PETROLIO

Enciclopedia Italiana - I Appendice (1938)

PETROLIO (XXVII, p. 32)

Mario POZZESI

Genesi (p. 37). - Gli studî degli ultimi anni hanno sempre più rafforzato gli argomenti in favore di un'origine a bassa temperatura. B. T. Brooks ritiene che in molti giacimenti recenti la temperatura non abbia probabilmente mai oltrepassato i 38°. Quest'opinione è avvalorata dalla presenza di sostanze organiche negli schisti petroliferi e di composti decomponibili a temperatura bassa nei petrolî greggi. Secondo il Brooks, il protopetrolio doveva essere una sostanza solida o semisolida, formata di una miscela di idrocarburi con acidi grassi o naftenici polimerizzati, proveniente principalmente da sostanze grasse e da cellulosa, zuccheri, proteine e oleoresine; gli asfalti potrebbero non essere prodotti di ossidazione, ma contenere ancora una parte dell'ossigeno delle materie d'origine.

Secondo gli studî di H. Hlauscheck, sarebbe da ritenere che la lignina, che si riscontra nella maggior parte delle piante terrestri superiori, sia la sostanza che ha dato origine agl'idrocarburi ciclici, mentre dai residui di organismi marini proverrebbero gl'idrocarburi a catena aperta.

Nel fango del Mar Nero sono stati trovati batterî simili a quelli rinvenuti nei petrolî del Caucaso settentrionale. Nel fango stesso sono contenute materie bituminose che hanno debole contenuto di ossigeno.

Prospezione (p. 43). - I metodi geofisici di prospezione vanno assumendo importanza sempre maggiore. La maggiore attività di ricerca è, naturalmente, concentrata negli Stati Uniti e specie sulle coste del Golfo del Messico (Texas e Louisiana). Solo nel 1936 sono state intraprese negli Stati Uniti più di 200 esplorazioni col metodo sismico, 50 con la bilancia di torsione e molte altre con misure gravimetriche, magnetometriche, ecc.

Il metodo delle riflessioni sismiche è stato perfezionato applicando il controllo del volume agli amplificatori e sopprimendo gli smorzatori negli elementi di registrazione; sono state ottenute riflessioni da strati profondi oltre 3000 m. e non vi sono serie difficoltà per arrivare anche al doppio di tale misura. Per ottenere l'impulso basta una carica di dinamite, in genere molto modesta, pochi chilogrammi.

Deposito (p. 47). - Per i serbatoi sempre più largamente adottata è la saldatura delle lamiere, di preferenza testa a testa. Per ridurre le perdite causate dall'evaporazione si usano serbatoi a tetto galleggiante, serbatoi con tetto elastico, o a polmone, tipo Wiggins, e anche serbatoi sferoidali, capaci di sopportare la pressione interna dovuta alla tensione di vapore degl'idrocarburi più volatili contenuti nel petrolio.

Trasporto (p. 47). - Anche per gli oleodotti si è generalizzato l'uso dei giunti saldati, adoperando tubi della massima lunghezza compatibile per ridurre il numero delle giunzioni. La saldatura viene fatta nella maggioranza dei casi semplicemente testa a testa senza alcun coprigiunto. Negli Stati Uniti è stata anche adottata la protezione catodica contro le correnti vaganti mantenendo la conduttura a un potenziale sempre negativo rispetto al terreno circostante. Questo provvedimento, che richiede dispositivi costosi e un continuo dispendio di energia, è giustificato dall'entità delle perdite che si possono verificare a causa delle corrosioni. Come protezione passiva, buona riesce quella con smalto vetroso o con gomma indurita.

Il tonnellaggio della flotta petroliera mondiale va sempre aumentando e ha raggiunto, al 30 maggio 1937,10.805.000 tonn. di stazza lorda e 18.368.000 tonn. di portata lorda (dead weight). L'Italia è al quinto posto, con circa 550.000 tonn. di portata lorda alla fine del 1937. Nelle moderne costruzioni del genere vi è la tendenza ad aumentare le dimensioni delle navi cisterna e la loro velocità. La cisterna francese Émile Miguet, varata nel 1937, ha un dislocamento di 31.000 tonn. e una velocità superiore alle 14 miglia orarie; alcune motocisterne giapponesi, destinate al servizio attraverso il Pacifico, hanno velocità di 17, 18 e perfino 20 miglia orarie. L'AGIP ha in costruzione tre motocisterne da circa 21.000 tonnellate di dislocamento, ognuna della portata lorda (dead weight) di 14.500 tonn., le quali raggiungeranno la velocità di 14 miglia. Per la propulsione, data la necessità di confinare l'apparato motore nell'estremo settore di poppa e di assegnargli le minori dimensioni possibili, sono stati in parecchi casi adottati motori Diesel veloci con riduzione di velocità ad ingranaggi, e, in qualche recentissima applicazione, anche turbine a vapore ad alta pressione. Per il carico e lo scarico, nella grandissima maggioranza dei casi, si usano macchine a vapore azionate, nelle motocisterne, da una piccola caldaia ausiliaria. I regolamenti di molti porti esigono però che le operazioni di carico si facciano a fuochi completamente spenti e in tal caso il vapore viene fornito da una tubazione che corre sulla banchina. Compiuto il carico, vengono rilevati esattamente il livello e la temperatura in ogni compartimento, dati che all'arrivo sono riscontrati da chi riceve la merce.

Raffinazione (p. 49). - I progressi conseguiti nella raffinazione del petrolio greggio hanno avuto lo scopo precipuo di ottenere la maggior quantità possibile di carburanti leggieri (benzine) dotati delle migliori qualità antidetonanti (numero di ottano superiore a 70; v. anche carburanti, App.), e lubrificanti di elevato indice di viscosità, basso residuo di carbonizzazione e alta resistenza all'ossidazione.

Speciale attenzione viene data alla purificazione del greggio prima di sottoporlo alla raffinazione; in alcuni casi si è arrivati a trattare il greggio stesso con soda per liberarlo delle sostanze acide prima di ogni altro trattamento. Interessanti sono i processi di desalatura dei greggi che provengono da pozzi "acidificati", cioè pozzi in cui si è iniettato acido cloridrico, per aumentare la spinta gassosa con l'anidride carbonica che si forma dall'attacco dei calcari e delle dolomiti. Questi greggi contengono cloruri di calcio e di magnesio, che possono dare luogo a caldo, per idrolisi, ad acido cloridrico, il quale esercita una notevole azione corrosiva. I processi di desalatura possono essere meccanici (uso di centrifughe), chimici ed elettrostatici; in questi ultimi si fa subire al greggio, emulsionato con acqua, l'azione di un campo elettrico di oltre 30.000 volt, che provoca la coalescenza delle goccioline di soluzione salina.

Negli Stati Uniti si sono moltiplicati gl'impianti di polimerizzazione dei gas naturali per la produzione di benzina con elevatissimo numero di ottano, fino a 100 ed oltre. I gas stessi vengono desolforati prima del trattamento di polimerizzazione, restando così grandemente semplificata la raffinazione finale del carburante prodotto. Il procedimento Girbotal usa per la desolforazione dei gas una soluzione acquosa di ammine; il procedimento Seabord usa la soda e il Koppers il fenolato di sodio. L'idrogeno solforato che viene ricuperato può servire per la produzione dell'acido solforico per i bisogni della raffineria. Le stesse apparecchiature sono adoperabili per la desolforazione dei gas provenienti dalla piroclasi (cracking) o da altre lavorazioni.

Cracking (Piroclasi; p. 51). - La produzione della benzina da piroclasi è più che triplicata negli ultimi dieci anni. Nel 1936, per la prima volta, la quantità di benzina prodotta negli Stati Uniti per piroclasi, ha superato quella prodotta per semplice distillazione frazionata del greggio; essendo state le rispettive cifre di 240 milioni e 231 milioni di barili S. U. rispettivamente (v. anche carburanti, App.).

La principale innovazione introdotta nel procedimento è quella della piroclasi selettiva. Negli ordinarî impianti i diversi componenti dei prodotti da trattare, ordinariamente mescolanze assai complesse di varî idrocarburi, subiscono tutti lo stesso trattamento termico, cioè sono sottoposti per un certo tempo a una certa temperatura nell'unico serpentino di una fornace tubolare (pipe-still). Per di più, la parte di prodotto fresco che entra in giuoco viene mescolata con la parte di residuo che è reintrodotto in ciclo, quindi si hanno condizioni le più lontane da quelle necessarie per avere un rendimento ottimo, il quale richiede per ogni idrocarburo limiti ben definiti di pressione, di temperatura e di durata. Per alcuni prodotti il trattamento risulterà troppo spinto dando luogo alla produzione di coke e di gas; per altri invece sarà troppo blando e incompleto. Si è rimediato a questo inconveniente assai grave progettando impianti nei quali diversi gruppi di frazioni, con punto di ebollizione compreso entro certi limiti, siano trattati separatamente nelle migliori condizioni per ottenere un alto rendimento di benzina indetonante.

Un'apparecchiatura a tre stadî può, p. es., lavorare nelle seguenti condizioni. In una prima fornace tubolare viene trattato il materiale fresco mescolato con il residuo pesante riciclato. La piroclasi non è molto spinta in questa prima fase in modo da avere una trascurabile produzione di gas e di coke. In un secondo serpentino vengono trattate, a pressione e temperatura maggiori, le frazioni intermedie (tipo gasolio) derivate dal frazionamento dei prodotti del primo stadio, e finalmente in una terza fase sono sottoposte a piroclasi, sotto i massimi valori della pressione e della temperatura, le benzine pesanti. In un impianto americano che tratta 2000 tonn. al giorno di petrolio greggio dell'East Texas, privato (topped) delle sole frazioni più leggiere, i valori della temperatura e della pressione sono: per il primo stadio 470° e 15,5 kg./cmq.; per il secondo 515° e 35 kg./cmq.; per il terzo 540° e 53 kg./cmq.

Vi sono anche impianti a quattro stadî in cui si è aggiunta una prima fase chiamata viscosity breaker, cioè riduttrice della viscosità, a cui è sottoposta preventivamente la materia prima.

Un altro importante perfezionamento apportato agli impianti di piroclasi consiste nell'aggiunta di camere per la deposizione del coke, che nei modelli di qualche anno addietro si accumulava nella camera principale di reazione, la quale ne veniva presto riempita, costringendo all'arresto dell'impianto per procedere all'estrazione. Gli impianti odierni (fig. 1) sono invece provvisti di parecchie (due o più) camere per la deposizione del coke, che vengono alternativamente inserite in circolazione ed escluse per la rimozione del deposito, senza che sia necessario arrestare il funzionamento dell'unità, che può durare oltre 30 giorni; si cita un'operazione continuata per 168 giorni.

Mentre a causa dell'inconveniente causato dalla necessità di estrarre il coke frequentemente, la maggior parte delle unità di piroclasi lavorava, pochi anni addietro, a residuo liquido, sacrificando una parte del rendimento in benzina, oggi la maggior parte degli impianti moderni lavora a residuo coke (sottoprodotto molto richiesto per la fabbricazione degli elettrodi per forni elettrici), arrivando a rendimenti in benzina dell'ordine del 60% del materiale di carica.

Il grandissimo sviluppo degli impianti di piroclasi ha reso disponibili, come sottoprodotto, enormi quantità di idrocarburi gassosi, costituiti in prevalenza di olefine, che, fino a pochi anni addietro, non si sapevano utilizzare altro che come combustibile. In seguito, tali gas furono adoperati come materia prima in diverse industrie di sintesi (alcoli, resine sintetiche), ma il miglior profitto che oggi se ne trae è quello di sottoporli alla polimerizzazione a caldo con processi termici catalitici. Tali processi, messi a punto solo recentemente, costituiscono un'integrazione di quello di piroclasi, e dànno modo di produrre benzine pregiate, quali aggiunte alle benzine di distillazione e di piroclasi. Esistono già negli Stati Uniti impianti che trattano 400.000 mc. al giorno di gas producendo 250.000 litri di benzina.

La fig. 2 dà lo schema di un impianto di polimerizzazione catalitica. La miscela gassosa proveniente dall'impianto di piroclasi viene riscaldata in un forno tubolare a 190-202° sotto la pressione di 21 kg./cmq. e fatta passare attraverso una serie di torri contenenti acido fosforico su un supporto solido, di appropriata granulazione, il quale funziona da catalizzatore.

Siccome le reazioni di polimerizzazione sono esotermiche (cioè dànno luogo a liberazione di calore), la temperatura del gas nel passaggio attraverso le torri di catalisi aumenta di circa 65°. Le torri sono generalmente in numero di quattro di cui tre lavorano in serie, mentre la quarta viene sottoposta alla rigenerazione del catalizzatore, operazione che si rende necessaria ogni due mesi in media.

I prodotti della polimerizzazione insieme con il residuo gassoso traversano uno scambiatore termico e un refrigerante e sono introdotti in una colonna di assorbimento nella quale sono adoperate come mezzo assorbente le frazioni di minore tensione di vapore ricavate dalla polimerizzazione stessa. Mentre i gas residui sono reintrodotti totalmente o parzialmente nel ciclo, il prodotto dell'assorbimento passa in una colonna di frazionamento (stabilizzatore), dove è privato del propano e del propilene, e poi in una seconda colonna dove sono separati il butano e isomeri. Da questa seconda colonna, la benzina greggia stabilizzata è estratta da un punto intermedio, mentre le frazioni più pesanti vengono prelevate dal fondo e, dopo essere state raffreddate, sono usate, come detto, nella colonna di assorbimento.

La benzina greggia prodotta ha p. s. intorno a 0,730; p. i. e. 70-75°, p. f. e. 230-235°; curva di distillazione molto regolare. Il numero di ottano, sempre superiore a 80, varia, ma entro ristretti limiti, con la composizione dei gas adoperati. La benzina greggia viene raffinata con uno dei metodi consueti, se il contenuto di prodotti solforosi lo richiede, e rettificata, se si vuole un prodotto incolore. Il p. i. e. viene abbassato con la mescolanza di una piccola quantità di butano.

Quando i gas di cui si dispone contengono in prevalenza idrocarburi saturi non adatti alla polimerizzazione, si sottopongono questi gas preventivamente alla piroclasi, onde trasformare le paraffine in olefine sulle quali poi si opera la polimerizzazione. Si ricorre a questo processo per ricavare benzina dal butano, che talora è disponibile in grandissime quantità; la piroclasi avviene sotto alta pressione (52 kg./cmq.) e alta temperatura (577-580°); il prodotto uscente è privato degli idrocarburi saturi che ancora contiene e passato alla polimerizzazione.

Polimerizzando selettivamente l'isobutile, si ottiene dapprima una miscela di isottilene e di dodecilene. Questa miscela viene frazionata e l'isottilene è poi idrogenato per via catalitica a isoottano, prezioso costituente di benzina avio (v. carburanti, App.). Vi sono già impianti che producono 5-6000 litri al giorno.

Lubrificanti e paraffine. - In questo campo i progressi maggiori sono stati ottenuti mediante l'applicazione di processi a solvente selettivo, che hanno permesso l'ottenimento di prodotti pregiati da greggi che venivano un tempo considerati inadatti allo scopo. Si calcola che alla fine del 1937 gl'impianti al solvente per la produzione di lubrificanti, avessero una potenzialità di 3 milioni di tonnellate.

Produzione e commercio (p. 56). - Nella produzione, dal 1933, si è avuto l'apporto del ‛Irāq, che oggi è l'ottavo paese produttore nel mondo, e quello dell'Isola di Bahrein, nel Golfo Persico, tuttora in sviluppo. La tabella di pag. 932 dà le cifre della produzione mondiale di petrolio greggio dal 1932 al 1937.

L'industria petrolifera in Italia. - Nel campo dei combustibili solidi e liquidi, allo stato attuale delle cose, l'Italia non può raggiungere una autarchia completa; è possibile però arrivare a un grado di autarchia così elevato che, attraverso una serie di azioni opportunamente coordinate, può anche essere spinto fino ad una indipendenza sufficientemente lunga per resistere vittoriosamente in caso di guerra. In particolare, per i combustibili liquidi, carburanti compresi, il consumo si aggira sui due milioni di tonn., senza contare il fabbisogno della marina mercantile e da guerra, mentre la produzione nazionale di petrolio greggio non arriva all'1% di tale cifra e il greggio ottenibile dai giacimenti albanesi, sotto controllo italiano, è attualmente di 100 mila tonnellate, aumentabili forse al triplo in breve tempo. La politica petrolifera è quindi indirizzata verso due soluzioni concomitanti: diminuire l'importazione di prodotti, finiti, favorendo invece l'importazione del greggio da raffinare in Italia, e spingere al massimo possibile la fabbricazione dei succedanei.

Il programma autarchico tende a realizzare, in due o tre anni, i risultati indicati qui appresso in tabella.

Tale programma, alla fine del 1937, era già realizzato per il 60%.

Per quanto riguarda i giacimenti albanesi, l'Azienda Italiana Petrolî Albania (A. I. P. A.) ha spinto con la massima alacrità lo sfruttamento delle proprie concessioni del Devoli, provvedendo anche alla costruzione di un oleodotto, lungo circa 80 km., che, passando per quasi tutto il percorso su territorio di concessione italiana, per Fieri, Roskovec, Skrofotine, arriva a Uji-i Ftohet nella Baia di Valona, dove alimenta un grande deposito costituito da serbatoi sotterranei, a riparo dall'offesa aerea.

La conduttura ha il diametro di 200 mm., ed è fornita di stazioni di pompe sufficienti per una portata di 1000 mc. al giorno di greggio.

Il greggio del Devoli proviene da strati del Miocenico superiore, che in posto si incontrano a una profondità variabile tra 500 e 800 m.; è molto nero e denso, contenendo in media solo il 10-13% di frazioni leggiere (benzine), il 25% circa di frazioni intermedie (gasolio) e il 50-60% di residuo pesante asfaltico. Per il suo alto contenuto di zolfo, il petrolio albanese non si presta a essere lavorato per semplice distillazione o per piroclasi (cracking), ma può invece dare ottimi risultati sottoponendolo all'idrogenazione, elevandosi la resa in benzina all'80% in peso e permettendo di ottenere anche benzine d'aviazione a elevato numero di ottano. È stata all'uopo costituita, con il concorso dell'A.I.P.A., dell'A.G.I.P. e del gruppo Montecatini, la Azienda Nazionale Idrogenazione Combustibili (A.N.I.C.) la quale ha in avanzata costruzione due impianti, a Bari e a Livorno, capaci di produrre ciascuno 120.000 tonnellate annue di carburanti, oltre a notevoli quantità di olî lubrificanti, paraffina e altri sottoprodotti. Il ciclo di lavorazione adottato, con idrogenazione in fase liquida e in fase gassosa, messo a punto in un impianto su scala semindustriale a Novara risulta assai più elastico di quelli usati in altri impianti del genere, e permetterà il trattamento di petrolî greggi e relativi residui di qualsiasi natura e provenienza, di olî di schisto e di rocce asfaltiche, di catrami di fossile e di lignite, ecc.

Per quanto riguarda la lavorazione del greggio importato, parecchi grandi raffinerie sono state costruite o rimodernate negli ultimi anni.

Nel Golfo di Trieste, a Zaule, è stata messa in esercizio all'inizio del 1937 la raffineria della Società Aquila, capace di lavorare 300 mila tonnellate di petrolio greggio all'anno. Il ciclo di lavorazione comprende una predistillazione sotto pressione, per separare la benzina leggiera, una distillazione frazionata a pressione atmosferica dalla quale si ricavano benzina, acquaragia minerale (white spirit), petrolio illuminante e gasolio, mentre il residuo è ulteriormente trattato in una unità di distillazione a bassa pressione (40 mm. Hg) per ricavarne olî lubrificanti, purificati col metodo Edeleanu che usa come solvente l'anidride solforosa liquida.

Altre due importanti raffinerie sono state impiantate, anche, in piccola parte, come estensione di precedenti impianti, a Porto Marghera e a Napoli. A Porto Marghera l'A.G.I.P. ha rilevato il preesistente impianto di piroclasi della D.I.C.S.A. e lo ha ampliato aggiungendo alle due unità Dubbs le apparecchiature per la distillazione atmosferica. Il greggio che può essere trattato si aggira sulle 500.000 tonn. annue. A Napoli, lo stabilimento della B.E.N.I.T., avviato nel 1931 con due unità Dubbs è stato rilevato dalla Socony Vacuum e attrezzato per una completa lavorazione annua di 200 mila tonn. di greggio.

Per completare il quadro delle grandi raffinerie italiane, sarà opportuno ricordare anche l'antica raffineria olî minerali di Fiume (R.O.M.S.A.), ora facente parte della sezione industriale dell'A.G.I.P., modernamente attrezzata, ed inoltre l'impianto della Spezia della società per l'industria italiana del petrolio (I.N.P.E.T.), filiazione del gruppo Royal Dutch-Shell.

L'industria italiana potrà così fornire, lavorando materie prime in parte nazionali, come gli olî di asfalto, i catrami, le ligniti, in parte provenienti da paesi la cui produzione è sotto controllo, come l'Albania, e in parte d'importazione, l'intero fabbisogno nazionale di carburanti, combustibili liquidi e lubrificanti.

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