PATTI, Adela Juana Maria, detta Adelina

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 81 (2014)

PATTI, Adela Juana Maria, detta Adelina

Giancarlo Landini

PATTI, Adela Juana María, detta Adelina. – Soprano, prima donna assoluta, una delle più grandi di tutti i tempi; appartenne a una illustre famiglia di cantanti.

Il padre, Salvatore, nacque a Catania nel 1800. Come secondo tenore, nella stagione 1825-26 del teatro Carolino di Palermo tenne ruoli di comprimario nell’Ajo nell’imbarazzo e nella ‘prima’ di Alahor in Granata di Gaetano Donizetti, sotto la direzione dell’autore. Intorno al 1830 sposò Caterina Chiesa Barilli, soprano. Nel 1831-32 cantò prime parti in teatri di Venezia, Udine, Rovigo, Cremona, spesso al fianco della moglie, anche alla Pergola di Firenze dal carnevale 1836, quindi nella primavera-estate al Valle di Roma e nell’autunno-inverno seguente al San Carlo e al Fondo di Napoli; è documentato anche come agente teatrale. Nel 1846 si trasferì con la famiglia negli Stati Uniti, dove svolse una carriera in parti ora di primo ora di secondo piano, alternando l’attività di cantante e quella d’impresario; cantò nelle stagioni 1847 e 1849 all’Astor Place Opera House di New York, presentandosi nell’Ernani e nelle ‘prime’ americane del Roberto Devereux e della Maria di Rohan di Donizetti. Con la compagnia da lui organizzata lavorò negli Stati Uniti fino al 1859, quando con ogni probabilità rientrò definitivamente in Europa. Morì a Parigi il 21 agosto 1869.

La madre di Adelina, Caterina Chiesa, nacque a Roma all’inizio dell’Ottocento, da modestissima famiglia. Studiò canto con l’organista e maestro di canto Francesco Barilli (Barili), poi suo primo marito (talune fonti lo dicono figlio del basso Luigi Barilli e del soprano Marianna Bondini). Il debutto avvenne a Roma nel 1823; cantò tra l’altro nella ‘prima’ italiana del Mosè e Faraone di Gioachino Rossini (Roma, Società dei Filarmonici, dicembre 1827). Negli anni seguenti Caterina fece una discreta carriera; il 19 novembre 1836 fu Eleonora nella ‘prima’ dell’Assedio di Calais di Donizetti al San Carlo di Napoli; nel 1840-41 è documentata al São Carlos di Lisbona, nell’estate 1844 a Cremona e Vicenza. Dal primo matrimonio erano nati quattro figli: Clotilde, apprezzato soprano (sposata Thorne, spesso attiva in California); Antonio (1826?-1876), basso profondo, direttore d’orchestra a Città del Messico dal 1850 al 1861; Ettore (1829-1889?), baritono di buona fama; e Niccolò (morto nel 1878), basso buffo. Dopo il secondo matrimonio, con Salvatore, con il quale fu attiva anche in Spagna, passò con la famiglia in Nordamerica; dal 1848 cantò all’Astor Place di New York. Morì a Roma il 6 settembre 1870.

Delle figlie di Salvatore e Caterina, la primogenita Amalia nacque forse a Pesaro nel gennaio 1831; studiò con i genitori. Soprano, debuttò all’Astor Place di New York il 4 aprile 1848 nel ruolo di Abigaille nella ‘prima’ americana del Nabucco. Nel gennaio 1849 partecipò a fianco del padre alla ‘prima’ americana del Roberto Devereux e avviò una brillante carriera, che per un decennio la vide protagonista delle stagioni della New York Academy of music sotto la direzione di Emanuele Muzio, in un repertorio eterogeneo che comprendeva i principali autori italiani, da Rossini a Verdi. Nel 1852 sposò Moritz Strakosch (1825-1887), musicista e impresario che contribuì grandemente alla sua carriera. Morì a Parigi nel dicembre 1915.

La secondogenita di Salvatore e Caterina, Carlotta, nacque a Firenze il 30 ottobre 1835. Studiò con i genitori e in particolare con la madre, apprendendo il pianoforte da Heinrich Herz, per poi indirizzarsi al canto. Debuttò il 25 ottobre 1860 in concerto al Dodworth’s Saloon di New York, indi partecipò con il fratello Carlo ai tours in Nordamerica promossi dal cognato Strakosch. Il 16 aprile 1863 apparve in concerto (un difetto fisico la rendeva più adatta a questo tipo di performance che alla scena) al Covent Garden e subito dopo al Crystal Palace di Londra, dove ottenne un gran successo, rinnovato nel corso dei giri che nel 1865 la portarono a Vienna. Nel 1869 ritornò in America e diventò uno dei numeri preferiti della compagnia Strakosch, stupefacendo il pubblico con il suo proverbiale registro sovracuto, che sfoggiava nelle arie della Regina della Notte nel Flauto magico e in pezzi di bravura, dove la sua vertiginosa estensione toccava il sol. Nel 1870 fu in Sudamerica: si esibì a Buenos Aires come Norina nel Don Pasquale e Rosina nel Barbiere di Siviglia. Nel 1872 fu al fianco di Mario (Matteo de Candia) durante la tournée americana del celebre tenore. Nel 1879 sposò Ernest de Munck, famoso violoncellista belga. Morì a Parigi il 27 giugno 1889 nella sua casa di rue Pierre Charron.

Carlo, terzogenito di Salvatore e Caterina, nacque a Madrid nel 1842. Divenne violinista e direttore d’orchestra. Morì a St. Louis, Missouri, il 12 marzo 1873.

Adelina, terza figlia femmina di Salvatore e Caterina, nacque il 19 febbraio 1843 a Madrid, dove la madre era impegnata al teatro del Circo, Elena nel Marin Faliero (non corrisponde al vero che la Patti sia venuta al mondo durante una recita di Norma). Fu battezzata l’8 aprile nella chiesa di S. Luis Obispo in Calle de la Montera; ebbe per padrino il tenore Giuseppe Sinico, artista di indubbia fama. Stabilitasi nel 1846 la famiglia negli Stati Uniti, i coniugi Patti entrarono, come detto, a far parte della compagnia dell’Astor Place Opera House a New York, in stretto contatto con il citato Strakosch: moravo, pianista di talento, costui aveva conosciuto Salvatore in Italia; curò gli interessi artistici della famiglia in America, sposando Amalia e contribuendo in maniera significativa alla carriera di Adelina, di cui fu l’agente, dal debutto fino al 1868. Adelina si mise in luce fin dal 1848, quando si esibì davanti a Luigi Arditi, a New York per la stagione dell’Astor, eseguendo il rondò di Amina dalla Sonnambula. La famiglia Patti decise di lanciarla come bambina prodigio, presentandola il 22 novembre 1851 al secondo concerto del pianista Alfred Jaëll, alla Tripler Hall di New York. Lo straordinario successo avviò un periodo di tournées che si protrasse dal 1852 al 1858: Adelina, conosciuta come «the little Malibran», si produsse con Strakosch e il violinista norvegese Ole Bull in vari Stati della Federazione e in Canada, e con il pianista Louis Moreau Gottschalk nei Caraibi.

Tornata a New York nel 1859, l’infelice situazione della Academy of music, nella cui organizzazione era coinvolto anche Strakosch, spinse Amalia a suggerire, nonostante l’opposizione del marito, di far debuttare la sorella sedicenne. Fu Emanuele Muzio, l’allievo di Verdi, allora direttore artistico della Academy, a presentare la Patti in Lucia di Lammermoor il 24 novembre 1859, come ricordò poi egli stesso in una lettera apparsa sulla Gazzetta musicale di Milano (17 agosto 1884), con la quale volle smentire la diceria che tra i maestri di canto della Patti ci fosse stato un musicista ungherese (alludeva forse allo Strakosch?). A suo dire, la giovane cantante era stata educata da tre maestri: Elisa Valentini Paravalli, insegnante di canto a New York, e i fratellastri Antonio e (soprattutto) Ettore. Tra il 1859 e il 1860 Muzio, che rivendicò di averla preparata per La sonnambula – aveva imparato le altre opere con il maestro Mariano Manzocchi – la diresse alla New York Academy of music, alla Philadelphia Academy of music, al Boston Theatre, a Newark e allo Holliday street Theatre di Baltimora, in un repertorio che comprendeva, oltre le due opere citate, I puritani, Martha di Friedrich von Flotow, Il barbiere di Siviglia, Don Giovanni (nel ruolo di Zerlina), Don Pasquale, Mosè (nel ruolo di Anaide), Linda di Chamounix e La traviata.

Il 14 maggio 1861 Adelina debuttò con esito trionfale al Covent Garden di Londra nella Sonnambula, mentre il 6 luglio destò fanatismo come Zerlina nel Don Giovanni. Vi tornò regolarmente fino al 1895, in una serie di stagioni durante le quali nel 1862 aggiunse al suo bagaglio la Dinorah di Giacomo Meyerbeer; nel 1863 affrontò Il trovatore, nel 1864 debuttò nel Faust, di cui divenne interprete privilegiata, con l’approvazione di Gounod stesso. Nel 1862 aveva cantato La traviata alla presenza dell’autore. Verdi fu in amicizia con la Patti: in una lettera del 26 febbraio 1864 la apostrofa affettuosamente «mio bel Diavoletto» (Giuseppe Verdi: lettere 1843-1900, Bern 2010, p. 99); e scrivendo a Giulio Ricordi da Parigi il 12 aprile 1870, dopo averla sentita in Traviata e Rigoletto, la proclama «meravigliosa» (F. Abbiati, Giuseppe Verdi, III, Milano 1959, p. 336).

Nel giugno 1876 al Covent Garden, dove cantò Don Giovanni, La traviata e Roméo et Juliette, Patti debuttò nella parte di Aida, nella ‘prima’ londinese dell’opera (incerta la notizia di un suo preventivo passaggio da Villa S. Agata per chiedere a Verdi dei tagli ch’egli però non concesse; cfr. Hernández Girbal, 1979, p. 237). Con Aida, che tenne poi in repertorio, la Patti entrò in concorrenza con il celebre soprano boemo Teresina Stolz, prima interprete della versione scaligera 1872, la quale in una lettera a Verdi dell’8 febbraio 1876 ne parlò come di una donna «tanto cattiva e invidiosa». Nel 1878 ripropose Aida al Covent Garden e debuttò in Semiramide, accanto a Sofia Scalchi (Arsace) e Victor Maurel (Assur), contribuendo ad assicurare nuova vita alla celebre partitura di Rossini e a consolidare un canone interpretativo che ha fatto sentire la sua influenza fino ai nostri giorni. Nel 1883 aggiunse al repertorio la Ninetta della Gazza ladra. Nella lunga consuetudine con l’Inghilterra frequentò la buona società, invitata a cantare a corte fin dal 1861, quando per la prima volta si esibì a Buckingham Palace davanti alla regina Vittoria.

Sulla scia del successo londinese, il 16 settembre 1862 la cantante diciannovenne aveva debuttato agli Italiens di Parigi nella Sonnambula e poi nel Barbiere di Siviglia, dove la sua Rosina fece furore: ricevette gli elogi della critica (Hector Berlioz la descrisse come «la gentillesse unie à la naïveté, le naturel à la grâce, […] Hébé en personne», Journal des débats, 19 novembre 1862) e i complimenti di Rossini, di cui divenne buona amica (il 21 novembre 1868 cantò con Marietta Alboni ai funerali del pesarese). Ammessa nei circoli mondani della capitale francese, ruppe la relazione con José Rios, il primo grande amore della sua vita, conosciuto durante la prima tournée caraibica, e il 29 luglio 1869 sposò in Inghilterra Henri Roger de Cahuzac, marchese de Caux, scudiero di Napoleone III.

Dal 1863 cominciò a comparire a Vienna. Il 12 novembre dello stesso anno cantò La sonnambula al teatro Real di Madrid. L’11 novembre 1865 si produsse per la prima volta in Italia, dapprima a Firenze e poi a Torino nella Sonnambula e in un memorabile Barbiere di Siviglia. In Italia tornò nel 1877 esibendosi prima alla Scala di Milano (La traviata il 3 novembre, ripresa il 4 aprile, e Il barbiere di Siviglia l’11), poi a Venezia e a Genova, dove rinnovò l’entusiasmo di Verdi («Voce meravigliosa, stile di canto purissimo; attrice stupenda, con uno charme ed un naturale che nessuna ha», lettera al conte Opprandino Arrivabene, 27 dicembre 1877); il 13 marzo 1878 alla Scala si presentò anche in Aida, direttore Franco Faccio. Il 2 aprile 1879 fu al Regio di Torino, per una Traviata rimasta a lungo nella memoria del pubblico.

Nel 1869 cantò per la prima volta in Russia: i teatri imperiali di Pietroburgo e Mosca divennero, con Londra e Parigi, le sue piazze predilette, dov’era fatta oggetto di generale fanatismo (nel 1871 Pëtr I. Čajkovskij, in veste di critico musicale, la qualificò con una parola: «sovrumana»; cit. in Taruskin, 1997, p. 214). Mentre la carriera si faceva sempre più importante, la vita privata fu segnata dal lutto per la morte della madre e dalla passione per il tenore Nicolini. Ernest Nicolas (questo il suo vero nome) era nato il 23 febbraio 1836 a Saint-Malo, aveva studiato al Conservatoire di Parigi e debuttato all’Opéra-Comique nel 1857 nei Mousquetaires de la Reine di Fromental Halévy. Dopo il perfezionamento in Italia cantò alla Scala, Alfredo nella Traviata nel dicembre 1859; assunse infine il nome di Ernesto Nicolini. Avviò una brillante carriera internazionale, e dal 1864 fu spesso al fianco della Patti; durante la stagione 1874-75 a Pietroburgo strinse con lei una relazione sentimentale, culminata in uno scandalo nel 1877, regolarizzata infine in Inghilterra il 10 giugno 1886, dopo che Patti ebbe divorziato dal primo marito (1884). Alla ricerca di qualche momento di tranquillità nella sua intensa attività artistica e privata, nel 1878 Patti acquistò il castello di Craig-y-Nos nel Galles, dove il 12 agosto 1891 inaugurò un piccolo teatro, ancor oggi visibile nell’edificio, che ospita un lussuoso albergo.

Nel novembre 1881, sotto l’egida dell’impresario londinese James Henry Maple-son che organizzava compagnie di canto attive sulle due sponde dell’Atlantico, intraprese la prima tournée negli Stati Uniti, durata fino alla primavera; l’esperienza transoceanica fu ripetuta, con cadenza annuale o biennale, fino al 1893-94. Nell’aprile 1888 iniziò la prima tournée in America Latina, debuttando a Buenos Aires. Dal 1890, dopo trent’anni di ininterrotta attività, la carriera si avviò alla conclusione, anche se gli impegni continuarono fino al 1897. Il 2 aprile 1890 a Boston aveva debuttato nella Lakmé di Léo Delibes, che quasi subito ritirò dal repertorio. Nel 1891, 1893, 1895, 1896 e 1897 si esibì all’Opéra di Nizza, dove diede infine l’addio alle scene con La traviata. Tra dicembre 1891 e aprile 1892 era comparsa al Metropolitan di New York, da cui si congedò con La traviata, Martha, Lucia e Il barbiere di Siviglia. Il 20 gennaio 1893 era ricomparsa in Italia a Milano, per una pallida Traviata alla Scala, mentre il 25 novembre debuttò a Boston nella Gabriella di Emilio Pizzi, opera scritta apposta per lei. Nel maggio 1894 cantò in concerto a Londra uno dei Wesendock-Lieder di Wagner; e dal 1899 assisté più volte al Festival di Bayreuth (Hernández Girbal, 1979, pp. 443 s.). Nell’aprile 1895 la Società Filarmonica di Londra le attribuì la medaglia d’oro: ricomparve al Covent Garden come Rosina, Zerlina e Violetta, di cui era universalmente considerata l’interprete di riferimento. Nell’estate 1898 ottenne la cittadinanza inglese. Il 18 gennaio dello stesso anno era morto Nicolini; un anno dopo la Patti convolò a nuove nozze con il barone Olof Rudolf Cederström, che aveva la metà dei suoi anni, rampollo di una grande famiglia svedese. Trascorsero il viaggio di nozze sulla Costa Azzurra e in Italia.

Tra il 1900 e il 1911 la Patti tenne alcuni concerti di beneficenza a Londra, Parigi, Stoccolma, e nel 1903-04 una tournée degli addii negli Stati Uniti. Nel suo castello, nel settembre 1905 per la casa discografica G&T, l’ultrasessantenne soprano registrò sei facciate di una serie di dischi, esperimento ripetuto l’anno dopo (è invece infondata la notizia che nel 1895 si fosse già accostata al fonografo, registrando su un cilindro la ‘Bourbonnaise’ dalla Manon Lescaut di Auber). Nel maggio 1907 cantò Il barbiere di Siviglia allestito a Parigi in rue de la Faisanderie, nel teatrino di casa del celebre tenore polacco Jean de Reszke, che la Patti aveva avuto per partner nel Roméo et Juliette all’Opéra; con lei si esibirono Giuseppe Anselmi (Almaviva), Mario Ancona (Figaro), Eduard de Reszke (Basilio), Antonio Pini-Corsi (Bartolo). Allo scoppio della prima guerra mondiale si trovava a Karlsbad (Karlovy Vary) per passare le acque: venne fermata con il marito dai tedeschi nel corso delle manifestazioni antinglesi seguite all’attentato di Sarajevo. Il 20 ottobre 1914 tenne un concerto per la Croce rossa, nel 1918 partecipò alla celebrazione per la fine del conflitto. Nel febbraio 1919 la salute cominciò a declinare.

Adelina Patti morì nel suo castello il 27 settembre 1919.

Secondo il giudizio dei critici che l’ascoltarono, la Patti ebbe voce soavissima, morbida, estesa, pastosa, con un timbro particolarissimo, ricco di armonici, non potente ma penetrante. Possedeva gamma omogenea con un passaggio di registro facile e naturale, e un’impressionante arte nella modulazione del suono, dal forte alle più tenui sfumature del pianissimo. Cresciuta alla scuola del belcanto, nel primo periodo della carriera la Patti contribuì, sulla scia di Jenny Lind, alla nascita del soprano d’agilità lirico-leggero: incluse nel suo repertorio parti come Rosina, Lucia, Amina, Semiramide, snaturandone in tutto o in parte la vocalità originale e statuendo un modello per i soprani d’agilità di fine Ottocento e inizio Novecento – tra loro Luisa Tetrazzini, ch’ella conobbe in tarda età e con cui strinse amicizia –, per Nellie Melba e per le loro epigone novecentesche, fino a Joan Sutherland o Edita Gruberová. Virtuosa di rango, aveva coloratura scintillante, sgranata e rotonda, dal suono perlaceo, levigato e nobile, sovracuto argentino, scale mirabili, picchettati sonori. Abilissima nei passi fioriti, conosceva l’arte dell’improvvisazione, che praticava secondo il gusto allora in voga. Non a caso Rossini scrisse per la Patti variazioni da aggiungere al Barbiere di Siviglia, alla Gazza ladra e a Semiramide (in quest’ultimo caso le interpolazioni rossiniane per la cavatina di sortita, Bel raggio lusinghier, si possono ascoltare in un raro disco di Marcella Sembrich, soprano polacco nata nel 1858).

Nella seconda parte della carriera aggiunse al repertorio, dapprima incentrato su La sonnambula, Lucia di Lammermoor, Rigoletto, La traviata, Don Pasquale, Dinorah, Faust, qualche titolo più spinto, come Aida o Roméo et Juliette. Non proseguì su questa strada, intuendo che alla lunga la vocalità più robusta richiesta dal Verdi maturo, dalle parti più drammatiche di Donizetti e dalla scuola naturalista avrebbe rovinato il suo organo vocale. Tuttavia, nel periodo in cui si esibì con il secondo marito, il tenore Nicolini, intensificò le proprie capacità drammatiche. Nel 1875, nel decantarne la rapinosa interpretazione della Dinorah di Meyerbeer, Eduard Hanslick ebbe a dire che Patti, «la primissima tra le artiste di canto viventi, è in un certo senso anche l’ultima che, cresciuta alla severa scuola del virtuosismo rossiniano e del bel canto belliniano, equipaggiata dunque delle supreme conquiste dell’arte canora italiana, abbia nel contempo puntato verso moderni traguardi drammatici» (Die moderne Oper, Berlin 1875, p. 173). Nel 1877 Verdi, che ricordava di averla ammirata in teatro a Londra nel 1862, lodava in lei l’«organizzazione perfetta», il «perfetto equilibrio fra la cantante e l’attrice», che le permettevano di amministrare con sapienza le controscene e di accentare le parole con grande intensità emotiva (I copialettere di Giuseppe Verdi, Milano 1913, pp. 624 s.): sapeva conferire uno spessore inusitato a Gilda nel Rigoletto e costruire una Violetta che giustamente, con quelle di Claudia Muzio e di Maria Callas, è stata poi considerata tra le più rilevanti sotto il profilo sia vocale sia scenico. Alla lunga carriera contribuì l’abilità con cui la Patti seppe amministrare il proprio patrimonio vocale; e anche nella vita ebbe un’indole calcolatrice. Non senza una punta di acrimonia, il soprano Claire Louise Kellogg ebbe a dire: «Non si abbandonava all’emozione […] Non posò mai; non provò mai, mai sentimento alcuno» (Memoirs of an American prima donna, New York 1913, p. 130). Il successo, anzi l’idolatria del pubblico, stimolò atteggiamenti divistici che proiettarono la sua figura in un alone mitico.

Effettuate con tecnica rudimentale e in tarda età, oggetto di fanatismo da parte dei collezionisti per la loro rarità e di analisi infinitesimali da parte degli studiosi, le incisioni discografiche di Patti (Voi che sapete nelle Nozze di Figaro e Batti, batti, bel Masetto nel Don Giovanni di Mozart, Casta diva che inargenti nella Norma e Ah! non credea mirarti nella Sonnambula di Bellini, Pur dicesti, o bocca bella di Antonio Lotti, l’‘aria dei gioielli’ nel Faust di Gounod, Connais-tu le pays nella Mignon di Ambroise Thomas, Si vous n’avez rien à me dire della baronessa Rothschild, La serenata di Tosti, La calesera di Iradier, On parting della Patti medesima, ‘Twas within a mile o’ Edinboro’ town di James Hook, le arie scozzesi e irlandesi Robin Adair, Comin’ thro’ the rye e The last rose of summer) permettono di farsi un’idea, ancorché approssimativa, della sua voce: conservano qualche scheggia del suo magistero, come il mirabile trillo in Ah! non credea mirarti, che ci consente d’intuire quale effetto dovesse produrre il trillo che soleva aggiungere nel finale del primo atto della Traviata.

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