Personalita

Dizionario di Medicina (2010)

personalità


L’insieme di quelle disposizioni e funzioni affettive, volitive e cognitive che si sono progressivamente combinate nel tempo a opera di fattori genetici, di dinamiche formative e di influenze familiari e sociali, fino a costituire una struttura relativamente stabile e integrata riconosciuta dall’individuo come propria. L’individuo è in grado di esprimere la sua p. di volta in volta attraverso il proprio particolare modo di interagire con l’ambiente, di determinare i propri scopi, di regolare il comportamento. Secondo quanto scrive lo psicologo Gordon W. Allport, la p. è «l’organizzazione dinamica entro l’individuo di quei sistemi psicofisici che determinano il suo specifico adattamento al proprio ambiente» (Personality: a psychological interpretation, 1937).p

Struttura della personalità

La p. è dunque un tutto più complesso della somma delle sue parti; allo stesso tempo, una struttura e una funzione mentale che si basa sull’interazione dinamica di schemi cognitivi di sé, degli altri e del mondo che aiutano l’individuo a conoscere e prevedere il comportamento proprio e altrui, dando un senso compiuto sia al mondo esterno sia alle esperienze soggettive. In partic., la struttura della p. è una rappresentazione narrativa del sé che consiste in gran parte in tracce mnestiche rielaborate di esperienze biografiche, reazioni emotive a esse, e spiegazioni più o meno logiche (somiglianti, appunto, a narrazioni) della storia dell’individuo, delle sue caratteristiche psicologiche consce e inconsce, nonché delle sue aspettative.

Modelli di personalità e sviluppo degli studi

La riflessione psicologica in tema di p., a partire dagli ultimi decenni del 19° sec. ha visto la crescente importanza di uno studio sistematico, basato su metodi quantitativi e sulla messa a punto e la verifica di peculiari strumenti di misurazione. Proseguendo la linea di ricerca di autori come Raymond B. Cattel, Gordon W. Allport, Hans J. Eysenck, l’attenzione si è progressivamente concentrata sulla struttura della p. intesa come sistema di tratti (o fattori di p.), ossia di disposizioni o atteggiamenti stabili dell’individuo a rispondere agli stimoli ambientali; si è cercato di determinare con maggiore sicurezza le caratteristiche dei tratti e di ricondurli a un numero più ristretto di dimensioni generali, capaci di riassumere e spiegare le variabili comportamentali osservate. Molti autori, soprattutto Robert R. Mc- Crae e Paul T. Costa, si sono trovati concordi nella definizione di un modello (detto big five) basato su 5 grandi fattori: estroversione o energia, gradevolezza, coscienziosità, stabilità emotiva, intelligenza. Questo modello è stato confermato da un gran numero di studi empirici, molti dei quali miranti ad analizzare il significato di particolari costrutti psicologici (per es., le sottodimensioni ‘dinamismo’ e ‘dominanza’ che compongono il fattore principale estroversione), a determinare l’affidabilità di altri test e a valutare particolari costrutti (per es., le abilità sociali o la resistenza allo stress), o anche a descrivere fenomeni associati a disturbi della p. (come l’impulsività). Anche se le teorie dei tratti godono oggi di una particolare fortuna, dovuta principalmente alla loro capacità di sviluppare tecniche obiettive e suscettibili di verifica empirica, non mancano alcune importanti obiezioni a proposito della possibilità di prevedere i comportamenti effettivi degli individui partendo semplicemente dalla struttura fattoriale della loro p. senza tenere in considerazione la loro interpretazione soggettiva della realtà. Walter Mischel, nella seconda metà del 20° sec. fondatore insieme ad Albert Bandura dell’approccio sociocognitivo allo studio della p., ha espresso a questo proposito riserve piuttosto radicali, mettendo in dubbio l’idea di una relazione coerente e stabile fra caratteristiche personali e comportamenti e sottolineando l’importanza, talora preponderante, del contesto, dei fattori situazionali e degli schemi cognitivi di analisi della realtà. Successive ricerche hanno però evidenziato, negli anni sul finire del 20° sec., che, quando si adottino unità di analisi sufficientemente ampie, la p. di un individuo appare caratterizzata da notevole stabilità e coerenza.

L’approccio sociocognitivo

Le teorie dei tratti sono anche al centro della ricerca sociocognitiva sulle cosiddette teorie implicite della personalità. In questa linea, molti autori sostengono che la struttura fattoriale della p. si trova molto più «nella testa di chi giudica» che nella persona da giudicare; questi autori sostengono che le persone costruiscono e interpretano il proprio mondo e il proprio posto nel mondo attraverso processi di inferenza e attribuzione che spesso spingono a sopravvalutare l’importanza delle caratteristiche interne, disposizionali, a svantaggio delle determinanti situazionali di eventi e comportamenti. La p. individuale sarebbe, in questo senso, anche il prodotto di una costruzione sociale della realtà, da collegare a processi come la formazione delle impressioni, la percezione interpersonale, la rappresentazione di sé. All’interno di questo paradigma, lo psicologo Jerome S. Bruner, tra il 1980 e il 1984, elabora il concetto di Sé narrativo: ossia l’autocostruzione della p. attraverso una molteplicità di atti mentali e la creazione, da parte della mente, di diversi modelli paralleli e a volte in conflitto per l’interpretazione della realtà. Secondo Bruner, tali processi mentali scaturiscono dalla sintesi che ogni individuo compie, nel corso dello sviluppo, tra pensiero paradigmatico o logico-scientifico e pensiero narrativo; ogni persona utilizzerebbe cioè il linguaggio come mediatore tra realtà e mondo interno, e quindi, secondo Bruner, la teoria dello sviluppo della p. non è dissimile dalle teorie della nascita della cultura all’interno delle società e dei gruppi umani. Nella teoria della p. di Bruner, la condizione umana può essere studiata e interpretata solo a partire dai modi in cui gli esseri umani producono i loro mondi emotivi e cognitivi, il modo in cui conferiscono senso al proprio essere nel mondo. Secondo questo approccio di matrice costruttivista ed esistenzialista, quindi, una teoria dello sviluppo deve partire dal potere della mente di ricreare la realtà e di reinventare la cultura e deve avvalersi tanto di metodologie empiriche e nomotetiche (test psicometrici, esperimenti ecc.) quanto di tecniche idiografiche (interviste, dati clinici, test proiettivi).

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