PÉTAIN, Philippe

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)

PÉTAIN, Philippe (XXVI, p. 979)


Dopo la vittoria del Fronte popolare, in alcuni settori della destra antiparlamentare si delineò una rumorosa campagna apologetica in favore di Pétain, della quale gli atti più risonanti furono lo scritto di Gustavo Hervé, C'est Pétain qu'il nous faut! (1936) e l'articolo Pétain au pouvoir! apparso sul filonazista Le grand Occident dell'aprile 1939: la stessa Cagoule (v. cagoulards, in questa App.) cercò di annettersi il nome del maresciallo. Dubbia, o almeno non provata, è la partecipazione attiva dell'interessato a tale campagna. Questi, intanto, venne il 2 marzo 1939 nominato da Daladier ambasciatore presso Franco e assolse l'incarico di liquidare le ultime pendenze dell'affare spagnuolo.

Dopo aver rifiutato, nel settembre 1939, di entrare nel gabinetto Daladier (il rifiuto pare debba ascriversi a solidarietà verso Laval: del resto è il periodo in cui Pétain, nonostante la guerra, conserva a Madrid dei rapporti personali con l'ambasciatore tedesco), divenne il 18 maggio 1940 vicepresidente del gabinetto Reynaud. Forte del suo prestigio personale, appoggiò validamente Weygand nel far trionfare la tesi dell'armistizio, che immediatamente attuò allorché la sera del 16 giugno ebbe dal presidente della repubblica l'incarico di costituire il nuovo govemo. Legato dalla convenzione di armistizio, Pétain fissò la sede del governo in zona libera, a Vichy, e ottenne dall'Assemblea nazionale del 10 luglio il potere costituente del quale si valse per realizzare un regime del tutto personale sulla base di una poco chiara ed arcaica ideologia di "rivoluzione nazionale" e con l'ausilio di tutta la tecnica poliziesca dei moderni regimi totalitarî.

Capo dello stato e ad un tempo del govemo, la sua azione fu preponderante, almeno fino al 18 aprile 1942; successivamente, col richiamo di Laval, essa fu maggiormente delimitata nel tradizionale ambito della funzione presidenziale del capo dello stato e il 17 novembre 1942 divenne solo apparente con la delega della propria firma allo stesso Laval. Antidemocratico e antiparlamentare, P. aveva voluto essere, sulla sconfitta militare (giudicata da lui definitiva e non riscattabile mercé una vittoria anglo-americana in cui non credeva), il creatore di una nuova Francia conservatrice. Disposto, almeno in un primo tempo, per il raggiungimento di tale fine a patteggiamenti con la Gerrmania, inclinò poi piuttosto verso una cautissima politica di attesa. Il 20 agosto 1944 - facendo prevalere fino all'estremo la politica di collaborazione ad una soluzione schiettamente francese della situazione (missione affidata l'11 agosto da P. all'ammiraglio P. Auphan di regolare il passaggio dei poteri col nuovo governo provvisorio), trasportò il governo a Belfort e poi a Sigmaringen, nella Svevia. Istruendosi a Parigi il suo processo, chiese il 5 aprile 1945 a Hitler il permesso di rientrare in Francia e il 24 si costituì prigioniero alla frontiera svizzera: dopo un lungo processo, in cui larga facoltà difensiva gli fu concessa, ma nel quale P. assunse la posizione di non riconoscere l'autorità dell'Alta Corte di giustizia, fu condannato a morte (15 agosto 1945). Commutata la pena nella detenzione perpetua, è stato internato in fortezza nell'isoletta di Yeu.

Bibl.: Priva di importanza scientifica è la massima parte della vasta letteratura su Pétain: si segnala tuttavia, in senso pétainista: L. Romier, Esquisse d'un portrait moral de Philippe Pétain, Parigi 1942; R. Benjamin, Les septs étoiles de France, ivi 1942 e Le Grand homme seul, ivi 1943, e il cortigiano Paris au Maréchal, ivi 1942; e in senso contrario: A. Schwob, L'affaire Pétain, ivi 1945 (ricco però di documentazione). L'unica documentazione sicura resta sempre il processo (da esaminare nei resoconti del Journal Officiel o, in mancanza, nell'ediz. Albin Michel: le altre sono più o meno falsate), che è utile integrare con i resoconti degli altri processi e con l'edizione dei messaggi del mraesciallo Paroles aux Français, Lione 1941; da integrare pure, da un lato con H. DuMoulin de Labarthète, Le temps des illusions. Souvenirs, Ginevra 1946; P. Nicolle, Cinquante mois d'armistice, Parigi 1947; meno utile L. D. Girard, Montoire. Verdun diplomatique, ivi 1948, dall'altro con Pertinax, Les fossoyeurs, New-York 1943; A. Lebrun, Témoignage, Parigi 1945; P. Reynaud, La France a sauvé l'Europe, ivi 1947; W. Stucki, La fin du régime de Vichy, Neuchâtel, 1947. Essenziale è pure Laure, Pétain, Parigi 1942, ispirato dallo stesso Pétain. Per alcuni spetti dell'attività diplomatica, cfr. L. Rougier, Mission secréte à Londres, Ginevra 1946, e W. Langer, Our Vichy gamble, New York 1947.

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