PELLEGRINAGGIO

Enciclopedia Italiana (1935)

PELLEGRINAGGIO (dal lat. peregrinatio "viaggio in terra straniera"; fr. pèlerinage; sp. peregrinación; ted. Pilgrimschaft, Wallfahrt; ingl. pilgrimage)

Giorgio LEVI DELLA VIDA
Ferdinando NERI
Nicola TURCHI

Il pellegrinaggio è una pratica devozionale che consiste nel recarsi collettivamente o individualmente a un santuario o a un luogo comunque sacro e quivi compiere speciali atti di religione, sia a scopo di pietà sia a scopo votivo o penitenziale. La pratica del pellegrinaggio, sotto entrambe le forme, si trova in tutte le religioni perché è naturale che l'uomo visiti i luoghi santificati dalla presenza della divinità o dalle reliquie di un defunto insigne, eroe o santo, irradiando da essi più immediata e più efficace la virtù divina. Il pellegrinaggio è una delle forme devozionali più care ai gruppi umani sia perché mette in giuoco tutte le facoltà dell'individuo visive, uditive, motorie, emozionali intensificandole in virtù dell'associazione; sia perché esalta il vincolo collettivo, che dell'emozione religiosa è fattore potentissimo, in quanto i pellegrini percorrono tutti lo stesso itinerario, compiono i medesimi gesti rituali, orientano la mente verso l'identica idea religiosa; sia perché aumenta il valore e prolunga il ricordo della sacra meta e delle memorie religiose che vi sono connesse, soprattutto quando si tratta di masse nelle quali il senso sociale costituisce l'opportuno complemento delle deficienze spirituali dell'individuo; sia finalmente perché, facendo sentire e quasi misurare il sacrificio, ne fa prevedere e calcolare più sicuramente gli effetti. Se poi si tratta di una religione universale, l'incontrarsi di genti diverse nel medesimo centro religioso giova oltremodo ad imporre il senso dell'unità sociale di quella data religione, al disopra delle barriere di razza e di nazione.

Inoltre il pellegrinaggio è anche un'evasione dalla monotonia della vita ordinaria e perciò è intrapreso con gioia dai piccoli nuclei locali, dove specialmente le donne non hanno occasione di muoversi dal centro ordinario della loro vita. Questa gioia di vedere luoghi nuovi è aumentata dalle allettative che un pellegrinaggio, specialmente se lungo, offre sempre ai luoghi più o meno obbligati di tappa, dove s'improvvisano fiere per piccoli o grandi scambî commerciali, dove poeti e cantori dànno prova del loro genio, dove i custodi di santuarî minori disposti lungo la via esaltano l'eroe o il santo che hanno in custodia.

Questo traffico materiale e spirituale, che riveste carattere di periodicità, oltreché aumentare le conoscenze geografiche ed etniche serve anche a dar risalto alla città meta del pellegrinaggio e a quelle scaglionate lungo la strada; le quali, infatti, spesso finiscono per oscurarsi e anche per tramontare del tutto non appena cessi l'attrazione che la prima esercitava.

Religioni nazionali.

Giappone. - Lo shintoismo è assai amico dei pellegrinaggi. Il pellegrinaggio principale è quello che si fa al tempio di Isé dedicato ad Amaterasu, la dea solare. Tra i più popolari è quello ai 33 santuarî di Kwannon, dea benevola per le miserie umane. Celebre pure è il pellegrinaggio al Fuji-yama la più alta montagna vulcanica del Giappone: e quelle al monte Kimpu-sen in Yamato e Ontake nel Shinano.

In generale i santuarî sono situati in alto e in luoghi malagevoli, di guisa che sia titolo di merito al pellegrino averli raggiunti. I devoti vi si recano a piccoli gruppi, vestiti di bianco, e giunti sul luogo procedono a digiuni e a bagni rituali. Molti pellegrinaggi in Giappone, specialmente nel passato, avevano il carattere di gite di piacere come quello di Yoshino per la fioritura dei ciliegi, quello di Serashina per il plenilunio di autunno e quello al Fuji-yama durante le nevi invernali: in essi aveva ispirazione e sfogo la fantasia dei poeti e s'appagava il culto tutto proprio dei Giapponesi per le bellezze della natura.

Non mancano in Giappone, accanto ai pellegrinaggi ai santuarî shintoisti, anche quelli a santuarî buddhisti e a santuarî misti.

India. - L'India è per eccellenza la terra dei pellegrinaggi specialmente nella regione del Himālaya e del Kashmir. Oltre 60 sono i luoghi di pellegrinaggio nelle provincie di Agra e Oudh, Bengala, Bihar e Orissa, Bombay, Madras, Panjab, Provincie Centrali. Siva è la divinità più frequentemente visitata: seguono Kălĩ, Viṣṇu, Kṛṣṇa. Frequentatissimi sono anche i pellegrinaggi ai fiumi sacri: il Gange, il Jumnā, il Narbada (o Godavari) specialmente ai punti di confluenza: il bagno in questi fiumi cancella le impurità del corpo e dell'anima, bagno il cui tempo viene fissato dai sacerdoti in coincidenza con fenomeni astronomici. Un tatuaggio sul corpo è segno di pellegrinaggio compiuto.

Egitto. - Per l'Egitto Erodoto ricorda il pellegrinaggio compiuto in barca sul Nilo per recarsi a Bubasti al santuario della dea Seket, con danze e insulti rituali e grandiosa luminaria; celebre era pure quello al santuario di Ammone.

Babilonia. - In Babilonia, dove cultualmente è in grande onore la processione, il pellegrinaggio è molto meno documentato. Non si può certo considerare tale il viaggio che Gilgamesh compie per recarsi da Uthnapishtim; ma è un pellegrinaggio quello che Salmanassar II compie nell'851 a Babilonia e a Borsippa per procacciarsi la benevolenza degli dei.

Israele. - A parte i pellegrinaggi individuali di Elqana al santuario di Jahvè a Silo (I Sam., I, 3), quello degl'Israeliti a Efra dove Gedeone aveva fatto un ephod (strumento divinatorio) con l'oro del bottino (Giud., VIII, 27), quello che Geroboamo istituì in Dan e Bethel a due vitelli d'oro per stornare gl'Israeliti dal salire a Gerusalemme (I Re, XII, 26-33), il grande pellegrinaggio che, massime dopo l'esilio, raccoglieva tutti gl'Israeliti era quello al tempio di Gerusalemme in occasione della Pasqua. I pellegrini procedevano a gruppi, cantando lungo la via i salmi "della salita" (graduali), facevano al 15 nisan la cena rituale e visitavano il tempio. Altre due feste che richiamavano gl'Israeliti a Gerusalemme erano quella di Pentecoste, 50 giorni dopo la Pasqua e quella dei Tabernacoli, a settembre, quando erano terminate mietiturȧ e vendemmia.

Grecia. - Le tombe di eroi famosi furono in ogni tempo meta di pellegrinaggio da parte delle genti greche. Ai santuarî di Asclepio a Cos e a Epidauro si diressero sempre devoti in cerca di sanità. Ma anche le grandi adunate religioso-nazionali di Olimpia, di Delfi, di Eleusi si devono considerare come pellegrinaggi perché di questi hanno tutti gli elementi essenziali: il raduno periodico, le gare e i giuochi, il sacrifizio religioso al nume patrono del santuario. Nella pianura di Olimpia, dominata dal bosco sacro (altis) e dal tempio di Zeus erano scaglionati lungo la via sacra numerosi santuarî a cui da tutta la Grecia accorrevano i devoti, ogni 4 anni (olimpiadi) al cader dell'estate, sia per sacrificare agli dei e agli eroi, sia per partecipare o come attori o come spettatori alle gare e ai giuochi. Anche a Delfi ogni 4 anni in epoca non sicuramente determinabile, ma forse in autunno, si celebravano feste religiose e giuochi con grande concorso di popolo. La piana di Eleusi nei giorni dal 13 al 21 Boedromione (sett.-ott.) si riempiva di gente accorsa, con masserizie e cibarie, a iniziarsi o almeno a contemplare l'illuminazione della parte superiore (anaktoron) del telesterio nella "notte santa" che chiudeva le celebrazioni misteriche.

Roma. - I santuarî di Giove Laziale, di Diana Nemorense e di Giunone Lanuvina erano meta di pellegrinaggio, non soltanto ufficiale per le città che erano rappresentate alle feste o per i magistrati che vi dovevano intervenire, ma anche per la frequenza di popolo devoto insieme e festante.

Religioni universali.

Buddhismo. - Quell'inclinazione al pellegrinaggio così radicata nell'India induistica si riscontra anche nel buddhismo. È vero che nel buddhismo più antico (hinayanico o del "piccolo veicolo") il pellegrinaggio non è espressamente consigliato, ma esso era in certo modo implicito nell'obbligo della vita itinerante imposta ai monaci dalla regola (esclusa la stagione delle piogge) e veniva spronato dal desiderio di venerare i luoghi santificati dalla vita e dalla morte del Buddha e dalla presenza delle sue preziose reliquie, distribuite già in otto parti ai devoti accorsi ai funerali ed onorate dal re Asoka con la costruzione di sontuosi stūpa. I principali tra questi luoghi di pellegrinaggio sono: Kapilavastu dove il Buddha nacque, Budh Gayā dove ricevette l'illuminazione, Benares dove tenne la prima predica sulle quattro sante verità, Kusinagara dove morì. Questi luoghi furono visitati e descritti da due celebri monaci pellegrini cinesi: Fa-hien (400-414 d. C.) che li trovò in stato fiorente e Huen-tsang (629-643) che li trovò in decadenza.

Fuori dell'India altri luoghi famosi di pellegrinaggio sono: nell'isola di Ceylon, il tempio del dente di Buddha e il Picco di Adamo dove si ammirano le impronte dei suoi piedi, venerate anche da maomettani, indù e giaina; a Rangoon in Birmania, la pagoda di Shwe Dagon, con le sue cento immagini del Buddha e la reliquia di otto suoi capelli, verso la quale convengono pellegrini non solo dalla Cina e dal Siam, ma anche dal Giappone e dalla Corea. In Cina i luoghi buddhistici di pellegrinaggio si sono sovrapposti a vecchi santuarî taoisti situati sulle montagne e sono principalmente quattro: Omishan (prov. Szechwan), Pictoshan (arcipelago Chusan) Wutarshan (prov. Shensi) e Chinhuashan (Cina centrale, sullo Yang-tze). Nel Tibet e in Mongolia le tre capitali lamaistiche: Lhasa, Tashilumpo e Urga sono visitate da monaci e da fedeli che venerano nei tre grandi lama l'incarnazione di altrettanti bodhisattva (v.).

Cristianesimo. - Il cristianesimo ha ereditato dal mondo religioso orientale e classico la pratica del pellegrinaggio e pure cercando di disciplinarla, non l'ha mai ostacolata perché ne ha sempre ritenuto giustificato il motivo: venerare i luoghi e le cose sacre per il ricordo di Cristo, dei suoi apostoli e dei suoi santi e trarre da questa visita incremento spirituale. Taluni padri della Chiesa, San Girolamo, San Gregorio Nisseno, si sono mostrati contrarî alla pratica del pellegrinaggio, ma per i disordini che spesso lo accompagnavano. I pellegrinaggi cristiani si possono distribuire in due grandi categorie: universali o internazionali e nazionali o locali.

a) Pellegrinaggi universali. - Terrasanta. - Il pellegrinaggio ai luoghi santi, che era già in uso nei secoli precedenti, prese una grande voga nel secolo IV in seguito al pio valorizzamento che S. Elena diede loro con il suo pellegrinaggio coronato dall'invenzione della vera Croce. Di quest'antica epoca abbiamo quale preziosa testimonianza superstite la descrizione della pellegrina Eteria (v.). I luoghi più frequentemente visitati dai pellegrini erano a Gerusalemme il S. Sepolcro, il santuario della Croce, il Martyrium; a Betlemme il luogo della natività; a Betania la casa di Lazzaro; sul monte degli Olivi l'Imbomon o luogo dell'Ascensione.

Roma. - Le tombe degli apostoli Pietro e Paolo (limina apostolorum) e quelle dei martiri furono fin da principio meta devota di pellegrinaggio. San Giovanni Crisostomo deplora che la sua salute e le sue occupazioni gl'impediscano il pellegrinaggio a Roma. Numerosi itinerarî servirono ai pellegrini da guida ai varî santuarî della città. Essi sono la Notitia regionum urbis Romae (540), il Papiro di Monza con l'elenco degli olî raccolti dall'abate Giovanni per incarico della regina Teodolinda dalle lampade che ardevano avanti alle tombe dei martiri; e poi, redatti dopo il mille ma con elementi più antichi, l'Itinerario salisburghese, l'Itinerario Malmesburiense (detto anche Notitia portarum, viarum et ecclesiarum circa urbem Romam) la Topographia Einsiedlensis, la Topografia estratta dalla vita di papa Adriano I, il Liber mirabilium urbis Romae. Durante le loro visite ai santuarî i pellegrini usavano graffire invocazioni propiziatorie presso la tomba del santo (esempio tipico quelle della Memoria apostolorum presso la basilica di San Sebastiano) e portar seco in tante ampolle di argilla l'olio delle lampade accese avanti al sepolcro dei santi.

Anno santo. - Questi pellegrinaggi romani furono resi periodici dall'istituzione dell'anno santo, disciplinata più che creata da Bonifacio VIII. Egli stabilì che questo pellegrinaggio solenne si rinnovasse ogni secolo ma i successori per fare usufruire dei suoi benefizî tutte le generazioni lo fissarono ogni 25 anni. Il pellegrino dell'anno santo deve visitare un certo numero di volte (30 poi ridotte a 20 per i Romani e a 10 e anche a minor numero per i forestieri) le quattro basiliche patriarcali e compiervi le sue devozioni accostandosi ai sacramenti della confessione e della comunione.

Appositi luoghi, oltre i portici delle basiliche, erano adibiti al ricovero di tanti fedeli convenuti da ogni regione: il più noto è quello che si chiama SS. Trinità dei pellegrini, presso il Ponte Sisto.

Loreto. - Dopo Roma, Loreto è stata sempre la più insigne meta di pellegrinaggio da ogni parte di Europa: papi, re, principi, uomini santi (Giacomo della Marca, Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, Carlo Borromeo, Francesco di Sales, Benedetto Labre) hanno visitato il santuario arricchendolo oltremodo di doni, che furono poi confiscati da Napoleone. Il santuario, già esente da giurisdizione vescovile, poi sottoposto al vescovo di Recanati, è ora tornato alla diretta dipendenza della Santa Sede, sotto l'amministrazione apostolica del nunzio presso il re d'Italia.

Compostela. - Il santuario dell'apostolo S. Giacomo il Maggiore (Santiago) a Compostella, capitale della Galizia, sorto nel primo terzo del sec. IX sopra una tomba romana che finì per esser considerata come quella dell'apostolo, fu meta di pellegrinaggio da ogni parte di Europa nel Medioevo: convenientibus eo religionis et voti causa ex toto terrarum orbe peregrinis (Brev. Rom.). Dante menziona san Giacomo come "il barone per cui... si visita Galizia" (Par., XXV, 18) anzi nella Vita nuova, 41, osserva che "in modo stretto non s'intende peregrino se non chi va verso la casa di San Iacopo". Con l'epoca moderna il pellegrinaggio compostellano è venuto perdendo il suo valore universale.

Lourdes. - Per questo centro internazionale v. lourdes.

b) Pellegrinaggi nazionali e locali. - Francia. - Chartres: santuario di Maria Vergine sorto in località già sacra al druidismo gallico. Mont-Saint-Michel (Normandia): pittoresco luogo frequentatissimo in passato specialmente in tempi di guerra o di carestia; tuttora è meta di pellegrinaggi locali. Tours: vi è il santuario di San Martino apostolo delle Gallie il cui sepolcro fu visitato da papi (da Urbano II ad Alessandro III) da re (merovingi, carolingi, capetingi fino a Carlo VIII e Francesco I) e da fedeli, specialmente in occasione della festa (11 novembre).

Germania. - Aquisgrana: è il più famoso centro tedesco di pellegrinaggio. La cattedrale si vanta di possedere le reliquie più rare e meravigliose, quali le fasce del S. Bambino, la tunica bianca della Madonna, il sudario di San Giovanni Battista. Queste reliquie sono esposte alla pubblica venerazione ogni sette anni e in quell'occasione muovono verso Aquisgrana numerosissimi pellegrinaggi. Colonia: la cattedrale conserva le reliquie dei tre re magi Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Kevelaer: santuario di Maria Vergine, poeticamente cantato da Heine.

Inghilterra. - Canterbury: custodiva un tempo la tomba di San Tommaso Becket arcivescovo e martire verso la quale accorrevano pellegrini da tutta l'Inghilterra; gli abusi di questo pellegrinaggio sono stati descritti da Chaucer, nei Tales of Canterbury. Il santuario fu distrutto da Enrico VIII nel 1538. Walshingham (Norfolk): santuario di Maria Vergine dov'erano venerate alcune gocce del suo latte. Nel Flintshire (Galles) vi è il santuario di San Vinifredo, presso una fonte dotata di mirabile potere.

Irlanda. - Down Patrick: santuario contenente le reliquie dei tre più grandi santi irlandesi: San Patrizio, Santa Brigida e San Colomba. Lough Derg (contea Donegal). In un'isola di detto lago v'è il cosiddetto Purgatorio di San Patrizio, costituito un tempo da una caverna (ora chiusa), che si riteneva in comunicazione col purgatorio, oggi da una serie di edifici dove si svolgono dal 15 giugno al 15 agosto le pratiche devozionali del pellegrinaggio. Queste consistono in una prima notte di veglia e in 3 giorni di ritiro penitenziale e di digiuno durante i quali si compiono speciali riti di preghiera e la circumambulazione a piedi scalzi della chiesa di San Patrizio e dei quattro "letti di penitenza" o recinti circolari dedicati a S. Brigida, S. Brandano, Santa Caterina e San Colomba.

Italia. - Assisi: al sepolcro di San Francesco. Bari: alla basilica di San Nicola, meta di pellegrinaggio da tutto l'Oriente slavo. Isola del Gran Sasso: pellegrinaggio locale al sepolcro di San Gabriele dell'Addolorata. S. Michele al Gargano: celebre per l'apparizione dell'arcangelo. Padova: alla tomba di Sant'Antonio. Pompei: alla Madonna del Rosario. Torino: alla S. Sindone meta di speciali pellegrinaggi all'epoca dell'ostensione del Sudario. Vallepietra (Subiaco): santuario entro una roccia, già sacra fin dall'epoca pagana come lo attesta la stipe votiva, dedicato alla SS. Trinità. Verso questo santuario le plebi rurali dell'Italia centrale muovono la domenica della Trinità e il 26 luglio, divise per compagnie, compiono il rito di passaggio dei ponti al limite del territorio sacro attraversandoli in ginocchio o a ritroso e gittando dal ponte una pietra a documentazione dell'atto compiuto (cfr. ciociaria, X, tav. XCVII), fanno la cintura interna del santuario toccandone la parete rocciosa mentre recitano il credo e finiscono con la confessione dei peccati e la comunione, ascoltando da ultimo il "Pianto delle zitelle", canto ritmico della passione cantato da fanciulle biancovestite che reggono i simboli della passione.

Polonia. - Czętochowa: il più grandioso santuario polacco di Maria.

Spagna. - Saragozza: santuario della Vergine del Pilar, il più popolare santuario attuale della Spagna. Guadalupa (Estremadura): altro celebre santuario mariano.

Svizzera. - Einsiedeln: santuario mariano.

Usi del pellegrinaggio. - Il pellegrino cristiano, prima di muoversi, riceveva una speciale benedizione che veniva data anche agl'indumenti che egli indossava e che lo rendevano rispettato: una veste lunga, con una mantellina sulle spalle (sanrocchino o pellegrina) un cappello a larghe tese legato sotto il mento e che poteva lasciarsi ricadere dietro le spalle, un bordone e una bisaccia ove teneva le sue carte e il suo denaro. È il vestito con cui i pittori rappresentano San Rocco, il santo pellegrino per eccellenza. I pellegrini erano ospitati volentieri da comunità e da privati: avevano appositi itinerarî scritti per loro uso e in talune città più importanti v'erano speciali guide incaricate di condurli ai diversi santuarî. In Roma questi ciceroni erano detti guidones ed attendevano alla quinta porta (porta santa) della basilica vaticana detta perciò porta guidonalis; erano chiamati anche porticani e duces.

Compiuto il pellegrinaggio (ciò che costituiva un titolo speciale di merito) essi se ne ponevano indosso i distintivi: i pellegrini di Terra Santa le palme, detti perciò "palmati", i romei le chiavi o il v0lto santo, i compostellani una conchiglia. Attualmente, abolito il sanrocchino e il bordone, i pellegrini appuntano sull'abito comune un distintivo sacro che ne manifesta la provenienza e la meta.

Si capisce che la promiscuità di tanto popolo, non sempre mosso da puro motivo devozionale e penitenziale, dovesse produrre inconvenienti di dissipazione, di crapula e d'immoralità non ignoti anche alla tradizione poetica popolare. Perciò l'autore della Imitazione di Cristo avvertiva già: "qui multum peregrinantur, raro sanctificantur" I, 23, 4. Ed Erasmo (Colloqui, II, i -37) sferza con sottile ironia le pie frodi che i custodi dei varî santuarî mettevano in opera per valorizzarli agli occhi dei pellegrini. La riforma protestante attaccò vivamente la pratica del pellegrinaggio non solo per stigmatizzarne gli abusi, ma per infirmarla in radice conforme al suo concetto dell'inutilità delle opere rispetto alla grazia. Perciò il concilio di Trento sistemò anche questo capitolo della prassi devozionale (sess. XXIV, cap. XXI de reform.). E da allora infatti i pellegrinaggi hanno assunto un carattere più disciplinato, sebbene meno austero, e tuttora la Chiesa li permette considerandoli soprattutto come ottima pratica penitenziale (cfr. Cod. Iur. Can., can. 2313, par. 1).

V. tavv. LIX e LX.

Bibl.: L. de Sivry et Champagnac, Dictionnaire des pèlerinages, Parigi 1851; E. Hucher, Des enseignes de pèlerinage, Parigi 1854; F. R. Salmon, Les grands pèlerinages et leurs sanctuaires, ivi 1873; Palestine Pilgrim Text Soc., Londra 1884 seg.; Deutsche Pilgerreisen nach dem Heiligen Lande, Innsbruck 1900; Itinera Hierosolymitana saec. IV-VIII, Vienna 1908; B. Camm, Forgotten Shrines, Londra 1910; S. H. Heath, Pilgrim Life in the middle Ages, Boston 1912.

Islamismo. - Il pellegrinaggio alla Mecca (ḥaǵǵ), che la legge religiosa islamica impone a ogni musulmano di compiere almeno una volta durante la vita a condizione che ne abbia la capacità fisica ed i mezzi e che le vie di comunicazione siano sufficientemente sicure (v. islamismo, XIX, pp. 612-13), è la continuazione di un rito preislamico, congiunto col culto della Ka‛bah, il santuario della Mecca, e in tutto analogo ad altri pellegrinaggi che si compivano in tutto il dominio delle religioni semitiche. La stessa parola ḥaǵǵ è affine a quella ebraica ḥag, che dal significato originario di "pellegrinaggio" ha assunto poi in ebraico quello più esteso di "festa religiosa" in generale. Anche nelle religioni semitiche fuori d'Arabia, e nell'Arabia stessa, per quel poco che si conosce della sua religione nell'età preislamica, si constatano, in occasione di pellegrinaggi, cerimonie analoghe a quelle che l'islamismo ha conservate nel suo culto. L'accoglimento di questo rito pagano nel sistema religioso islamico fu operato da Maometto dopo la metà del secondo anno dalla sua ègira od emigrazione dalla Mecca a Medina, ossia nel 624, in conseguenza della sua rottura definitiva con il giudaismo, ormai da lui proclamato degenerazione del giudaismo autentico di Abramo, di Mosè ecc. Fra gli atti compiuti allora da Maometto per affermare la sua emancipazione dal culto ebraico è la proclamazione che la Ka‛bah era il più antico tempio eretto sulla terra al culto del vero Dio (Cor., II, 119-124), che il costruttore era stato Abramo insieme con il figlio Ismaele, ai quali Dio stesso aveva insegnato i riti del pellegrinaggio, e che quindi il pellegrinaggio alla Ka‛bah era un dovere per i musulmani appena ne avessero avuta la possibilità (Cor., III, 90-91); così il programma di conquista della Mecca appariva giustificato idealmente dal dovere religioso di restituire la Ka‛bah al culto del vero Dio, di purificarla dalle scorie del paganesimo e di renderla proprietà esclusiva dei musulmani (v. maometto, XXII, p. 195).

Difficilmente la connessione della Ka‛bah e del pellegrinaggio col personaggio biblico di Abramo (giunto alla Mecca per ritrovare e riconoscere suo figlio Ismaele) sarà stata una pura invenzione di Maometto, il quale probabilmente raccolse e sviluppò una tradizione che forse si era formata tra ebrei e cristiani di Arabia; comunque sia, tale connessione costituisce il vincolo, fittizio dal punto di vista storico, tra il monoteismo di origine giudeo-cristiana che è alla base della predicazione coranica e l'antico paganesimo arabo. Maometto, che già due anni prima della conquista della Mecca era riuscito a ottenere per sé e per i suoi il diritto di compiere senza ostacoli le cerimonie del pellegrinaggio, se pure, avvenuta la conquista, si affrettò a purgare la Ka‛bah dalle immagini delle altre divinità e a riconsacrarla al culto del solo Allāh, lasciò intatte (forse soltanto con qualche limitazione di forme troppo crudamente politeistiche) le cerimonie del pellegrinaggio. Ciò facendo egli conferiva al culto meccano un carattere di universalità e conservava per l'avvenire all'Arabia la dignità di centro religioso dell'Islām, anche dopo che questo si fu diffuso in regioni lontanissime; ma al tempo stesso introduceva nella religione da lui fondata un elemento ripugnante all'universalismo e alla spiritualità del monoteismo da lui predicato, condannandola a una decisa inferiorità non solo rispetto al cristianesimo (le cui manifestazioni religiose non sono legate ad alcuna località determinata), ma allo stesso giudaismo della diaspora nel quale la funzione di Gerusalemme come centro del culto era divenuta, di essenziale che era in origine, soltanto ideale.

Il pellegrinaggio alla Mecca si compie alla fine dell'anno, tra il 7 e il 10 del mese di dhū 'l-ḥiggiah, l'ultimo dell'anno musulmano (naturalmente, dato il carattere lunare di questo, tali giorni indietreggiano di continuo rispetto all'anno solare). Condizione preliminare perché esso sia valido è che il pellegrino assuma, nell'atto di entrare nella zona sacra di territorio circostante alla città (il cosiddetto ḥaram), uno speciale abbigliamento costituito di due pezze di stoffa e che si astenga, durante il periodo delle cerimonie, da determinate azioni: rapporti sessuali, taglio dei capelli, uccisione di animali e simili (il carattere pagano di tali interdizioni è evidente). Le cerimonie proprie del pellegrinaggio si compiono in parte attorno alla Ka‛bah e nelle sue immediate vicinanze, in parte in località poco distanti, probabilmente antiche sedi di culti preislamici; la parte essenziale di esse consiste nel ṭawāf, ossia il circuito solenne della Ka‛bah, durante il quale viene toccata la "pietra nera" incastrata in uno dei muri di essa, e nella corsa tra due piccoli rialzi di terreno incorporati nella città e detti aṣ-Ṣafā e al-Marwah. A questi due atti, ambedue caratteristici anche di altri tipi di pellegrinaggi, sia nelle religioni semitiche, sia in altre, se ne accompagnano altri (che probabilmente facevano parte in origine di culti rivolti a divinità secondarie adorate fuori della Ka‛bah), dei quali i principali sono i seguenti: dopo il raduno alla Mecca, i pellegrini si recano, l'8 del mese ai piedi della collina di ‛Arafah, od ‛Arafāt (a 21 1/2 km. a oriente della città), dove viene trascorsa in veglia la notte; il mattino seguente ha luogo la stazione (wuqūf) nella stessa località, e verso sera il percorso, a passo celere, alla località di al-Muzdalifah; il 10 i pellegrini si recano a Miná a compiervi la cerimonia del gettito di alcune pietruzze (ricordo, come vuole la tradizione islamica, di quelle gettate da Abramo contro Satana, in realtà un rito apotropaico largamente diffuso); a sera si sacrifica un montone, cerimonia che viene compiuta, nel medesimo giorno, anche in tutto il resto del mondo islamico e che viene considerata la più solenne delle feste religiose (al-‛īd al-kabīr, il grande Bairām; il giorno in cui si compie è detto yawm al-aḍḥà "giorno dei sacrifici").

I califfi omayyadi e ‛abbāsidi ogni anno mandavano una carovana ufficiale del pellegrinaggio, rispettivamente da Damasco e da Baghdād, guidata da qualche alto personaggio (talora un principe stesso della dinastia); e quest'uso fu conservato dai sultani mamelucchi dell'Egitto e della Siria e poi dai loro successori, i sultani ottomani. Con le due carovane ufficiali, partenti rispettivamente dal Cairo e da Damasco, dal 1272 almeno, venivano mandate le ricchissime stoffe destinate a coprire ogni anno di nuovo le pareti esterne della Ka‛bah; uso cessato da parte della Siria dopo il 1915 a causa della rivolta del Ḥigiāz all'impero ottomano, e da parte dell'Egitto dopo il pellegrinaggio del 1926 a causa dell'intransigenza dei Wahhābiti (v. maḥmal).

Una forma ridotta del pellegrinaggio (ma che non può sostituirlo e che quindi rappresenta solo un atto meritorio in più) è la cosiddetta ‛omrah (v.), che si compie in qualunque momento dell'anno.

Il pellegrinaggio ha avuto, e conserva tuttora, un'immensa importanza morale per l'entusiasmo religioso, spinto talvolta fino al fanatismo, che esso suscita in coloro che vi partecipano, e poiché, riunendo e ponendo a contatto fedeli giunti dalle regioni più remote, serve a cementare l'unità e la solidarietà del mondo islamico. Per questo motivo l'organizzazione del viaggio dei pellegrini è stata curata fin dai tempi più antichi dai governi musulmani (sotto il califfato si provvide anche all'apertura e alla manutenzione di strade di accesso attraverso l'Arabia), cui si sono sostituiti, in tempi recenti, i governi europei che hanno la sovranità su grandi nuclei di sudditi musulmani, e segnatamente l'Inghilterra, l'Olanda, la Francia. Attualmente la gran massa dei pellegrini (salvo quelli che giungono per ferrovia dalla Siria e per carovana dalla Persia) sbarca nel porto di Gedda. Alle preoccupazioni politiche si accompagnano quelle sanitarie, poiché l'agglomerazione di tante migliaia di persone (in alcuni anni il numero dei pellegrini ha superato i 100 mila) costituisce un pericoloso focolaio di epidemie: i servizî sanitarî e le quarantene, che funzionano da parecchi decennî ad aṭ-Ţōr (nella penisola del Sinai) e nell'isola di Kamarān sotto vigilanza internazionale, hanno attualmente ridotto di molto tale pericolo. La venerazione della quale erano fatti segno in passato coloro che avevano compiuto il pellegrinaggio, quando il viaggio rappresentava una spesa, una fatica e spesso un pericolo non indifferenti, è ora alquanto diminuita, grazie alle facilitazioni offerte dalla civiltà moderna: negli ultimi anni perfino il percorso tra Gedda e la Mecca, che un tempo si compiva faticosamente a dorso di cammello in due giorni, può venir fatto in automobile in tre ore; e il pericolo perpetuo di aggressioni da parte dei beduini (al quale si ovviava in passato col pagamento di un tributo) è scomparso in seguito all'energica polizia del governo wahhābita a partire dal 1926.

Al reduce dal pellegrinaggio vien dato il titolo onorifico di ḥāǵǵ (in turco ḥāǵǵ), che si suole premettere al nome.

La religione ufficiale islamica non conosce altro pellegrinaggio che quello della Mecca; ma la pietà popolare ne ha introdotti molti altri: anzitutto quello alla tomba di Maometto a Medina, indi alla tomba di altri personaggi in fama di santità; ma questi pellegrinaggi non sono chiamati ḥaǵǵ, bensì ziyārah "visita", e ciascuna regione del mondo islamico ha, naturalmente, i suoi proprî: le cerimonie che vi si svolgono presentano spesso avanzi di culti pagani (talvolta anche cristiani). Il rigorismo ortodosso condanna queste cerimonie, e segnatamente la visita alla tomba di Maometto è stata, se non vietata dal governo wahhābita, per lo meno severamente sorvegliata e spogliata di ogni manifestazione di carattere cultuale.

Gli Sciiti sogliono visitare le tombe dei loro imām; i più famosi centri di pellegrinaggi sono en-Negef o Meshhed ‛Alī (tomba del califfo ‛Alī) e Kerbelā o Meshhed Ḥusain (tomba di Ḥusain) nell'‛Irāq, Meshhed (tomba dell'ottavo imām ‛Alī ar-Riḍā); per essi v. le voci relative.

Bibl.: Enciclopedia dell'Islām, s. v. Ḥadjdj, e soprattutto Gaudefroy-Demombynes, Les pèlerinage à la Mecque, Parigi 1923.

Il pellegrinaggio in relazione con le "Chansons de geste". - Le strade che conducevano i pellegrini verso i luoghi santi, a Roma, in Palestina, e in seguito a S. Giacomo di Compostella, furono per il Medioevo un tramite di cultura, di leggende, e perciò anche di poesia. Che di esse si dovesse tener conto nello studio delle origini e degli elementi dell'epopea francese, avevano riconosciuto assai presto gli storici ed i filologi, segnatamente P. Rjina; ma chi diede il massimo sviluppo all'indagine fu, nei primi anni del secolo XX, J. Bédier. Presa in esame la Chanson de Guillaume, e con essa l'intero ciclo di Guglielmo d'Orange, egli fu tratto a ricercarne l'origine nell'abbazia di Saint-Guilhem-du-Désert, cioè ad una tappa fra le più importanti della Via Tolosana, che i pellegrini seguivano per recarsi a S. Giacomo di Compostella: le canzoni di quel ciclo dispongono la loro azione nei luoghi percorsi dalla via del pellegrinaggio (basti ricordare Le Charroi de Nimes, La Prise d'Orange, La Chanson d'Aliscans, Aymeri de Narbonne); e ciò dovette accadere perché i viandanti animati dalla fede, in un'età su cui aleggiava lo spirito religioso e cavalleresco delle crociate, raccolsero e propagarono la leggenda epica, che si sviluppò, protetta in certo modo dai santuarî, per un'azione concorde, per un'effettiva collaborazione letteraria dei monaci e dei giullari. In seguito, il Bédier estese la sua teoria alle altre chansons de geste e all'altra grande via di pellegrinaggio, che si dipartiva dalla Francia alla volta di Roma e della Terra Santa. A cominciare dai varchi alpini del Gran San Bernardo, del Moncenisio, del Monginevro, e lungo il litorale fra Mentone e Ventimiglia, la leggenda carolingia si collega appunto all'itinerario dei pellegrini, alla via "romea". Il Chronicon, scritto nel sec. XI all'abbazia della Novalesa, registra, oltre il ricordo delle guerre di Carlomagno, la leggenda di Waltharius, d'origine germanica, atteggiata in forme analoghe a quelle delle canzoni di gesta francesi. Proseguendo sulla strata francigena, Mortara onorava come santi Amico e Amelio, la cui leggenda aveva già assunto un colorito epico; ed i poemi francesi ricordano Pavia, Piacenza, Borgo S. Donnino, Bologna, Imola, e, sul cammino che si stacca dalla via Emilia poco prima di Parma, Fornovo, Pontremoli, Luni, Capriglia, Lucca ed il Serchio, Viterbo, Sutri, il Monte Mario (Montjoie, o Mongioia, ultima stazione in vista di Roma). Dei porti d'imbarco verso la Terra Santa, prevalgono Genova e Brindisi, insieme con le località disposte sulle vie che vi facevano capo. Per contro, ove si eccettui la menzione della Calabria, che ci è data dalla canzone d'Aspremont, e in modo generico in quella di Jehan de Lanson, i poemi francesi non dànno risalto ad altre città o luoghi italiani estranei alle vie di pellegrinaggio; e i luoghi stessi che le canzoni di gesta ricordano, e che s'incontrano lungo quelle vie, serbano più frequenti le reliquie della leggenda epica.

Formata dapprima in Italia, sulla scorta di una Vita Hadriani (nota anche all'agiografo di Amico ed Amelio), la leggenda di Uggeri il Danese trasmigrò in Francia, e fiorì tra i monaci dell'abbazia di Saint-Faron di Meaux. La canzone di Girard de Roussillon ci attesta una leggenda che ha le sue origini nel pellegrinaggio alle reliquie di Santa Maria Maddalena a Vézelay.

Non restava al Bédier se non applicare questa dottrina allo studio della Chanson de Roland: infatti l'episodio centrale e vitale del poema, la morte dell'eroe a Roncisvalle, si veniva a disporre sulla grande strada del pellegrinaggio di S. Giacomo; la stessa cronaca dello pseudo-Turpino non è che un capitolo del Jacobus, dove precede una vera e propria guida per i pellegrini; alcuni nomi geografici della Chanson si possono identificare con sicurezza nei luoghi che la guida registra: l'idea di una guerra santa in Spagna avviva nell'età delle crociate, al varco dei Pirenei, la leggenda di Orlando, come quella di un martire, a edificazione dei cavalieri e dei pellegrini diretti verso Compostella.

Infine, la canzone di Gormond et Isembard, di cui ci rimane un frammento, appare legata all'abbazia di Saint-Riquier; il Renaud de Montauban, all'abbazia di Stavelot e Malmédy; l'abbazia regale di Saint-Denis è un vivaio di leggende epiche ispirate alla memoria di Carlomagno.

Se la teoria del Bédier attende ancora un chiarimento più pieno dei rapporti che intercedono fra la leggenda e la sua espressione letteraria (rapporti che non possono esaurirsi nell'asserita collaborazione dei chierici e dei giullari), è certo che per essa è ormai acquisita alla storia letteraria l'importanza delle vie di pellegrinaggio nella formazione e la trasmissione di molte chansons de geste; e di riflesso, l'indagine più alacre e profonda delle condizioni di cultura proprie del Medioevo ha sgombrato la filologia romanza di alcuni preconcetti critici, che s'ispiravano ad analogie fittizie con l'origine delle antiche epopee.

Bibl.: J. Bédier, Les Légendes épiques: Recherches sur la formation des chansons de geste, voll. 4, Parigi 1908-13; P. Rajna, Una rivoluzione negli studi intorno alle "Chansons de geste", in Studi medievali, III (1910), p. 331 segg.; id., Strade, pellegrinaggi ed ospizi nell'Italia del Medioevo, in Atti della Società italiana per il progresso delle scienze, V, Roma 1911.