BAFFI, Pasquale

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 5 (1963)

BAFFI, Pasquale

Armando Petrucci
Carlo Francovich

Nacque l'11 luglio 1749 a Santa Sofia d'Epiro (Cosenza), un villaggio fondato da profughi greco-albanesi alla fine del sec. XV, e l'origine greca del B. sembrerebbe testimoniata anche dalla forma originaria del cognome talora usata dallo stesso B., Baffa, che in albanese significa "fava"; nello stemma di famiglia campeggia infatti un baccello.

Il B. fece i primi studi nel collegio italo-greco di San Benedetto Ullano: si racconta però che, nonostante avesse rivelato doti di intelligenza e di zelo, abbandonasse la scuola prima di avere compiuto il suo curriculum, essendosi ribellato al sopruso di uno dei suoi insegnanti.

Dopo che, espulsi i gesuiti dal regno di Napoli (1767), le loro scuole erano state laicizzate, il B., nel 1769, conseguì la cattedra di lingua greca e latina nella università di Salerno, quando aveva appena compiuto i venti anni; nel 1773 fu nominato "maestro della lingua latina superiore e della lingua greca" nel collegio militare della Nunziatella a Napoli.

Fu colà che l'anno successivo, insieme con altri suoi corregionali, fra cui l'abate A. Jerocades, il bardo dei liberi muratori, il B. si affiliò a una delle quattro logge massoniche allora esistenti a Napoli, e precisamente a quella che aveva sede in una villa di Portici. A Napoli, infatti, nonostante l'editto comminatorio emanato da re Carlo nel 1751, la massoneria aveva continuato a fiorire, soprattutto dal momento in cui aveva cominciato a godere della protezione di Maria Carolina, la intrigante sposa di Ferdinando IV. È probabile che nell'affiliarsi alla massoneria il B. non intendesse tanto seguire una consuetudine del tempo - molti insegnanti e cadetti del collegio vi erano associati - quanto invece volesse aderire ai principî umanitari ed al vago sentimento religioso professato dall'associazione. Per questa sua affiliazione il B. nel 1776 fu arrestato, ma venne prosciolto.

Nel 1775 il vecchio ministro B. Tanucci, che vedeva sfuggirsi di mano le redini dello Stato per la sottomissione di Ferdinando IV ai voleri di Maria Carolina, pensò di provocare, fondandosi sull'appoggio di Carlo III di Spagna, padre del sovrano di Napoli ed ancora assai influente sull'animo del figlio, uno scandalo che avrebbe dovuto colpire la massoneria, alla quale proprio Maria Carolina, se non affiliata, come pure si suppone, era certamente favorevole, come del resto tutto l'ambiente dell'aristocrazia gravitante intorno alla corte. Perciò, lo stesso anno i liberi muratori furono colpiti da un nuovo editto d'interdizione e, per dare maggiore rilievo all'avvenimento, si pensò anche di provvedere all'arresto ed al processo di alcuni massoni, preferibilmente di non elevata origine sociale, che fossero scoperti in flagrante delitto di disobbedienza: la pena prevista poteva anche essere la morte. Non presentandosi l'occasione d'imbastire il processo, il Tanucci ricorse alle arti del capo di polizia, il tristemente famoso Gennaro Pallante, che non ebbe scrupoli a far convocare una riunione massonica mediante l'iniziativa di un agente provocatore. A tale riunione partecipò casualmente anche il giovane B., che perciò il 2 marzo 1776, insieme a qualche altro "fratello", cadde nella rete del Pallante.

Ma immediatamente si scatenò lo sdegno dei massoni, non solo del Regno di Napoli, ma di tutta Europa, dalla duchessa di Chartres alla sorella della regina, Maria Cristina di Sassonia, dall'ambasciatore di Francia al duca Teschen, e queste proteste trovarono nella corte di Ferdinando IV orecchi ben disposti ad ascoltarle. Furono quindi scoperte le mene dell'agente provocatore, le responsabilità del Pallante e del Tanucci stesso: e così gli accusatori si trasformarono in accusati. I massoni arrestati, fra cui il B., furono prosciolti da ogni accusa ed uscirono dal carcere con l'aureola del martirio.

Questo episodio segnò, a quanto è dato di sapere, il primo intervento nella vita politica del B., che del resto non ebbe a risentirne né nella sua vita di docente né in quella di studioso, anche se nell'anno stesso in cui uscì di prigione (1777) il Collegio della Nunziatella fu soppresso: in attesa di una nuova sede gli venne accordato metà stipendio.

Nel frattempo, sebbene non avesse ancora pubblicato nulla, la fama della sua dottrina nel campo della filologia e della diplomatica si era talmente affermata che nel 1779 fu eletto socio residente dell'Accademia di scienze e belle lettere di Napoli. Contemporaneamente aveva intrapreso, per ragioni di carattere economico, l'attività forense. L'esperienza giuridica, accoppiata alla profonda conoscenza della diplomatica e della filologia classica e medievale, fecero sì che il governo si valesse dell'opera del B. nelle sue rivendicazioni contro le usurpazioni avvenute nel tempo da parte del potere ecclesiastico e di quello feudale: pare che con questa sua attività riuscisse a reintegrare 23 arcivescovadi e vescovadi di fondazione regia. Nel 1787 fu mandato nella regione nativa, a Catanzaro, per interpretare e riassumere la documentazione dei luoghi pii, al fine di formare la statistica patrimoniale della Cassa Sacra, di cui redasse il registro e l'inventario.

Per questi ed altri meriti, nel 1786 fu nominato prima bibliotecario dell'Accademia di scienze e belle lettere, carica che oltre ad un piccolo stipendio dava diritto all'alloggio gratuito nel Salvatore (l'ex casa dei gesuiti), e quindi bibliotecario di quella Reale Biblioteca che diverrà poi la Biblioteca Nazionale di Napoli; dapprima in subordine assieme a due colleghi, poi, morto il direttore capo, come vero responsabile dell'istituto. Nel 1786 aveva preso per moglie Teresa Caldora, napoletana di famiglia baronale.

Nulla sappiamo di preciso e di documentato sulla sua attività politica e latomistica dopo il 1776; è da presumersi che continuasse, sotto una forma o l'altra, poiché certamente mantenne i contatti con coloro che nel segreto delle logge auspicavano, oltre ad un rinnovamento spirituale, anche un rinnovamento politico. Infatti, quando il teologo danese F. Münter venne in Italia ed a più riprese, fra il 1785 e il 1787, si fermò a Napoli, il suo amico più stimato ed intimo, quello col quale ebbe più contatti fu proprio il B., da lui definito come l'uomo più nobile, più onesto e più colto fra tutti gli italiani conosciuti. Il Münter, come è noto, veniva in Italia non soltanto per studiare i manoscritti latini e greci, o per trovare documenti sull'attività dei Cavalieri templari, ma soprattutto per ricostruire la rete delle logge massoniche, dipendenti dalla "Stretta Osservanza", e per organizzare, ove possibile, le "logge illuminate", il cui fine politico era quello di promuovere il sorgere di regimi democratici e repubblicani. Il B. assistette a tutti i colloqui che il Münter ebbe con gli alti dignitari della massoneria napoletana, da don Diego Naselli a Gaetano Filangieri, da Mario Pagano a Donato Tommasi; questi amici del Münter e del B. furono i fondatori della loggia illuminata di Napoli e, con il B. stesso, protagonisti della rivoluzione napoletana del 1799.

Pertanto non deve meravigliare, né va considerato come un fatto isolato la sua adesione al moto rivoluzionario e al governo provvisorio costituito nel gennaio 1799, in cui il B. ebbe la carica di presidente del comitato di amministrazione interna.

Avvenuta la restaurazione borbonica, il B. fu arrestato e condannato a morte il 7 nov. 1799. Anche in questa occasione egli rivelò la sua forza morale: le lettere che scrisse alla moglie dalla prigione esprimono serenità d'animo sorretta dalla fiducia nei valori spirituali e da un profondo sentimento cristiano non legato ad alcuna particolare confessione. Pronunziata la sentenza, rifiutò il veleno che un compagno di sventura era pronto a fornirgli per abbreviare le sofferenze della esecuzione. Morì l'11 novembre sereno di fronte al boia, che nel gettarlo dal patibolo, per errore o per crudeltà, lasciò che il cappio si sciogliesse, cosicché, come narra il De Nicola, "l'infelice venne afforcato la seconda volta".

Dalla sua origine etnica, dalla educazione nel collegio italo-greco di San Benedetto Ullano, dallo stesso ufficio di insegnante di greco, che esercitò fra i venti e i trenta anni, il B. fu indotto a dedicarsi intensamente allo studio della lingua e della letteratura greca, con spiccata preferenza per gli autori dei secoli più tardi.

Napoli era allora, fra il 1770 e il 1790, un non volgare centro di ellenismo, ricco di studiosi mossi certo più da interessi antiquari che non puramente filologici, ma pure capaci di produrre numerose edizioni di classici e una notevole serie di grammatiche greche. In questo ambiente il B., già noto per la sicura conoscenza della lingua greca (è del 1771 una sua dotta dissertazione sulla esatta lezione di un verso di incerto epigrammatista: Bibl. Naz. di Napoli, ms. XI. AA. 9, non numer., ultima lettera; compose inoltre in greco un'ode di imitazione pindarica dedicata a Caterina II imperatrice di Russia, di cui è rimasta la copia autografa da lui donata ad A. M. Bandini nel 1781: Firenze, Bibl. Marucelliana, B. I. 18, cc. 285r-287r), s'inserì ben presto autorevolmente, legandosi d'amicizia con i migliori eruditi locali, da F. Daniele a C. Minervini, da Alessio Pelliccia a Pietro Napoli Signorelli.

Già prima del 1780 aveva iniziato fortunate ricerche di codici greci nelle biblioteche napoletane. Sia la pratica dell'insegnamento, sia lo studio di alcuni scoli all'opera del grammatico Dionisio Trace rinvenuti nella biblioteca di S. Giovanni a Carbonara, indussero il B. ad elaborare una nuova grammatica della lingua greca (Nova grecae linguae discendae docendaeque methodus) che ne avrebbe dovuto rendere possibile l'apprendimento in quattordici giorni. Elaborata una prima volta fra il 1778 e il 1780, quindi rifusa e completata nel 1791, non vide mai la luce, benché incontrasse l'approvazione entusiastica degli amici, degli estimatori, e in particolare del Münter (Aus den Tagebüchern, II, p. 243).

Conservata nel ms. V. A. 50 della Bibl. Naz. di Napoli, la grammatica del B. è in effetti impostata con razionale semplicità ed è scritta in un latino fluido e preciso; particolare interesse presentano il paragrafo sulla evoluzione storica delle forme verbali greche, le "observationes in quaedam tempora a grammaticis efficta", e il "Syllabus" delle voci greche passate in latino e in italiano, che rivela, in numerose assurde etimologie, i limiti della dottrina linguistica del B., comuni del resto a molti studiosi del suo tempo e destinati ad esser superati solo molto più tardi dalla linguistica comparata di scuola tedesca.

Ben presto la notorietà del B. superò la cerchia degli eruditi locali, anche per merito dei suoi legami col movimento massonico europeo, che gli permisero di entrare in contatto, attraverso F. Münter, Charles Weigel e altri studiosi ancora, con la filologia germanica. Uno dei suoi primi e più ardenti estimatori fu il grande ellenista francese J. B. G. d'Ansse de Villoison, che nel giovane calabrese intuì la coesistenza del filologo e del paleografo e che lo incitò sempre a grandi opere. Il migliore frutto delle ricerche del B. nelle biblioteche napoletane fu il rinvenimento, occorsogli nel 1779 in quella di S. Giovanni a Carbonara, del testo allora inedito del commento di Ermia al Fedro di Platone.

Il B. ne preparò l'edizione in più di dieci anni di duro lavoro, frequentemente interrotto, mai abbandonato, sulla base di un altro codice napoletano e di un codice dell'Angelica di Roma, di cui si procurò la copia (cfr. Bibl. Naz. di Napoli, III. E. 24, III. E. 25 bis). Pure quest'opera, arricchita di una traduzione latina, era destinata a non vedere mai la luce, anche se, nel 1789, lo Zoega incitava il B. a provvedere a pubblicarla in Germania (Miola, p. 6); tuttavia essa diffuse ulteriormente la fama del giovane studioso e gli permise di venire in contatto con il grande filologo olandese F. Ruhnken, che gli fu largo di consigli metodologici.

Intanto la pratica forense apriva un nuovo campo all'attività del B.: avvocato, del monastero della SS. Trinità di Cava, rinveniva in quell'archivio nell'autunno del 1781 ben novantacinque pergamene greche che, nello spazio di quattro anni, trascriveva e traduceva in latino, compiendo opera fondamentale per lo studio della diplomatica greca e dimostrandosi valente diplomatista.

Egli progettava di arricchire questo primo nucleo con l'edizione di altre pergamene e trascrisse a tal fine anche alcuni atti conservati nel Grande Archivio di Napoli e altrove, mentre il Villoison lo esortava a comporre un trattato di diplomatica bizantina (Bibl. Naz. di Napoli, XIII. B. 54, lettera a C. Minervini del 20 marzo 1780). Ma le sue trascrizioni e traduzioni, rimaste inedite (Bibl. Naz. di Napoli, I. AA. 42), furono pubblicate tali e quali nel 1865 dal Trinchera nel suo Syllabus, senza che del contributo del B. (107 pergamene su 372) fosse fatta la doverosa menzione.

Vivissima era allora a Napoli la tradizione degli studi diplomatistici, sviluppatisi fra le aspre contese giurisdizionali che opponevano così spesso gli interessi dello stato a quelli degli ordini religiosi e dei feudatari, che di norma si basavano su un'ampia documentazione archivistica. Il B. compì, quasi sempre per incarico governativo, numerose ricerche d'archivio fra il 1783 e il 1792, e, insieme col Minervini, stese inoltre un'amplissima "allegazione" (Bibl. Naz. di Napoli, XV. B. 16) sulla natura di dieci pergamene relative alla prepositura di S. Maria di Rosciolo (L'Aquila), nella quale dimostrò una grande conoscenza di opere (dal Mabillon al Fontanini, al Nouveau Traité, ecc.) e di documenti, rinforzando ogni argomentazione (spesso squisitamente paleografica) con la citazione di prima mano di atti latini e greci editi ed inediti.

Dopo aver collaborato alla trascrizione ed edizione del primo volume dei papiri ercolanensi (Herculanensium voluminum quae supersunt, I, Neapolì 1793: ma il suo nome non vi compare mai), il B., nella sua nuova qualità di bibliotecario, diede un'ulteriore prova del suo talento in due opere uscite, l'una nel 1796, l'altra postuma nel 1800: l'elenco dei manoscritti greci della Biblioteca Reale e il catalogo dei volumi posseduti dalla Biblioteca del Museo Borbonico.

L'elenco dei manoscritti greci fu redatto dal B. nel 1792 per conto di G. C. Harles, che lo inserì nel V volume della nuova edizione della Bibliotheca graeca (Catalogus mss. graecorum Bibliothecae regiae Neapolitanae, in I. A. Fabricii Bibliotheca graeca, editio tertia curante G. Chr. Harles, V, Hamburgi 1796, pp. 774-795), e comprende la descrizione di ben 245 codici; di ognuno di questi il B. fornisce una breve descrizione esterna, comprensiva anche delle note cronologiche e del nome del copista - ove esistenti -, e un'ampia descrizione intema, con l'"incipit" delle opere anonime o poco note; l'elenco è inoltre completato da un accurato indice latino dei nomi.

Con pari cura fu compilato dal B. e dal suo collega Andrea Belli, fra il 1792 e il 1798, il Librorum impressorum qum Regio Neapolitano Musaeo asservantur catalogus (Neapoli 1800). Ordinato alfabeticamente, esso comprende le schede di oltre 20.000 opere, di ognuna delle quali sono fornite, oltre al nome dell'autore e al titolo, anche le note tipografiche, il formato e la collocazione; gli anonimi sono raggruppati per soggetto o per categoria; richiami e rinvii ne rendono agevole la consultazione.

Due, e non lievi, furono i meriti del B.: il primo, e maggiore, quello di essersi dedicato, sull'esempio dei grandi filologi stranieri suoi amici, alla filologia formale, abbandonando l'antiquaria cara agli eruditi italiani; l'altro, quello di aver aperto la strada agli studiosi della diplomatica bizantina dell'Italia meridionale. Sempre, comunque, sia in campo diplomatistico, sia in campo filologico, egli apparve ispirato da un desiderio ardente di rinnovamento e di progresso, e se la vita gli fosse durata, avrebbe potuto rivoluzionare gli orientamenti dell'erudizione napoletana, inserendola prepotentemente nel circolo europeo.

Fonti e Bibl.: Per un profilo biografico complessivo, cfr. E. de Tipaldo, Biografie degli italiani illustri, I, Venezia 1834, pp. 33 s.; M. D'Ayala, Vita degli italiani benemeriti della libertà e della patria uccisi dal carnefice, Torino-Roma-Firenze 1883, pp. 45-54; A. Miola, In memoria di p. B., in Atti d. Accad. Pontaniana, XXIX(1899), mem. 11; C. Frati, Diz. bio-bibl. dei bibliotecari e bibliofili ital. dal sec. XIV al XIX, Firenze 1933, p. 43; L. Aliquò Lenzi-F. Aliquò Taverriti, Gli scrittori calabresi, Reggio Calabria 1955, ad vocem; U.Caldora, P.B., in Almanacco calabrese, 1959, pp. 97 ss. (lo studio più esauriente e più aggiornato sul B.); Diz. del Ris. Naz., II,  pp. 143 s. Sulla partecip. del B. alla masson. cfr. lo studio fondam. di M. D'Ayala, I Liberi Muratori di Napoli nel sec. XVIII, in Arch. stor. per le prov. napol., XXII(1897), pp. 404-463; XXIII (1898), pp. 49-110, 305-364, 567-604, 743-818. Sull'ultimo periodo della sua vita, cfr. A. Sansone, Gli avvenimenti del 1799 nelle Due Sicilie, Palermo 1901, pp. CXCVI, CXCVII, 192; C. De Nicola, Diario napoletano, 1798-1825, I, Napoli 1906, pp. 37, 371, 372, 373, 374, 389; V. Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, Firenze 1926, a cura di N. Cortese, pp. 111, 112, 309, 310, 313, 314, 438.

Per l'attività scientifica si veda: Napoli, Bibl. Naz., XI. AA. 9, XIV. H. 11, XIII. B. 14 (epistolario del B.); V. A. 49, XIV. H. 9, XIV. H. 59 (lettere varie e docc.); XIV. H. 71 (trascrizione, di mano del B., del I libro delle Sententiae di Egidio da Viterbo); Aus den Tagebüchern Friedrich Münters, a cura di Ø. Andreasen, II, Kopenhagen und Leipzig 1937, passim (cfr. Indice); Aus dem Briefwechsel Friedrich Münters, a cura di Ø. Andreasen, I, Kopenhagen und Leipzig 1944, pp. 31 s.; S. Cirillo, Codices Graeci mss. Regiae Bibliothecae Borbonicae, Neapoli 1803, pp. 459-461; L. Giustiniani, Memorie storico-critiche della Real Biblioteca Borbonica di Napoli, Napoli 1818, pp. 101 ss.; S. Zampelios, ᾿Ιταλοελληνιχά..., ᾿εν ᾿Αϑήναις; 1864, pp. 11-15, 95 ss.; F. Trinchera, Syllabus graecarum membranarum, Neapoli 1865, pp. XIII s., 20, 22, 33 ss.; B. Capasso, Gli archivi e gli studi paleografici e diplomatici nelle provincie napoletane fino al 1818, Napoli 1885, p. 69 (ove è confuso col figlio Michele); Ch. Joret, D'Ansse de Villoison et l'hellenisme en France,Paris 1910, pp. 207, 272, 316; A. Curione, Sullo studio del greco in Italia nei secc. XVII e XVIII, Roma 1941, pp. 148 s.; Catalogus codicum graecorum Bibliothecae Nationalis Neapolitanae, a cura di G. Pierleone, I, Roma 1962 (Indici e Cataloghi, n. s., VIII), pp. VI s., XVII s.

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