PERCIVALLE DORIA

Federiciana (2005)

Percivalle Doria

Corrado Calenda

Di questo interessante rimatore bilingue (in volgare siciliano e in provenzale) è stata fornita un'identificazione tradizionale piuttosto precisa, sottoscritta in pratica da tutti gli studiosi che se ne sono occupati. La si ripropone qui nell'esatta sintesi di Gianfranco Contini: "Chiamato veramente dal canzoniere Vaticano 'messer Prezivalle Dore', questo personaggio dell'insigne famiglia genovese esercitò la podesteria, fra il 1228 e il 1243, in Asti, Arles, Avignone (ciò che contribuisce a spiegare la sua attività di rimatore provenzale), Parma e Pavia. Nel 1258 fu vicario di Manfredi per il ducato, la Marca anconitana e la Romagna; e morì nel 1264 attraversando il fiume Nera". A tale identificazione sono collegate molte illazioni cronologiche sulle fasi 'successive' dell'attività dell'autore (prima, e capitale, la persuasione, da tutti stancamente ripetuta, che i componimenti italiani siano stati prodotti negli anni compresi tra l'assunzione del vicariato e la morte, dopo quelli in provenzale). Ma intanto nel 1983 Alessandro Vitale Brovarone aveva proposto una candidatura alternativa: il rimatore sarebbe non il personaggio sin qui indicato, morto nel 1264, ma l'omonimo cugino, morto invece nel 1275, figlio di Emanuele, fratello di Ingone, padre del primo.

È vero che le prime menzioni dei due nei documenti sono molto distanziate nel tempo (il figlio di Ingone compare per la prima volta nel 1234, l'altro solo nel 1256), ma le ipotesi del Crema a proposito della notevole differenza di età tra i due (che potrebbe far pendere la bilancia a favore del candidato tradizionale) possono essere quanto meno messe in discussione dal fatto che il figlio di Emanuele fu probabilmente assai longevo se un figlio, Simone, gli premorì e un altro, Daniele, risulta già morto nel 1282. Innanzitutto, data la incontestata omonimia, non è possibile escludere, come già ammetteva Crema, pur sostenitore dell'identificazione vulgata, che le cariche attribuite a un "Percivalle" possano essere state distribuite tra i due cugini (senza contare peraltro che la competenza linguistica provenzale non impone affatto, per il periodo in questione, una presenza fisica in loco). Ma poi la nuova ipotesi si fonda soprattutto sulla provvidenziale ricostruzione della biblioteca, o di un frammento della biblioteca del figlio di Emanuele, resa possibile dagli inventari di Giovanna Petti Balbi (Il libro nella società genovese del sec. XIII, "La Bibliofilia", 80, 1978, pp. 1-45), da cui risulta una presenza molto specializzata di libri romanciorum, definizione in se stessa non univoca ma che una serie di considerazioni di carattere codicologico (relative soprattutto alla dimensione dei volumi censiti) induce a riferire a "raccolte di testi poetici in volgare". Da cui, ovviamente, acquista verosimiglianza il collegamento con il rimatore 'siciliano'.

Come che sia, per quanto riguarda la figura del rimatore, è possibile affermare con certezza che P. è autore, in provenzale, di Felon cor et enic, un sirventese di argomento guerresco scritto in appoggio a Manfredi, e di una cobla di tenzone con Felip de Valensa, Per aqest cors, del teu trip. Il che farebbe pensare che "la distinzione linguistica [...] non dipende da circostanze esterne" ma "corrisponde a una precisa distribuzione di generi" (Brugnolo, 1995). Le due canzoni in volgare siciliano, infatti, Amore m'ave priso e Kome lo giorno quand'è dal maitino, rientrano nel canone del monotematismo erotico della Scuola. La prima, testimoniata da V (Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 3793) alla c. 25r, si compone di tre stanze singulars e capfinidas, anche se in modo non rigoroso, ciascuna di dodici versi, dieci settenari e due endecasillabi finali che fanno combinatio. I due piedi sono di tre versi; nella sirma, al penultimo endecasillabo la rima interna, che isola un quinario, è rima estramp, irrelata cioè all'interno della stanza ma ripresa nella stessa sede delle altre strofe. Appartiene al registro disforico dell'amante che, caduto in preda di un nuovo amore "salvagio", cioè 'aspro, scabroso', dispera del tutto di poterne trarre beneficio, se non fosse la speranza finale (che ha però tutta l'aria di un wishfulthinking) di doverne essere necessariamente rimeritato, sia pure in un futuro indistinto. Scarsi e piuttosto generici i legami con la tradizione occitanica.

Più probabile e stringente il nesso dell'incipit con il secondo verso di Madonna, dir vo voglio "como l'amor m'ha priso" e d'altra parte il tema paradossale dell'orgoglio della donna che attizza piuttosto che smorzare l'ardore della passione trova riscontro in molti luoghi del Notaro, a partire appunto dalla prima stanza della stessa canzone (non per caso P. è fatto rientrare da Brugnolo nella schiera dei "lentiniani" fedeli). Di qualche rilievo l'immagine del v. 24 "Amor m'à preso come il pescie a l'amo", che il nostro testo condivide con il celebre Contrasto di Cielo, v. 135, ricavandola in realtà da Bernart de Ventadorn, Be m'an perdut, vv. 8-10, sulla falsariga della nota pseudoetimologia medievale amor〈HAMUS.

Di grandissimo interesse è Kome lo giorno. Il testo tràdito da V, c. 25r, comprende tre stanze; ma la canzone è anche nel ms. Chig. L. VIII. 305 (Ch; Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana), cc. 81v-82r, in una versione più lunga che include le prime due stanze (con numerose varianti) di V ma non la terza, e ne aggiunge altre due completamente nuove. Dunque V manca delle ultime due stanze, Ch della terza. Non solo, ma mentre V attribuisce la canzone a Mess Prezivalle Dore, la rubrica di Ch recita Mess Semprebene dabologna. Da qui l'ipotesi continiana, più brillante che persuasiva, di un Semprebene rimaneggiatore, appoggiata peraltro al caso, almeno altrettanto insidioso, di S'eo trovasse Pietanza di re Enzo. La presunta coautorialità del componimento (sostenuta tra gli altri da Maria Luisa Meneghetti che riconosce la peculiarità della "seconda mano" nella contrazione dei gallicismi, nella prolungata metafora "marinara" e nella "retorica suasoria" con cui si chiude il testo) è ipotesi molto suggestiva, anche perché incrementerebbe la testimonianza di una fortuna, protratta nel tempo (la figura di P. si prolunga ben dentro l'età di Manfredi) e in ambiti fisicamente lontani da quelli originari (Genova e Bologna), della lingua e dei temi della Scuola. Ma, alla luce dei dati in nostro possesso, la questione della paternità è da dichiararsi meno rilevante (anche perché francamente insolubile) di quella relativa alla facies testuale in cui occorre proporre il componimento.

Il confronto tra le varianti concorrenti nella parte comune dei due testimoni può far pensare a fasi redazionali distinte, confrontabili però senza difficoltà con il ricorso a un normale apparato. Le due nuove stanze di Ch andranno prudenzialmente considerate sostitutive della terza stanza di V, la quale d'altra parte figurerà come conclusione della prima fase redazionale. Si accetterà dunque l'attribuzione del solitamente affidabile ordinatore di V, si stamperà la versione vaticana completa segnalando in apparato tutte le varianti concorrenti di Ch e si aggiungeranno infine le due nuove stanze di Ch specificando con opportuni accorgimenti che sostituiscono la terza stanza di V. La complessità della situazione editoriale non può in ogni caso gettar ombra sul valore intrinseco della canzone, che presenta una stanza con due piedi endecasillabici di due versi ciascuno, con due rime interne al secondo e al quarto (è lo stesso schema di Ben m'è venuto del Notaro), e una sirma anch'essa endecasillabica (con combinatio e rima interna in penultima sede), tranne il terzo verso, che è un quaternario in V e nella parte comune a V e a Ch, un quinario nella porzione di testo esclusiva di Ch.

Di grande interesse l'apertura stagionale, non comune tra i Siciliani, risolta nella forma di una mirabile, protratta similitudine, con echi, perfettamente rifunzionalizzati, dalla più nota tradizione occitanica (Guglielmo IX, Marcabruno). Ma è l'impianto complessivo della canzone che colpisce: il motivo comune del mutato atteggiamento della donna, dal favore all'ostilità, che genera il rimpianto di non aver resistito alle sollecitazioni di Amore (cf. l'inizio della stanza IV, cioè della prima originale di Ch: "Assai val meglio lo no incomenzare, / ca, poi lo fare, non val ripentanza"), non si risolve nell'intenzione, di solito prevalente, di insistere descrittivamente sul cambiamento di lei, ma piuttosto di render conto delle complesse reazioni dell'amante, dall'illusoria esaltazione iniziale all'attuale sconforto (per cui cf. soprattutto i vv. 21-22 in cui l'autore recupera efficacemente un proverbio di lunghissima tradizione destinato a giungere sino al Petrarca: "or sento e vio che gran follia lo tira, / chi lauda il giorno avanti che sia sera"). Anche per P., secondo le tonalità più proprie della Scuola, prevalente è la fenomenologia amorosa del soggetto e la riflessione sull'amore in quanto tale, e la donna rimane unicamente titolare di definizioni di maniera, di cliché senza spessore (cf. vv. 19-20 "quella c'avanza giachinto e smeraldo / ed ave le belleze ond' eo disvio").

fonti e bibliografia

I testi si citano secondo la lezione fermata nella nuova edizione critica e commentata in corso di allestimento da parte di vari autori per il Centro di studi filologici e linguistici siciliani; le rime di P. sono state curate da Corrado Calenda. Le due poesie qui attribuite a P. sono comprese nella raccolta complessiva di B. Panvini, Le rime della scuola siciliana, I, Firenze 1962, pp. 225-226 e 434-436. Come lo giorno quand'è dal maitino è stata edita anche da G. Contini in Poeti del Duecento, I-II, Milano-Napoli 1960: I, pp. 161-164; II, p. 817 (dove figura senz'altro la dizione "rifacimento di Semprebene da Bologna").

Importante l'edizione diplomatico-interpretativa compresa nelle Clpio (Concordanze della lingua poetica italiana delle origini), a cura di d'A.S. Avalle, I, ivi 1992, p. 337.

Il sirventese provenzale Felon cor et enic è in M. de Riquer, Los trovadores. Historia literaria y textos, III, Barcelona 1975, pp. 1376-1380.

Tra i pochissimi contributi specifici, quasi tutti dedicati alla biografia o alla presunta coautorialità di Kome lo giorno:

A. Zenatti, Arrigo Testa e i primordi della lirica italiana, Firenze 1896, pp. 19-20.

F. Torraca, Studi su la lirica italiana del Duecento, Bologna 1902, pp. 129-138.

F. Scandone, Notizie biografiche di rimatori della scuola poetica siciliana con documenti, Napoli 1904, pp. 57-66.

A. Ferretto, Documenti intorno ai trovatori Percivalle e Simone Doria, "Studi Medievali", 2, 1906-1907, pp. 279-281.

L. Crema, Percivalle alla corte di Manfredo III di Saluzzo e Percivalle Doria poeta provenzale, "Archivum Romanicum", 12, 1928, pp. 329-332.

I. Baldelli, Sulla lingua della poesia cortese settentrionale, in Dante e la cultura veneta. Atti del Convegno di studi (Venezia, Padova, Verona, 30 marzo-5 aprile 1966), Firenze 1966, pp. 117-127 (in partic. p. 117).

G. Bertoni, I Trovatori d'Italia, Roma 1967, pp. 307-315 (dove sono pubblicati anche i due componimenti in provenzale di P.).

A. Vitale Brovarone, Congetture su Percivalle Doria e su Ruggerone da Palermo, "Studi e Problemi di Critica Testuale", 27, 1983, pp. 5-9.

A.E. Quaglio, I poeti della "Magna Curia" siciliana, in Letteratura Italiana. Storia e testi, I, Il Duecento dalle origini a Dante, a cura di E. Pasquini-A.E. Quaglio, Bari 1970, pp. 169-240 (in partic. pp. 231-233).

M.L. Meneghetti, Il pubblico dei trovatori. La ricezione della poesia cortese fino al secolo XIV, Torino 1992, pp. 108-109.

F. Brugnolo, La scuola poetica siciliana, in Storia della letteratura italiana, I, Dalle origini a Dante, Roma 1995, pp. 265-337 (in partic. p. 295).

A. Fratta, Le fonti provenzali dei poeti della Scuola siciliana. I postillati del Torraca e altri contributi, Firenze 1996, pp. 69-70.

R. Coluccia, Storia editoriale e formazione del canone, in Dai siciliani ai siculo-toscani. Lingua, metro e stile per la definizione del canone. Atti del Convegno (Lecce, 21-23 aprile 1998), a cura di Id.-R. Gualdo, Galatina 1998, pp. 39-59 (in partic. p. 51).

C. Giunta, La poesia italiana nell'età di Dante. La linea Bonagiunta-Guinizzelli, Bologna 1998, pp. 168-169.

Id., La Scuola Poetica Siciliana tra limiti cronologici e dislocazioni territoriali, "Contributi di Filologia dell'Italia Mediana", 14, 2000, pp. 25-45 (in partic. pp. 31-32).

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

CATEGORIE
TAG

Storia della letteratura italiana

Manfredo iii di saluzzo

Gianfranco contini

Volgare siciliano

Marca anconitana