PETROLIO

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)

PETROLIO (XXVII, p. 32; App. I, p. 931)

Giorgio ROBERTI
Giovanni COPPA ZUCCARI
Gaspare MESSINA

Prospezione. - Ai metodi geofisici si è venuto ad aggiungere un metodo geochimico. Vengono raccolti campioni di terreno a profondità variabile tra 1 e 3 m. e si determina il contenuto di idrocarburi gassosi e liquidi o solidi e l'entità della mineralizzazione (contenuto di sali solubili lasciati da acqua profonda venuta alla superficie). I punti dove vengono eseguiti i prelevamenti di campioni sono scelti in maniera sistematica: a) lungo linee rette attraverso l'area; b) lungo raggi provenienti da un centro; c) su linee formanti una rete a maglie rettangolari. Tuttavia l'interpretazione dei risultati di tali indagini non è sempre facile.

Estrazione. - Nelle trivellazioni eseguite col sistema rotativo viene praticata una circolazione di sospensioni di argilla (fanghi) che scendono all'interno delle aste cave che sostengono lo scalpello, e risalgono all'estemo.

Il fango ha molteplici funzioni: serve a lubrificare gli scalpelli, a portare alla superficie i detriti ed a intonacare le pareti scoperte dei pozzi. Infatti le perforazioni si proseguono spesso per centinaia di metri a pareti scoperte prima di calare lungo tutto questo tratto un tubo di acciaio, che viene poi fissato al pozzo mediante una cementazione. Ogni volta che si compie questa operazione, il proseguimento del foro si fa con diametro minore, onde la convenienza di praticarla il minor numero di volte compatibile con la sicurezza del pozzo, per non dover iniziare il sondaggio con diametro troppo grande. La sicurezza della perforazione a pareti scoperte è appunto in relazione con le proprietà del fango. Attraversando terreni argillosi, il fango si forma spontaneamente durante la perforazione e basta aggiungere acqua di mano in mano che aumenta il volume del pozzo. Quando si attraversano strati sabbiosi, banchi calcarei o di marne calcaree, occorre preparare il fango fuori del pozzo con argille adatte.

Le caratteristiche di un fango che hanno importanza sono: la densità, in quanto determina la pressione che esercita la colonna di fango; la viscosità, che è in relazione sia con il trascinamento dei detriti, sia con il lavoro delle pompe di circolazione e sia con la filtrabilità del fango; l'acqua libera che può compromettere la stabilità delle pareti del pozzo; il contenuto in sabbia, che può causare gravi erosioni degli scalpelli.

Le acque salate che si incontrano negli strati di terreni attraversati, esercitano una deleteria influenza sulle qualità del fango, in quanto provocano la coagulazione dell'argilla, trasformando il fango in una sospensione di particelle che sedimentano nel fondo del pozzo, mentre il fango perde la proprietà di fare parete. Per evitare l'entrata delle acque, si aumenta la pressione esercitata dai fanghi, appesantendoli mediante l'aggiunta di barite. La barite però, costituente completamente inerte, diminuisce la stabilità del fango, per cui occorre accompagnare l'aggiunta di barite, con quella di bentonite, che rende più stabile il fango e diminuisce l'acqua libera; d'altra parte però fa aumentare la viscosità, e quindi il lavoro delle pompe. La viscosità è invece ridotta oltre che dalla barite, dal talco, il quale appesantisce il fango meno che non la barite, ma dà sospensioni più stabili. Oltre ai correttivi solidi, si aggiungono soluzioni attive, in generale alcaline: silicato sodico, carbonato sodico, estratto di sommaco e di quebraco, ecc. Il silicato e gli estratti hanno la proprietà di diminuire la viscosità del fango, se aggiunti in piccola quantità: il silicato però aumenta l'acqua libera, che è invece diminuita dal carbonato.

Oggi il controllo chimico dei fanghi è considerato indispensabile per la buona riuscita di una perforazione.

Poiché dalle sabbie petrolifere con lo sfruttamento ordinario si ricava circa il 20-30% del petrolio in esse contenuto, sono stati posti in opera metodi destinati a ricuperare il petrolio residuo. Questi consistono nello spostamento del petrolio a mezzo d'acqua, ovvero nel mantenere la pressione gassosa negli strati, ripompando in essi i gas naturali che si svolgono insieme al petrolio, ovvero aria. Solo in qualche caso l'applicazione di questi metodi di recupero del petrolio residuo ha avuto effettivo notevole successo.

Lavorazione. - Craching. - Tra i varî processi catalitici il più conosciuto è il processo Houdry. L'olio da trattare passa da un forno tubolare ad un vaporizzatore e quindi i vapori entrano nel reattore che contiene il catalizzatore, costituito da silicati d'alluminio, portato a circa 450 °C. All'uscita, la carica passa attraverso uno scambiatore e perviene ad una torre di frazionamento. Si hanno due reattori che lavorano alternativamente, in quanto il catalizzatore deve essere di tanto in tanto rigenerato. I prodotti sono: gas, benzina, petrolio, gas olio e residuo (nel vaporizzatore).

I vantaggi del processo consistono in: produzione di benzina tipo avio ad alto numero di ottano con resa elevata (45%) in un solo passaggio; riduzione del contenuto in zolfo a meno di 0,1%; bassa produzione di gas; possibilità di spostare le rese dei varî prodotti a seconda delle richieste stagionali.

Durante il cracking catalitico sul catalizzatore si deposita carbonio che ne riduce l'attività e rende necessaria la rimozione del carbonio stesso mediante combustione con aria. Durante la guerra si è sviluppato il processo con catalizzatore fluido in cui il catalizzatore è in polvere fine e può essere maneggiato come un liquido. Il catalizzatore viene trasportato attraverso alla camera di reazione dai vapori dell'olio da crackizzare e viene poi rimosso mediante un apparecchio atto a trattenere polveri (ciclone); indi i vapori dell'olio trattato vanno agli apparecchi di frazionamento. Il catalizzatore ricuperato dai cicloni poi viene iniettato in una corrente d'aria che lo trasporta al rigeneratore dove si brucia il carbonio. Il catalizzatore separato dai gas uscenti dal rigeneratore mediante un secondo ciclone, è successivamente iniettato nella corrente di vapori d'olio che vanno al reattore. Il processo è così assolutamente continuo, sia per l'olio, sia per il catalizzatore e sia per l'aria di rigenerazione.

Si ottengono benzine che al CFR Motor Method accusano un numero di ottano 92-94; idrogenandole e con aggiunta di piombo-tetraetile ed eventualmente di una piccolissima percentuale di isoottano o simili, diventano benzine avio di primissima qualità.

Prodotti chimici del petrolio. - Il petrolio è diventato la materia prima per numerose industrie chimiche. Mentre negli Stati Uniti prima del 1940 i prodotti chimici ottenuti dal petrolio rappresentavano meno del 5% della produzione chimica organica totale, nel 1946, il 24,5% di essa era basata sul petrolio e gas naturali. Numerose sono le possibilità chimiche che presentano il petrolio e i gas naturali attraverso le varie lavorazioni che essi subiscono nelle raffinerie. Il petrolio può anche essere assoggettato a lavorazioni che hanno per scopo la produzione di derivati che servono come materie prime per l'industria chimica: così uno speciale processo di cracking permette di ottenere da frazioni di petrolio 35% (in peso) di olefine e 45% di idrocarburi aromatici.

Le realizzazioni effettive più importanti già in atto o in procinto di esserlo sono qui ricordate: l'imponente sviluppo della produzione di caucciù sintetico negli Stati Uniti è basato principalmente sul butadiene, ricavato dai gas di cracking, od ottenuto per deidrogenazione del butano e butilene. Il 50% dell'alcool etilico prodotto negli Stati Uniti, è ottenuto dall'etilene, che è anche impiegato nella preparazione di materie plastiche: le polieteniche, le stiroliche e le viniliche (avendo sostituito l'acetilene nell'ottenimento del cloruro di vinile); tra gli altri derivati, interessante il polietilenglicol che costituisce un lubrificante prezioso nell'industria tessile, in quanto solubile in acqua. Dal propilene si prepara glicerina ed acetone. Dal butilene, il butil caucciù, preferito ad ogni altro tipo di caucciù per le camere d'aria, data la minore permeabilità di gas. Le miscele di ossido di carbonio ed idrogeno che servono per la sintesi dell'alcool metilico e della benzina Fischer vengono oggi preparate negli Stati Uniti piuttosto che dal carbone, dal metano che viene trasformato mediante combustione incompleta con ossigeno a 1300° : 2CH4 + O2 = 2CO + 4H2.

Oleodotti. - L'enorme consumo di prodotti petroliferi in seguito alle esigenze di guerra e la necessità di renderne più sollecito il trasporto e l'imbarco, furono causa del rifacimento di oleodotti esistenti e della costruzione di nuovi oleodotti negli Stati Uniti. Alcuni di essi dovettero essere adattati a funzionare in senso inverso a quello per cui erano stati costruiti; tra quelli di nuova costruzione vanno ricordati i due, detti rispettivamente "Big Inch" (del diametro di 24 pollici, circa 60 cm.) portato in sole 350 giornate lavorative, sino al luglio 1943, dai campi del Texas al porto di New York, per una lunghezza di circa 2220 km., attraverso paludi colline e fiumi, e "Little Big Inch", costruito tra l'aprile e il dicembre 1943 e lungo circa 1370 km. Altri oleodotti vennero costruiti negli Stati dell'Ovest e del Centro, per sopperire alla richiesta dei centri industriali e alle esigenze militari lungo la costa del Pacifico.

Ugualmente essenziale era il rifornimento delle truppe; e venne stimata come una delle più notevoli imprese belliche - tanto da essere designata come una vera e propria "operazione" (Operation "Pluto") la costruzione dell'oleodotto sottomarino di tal nome (Pipe line under the Ocean), per rifornire dall'Inghilterra le truppe sbarcate in Normandia. Ideatore della costruzione fu l'ammiraglio lord L. Mountbatten; le gravi, e per qualche tempo ritenute insormontabili, difficoltà tecniche, furono superate dall'ingegnere A. C. Hartley, impiegando una tubatura armata flessibile, simile a quella usata per i cavi telegrafici sottomarini; il primo tratto da Dungeness (Inghilterra) sulle coste del Kent a Boulogne-surMer, era costituito da 20 tubazioni per complessive 500 miglia circa.

Altri grandiosi oleodotti sono in costruzione o in progetto nel Medio Oriente, per convogliare i prodotti petroliferi dai campi dell'Arabia Saudiana ai porti del Mediterraneo: Tripoli e Ḥaifā vedi, per questi, la seguente pagina 532).

Gli impianti realizzati di recente hanno portato a uno studio più accurato della costruzione di oleodotti e gasdotti, specie per quanto riguarda il percorso, il distanziamento delle stazioni di pompaggio, con più perfezionati sistemi di regolazione e di sicurezza, l'adozione per le tubature di leghe leggere, nonché la protezione contro la corrosione, alla quale queste ultime sono maggiormente soggette. Le condizioni di alcune regioni, specie nel Medio Oriente, hanno anche costretto a adottare speciali misure di protezione e di vigilanza, con l'impiego anche di aerei.

Bibl.: Jakosky, Exploration geophysics, Los Angeles 1940; Kaftal, in Chimica e Industria, 1947; Egloff, Petrochemicals Oils and Gas Journal, 1948.

Il mercato mondiale del petrolio.

Il forte aumento dei consumi di prodotti petroliferi verificatosi nell'ultimo decennio, la sempre maggiore importanza strategica riconosciuta al possesso di adeguate fonti autonome di approvvigionamento e la palese incapacità dell'industria petrolifera di fronteggiare a breve scadenza ulteriori notevoli aumenti della domanda internazionale, hanno imposto alla politica mondiale del petrolio alcune mete obbligate.

Allo stato attuale, i principali problemi, comuni a tutti i paesi che partecipano in misura non trascurabile alla produzione, alla lavorazione e al commercio del petrolio e suoi derivati, sono i seguenti: a) l'aumento, nel più breve tempo possibile, della capacità dei trasporti marittimi e della potenzialità delle raffinerie; b) l'intensificazione delle ricerche petrolifere, allo scopo di individuare nei prossimi anni nuove riserve suscettibili di sfruttamento; c) lo sviluppo eventuale su scala industriale della produzione di idrocarburi sintetici secondo processi economicamente convenienti. La soluzione tempestiva di questi problemi, come si vedrà più avanti, richiede ai paesi interessati una notevole somma di sforzi nel campo finanziario, in quello tecnico e industriale.

Produzione mondiale. - La produzione mondiale di petrolio greggio è passata, da circa 280 milioni di t. del 1938, a 410 milioni nel 1947, facendo registrare un incremento pari al 46,2%. Tale aumento, che può apparire notevole considerato isolatamente, è inferiore a quello verificatosi nel precedente decennio, durante il quale la produzione crebbe nella misura dell'86%. La seconda Guerra mondiale ha infatti limitato l'estrazione del petrolio nel Medio Oriente e nell'URSS, ha arrecato gravi danni all'industria petrolifera romena e non ha risparmiato distruzioni a fonti secondarie, ma pure importanti, come le Indie olandesi e inglesi. Infine durante gli ultimi anni, ha ridotto anche il normale accrescimento della produzione statunitense.

Fra i produttori dell'emisfero occidentale, il Venezuela ha compiuto notevoli progressi nell'ultimo decennio, riuscendo a raddoppiare la propria produzione e a insediarsi al secondo posto nella graduatoria mondiale. Il possesso di grandi riserve e la vicinanza di un mercato di consumo così importante come quello degli S. U. hanno favorito una più intensa attività dell'industria petrolifera, che conta di aumentare la produzione di petrolio greggio nella misura del 50% entro il 1952. Il Venezuela partecipa attualmente alla produzione mondiale nella misura del 15,4% e il suo contributo all'incremento di essa nell'ultimo decennio fu di 26% circa, passando nello stesso periodo alla testa degli esportatori di prodotti petroliferi.

Nello stesso periodo, gli S. U. hanno aumentato la propria produzione nella misura del 47%, partecipando a quella mondiale nella proporzione del 61%. Ad onta di tale sforzo produttivo, gli S. U. sono divenuti importatori di prodotti petroliferi, non potendo soddisfare con la sola produzione nazionale le richieste estere di raffinati in aggiunta alla domanda interna per consumo e scorte. Un maggiore incremento della produzione statunitense è stato ostacolato, sia dalla penuria di attrezzature per l'apertura di nuovi pozzi petroliferi, sia dal limite costituito dalla capacità degli impianti di raffinazione.

Nel Messico, l'estrazione del petrolio greggio è stata incrementata durante l'ultimo decennio nella misura del 44%, restando tuttavia lontana dal livello raggiunto nel 1921 (circa 28 milioni di t.). La nazionalizzazione della locale industria petrolifera, disposta dal governo nel 1938, ha privato la produzione messicana del contributo finanziario e tecnico estero, grazie al quale il Messico era riuscito a occupare per diversi anni un posto importante fra i produttori e gli esportatori mondiali di prodotti petroliferi. Il governo messicano sta attualmente considerando l'opportunità di consentire nuovamente alle imprese estere o miste l'esercizio dell'industria petrolifera, confortato dall'esempio del Venezuela e della Colombia, che debbono la loro attuale prosperità economica proprio allo sviluppo impresso all'industria petrolifera dagli investimenti esteri.

Nel Medio Oriente, la produzione è stata sviluppata particolarmente nell'Īrān, nell'Arabia Saudiana e nel sultanato di al-Kuwait, mentre è rimasta pressoché stazionaria nell'‛Irāq e nell'isola di Bahrein, a causa di contingenti difficoltà. Queste regioni possiedono le maggiori riserve petrolifere finora accertate, tuttavia l'incremento della produzione (che ha avuto inizio in epoca relativamente recente nell'Īrān e nell'‛Irāq e recentissima nelle altre zone) richiede ingenti investimenti per il potenziamento dell'attrezzatura produttiva e per la soluzione dello spinoso problema dei trasporti. Il petrolio del Golfo Persico, per giungere sui mercati di consumo più importanti seguendo la via più breve, deve attraversare il Canale di Suez, pagando circa dollari 1,40 per t., onere che ne aumenta sensibilmente il costo a destinazione. Per evitare tale aggravio e per ridurre l'importo dei noli, l'Arabian American Oil Co. (Aramco) ha deciso di costruire un grande oleodotto, con una portata giornaliera di oltre 40.000 t. e lungo più di 1700 km., per convogliare il petrolio estratto dai campi di Abqaiq verso il Mediterraneo. L'Aramco, per sviluppare la propria attrezzatura di produzione, raffinazione e trasporto, dovrà investire nei prossimi anni circa 500 milioni di dollari, pari a 290 miliardi di lire attuali, ed ha già ottenuto un finanziamento di 227 milioni di dollari, garantito dalla Standard Oil di New Jersey e dalla Soconj-Vacuum, le due compagnie che hanno partecipato alla sua costituzione insieme alla Texas Co. e alla Standard of California. L'oleodotto, il cui costo preventivato ascende a 200 milioni di dollari, sarà ultimato nel 1951 e permetterà di abbreviare di circa due terzi la durata dei trasporti dalle fonti anzidette alle raffinerie europee più vicine. Nel 1953, sarà pronto un altro gigantesco oleodotto, con una portata giornaliera di 70.000 t. e lungo più di 1400 km., che collegherà i pozzi dell'Īrān a un porto del Mediterraneo. Due altri oleodotti, per 25.000 t. di portata giornaliera, sono quasi ultimati fra Ḥaifā (Palestina) e i campi di Kerkūk (‛Irāq), coltivati dalla ‛Irāq Petroleum Co. Questa società, che ha già in esercizio due oleodotti facenti capo a Ḥaifāe Tripoli (Siria), intende costruime un quinto entro il 1953. Infine un oleodotto Kuwait-Siria, della portata giornaliera di 40.000 t. sarà realizzato entro lo stesso anno dalla Kuwait-Eastern Pipe Line Co.

Quando tutte queste opere saranno state portate a termine, il Medio Oriente diventerà certamente la zona petrolifera di maggiore interesse non soltanto per l'Europa, ma per il mondo intero. I porti della Siria, della Palestina e del Libano potranno spedire 220.000 t. giornaliere di petrolio, cioè circa 17 volte il quantitativo odierno, mentre potranno essere intensificate anche le spedizioni dal Golfo Persico. Il Medio Oriente, attualmente al secondo posto fra gli esportatori mondiali di petrolio, contenderà quindi il primo posto al Venezuela.

In Europa, la produzione petrolifera della Romania è scesa, da 6,9 milioni di t. del 1938, a 3,8 milioni nel 1947. La guerra ha causato gravi danni ad alcuni dei più importanti centri petroliferi di questo paese, fra i quali quello di PloeŞti, ma il progressivo declino della produzione romena è dovuto soprattutto al graduale esaurimento dei vecchi giacimenti e all'equipaggiamento limitato e poco efficiente dell'industria petrolifera. L'attuale situazione politica della Romania non consente l'investimento di nuovi capitali esteri, che in passato hanno avuto una parte decisiva nella messa in valore delle risorse petrolifere locali. Appare poco probabile che la produzione possa nuovamente avvicinarsi alla cifra di 8 milioni di t. annue, superata nel decennio 1928-37. In Polonia e in Ungheria, i rispettivi piani economici triennali prevedono lo sviluppo dell'estrazione del petrolio greggio e dell'industria della raffinazione. I numerosi gravi problemi della ricostruzione, tuttora da risolvere in entrambi i paesi, la nazionalizzazione dell'industria petrolifera avvenuta in Polonia e le ingerenze sovietiche nell'economia dei due paesi fanno dubitare che essi possano affacciarsi prossimamente sul mercato europeo come esportatori di una certa importanza. Anche l'Austria ha nazionalizzato l'industria petrolifera e intende accrescerne l'attività, ma delicati problemi economici e di politica internazionale impediscono per ora di fare qualsiasi previsione sullo sviluppo della produzione e sull'avvenire di tale industria.

Nell'URSS, il ritmo di estrazione del petrolio ha subìto un notevole rallentamento durante l'ultimo decennio. La seconda Guerra mondiale ha danneggiato seriamente gran parte dell'attrezzatura petrolifera delle regioni di Majkop e del Kuban′, causando al tempo stesso notevoli difficoltà nel Caucaso, rimasto per molti mesi a corto di materiali e di equipaggiamenti, necessarî per lo sviluppo delle coltivazioni. Da parte ufficiale risulta che a Krasnodar, Groznyj e Majkop sono stati distrutti o gravemente danneggiati pozzi petroliferi aventi una capacità annua complessiva di 5 milioni di t., cifra pari al 18% della produzione annua globale sovietica. Sono state inoltre danneggiate nelle stesse zone numerose raffinerie, talché la ricostruzione deve assolvere dei compiti che sono particolarmente gravi e complessi.

Già prima della guerra, l'accrescimento annuo della produzione petrolifera sovietica si era rivelato molto modesto, tanto che gli obiettivi fissati inizialmente nel secondo e terzo piano quinquennale (rispettivamente 69,2 e 54 milioni di t. annue) furono mancati in pieno. La produzione di greggio, che avrebbe dovuto raggiungere 40,8 milioni di t. nel 1940 ha toccato invece un massimo di 31,i milioni e da quell'anno è declinata rapidamente, accusando una contrazione pari al 9% nell'intero decennio 1938-47. La tecnica e i mezzi di sfruttamento dei giacimenti petroliferi, che mostravano serie lacune in tempi normali, non sono migliorati durante la guerra e attualmente la penuria di materiali e di nuove attrezzature e la scarsezza di personale specializzato ostacolano la ripresa della produzione sovietica. Durante gli ultimi anni è stato poi necessario spingere i lavori a grande profondità in alcune zone, ciò che richiede macchinarî di perforazione perfezionati e un notevole dispendio di tempo per passare a una fase attiva della produzione. Il piano quinquennale in corso, che scade nel 1980, ha stabilito come traguardo finale una produzione annua di 35,5 milioni di t. di petrolio greggio, obiettivo che non appare agevole, pur tenendo conto dei notevoli sforzi compiuti negli ultimi anni dall'industria sovietica.

In Estremo Oriente la ripresa della produzione petrolifera ha avuto promettenti sviluppi nel Borneo inglese, mentre è stata ostacolata seriamente dai danni di guerra, dalla penuria di nuove attrezzature e dalla situazione politica ed economica nelle Indie olandesi.

Consumo mondiale. - Il consumo mondiale di petrolio greggio è passato, da 256 milioni di t. del 1938, a 397 milioni nel 1947. In quest'ultimo anno è stato registrato un maggior consumo di 33 milioni di t., pari al 23% dell'incremento verificatosi durante l'intero decennio considerato. Il balzo compiuto dal consumo nel 1947 è dovuto in buona parte alla forte domanda degli S. U., che hanno assorbito, da soli, 20 milioni di t. più dell'anno precedente. La partecipazione di questo paese al consumo mondiale è passata, dal 57,8% del 1938, al 64% nel 1947 e corrisponde a un incremento di 107 milioni di t. nell'intero periodo (da 147 a 254 milioni di t.). Mentre nel decennio 1938-47 l'espansione dei consumi ha raggiunto negli S. U. il 72%, nel resto del mondo non ha superato il 28%. Soltanto l'URSS si è preoccupata, e si preoccupa tuttora, di ridurre i consumi. L'uso del petrolio come combustibile è sceso, infatti, nell'Unione Sovietica dal 17% del 1932 al 7,9% nel 1940, e il piano quinquennale in corso, mediante il maggiore impiego di altre fonti, prevede una ulteriore riduzione (6,3%). Nel quadro dell'utilizzazione delle diverse fonti di energia nel mondo (petrolio, carbone, energia idroelettrica), quella del petrolio è in costante progresso, essendo passata, dalla misura del 22,2% del 1937, al 29% nel 1947.

L'industria petrolifera non è stata in grado di soddisfare interamente la domanda mondiale durante il 1947. Ciò ha reso inevitabile il mantenimento del razionamento dei consumi in alcuni paesi, fra i quali l'Italia, e la compressione di essi in altri. Gli stati della costa atlantica degli S. U. e quelli centrali, alla fine di tale anno, avevano dovuto ridurre i proprî consumi nella misura del 15% circa. Le importazioni inglesi, aumentate nei confronti dell'anteguerra nella misura del 18 oo durante il 1946, sono state ridotte, in seguito alle difficoltà generali di approvvigionamento, dell'8% nel 1947. Le falcidie più accentuate delle disponibilità inglesi si sono verificate nei settori del gasolio e degli olî Diesel e pesanti. Il piano britannico che prevedeva la conversione di una parte degl'impianti termici, per risparmiare circa 3 milioni di t. annue di carbone da sostituire con combustibili liquidi, ha avuto perciò soltanto parziale applicazione.

Le scorte strategiche effettuate da alcuni paesi durante il 1947 e la concomitante maggiore domanda di prodotti finiti per il consumo immediato hanno posto in evidenza forti deficienze nella capacità delle raffinerie e dei trasporti marittimi. Negli S. U. le raffinerie hanno lavorato a un ritmo medio pari al 93% della loro potenzialità durante il 1947, ma negli ultimi mesi dell'anno tale media è stata superata, oltrepassando (103%) gli stessi limiti tecnici imposti dalla buona conservazione degl'impianti. L'Inghilterra e la Francia hanno anch'esse lamentato deficienze della capacità di raffinazione. In Inghilterra, la Royal Dutch Shell, l'Anglo-Iranian Oil Co. e una società mista anglo-americana hanno in programma o in corso la costruzione di nuove capaci raffinerie, mentre in Francia le competenti autorità hanno approvato un piano tendente a quadruplicare all'incirca la capacità prebellica degl'impianti francesi. La Francia non mira soltanto ad attrezzarsi per la lavorazione di un maggiore quantitativo di petrolî dell'‛Irāq, alla cui produzione è direttamente interessata, ma anche a creare nuovi importanti centri di raffinazione sulla sua costa del Mediterraneo, allo scopo di assicurarsi in avvenire una proficua attività di lavorazione nei riguardi della produzione del Medio Oriente. Questa zona ha una attrezzatura insufficiente e, in avvenire, dovrà ricorrere sempre più largamente alle raffinerie europee più vicine ed efficienti per la lavorazione del suo petrolio greggio. Si calcola che la capacità annua mondiale di raffinazione dovrebbe essere aumentata nei prossimi quattro anni di 80 milioni di t., ma tale obiettivo, pur essendo suggerito dalla ovvia necessità di un tempestivo adeguamento dell'attrezzatura esistente ai previsti aumenti della produzione mondiale di petrolio greggio, incontra forti limitazioni nella generale deficienza di materiali metallici e altri occorrenti per l'allestimento delle nuove attrezzature.

Un altro fattore che ha limitato l'attuale disponibilità di prodotti petroliferi è stato costituito dalla deficienza di navi cisterna. Tale fattore incide non soltanto sugli approvvigionamenti della Francia, dell'Olanda, dell'Italia, ma anche su quelli degli S. U. e della Gran Bretagna. Prima della guerra, questi due ultimi paesi controllavano il 54% della flotta mondiale di navi cisterna, con una leggera prevalenza dell'Inghilterra, che disponeva di naviglio per una portata complessiva di 4,7 milioni di t., pari al 28% di quella mondiale. Mentre i cantieri inglesi non sono riusciti a sostituire le unità perdute durante la guerra, quelli statunitensi hanno costruiio durante il conflitto per conto del governo diverse centinaia di petroliere. Alla fine della guerra, la U. S. Maritime Commission aveva posto in disarmo 300 unità, 150 delle quali furono successivamente cedute alla Gran Bretagna (51), all'Olanda (16) e, previa concessione delle necessarie facilitazioni, all'Italia (20), alla Francia (11) e ad altri paesi. La Gran Bretagna, malgrado gli acquisti di cisterne americane e le nuove costruzioni eseguite a ritmo celere dai proprî cantieri, ha una flotta inadeguata alle attuali esigenze del suo traffico petrolifero, per soddisfare le quali occorrerebbe naviglio con una portata molto superiore a quella prebellica. Dal canto loro, gli S. U., sebbene possiedano naviglio per una portata lorda pari al 42% di quella della flotta mondiale di navi cisterna, non riescono ad effettuare con la propria bandiera tutti i trasporti necessarî. In relazione a tale situazione, mentre il governo americano ha rifiutato di noleggiare all'estero le proprie petroliere, la U. S. Maritime Commission ha dovuto utilizzare nel 1948 quasi tutte le 170 navi precedentemente messe in disarmo.

Pur tenendo conto delle nuove costruzioni in allestimento presso i cantieri navali di alcuni paesi e della utilizzazione di tutte le cisterne statunitensi accantonate dopo la fine della guerra, è probabile che fino a tutto il 1951 la distribuzione nel mondo dei prodotti petroliferi sia ostacolata dalla insufficiente disponibilità di naviglio.

Riserve mondiali. - La continua espansione dei consumi mondiali di prodotti petroliferi è avvenuta a spese delle riserve individuate nei diversi continenti e l'assottigliamento di queste ha accentuato nell'ultimo decennio la lotta fra i principali consumatori per l'accaparramento di nuove fonti di approvvigionamento. La distribuzione geografica dei giacimenti di petrolio, ove si eccettui il caso degli S. U. e dell'URSS, ha dotato di grandi riserve paesi che hanno scarso consumo (Īrān, ‛Irāq, Arabia Saudiana, al-Kuwait, Venezuela, Messico, Romania, ecc.), verso le quali convergono le mire delle nazioni che sostengono un ruolo importante nelia politica mondiale del petrolio.

Secondo una stima di fonte americana le riserve mondiali di petrolio erano ripartite nel 1946 come è indicato nella tabella 2.

Secondo le valutazioni del 1946 e sulla base dei consumi del 1945 le riserve accertate nel mondo erano sufficienti fino al 1967; tuttavia gli Stati Uniti, che sono i maggiori consumatori, esaurirebbero quelle nazionali entro il 1957, se dovessero attingere esclusivamente ad esse. Secondo tali valutazioni, l'URSS ha nel proprio sottosuolo tanto petrolio da poter alimentare per tutto il secolo un consumo annuo di circa 20 milioni di t., mentre il ritmo di estrazione dai giacimenti del Medio Oriente potrebbe essere conservato per 88 anni sulle cifre del 1945.

Dal 1940 al 1946, le riserve accertate negli S. U. sono aumentate soltanto del 12,7%, mentre la produzione di petrolio greggio è cresciuta nella misura del 27,9%. Di fronte allo sviluppo dei consumi interni gli S.U. sono costretti ad attingere sempre più largamente a fonti estere per prolungare la durata delle proprie riserve. Le importazioni di petrolio greggio negli S. U. sono aumentate anche in funzione della maggiore richiesta estera di prodotti finiti cui le raffinerie americane debbono soddisfare.

La Gran Bretagna non possiede nel territorio metropolitano risorse petrolifere, ma costituisce, insieme con i Dominions, un importante mercato di consumo che gravita necessariamente verso le fonti estere più vicine e più promettenti (Medio Oriente). In una situazione pressoché analoga si trova la Francia, che però non partecipa in misura così notevole come la Gran Bretagna e gli S. U. allo sfruttamento di fonti estere. L' URSS, avendo da tempo sospeso le esportazioni di prodotti petroliferi, che del resto erano state ridotte, da 6 milioni di t. del 1932, ad appena 600.000 t. nel 1940, ha sfruttato con parsimonia le sue riserve.

Tutti questi paesi si contendono da molti anni adeguati accessi alle maggiori riserve petrolifere mondiali. I risultati di questa lotta sono per ora favorevoli agli S.U. e alla Gran Bretagna che, insieme all'Olanda, controllano circa il 95% delle riserve mondiali, escluse quelle che si è assicurata l'URSS. Le società petrolifere anglo-olandesi e quelle statali britanniche sono in vantaggio rispetto alle rivali statunitensi, le quali controllano circa il 44% delle riserve accertate nell'Emisfero Occidentale (Venezuela, Colombia, ecc.), nel Medio Oriente (Arabia Saudiana, al-Kuwait, Bahrein, ecc.), in Estremo Oriente e in Europa. Tuttavia, mentre la Gran Bretagna non possiede giacimenti nel proprio territorio gli S. U. dispongono di notevoli risorse nazionali e occupano quindi una posizione predominante fra i produttori mondiali. Inoltre è da tener presente che l'industria petrolifera statunitense si è abilmente assicurata nell'ultimo decennio le migliori concessioni nel Medio Oriente, ciò che potrà modificare in avvenire l'attuale valore delle sue partecipazioni all'estero.

Le più recenti valutazioni delle riserve mondiali di petrolio e gli eventi maturati dopo la fine della guerra nel Medio Oriente e in Europa consentono di aggiornare il quadro relativo alla partecipazione dei diversi paesi allo sfruttamento di fonti estere e al controllo delle riserve stesse. Secondo le stime di autorevoli personalità dell'industria petrolifera americana, le riserve certe del Medio Oriente ascendono a oltre 25 miliardi di barili. È stato possibile formulare tale valutazione in base a un numero molto esiguo di sondaggi, ciò che fa ritenere probabile l'esistenza di riserve effettive dell'ordine di 150 miliardi di barili (circa 20 miliardi di t.). All'interesse che suscita una tale ricchezza di risorse, si aggiunge quello derivante dalla particolare produttività di numerosi campi di questa zona, nei quali i pozzi raggiungono, e talvolta oltrepassano, una produzione giornaliera di 1000 t. senza necessità di pompaggi. Secondo altre valutazioni, le riserve dell'URSS ascenderebbero a 22,5 miliardi di barili, di cui 17,5 nella sola fascia petrolifera caucasica. Nel corso dell'ultima sessione della American Association of Petroleum Geologist, tenutasi nel dicembre 1947, alcuni esperti hanno stimato che l'estensione delle aree petrolifere più promettenti raggiunga 24 milioni di kmq. e che esse possano racchiudere riserve prossime a 600 miliardi di barili. A tale valutazione, probabilmente ottimistica, fanno riscontro quelle di autorevoli scienziati, secondo cui le presunte riserve mondiali ammonterebbero a 280 miliardi.

Le valutazioni concordano comunque nell'attribuire attualmente al Medio Oriente le maggiori risorse petrolifere finora accertate. Non è senza significato quindi il progressivo aumento degli investimenti internazionali destinati a porre in valore i giacimenti esistenti nell'‛Irāq, nell'Īrān, nell'Arabia Saudiana, nel sultanato di al-Kuwait e nell'isola di Bahrein. Nel quinquennio 1948-52, saranno spesi per l'attrezzatura dell'industria petrolifera in questi paesi 500 milioni di sterline, pari a 1000 miliardi di lire attuali, di cui circa due terzi dalla Gran Bretagna.

L'URSS non è rimasta estranea alla corsa per il petrolio che si sta verificando nel Medio Oriente. Un abile lavorio diplomatico, fiancheggiato da forti pressioni sul governo di Ṭeherān, ha permesso al governo sovietico di concludere con quello dell'Irān, nell'aprile 1946, un accordo in base al quale lo sfruttamento delle risorse petrolifere esistenti nelle regioni settentrionali di questo paese doveva essere riservato in esclusiva, per la durata di 50 anni, a una società russo-persiana da costituire appositamente. Tale accordo, concluso dall'allora primo ministro Qawam-esSultaneh per sfuggire alle pressioni dell'URSS, che per l'occasione non aveva esitato ad invadere con le proprie forze armate l'Azerbaigian, doveva essere ratificato dal parlamento dell'Īrān entro l'ottobre 1946. Ma il parlamento ha rinviato la ratifica e, nell'ottobre 1947, si è pronunziato contro l'applicazione dell'accordo. L'URSS non ha rinunziato alla realizzazione di ciò che essa definisce una intesa commerciale liberamente negoziata e continua a premere sul governo dell'Īrān, che non cede, sostenuto dagli S. U. e dalla Gran Bretagna.

Maggiore fortuna ha avuto la penetrazione sovietica in Romania, dove nel 1945 è stata costituita una società russo-romena, che dovrebbe accentrare la produzione, la lavorazione del petrolio greggio e il commercio dei prodotti finiti. ll governo di Bucarest ha consentito che l'URSS facesse figurare come suo apporto sociale anche titoli azionarî di proprietà di aziende petrolifere straniere (inglesi, francesi, americane e belghe) caduti in mani sovietiche. Gli S. U. e la Gran Bretagna sono riusciti a evitare soltanto formalmente l'incameramento o la nazionalizzazione delle aziende petrolifere costituite con partecipazioni dei rispettivi paesi. L'URSS ha cominciato infatti col farsi dare a titolo di riparazioni il 57% della produzione petrolifera romena, prelevando inoltre buona parte della rimanente disponibilità come quota sociale di sua spettanza dimodoché la percentuale esportabile si è ridotta al minimo. Il prezzo pagato dalla URSS per tale quota è notevolmente inferiore a quello mondiale e non copre i costi di produzione. Dal canto suo il governo romeno ha posto sotto il suo controllo l'Astra Romana e l'Unirea, due delle maggiori aziende petrolifere romene (la prima costituita con partecipazione di maggioranza della Royal Dutch Shell, la seconda controllata dalla società inglese Phoenix), accusate di non aver raggiunto gli obiettivi di attività prestabilita. Nel l'aprile 1948, lo stesso provvedimento è stato applicato alla Romano-Americana, società dipendente dalla Standard Oil. In queste condizioni, ben difficilmente le aziende straniere, alle quali la Romania deve la messa in valore delle sue risorse petrolifere, potranno resistere a lungo alle pressioni russo-romene.

Una situazione quasi analoga è stata creata dall'URSS in Ungheria, mentre in Austria le mire sovietiche non si sono realizzate per il fermo atteggiamento di quel governo e per l'intervento anglo-americano. In questo paese l'industria petrolifera è stata nazionalizzata, ma, poiché i giacimenti di Zistersdorf si trovano nella zona di occupazione assegnata all'URSS, le autorità sovietiche ne hanno approfittato per assumere il controllo della produzione petrolifera austriaca.

L'azione svolta negli ultimi tre anni dall'URSS in Romania, nell'Īrān, in Ungheria e in Austria denota la volontà di escludere le potenze occidentali dallo sfruttamento delle risorse petrolifere più vicine all'Unione Sovietica. Gli interessi americani e inglesi nei paesi menzionati sono notevoli, ma la tutela di essi appare sempre più difficile.

Produzione degli idrocarburi sintetici. - Sebbene le riserve mondiali di petrolio finora accertate costituiscano soltanto una parte, probabilmente minima, di quelle racchiuse nel sottosuolo, non si può trascurare che la continua espansione del consumo minaccia di esaurire talune delle fonti individuate in un periodo di tempo inferiore al previsto. Inoltre, l'ultima guerra ha scosso la convinzione che il dominio dei mari garantisca in caso di conflitti gli approvvigionamenti da fonti estere, talvolta lontane. Mentre sono state intensificate in tutti i continenti le ricerche petrolifere, i maggiori consumatori di combustibili liquidi, e particolarmente gli S. U., hanno riconosciuto l'opportunità di sviluppare a breve scadenza l'attrezzatura occorrente per la produzione di idrocarburi sintetici.

Sono noti i progressi compiuti nell'anteguerra dalla Germania, dalla Gran Bretagna e dagli S. U. nel campo dell'idrogenazione dei combustibili solidi (v. carburanti, App. I, p. 367). L'occupazione della Germania ha fornito alla Gran Bretagna e agli S. U. l'occasione di mettersi al corrente dei perfezionamenti raggiunti dalla tecnica tedesca durante gli ultimi anni. Questi due paesi sono ricchi di combustibili solidi e in grado di ampliare in breve tempo la loro attrezzatura per la produzione in sintesi di idrocarburi, tuttavia per il momento soltanto gli S. U. intendono affrontare questo problema, partendo tanto dal carbone quanto dai gas naturali di origine petrolifera.

Secondo valutazioni di fonte ufficiale americana gli S. U. potrebbero destinare una parte maggiore della loro enorme disponibilità di gas naturali (oltre 60.000 milioni di mc. annui) alla produzione di benzina sintetica, ricavandone 8 miliardi di barili di benzina, sufficienti per il consumo di circa dieci anni. La Carthage Hydrocol Inc., la Stanolind Oil and Gas Co., la Humble Oil and Refining Co. e altre industrie americane hanno in progetto o in corso la costruzione di nuovi impianti per la produzione di benzina, olî Diesel e combustibili liquidi dai gas naturali. La Standard Oil Co. of New Jersey (Soconj) ha deciso recentemente di costruire, insieme alla Pittsburgh Consolidation Coal Co.. un impianto pilota per la produzione di benzina sintetica e di gas idrocarburati dal carbone. Questo impianto, destinato alla messa a punto dei processi di produzione, fornirà i dati per la costruzione di un grandioso stabilimento capace di produrre circa 2 mila t. giornaliere di benzina sintetica e grandi quantità di combustibili gassosi. Occorreranno circa 20 mila t. di carbone al giorno per ottenere tale produzione, che dovrebbe avere inizio nel 1951. Il costo preventivato di tale impianto ammonta a 120 milioni di dollari, pari a 70 miliardi di lire attuali. Infine, è allo studio negli S. U. anche l'estrazione di olî minerali dagli schisti.

Tutte e tre le menzionate materie prime sono largamente disponibili negli S.U. e l'impiego di esse per la fabbricazione di benzina e di altri idrocarburi dipende esclusivamente dalla economicità dei processi industriali e dal costo degli impianti. Secondo i dati più recenti, un barile di benzina (73-75 di ottano) ricavata per sintesi dai gas naturali può esser posto in vendita, tenuto conto di una equa remunerazione del capitale e degli ammortamenti, intorno a dollari 3,30, mentre un barile di equivalente benzina comune è attualmente quotato intorno a 5 dollari. Sebbene gli impianti occorrenti per la trasformazione dei gas naturali in benzina costino più di un moderno cracking, i processi di produzione e il rendimento di essi consentono fin d'ora una vantaggiosa attività commerciale tanto più che la benzina ottenuta per sintesi dai gas ha un più alto numero di ottano di quella comune ed è quindi più pregiata. I costi di produzione della benzina ottenuta per sintesi dal carbone o ricavata dagli schisti superano del 30% circa quelli della benzina prodotta con l'impiego di gas naturali. Agli effetti di una produzione su scala industriale che utilizzi come materie prime il carbone o gli schisti, il prezzo dei comuni prodotti petroliferi ha quindi un peso più accentuato. All'inizio del 1947, i costi della benzina sintetica da carbone erano superiori a quelli della benzina comune. Successivamente, l'aumento del prezzo mondiale del petrolio grezzo e quello della benzina comune hanno creato nuovi margini che rendono conveniente anche la produzione di benzina dal carbone e dagli schisti. Le prospettive di questo settore della produzione di idrocarburi sono incoraggianti, perché il mercato petrolifero mondiale non presenta alcuna tendenza al ribasso e le indicazioni che si hanno circa il suo andamento futuro inducono piuttosto a ritenere probabili ulteriori aumenti generali dei prezzi.

Prezzi. - All'inizio del 1947 il costo del petrolio grezzo aveva subìto negli S. U. un aumento del 75% nei confronti dell'anteguerra. Nel marzo dello stesso anno il prezzo per barile è stato aumentato di 25 cents e nel successivo dicembre di 50 cents. I prezzi del petrolio grezzo hanno oscillato durante il 1947 da un minimo di dollari 1,62 a un massimo di 2,57 per barile, facendo registrare un ulteriore aumento del 30%. Tale aumento è stato provocato dal costo crescente della produzione, dovuto alla maggiore profondità dei lavori, nonché delle esplorazioni petrolifere e delle attrezzature per l'estrazione del petrolio e, in misura minima, dallo squilibrio fra domanda e offerta. L'andamento dei prezzi dei prodotti finiti e degli olî combustibili negli ultimi anni è dato dai seguenti indici:

Rispetto alla media delle quotazioni praticate nel 1936-38, il più forte aumento dei prezzi si è verificato per gli olî combustibili, che erano considerati prima della guerra come sottoprodotti della lavorazione del petrolio greggio, di cui occorreva incoraggiare il consumo con quotazioni inferiori a quelle del carbone e dello stesso petrolio greggio. Alla fine del 1947 (dicembre), il prezzo degli olî combustibili era aumentato in ragione del 125% rispetto alla media anzidetta. Il rapporto prebellico fra le quotazioni di essi (Fuel Oil n. 6) e quelle del carbone, avuto riguardo al rispettivo potere calorifico, risultava completamente invertito, avendo raggiunto il valore di 3 a 1. Tale aumento è in parte dovuto ai maggiori costi di produzione e in parte alla domanda molto sostenuta. Esso deve considerarsi un limite oltre il quale l'impiego del combustibile liquido non presenta più convenienza.

Gli aumenti verificatisi nei prezzi negli altri prodotti petroliferi sono in relazione a quelli avutisi per il petrolio greggio.

L'industria petrolifera in Italia. - La seconda Guerra mondiale ha privato l'industria petrolifera italiana delle fonti di approvvigionamento che essa si era assicurate in Albania e in Romania e della raffineria di Fiume, della ROMSA (v. petrolio, App. I, p. 933), passata nelle mani della Iugoslavia. Ha inoltre danneggiato gravemente tutte le principali raffinerie esistenti in Italia, a eccezione di quella di Bari, dell'ANIC, e gran parte dei depositi costieri. Infine, ha causato la perdita della maggioranza delle navi cisterna appartenenti alle società petrolifere e agli armatori liberi, nonché quella di numerosi carri cisterna ferroviarî.

All'inizio delle ostilità, le raffinerie, i depositi e le altre attrezzature appartenenti ad aziende petrolifere inglesi e americane furono posti sotto sequestro e, successivamente, con decreto 30 luglio 1942, incorporati nell'AGIP. Alla fine della guerra, la disciplina degli approvvigionamenti e della lavorazione del petrolio greggio e della distribuzione dei finiti è stata affidata al Comitato italiano petrolî (CIP), organo provvisorio di coordinamento alle dirette dipendenze del governo, che doveva assicurare il sollecito ritorno alla normalità del mercato. Le crescenti difficoltà incontrate dagli approvvigionamenti italiani di prodotti petroliferi, in relazione alla situazione generale e all'esaurimento delle forniture gratuite dell'UNRRA, hanno consigliato di mantenere in vita il CIP durante il 1947-48. Tale decisione è stata presa perché la restituzione e il riassetto dell'attrezzatura appartenente alle aziende petrolifere estere operanti in Italia sono stati ritardati da complessi problemi finanziarî e tecnici.

Le raffinerie di Napoli (della Vacuum), e di Porto Marghera (dell'AGIP), sono rientrate in esercizio rispettivamente alla fine del 1946 e all'inizio del 1947, e sono stati ricostruiti gl'impianti di La Spezia (della INPET), e altri minori nel 1948. Nei riguardi del grande stabilimento di Livorno, dell'ANIC, semidistrutto dai bombardamenti aerei, era stata invece riconosciuta l'opportunità di soprassedere alla ricostruzione, ritenuta troppo dispendiosa.

Due importanti accordi conclusi nel 1947 hanno notevolmente rischiarato l'orizzonte dell'industria petrolifera italiana, alle prese con problemi finanziarî e logistici talvolta insuperabili. L'AGIP ha raggiunto con la Anglo Iranian Oil Co. un accordo, in base al quale quest'ultima le fornirà per un decennio tutti i quantitativi di greggio e di prodotti finiti occorrenti. La società inglese contribuisce inoltre alla ricostruzione e all'ampliamento della raffineria di Porto Marghera, dove è in corso la trasformazione in reforming della seconda unità di cracking, per ottenere benzine a più alto numero di ottano. La capacità annua di lavorazione di questo impianto, che prima della guerra era di 400.000 t., sarà portata al più presto a un milione di t. L'accordo prevede la costituzione di una società mista per la raffineria di Porto Marghera, il rifornimento di carburante per gli aeromobili negli aeroporti italiani, il bunkeraggio delle navi nei porti italiani e l'eventuale costituzione di una seconda società per queste due attività. Un secondo accordo è stato concluso fra l'ANIC e la Standard Oil Co. of New Jersey, la maggiore azienda petrolifera americana. L'accordo prevede la costituzione di una società mista italo-americana per la ricostruzione e la gestione dell'impianto di Livorno e per l'ampliamento e il perfezionamento di quello di Bari. Prima della guerra, questi due impianti potevano trattare ciascuno 230.000 t. annue di materia prima. La loro capacità annua sarà portata rispettivamente a 1 milione e a 500.000 t. annue. La standard fornirà alle due raffinerie tutto il petrolio greggio occorrente, a condizioni vantaggiose.

Le domande di autorizzazione concernenti nuovi impianti o l'ampliamento di quelli esistenti approvate - fra le quali figurano quelle dell'INPET relative alla raffineria di La Spezia e ad un nuovo impianto a Carrara, dell'ANIC per una nuova raffineria a Novara, della Petrolea Caltex, del gruppo King ed altre - fanno prevedere che nei prossimi anni la capacità di lavorazione delle raffinerie italiane supererà i 5 milioni di t. annue e, salvo imprevisti, raggiungerà i 9 milioni di t. Prima della guerra, la capacità complessiva degl'impianti italiani era di 2,2 milioni di t., potenzialità che non consentiva alle raffinerie di fornire l'intero quantitativo di prodotti finiti necessario al mercato interno. Fatto importante ai fini dì futuri risparmî di valuta, le forniture estere saranno costituite in avvenire prevalentemente da greggio del Medio Oriente.

Nel dopoguerra, com'è accaduto in quasi tutti i paesi, la domanda interna di prodotti petroliferi è aumentata sensibilmente. Il consumo preventivato per il 1947 era di oltre 4 milioni di t., cioè superiore nella misura del 50% a quello del 1938. Le sopravvenute difficoltà di approvvigionamento hanno ridotto il piano italiano di acquisti, tuttavia il consumo di benzina ha raggiunto le 340.000 t. contro circa 430.000 nel 1938. Sebbene il numero complessivo di autoveicoli in circolazione durante il 1947 sia stato inferiore a quello del 1938, la presenza sulle strade italiane di parecchie migliaia di autocarri a benzina di provenienza americana ha influito sensibilmente sui consumi. Nel settore del gasolio, le assegnazioni effettuate nel 1947 hanno superato le 430.000 t., contro un consumo di 263.000 t. nel 1938. La disponibilità di olî combustibili ha subìto gravi falcidie a causa della forte riduzione delle importazioni di greggio, tuttavia il ritmo dei consumi ha superato in qualche mese quello del 1938.

Dal 1945 ai primi mesi del 1948, le autorità militari alleate, l'UNRRA e gli Interim Aids hanno fornito gratuitamente all'Italia più di 2,3 milioni di t. di prodotti petroliferi. L'attuale fabbisogno italiano ammonta a 4,6 milioni di t. annue e si prevede che le esigenze del consumo aumenteranno negli annni prossimi fino a raggiungere nel 1952 circa 4,6 milioni di t. Inoltre, per la ricostruzione e lo sviluppo delle raffinerie, l'Italia dovrà costruire ed importare nuove attrezzature per oltre 120 milioni di dollari. Questi dati sono stati inclusi nel rapporto sul Piano Marshall presentato al governo degli S.U. Il programma italiano a lunga scadenza per l'industria petrolifera prevede, per il 1952-53, una capacità globale di raffinazione pari a 9,6 milioni di t. annue. Circa metà dei prodotti finiti ottenuti in quell'epoca dalle raffinerie italiane, per un valore di oltre 140 milioni di dollari, dovrebbe essere esportata nei paesi vicini per assicurare il pareggio della bilancia commerciale del petrolio. Il programma globale di investimenti in nuove attrezzature per l'industria petrolifera da realizzare nel 1952-53 prevede una spesa di circa 200 milioni di dollari.

Bibl.: Petroleum Administration for war, Petroleum in war and peace, Washington 1945; American petroleum interests in foreign countries (rapporto della Commissione speciale del Senato S. U.), Washington 1946; R. L. Trisko, United states petroleum import prospects (U. S. Department of commerce), Washington 1947; Bosco, Petroli del Medio oriente e petroli americani, in Rivista italiana del petrolio, 1947; vedi inoltre gli Annuarî del Bureau of mines e gli scritti pubblicati dal settimanale Oil Weekly.

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