PERSEFONE

Enciclopedia Italiana (1935)

PERSEFONE (Περσεϕόνη, Persephone)

Giulio GIANNELLI
Goffredo BENDINELLI

Divinità degli antichi Greci, già nota nei poemi omerici come la dea dell'Ade (v.). Laggiù, nell'oltretomba, essa regna sui morti insieme col suo consorte, il terribile Plutone, infesto alla vita e alle sue gioie, odioso agli dei e agli uomini (Iliade, IX, 457, 569); anch'essa funerea e spaventosa nel volto e nell'aspetto (immaginato spesso come quello stesso di Medusa), nemica di ogni gioia, minacciosa persino nel nome, annunziante morte e distruzione. Ma, se questo è - come sembra - l'aspetto e il significato originario di P., quasi altrettanto antica e diffusa del pari nel mito e nel culto è un'altra concezione della dea: P. è la figlia di Demetra (v.), e la dea madre e la dea figlia costituiscono, nel mito e nel culto, una coppia indivisibile, che si usava designare, con una denominazione comune, come "le due Dee" (τὼ ϑεώ); e, in questo suo particolare aspetto di "dea figlia di Demetra", P. veniva di preferenza chiamata Kore, cioè "la figlia" (Κόρη Δημήτρος).

Demetra è la dea della terra, è anzi la madre-terra stessa; e di questo aspetto partecipa Kore, la figlia. Essa però, se è la figlia della Terra madre, è anche la consorte di Plutone e la regina dell'oltretomba, ed è così partecipe di due nature e di due esistenze: di quella tenebrosa dell'Ade e dell'altra, luminosa e lieta, della Terra, ov'ella si aggira insieme con la madre e si accompagna con Dioniso, con le Ninfe e con le altre divinità celesti.

S'intende perciò come, nel culto, si trovino sempre congiunti le due dee e il signore dell'oltretomba, Ade; benché la devozione delle genti greche si rivolgesse ordinariamente alle dee della terra, come protettrici dell'agricoltura e propizie alla fecondità dei campi, più che al re dell'Averno. La religione di Demetra e Kore ebbe dunque sede prevalentemente nelle regioni agricole dell'antica Grecia: la troviamo così nelle fertili vallate dell'Arcadia, in quelle della Messenia e della Laconia, non meno che in Argo e nelle fiorenti città dell'Istmo. E, se noti e fiorenti furono i culti della Beozia e della Tessaglia e del pari quelli della Grecia centrale - plaghe tutte agricole per eccellenza - famosissimo fu quello di Eleusi, donde il culto delle due dee passò in seguito ad Atene, e di qui poi alle città e alle isole ioniche. Altra sede preferita del culto di Demetra e Kore fu l'Occidente greco: la Magna Grecia e la Sicilia, rinomate per la ricchezza dei loro raccolti di cereali, istituirono dovunque il culto della dea e dell'agricoltura e di sua figlia, eressero a loro templi e le effigiarono sulle monete (specialmente a Metaponto e a Locri; a Siracusa, a Selinunte, ad Acre, a Catania, ed Enna).

Due sono dunque gli aspetti sotto i quali compare la figura di P.: e il suo più antico aspetto di ferale dea della morte ci è testimoniato non solo dai poemi omerici, ma anche dai miti arcadi ad essa relativi: in essi infatti P. è fatta figlia di Demetra Erinys, cioè di una divinità collerica e punitrice, che tale figlia ha avuto non da Zeus, il mite e benefico dio del cielo e della pioggia, ma da Posidone, il tempestoso dio delle onde, che aveva usato violenza a Demetra. E in altre genealogie, P. compare come figlia di Stige. D'altra parte i poemi omerici la conoscono già come figlia di Demetra e di Zeus; e, nelle leggende di poco posteriori (già in Esiodo e nell'Inno omerico a Demetra), troviamo P. in figura di florida e amabile dea fanciulla, bella e amabile del pari che Atena, Artemide e Afrodite, compagna di giuochi delle Ninfe, cresciuta fra le gioie e i fiori, finché il terribile Ade l'ha fatta a forza sua sposa e l'ha costretta a divenire la regina dell'Inferno.

Ma anche lo stesso Ade, il terribile dio dei morti, si presenta nella mitologia greca sotto un duplice aspetto: perché egli non è solo il re dell'oltretomba, ma è anche Plutone, il dispensatore della ricchezza, è Zeus ctonio (χϑόνιος), il benefico dio della terra che produce, sttettamente connesso, in tale figura, a Demetra.

E il noto e patetico mito del ratto di Persefone lega e fonde in armonica unità i due aspetti della dea fanciulla e regina dell'Averno: mito conosciuto già, negli elementi essenziali, da Esiodo (Theog., 912-914), svolto poi nell'Inno omerico a Demetra e ripetuto poi in una quantità di trattazioni mitografiche e di componimenti poetici, a cominciare dall'Elena di Euripide (v. 1301 segg.) fino ai Fasti di Ovidio (IV, 417-618) e al tardo poemetto di Claudiano (De raptu Proserpinae), mito di cui fu probabilmente culla il culto eleusino.

Il luogo dove sarebbe avvenuto il ratto è lasciato indeterminato nelle versioni più antiche della saga, come, appunto, in quella conservatasi dal citato Inno omerico; oppure è designato vagamente come l'Oceano (in Esiodo). Presto però cominciò a determinarsi almeno l'aspetto generico del luogo, in relazione all'idea che l'oltretomba, cioè la dimora di Plutone, doveva trovarsi nelle profondità sotterranee e che P., quando fu rapita, conduceva, in compagnia della madre, vita gioconda in ameni prati e boschetti, adornandosi, insieme con le Ninfe, dei fiori da lei colti. E così si cominciò a riconoscere il luogo del ratto in regioni nelle quali alla vaghezza del suolo e della vegetazione si accompagnavano e facevano contrasto scoscesi e dirupati fianchi di montagne, con profonde grotte scavate in oscure cavità della roccia o torrenti precipitanti sottoterra in abissi senza fondo: di qui, da tali voragini, da tali "bocche dell'Ade" s'immaginava fosse apparso fuori Plutone a rapire la bella fanciulla, per farla sua sposa. Paesaggi siffatti s'indicavano ad Eleusi, a Ermione, a Feneo in Arcadia, a Cnosso in Creta, e così pure in molteplici luoghi del mondo coloniale greco: a Ipponio, nella Magna Grecia; nei territorî di Enna e di Siracusa, in Sicilia. A tutte queste regioni corrispondono altrettante localizzazioni del culto di Demetra, Kore e Plutone.

Come si fosse immaginata la scena del ratto, ci viene mostrato non solo dalle diverse narrazioni poetiche del mito sopra ricordate, ma anche dai numerosissimi monumenti figurati (specialmente pitture vascolari e rilievi), dei quali sarà detto più oltre. P., in compagnia delle Ninfe, di Atena, di Artemide e di Afrodite, corre per i prati in cerca di bei fiori: sta per cogliere un narciso, quando la terra si apre e ne balza fuori il re dell'Ade, montato sul suo cocchio, tirato da bruni destrieri; il terribile dio, gigantesco e selvaggio nell'aspetto, afferra la fanciulla, la issa sul cocchio e tosto spinge i cavalli verso il profondo della terra, tenendo stretta con un braccio e distesa dinnanzi a sé la preda preziosa. Le sue compagne nulla possono fare per salvarla: le Ninfe fuggono spaventate; delle tre dee, Atena e Artemide tentano invano di opporsi al ratto, Afrodite, invece, piuttosto lo favorisce.

Al ratto della fanciulla segue la disperata ricerca della madre (v. demetra), che vaga di luogo in luogo, fuggendo gli uomini, insensibile ormai a tutto, tranne che al suo dolore e al suo sdegno. Ma le conseguenze del lutto di Demetra ricadevano sull'umanità intera; la terra non produceva più, l'ordine tutto della natura appariva sconvolto. Zeus cercò allora un accomodamento, una soddisfazione per la dea, affìnché essa, placata, riprendesse il suo posto fra gli dei e gli uomini potessero ritornare a godere dei frutti della terra: né la cosa era facile, perché Demetra si rifiutava di restituire alla terra i suoi doni prima di aver riveduto la figlia, e d'altra parte Kore aveva già gustato la melagrana di Ade, ne era ormai la legittima consorte, già era divenuta la regina dei morti. Il re degli dei dispose allora che P., anche rimanendo la compagna di Plutone, dovesse però ritornare sulla terra, alla luce e presso la madre, per una parte dell'anno. Da quel momento si ripete, ogni anno, l'eterna alternativa: al venire della primavera, P. sale sulla terra, si trattiene vicino alla madre, gode della luce, e della gioia del mondo; all'avanzarsi dell'autunno, Kore, la fanciulla, ridiscende nelle ombre dell'Averno, ridiviene P., la compagna di Ade e la regina dei morti. E il culto delle due dee si svolgeva appunto in relazione a questi due momenti culminanti della leggenda di P.: se ne celebrava, in primavera, il ritorno presso la madre (p. es., nei piccoli misteri di Agre), in autunno, la discesa nell'Ade (per es., nelle Eleusinie e nelle Tesmoforie).

Questo ciclo rituale di feste, in cui i momenti essenziali della leggenda di P. si riconnettevano coi due più notevoli cambiamenti di stagione e anche con le credenze più diffuse intorno alla vita delle anime nell'oltretomba, ebbe particolare sviluppo in Sicilia, dove il culto di Demetra e Kore occupò, si può dire, il posto d'onore, e donde passò a Cartagine.

In Sicilia e in Ipponio nella Magna Grecia, come anche in parecchi centri del Peloponneso, si celebravano, in primavera, in onore di Kore, le feste dette Antesforie, nelle quali si ricordava P. come la lieta e fiorente fanciulla che si dilettava di scegliere i più bei fiori e farne corone; e l'aprirsi, allora, della terra sotto i primi baci del sole faceva credere che anche le anime dei morti salissero allora verso la superficie ad allietarsi della vita, della luce.

Nelle feste che, verso la fine dell'estate, commemoravano il ratto di Kore, si celebravano di solito le nozze di Plutone e di P., secondo il rito, così caro alla religione dei Greci, dello ἱερὸς γάμος. Tali feste si trovano designate, così in Sicilia come in altre parti del mondo greco, con i nomi di Teogamie (Θεογάμια) e Anacalipterie ('Αξακαλυπτήρια); volendosi, con quest'ultima denominazione, alludere al costume greco di offrir doni alla sposa novella nel giorno in cui essa si toglieva il velo, generalmente il terzo dì dopo le nozze; ci si voleva così rallegrare con P. per i doni che si pensava essa avesse ricevuti, nel giorno delle sue nozze, dagli altri dei, specialmente da Zeus.

Nel rito siciliano, si rappresentava anche, in tali feste, l'episodio della leggenda che narrava come Demetra, dopo aver ritrovata la figlia, l'avesse trasportata sull'Olimpo, al padre Zeus, su una quadriga di bianchi cavalli; alla quale rappresentazione seguiva quella del ritorno di Kore nell'Ade (καταγωγὴ Κόρης).

Simili feste estive, corrispondenti generalmente al tempo della raccolta, erano le Tesmoforie ad Atene e a Tebe, le Ctonie a Ermione; nelle quali si salutava la bella stagione ormai alla fine, e ci si preparava a ricevere l'inverno, la stagione in cui tutta la vita del suolo giace nascosta, in cui ogni forza produttiva della terra sembra morta. Più assoluta appariva la separazione fra il mondo dei vivi e la dimora dei defunti; più tenebrosa e triste si pensava la loro esistenza nell'Ade.

Tale simbolico parallelismo tra la vita naturale della terra e la vita delle anime trovò, com'è noto, la sua più significativa espressione nella religione di Eleusi.

La dea P. passò, fra il sec. V e il III a. C., nella religione dei Romani, che la venerarono sotto il nome di Proserpina con un rito greco le cui forme furono importate da Taranto, in parte, probabilmente, attraverso l'Apulia.

Iconografia. - La dea fu rappresentata nell'arte come una figura assai giovanile, con tutte le attrattive e le caratteristiche della giovinezza. All'infuori di ciò, nessun attributo particolare sembra convenire a P.-Kore, nel periodo della sua esistenza terrena, anteriormente, cioè, alla sua discesa negl'Inferi.

L'arte greca classica, e successivamente l'arte romana, ha rappresentato la figura della popolarissima dea in tutte le diverse fasi del mito: come tranquilla giovinetta presso la madre, nell'inconscia serenità dell'adolescenza; come atterrita e disperata fanciulla, invano divincolantesi tra le braccia del robusto amatore, nel drammatico ratto; e infine, come solenne dominatrice e regina dei regni bui, al fianco dell'augusto sposo, o pur sola, o in compagnia di altri personaggi del mito, ma sempre con gli attributi della regalità. Qualche altro raro, e secondario, documento del mito figurato di P. si riferisce al suo ritorno periodico sulla terra.

Di tutti codesti momenti trattati dall'arte antica, il meno riccamente documentabile è il primo, poiché, all'infuori dell'eventuale concomitanza della madre Demetra, la cui presenza vale a garantire l'identità della figlia, quest'ultima è per sé priva di qualsiasi indizio di sicuro riconoscimento. P. accanto alla madre era compresa nella serie delle divinità olimpiche assistenti alla nascita miracolosa di Atena, sul frontone orientale del Partenone. Pure a età fidiaca, piuttosto anteriore alle sculture del Partenone, appartiene il rilievo eleusino con il gruppo di Demetra e P. (la figura con alta fiaccola in mano), vicino al supposto Trittolemo (v. vol. VI, tav. LXXXVIII).

La scena del ratto ricorre assai raramente nel repertorio dell'arte greca. Di arte piuttosto italo-greca sono infatti gli squisiti rilievi fittili votivi (pínakes), del sec. V a. C., provenienti dalla stipe di un santuario dedicato a P. in prossimità di Locri Epizefiri. Sopra alcuni dei quali si riconosce P. quasi rassegnata tra le braccia del suo rapitore, e ancora in piedi, serena, al fianco di quello, sul carro tirato da alati cavalli. Oltre che sopra urne funerarie etrusche, il ratto della dea, con evidente significazione simbolica funebre, ricorre sopra sarcofagi romani (secoli II-III), con una ricchezza di particolari pittorici e con una evidenza drammatica non più raggiunte. Lo schema di queste composizioni è bene rappresentato dal sarcofago detto "di Carlomagno" ad Aquisgrana (v. carlomagno, IX, p. 70, figura). Il medesimo soggetto s'incontra su pitture sepolcrali romane.

La personalità mitica di P. si sviluppa però soltanto nel regno delle ombre. Soccorrono ancora una volta i pínakes di Locri, una serie dei quali riproduce la coppia divina di Ade e P.: caratterizzati entrambi dall'augusto trono e dalla posa solenne. La dea è qui distinta dal ricco diadema, o dal manto sul capo, e da taluni attributi a lei peculiari: cioè il gallo, il mazzo di spighe o la patera. Per mezzo degli attributi delle spighe e della fiaccola (destinata a diradare le tenebre infernali), si riconosce la dea su pitture vascolari attiche, specialmente del sec. V a C. Nelle frequenti pitture vascolari con il mito di Trittolemo, la dea sorge di solito davanti al giovinetto, reggendo con la sinistra lo scettro, o la face, e con la destra la brocca (oinocoe), di cui versa il contenuto nella patera di Trittolemo.

Nella pittura vascolare italiota, specialmente nelle grandi anfore canosine (seconda metà del secolo IV), P. comparisce nelle frequenti figurazioni del mondo infero. Importante fra gli altri il grande cratere dell'Antiquarium di Monaco, con al centro la coppia divina di Ade e P.: quest'ultima, con alto diadema o modio sul capo, in atto di reggere la face a quattro braccia. I medesimi attributi, e altri di natura floreale, caratterizzano volta a volta P. regina degl'inferi, sopra numerosi prodotti di arte industriale, classica ed ellenistica: terrecotte plastiche di uso e destinazione votiva, pitture vascolari tarde, nonché rilievi fittili ornamentali, romani. Sono poi di notevole interesse alcune statue fittili di P. rinvenute nel 1927, come stipe votiva di un santuario degli ultimi secoli repubblicani, in territorio di Ariccia: la dea giovinetta è solennemente seduta su trono.

Anche la grande arte statuaria ellenica ebbe a rappresentare frequentemente la figura di P. L'assenza originaria, o la facile caduta di attributi caratteristici, non permettono più di riconoscere con assoluta sicurezza come P.-Kore, o Proserpina, se non pochi esemplari di arte statuaria. Tra i quali conviene ricordare, come specialmente importanti, la superba statua arcaica trovata a Taranto e ora al museo di Berlino, e una statua della collezione Albani, opera di scuola fidiaca.

Bibl.: L. Preller, Demeter und Persephone; ein Cyklus mythologischer Untersuchungen, Amburgo 1837; R. Foerster, Der Raub und die Rückkehr der Persephone, Stoccarda 1874; L. Preller e C. Robert, Griechische Mythologie, 4ª ed., Berlino 1894, p. 747 segg.; W. Immerwahr, Die Kulte und Mythen Arkadiens, Lipsia 1891; L. Bloch, in Roscher, Lexicon der griech. und röm. Mythologie, II, col. 1284 segg.; E. Rohde, Psiche, trad. ital., Bari 1916, specialmente pp. 214 segg., 284 segg.; L. R. Farnell, The cults of the Greek States, III, Oxford 1896-1909; E. Ciaceri, Culti e miti nella storia dell'antica Sicilia, Catania 1911, p. 187 segg.; O. Gruppe, Griech. Mythologie und Religionsgeschichte, Monaco 1906, p. 1163 segg.; U. von Wilamowitz, Der Glaube der Hellenen, I, Berlino 1931, pp. 108 segg., 243; II, ivi 1932, pp. 46, 160.

Per l'iconografia: L. Malten, Das Raub der Kore, in Archiv für Religionswissenschaft, XII (1909), pp. 285-312; Q. Quagliati, Rilievi votivi arcaici in terracotta di Lokroi Epizephyrioi, in Ausonia, III (1909), pp. 136-234; P. Orsi, Locri Epizefiri, Resoconto sulla terza campagna di scavi locresi (aprile-giugno 1908), in Bollett. d'arte, III (1909), pp. 406-428, 463-482; id., Rosarno (Medma), Esplorazione di un grande deposito di terrecotte figurate, in Notizie d. scavi, 1911, Supplem., p. 55 segg.; R. Paribeni, Ariccia, Rinven. di una stipe votiva, ibid., 1930, pp. 370-380. Per il vaso di Monaco: P. Ducati, St. della ceramica greca, Firenze 1922, p. 457 segg.; per la statua di Berlino: Th. Wiegand, Archaische thronende Göttin, in Antike Denkmäler, III, iv, p. 45, tav. 37; P. Zancani-Montuoro, in Atti e memorie Soc. Magna Grecia, 1931, p. 159 segg.; per la Kore Albani: H. Schrader, Phidias, Francoforte 1924, p. 49 segg.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata