV 9); parole conte (Rime CXIII 13, e v. If X 39); parole di dolore (If III 26); parole maladette (VIII 95); parole sante (IX 105 e Pd XXXII 3); parole grame (If XXVII 15); le sue parole parver ebbre (XXVII 99); parole sciolte (XXVIII 1); corte parole (Pg IV 121); parole biece (Pd VI 136); parole gravi (XVII 23); chiare parole (XVII 34); sorrise parolette brevi (I 95: si noti il diminutivo); parole umili e piane (Fiore CIII 10). Sullo stesso piano Rime LXXXIII 121, CIV 19 Dolesi l'una con parole molto (dove sembra prevalente la connotazione di " lamenti "), Rime dubbie XVI 22; Vn II 10, III 2, XII 7 (seconda occorrenza), XIV 14 (tre volte), XVIII 8, XXII 3 (la seconda occorrenza), XXVIII 11, XXIV 3 e 6, XXVI 1 e 4 (seconda occorrenza). XXVIII 1 lo cui nome [di Maria] fue in grandissima reverenzia ne le parole di questa Beatrice beata (qui piuttosto " preghiere "), XXVIII 3, XXX 2 (due volte), XXXII 2, XXXIX 10 14; Cv I II 7 le parole sono fatte per mostrare quello che non si sa; II VI 4, VII 1, IX 8, X 3, XI 6 (due volte), III I 13, VI 1, VIII 2 (due volte), X 6, IV IV 5, VI 5 le sue parole [di Aristotele] sono somma e altissima autoritade (normale in questi casi il valore di " dottrina ", " insegnamento "); XII 7, XVI 1, XXIV 15, XXV 9; If II 135 e 137, III 10, IX 12, X 64, XI 79, XIII 44, XIV 91, XVI 72, XIX 123, XXV 1, XXXIII 129, XXX 129, XXXIII 7; Pg I 50, IV 49, VII 124, IX 145, XI 46, XIII 65, XIV 72, XV 42, XVI 45, XVIII 40 e 112, XIX 90, XX 28, XXI 81, 103 e 129, XXII 25, XXIV 102, XXV 34, XXVI 109, XXIX 2, XXX 102, XXXIII 53 e 101; Pd IV 88, VI 18, VII 23, IX 83, X 58, XI 52 e 133, XIII 90, XVI 12, XX 29 e 148, XXI 103, XXV 99 e 117, XXVII 37, XXVIII 88, XXIX 68, XXX 56; Fiore CXCV 6.

Assai spesso, in unione col verbo ‛ dire ' (‛ dir p. ' ponendosi come generico equivalente di " parlare "), dà luogo a formule di passaggio (e di raccordo) fra una parte e l'altra della narrazione, specie nella Vita Nuova: tremando disse queste parole (Vn II 4); mi disse questa donna... queste parole (XVIII 6); E poi che m'ebbe dette queste parole (XVIII 3).

Così in Rime dubbie XXIX 2, Rime CVI 4; Vn II 5 e 6, III 5, IX 5 e 7, XII 3, 4, 5 (due volte) e 9, XIII 1, XIV 8, XVIII 3, 4 e 7, XXII 3 (la prima occorrenza), XXIII 11 (la prima occorrenza) e 14, XXIV 5, XXXIV 5, XL 4 e 10 13; Cv II II 6, VII 11, IX 2; If XVI 56. Espressioni affini: ‛ ragionar p. ' (Vn IX 6, XXII 5); ‛ usar p. ' (If XIX 103, Pg XXVII 119); ‛ porger p. ' (If XVII 88 tal divenn'io a le parole porte); ‛ far p. ' (II 111, Pd XI 52); ‛ porre p. ' (Cv IV Le dolci rime 88, If V 108); ‛ formar p. ' (If XXIV 66 Una voce uscì de l'altro fosso, / a parole formar disconvenevole: inadatta ad articolare le p., a parlare distintamente); ‛ muover p. ', nel senso di " entrare in discorso " (Rime dubbie VII 9); ‛ toccar p. ' (Cv II XII 3 trattando de l'Amistade, [Cicerone] avea toccate parole de la consolazione di Lelio: " aveva parlato ", " si era occupato "); ‛ appulcrar p. ' (If VII 60: " cercar belle parole " per illustrare un concetto).

Altro verbo con il quale più volte si congiunge è ‛ udire '; ‛ udir le p. ' di qualcuno vale ovviamente " ascoltare " quanto qualcuno dice: mi parea udire le loro parole (Vn XVIII 5); S'io son d'udir le tue parole degno (Pg VII 20); anche in Vn XX 1 (l'udite parole), XXIII 7 (ma qui regge: le parole del... canto); Fiore CLXXVI 10 (simili le occorrenze di Vn XXIII 17 5 ascoltando le parole vane, e If III 102 ratto che 'nteser le parole crude); ‛ udir p. ' ha significato più indistinto: parmi udir parole / dicer: " Vie via vedrai morir costui! " (Rime CXVI 41); in parte ove s'udiano parole de la regina de la gloria (Vn V 1); udio parole di lei e di me in questo modo che detto è (XXII 7: " udii parlare ", con riferimento a precise e già citate p.).

Al singolare può assumere lo stesso significato complessivo di " discorso " (cfr. Cino Deh, non mi domandar 2): S'i' ho ben la parola tua intesa (If II 43); io traeva la parola tronca [il discorso reticente di Virgilio] / forse a peggior sentenzia che non tenne (IX 14); Maömetto mi disse esta parola (XXVIII 62: con riferimento ai vv. 55-60); E perché meno ammiri la parola (Pg XXV 76: ciò che Stazio ha detto sulla generazione dell'uomo); sovra mia veduta / vostra parola disïata vola (Pg XXXIII 83: la narrazion buia di Beatrice riguardante il futuro messo di Dio); Forse la mia parola par troppo osa, / posponendo il piacer de li occhi belli / ne' guai mirando mio disio ha posa (Pd XIV 130); Coscïenza fusca / ... pur sentirà la tua parola brusca (XVII 126, con richiamo alla stessa Commedia); e anche Pg IV 97, XIX 75, XX 37, XXII 79, XXXII 77, XXXIII 87, Pd III 94, Fiore CXCLI 14, CXCV 1 Bellaccoglienza la parola prese, " incominciò a parlare ".

Bisogna tuttavia distinguere in tale uso del singolare alcuni casi specifici: in Vn XXIV 7 6 viene presentato Amore che 'n ciascuna parola sua ridia, e pare debba intendersi: " rideva mentre parlava ", " accompagnava le parole col riso " (cfr. XXV 2 Dico anche di lui che ridea); la formula non è qui da tacere una parola (Cv II V 12) vale " occorre aggiungere qualcosa al già detto "; parola integra (If VII 126) ha il senso di " parola non pronunciata per intero, non ben articolata "; la parola tosca di If XXIII 76 è " la parlata " toscana di D. (cfr. X 25-26); perdei la vista e la parola (Pg V 100) costituisce per il Barbi (" Studi d. " XVIII [1934] 37) un'espressione dell'uso comune e letterario per dire " morii " (qualche editore interpunge diversamente la frase di cui il frammento citato fa parte, collegando la parola col successivo nel nome di Maria fini': ne viene, nel nuovo costrutto, che la voce di Bonconte si spegne pronunziando il nome della Madonna); una parola in tutte era e un modo (XVI 20) indica l'identità della preghiera e dell'intonazione nel canto dell'Agnus Dei da parte degl'iracondi; domandi parola di parlare (Cv III X 9) è quanto " chieda licenza di parlare "; più non fé parola (If VI 57) equivale a " non profferì più verbo ", " tacque "; sanza far parola (XXIII 86) sta ovviamente per " in silenzio ", come sanza parola (Pg XXIV 132).

Una collocazione privilegiata spetta nelle opere dantesche alle citazioni delle p. bibliche: quelle parole di Geremia profeta (Vn VII 7); sono queste parole del Profeta (Cv III IV 8); secondo queste parole del Vangelio... le parole del Salvatore (IV XVII 10); le evangeliche parole (§ 11); al singolare, in Cv IV VI 19 quella parola de lo Ecclesiaste, e XX 6 secondo la parola de l'Apostolo.

Sono poi da isolare quei luoghi in cui il termine, al singolare o al plurale, si riferisce a opere di particolare impegno stilistico e soprattutto a composizioni poetiche: proprio nei riguardi del ‛ sermone ' letterariamente eletto l'attenzione di D. torna ad affissarsi sulla duplice natura delle p., fornite di una parte sostanziale, la sentenza, dove risiede il valore cognitivo, e una parte formale, il suono o l'ornamento, principio di bellezza: dico... che la bontade e la bellezza di ciascuno sermone sono intra loro partite e diverse; che la bontade è ne la sentenza, e la bellezza è ne l'ornamento de le parole (Cv II XI 4; cfr. Cic. De Orat. III VI 24 " Tantum significabo brevi neque verborum ornatum inveniri posse non partis expressisque sententiis neque esse ullam sententiam illustrem sine luce verborum "). Pertanto la lingua si può ascoltare e sentire: ‛ ascoltare ' quanto a le parole, e ‛ sentire ' quanto a la dolcezza del suono (Cv III III 15, e v. I II 7 - la prima occorrenza -, IV II 13). La bellezza scaturisce dall'armonia che lega le p. fra di loro: quello sermone è più bello ne lo quale più debitamente si rispondono [le parole...] (I V 14, donde la superiorità del latino rispetto al volgare). Su tali raccordi armonici inerenti al linguaggio poetico si torna in Cv IV VI 3-4 a proposito del verbo auieo (v.) che vale per D. ‛ legar parole ', ed esso stesso solo di legame di parole è fatto, cioè di sole cinque vocali, che sono anima e legame d'ogni parole; dal quale verbo dipende il vocabolo ‛ autore ', ‛ preso ' solo per li poeti che con l'arte musaica le loro parole hanno legate, dove ‛ legar p. ' secondo precise norme ritmiche e metriche è sinonimo di " far poesia ", " poetare " (per altre espressioni equivalenti, v. oltre). D'altra parte anche la musica consiste in uno specifico sistema di relazioni (è tutta relativa), come si vede ne le parole armonizzate (Cv II XIII 23), cioè nelle p. cantate o comunque suscettibili di essere tradotte in canto: verba modulationi armonizata (VE II VIII 6: ma v. per tutto ciò ARMONIA; CANZONE; MUSICA).

Non infrequentemente D. mette in luce l'aspetto ‛ pratico ', l'efficacia, la forza di convinzione della p. letterariamente elaborata: a commento del verso E poi che tempo mi par d'aspettare (Cv IV Le dolci rime 9), con aggancio a un problema di natura artistica (il passaggio dal soave stile alla rima aspr' e sottile), anche se il discorso tende poi a trasporsi sul piano generico di una massima, e facendo cenno alle varie disposizioni della mente connesse alle circostanze temporali, egli chiama le p. quasi seme d'operazione (Cv IV II 8, forse con un'eco di Luc. 8, 11) e avverte che per tale responsabilità in ordine all'agire esse debbono venir scelte e usate con moderazione, talvolta manifestate, talvolta taciute, perché bene siano ricevute e fruttifere vegnano, sì perché da la loro parte non sia difetto di iterilitade. Ma già in Cv II VI 6 era evidente il richiamo all'ufficio ortativo del sermone ‛ abbellito ' in sede artistica: in ciascuna maniera di sermone lo dicitore massimamente dee intendere a la persuasione, cioè a l'abbellire, de l'audienza, sì come a quella ch'è principio di tutte l'altre persuasioni, come li rettorici [s]anno: di qui la parola ornata (If II 67) con cui Virgilio è invitato da Beatrice ad ‛ aiutare ' D.; per la diversa sfumatura semantica della stessa espressione in If XVIII 91, v. ORNARE.

In effetti, così esprimendosi, D. si colloca sull'ampio solco della tradizione retorica medievale. Senza risalire molto nel tempo, per il suo maestro Brunetto Latini la retorica " truova et adorna le parole avenanti alla materia, per le quali l'uditore s'accheta e crede e sta contento e muovesi a volere ciò ch'è detto " (Retorica, ediz. Maggini, Firenze 1968², 49), e quindi " chi considera la verità di quest'arte e' troverà che tutto l'intendimento del parliere è di far credere le sue parole all'uditore. Donque questo è lo fine, cioè far credere; ché 'mmantenente che l'uomo crede ciò ch'è detto si rivolve lo suo animo a volere et a ffare ciò che 'l dicitore intende " (p. 52). Fra Guidotto da Bologna, dal canto suo, richiede alla buona favella che " tutte le parole della diceria s'acordino insieme " (Segre-Marti, Prosa 109), e che il dicitore " la sua parola faccia composta. E quella è detta composta favella quando la parola e la favella ch'ensieme son poste, suonan bene e piacevolmente, e possonsi acconciamente proferere " (p. 110), il tutto " per rendere atento e benevolo l'uditore ".

Secondo Boezio " opus... rhetoricae facultatis est docere movereque ", e il compito dell'oratore si configura nel " dicere apposite ad persuasionem " (De differentiis topicis IV, Patrol. Lat. LXIV 1208 C); ma già in Cicerone: " Quoniam igitur docilem, benivolum, attentum auditorem habere volumus, quo modo quidque effici possit, aperiemus " (Rat. dicendi I IV 7).

In questa sfera di valori poetico-letterari il termine talora, come in Rime LXXXIV 1-4, allude a un preciso gruppo e tipo di poesie: Parole mie che per lo mondo siete, / voi che nasceste poi ch'io cominciai / a dir per quella donna in cui errai / " Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete ", o a un componimento singolo (Rime XL 4, XLVIII 3, CXVI 6, Vn VIII 3, XVIII 6 e 8 [seconda occorrenza], XXV 6); talora riguarda più propriamente l'insieme dei vocaboli che formano il componimento: la ballata non è altro che queste parole ched io parlo (Vn XII 17; e v. prima, al § 8); pensai di volere disfogarla [la tristizia] con alquante parole dolorose... e però propuosi di fare una canzone (XXXI 1); Le parolette mie novelle, / che di fiori fatto han ballata (Rime LVI 18, al diminutivo), e anche Rime LXXXV 9; talora infine circoscrive alcuni vocaboli (non a sé stanti, ma in una loro correlazione significativa) del componimento stesso: la mia donna fue immediata cagione di certe parole che ne lo sonetto sono (Vn VII 2), e v. Rime LXXXVII 18; Vn II 8 (al singolare: quella parola del poeta Omero), XII 12 16, XIX 3 e 15 (due volte), XXV 9, Cv II VI 6 e 7, XV 6, III IV 1 e 4 (due volte).

Scendendo a determinazioni tecniche le ‛ p. fittizie ', come fabula, veste della poesia, esprimono il senso letterale, sotto cui giace l'allegoria o sentenza vera: la lettera de le parole fittizie (Cv II I 3); volta la parola fittizia di quello ch'ella suona in quello ch'ella 'ntende (XII 10); e ancora in Cv II XII 8 le [non] fittizie parole (per l'integrazione v. Moore, Studies IV 55) e Vn XXV 10 grande vergogna sarebbe a colui che rimasse cose sotto vesta di figura o di colore rettorico, e poscia, domandato, non sapesse denudare le sue parole da cotale vesta, in guisa che avessero verace intendimento (cfr. Rime CVI 58, al singolare).

Poetare è arte del dire parole per rima (Vn III 9, XII 7), scrivere parole rimate (XIII 7, XXXIX 6, XLI 1) o più semplicemente dire parole: quest'ultima formula propria della Vita Nuova è inclusa quasi sempre in giri di frase che sottolineano la pienezza della volontà, indispensabile allo sfogo poetico, ma anche l'intervento della meditazione, di una pausa riflessiva, anch'essa necessaria e introduttrice alla poesia, due momenti che confluiscono in uno, specie dopo l'affermarsi delle rime della loda: mi mosse una volontade di dire anche parole (Vn XVI 1); vennemi volontade di dire anche in loda di questa gentilissima parole per le quali io mostrasse come per lei si sveglia questo Amore (XXI 1); mi venne volontade di dire anche parole (XXXVI 3); ancora ne volli dire alquante parole (XXXVIII 4); propuosi di dire parole acciò che degnamente avea cagione di dire, ne le quali parole io conchiudesse tutto ciò che inteso avea (XXII 7); propuosi di dire parole di questo che m'era addivenuto (XXIII 16; lo stesso modulo in VIII 2, XIV 10, XV 3, XX 2, XXVI 4 [prima occorrenza] e 9, XXVII 2); mi venne uno pensero di dire parole (XXXIV 3).

A Vn I 1 sotto la quale rubrica io trovo scritte le parole le quali è mio intendimento d'assemplare in questo libello, e se non tutte, almeno la loro sentenzia, il Contini glossa (Letteratura delle origini, Firenze 1970, 306): " le parole, ossia i ricordi ", considerati nel loro significato essenziale e metafisico, certo con riferimento all'esordio: In quella parte del libro de la mia memoria dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere.