PIAN DEL CARPINE, Giovanni da

Enciclopedia Italiana (1935)

PIAN DEL CARPINE, Giovanni da

Giorgio Pullè

Frate dell'ordine dei minori, nato con tutta probabilità agl'inizî dell'ultimo decennio del sec. XII, e uno dei primi compagni di S. Francesco. Secondo l'opinione più accreditata, egli avrebbe avuto i natali in località di Pian del Carpine (o Villa del Carpine), che si trova indicata con questo nome anche in vecchie carte, nel territorio perugino, non lungi dal Trasimeno, e detta attualmente Magione. È da escludersi in modo assoluto qualsiasi parentela con la famiglia dei Nobili del Piano dei Carpini, ora estinta. Il nome di fra Giovanni dal P. del C. compare per la prima volta in occasione del capitolo generale, tenuto alla Porziuncola il 30 maggio 1221 da S. Francesco, allorché fu deciso l'invio d'una missione in Germania a diffondervi l'ordine dei frati minori, sotto la guida di Cesario da Spira: e frate Giovanni fu uno dei prescelti per la sua facondia nel predicare e per l'energia del carattere. Dopo una sosta nei conventi dell'Umbria e della Lombardia, frate Giovanni passò, sempre predicando, da Trento, Bolzano, Bressanone, Vipiteno, e quindi si recò ad Augusta, a Magonza, Spira, Colonia e Worms. Nel 1223 egli è nominato custode della provincia della Sassonia; nel 1224 è richiamato e destinato a Colonia, e quattro anni dopo, nel 1228, assume la carica di provinciale della Germania, spiegando attività e alacrità meravigliose, ingrandendo conventi, istituendo l'Ordine in Lotaringia e inviando missioni in Boemia, Ungheria, Danimarca e persino in Norvegia. È questo uno dei momenti culminanti della sua vita di religioso e le cronache parlano di lui con copia di particolari, descrivendone la persona ed esaltandone le virtù morali. Di animo nobile, non ristette mai dal predicare e consigliare atti di pace e carità, ma quando si dovessero difendere i diritti dell'ordine contro le prepotenze dei principi e contro i soprusi dei vescovi, egli sapeva anche spiegare tutta la fermezza del suo carattere, entrando in lotta aperta con i suoi avversarî. Nel 1230 frate Giovanni si recava in Italia per assistere alla traslazione del corpo di S. Francesco, e quindi passava, sempre con la carica di provinciale, in Spagna, donde però nel 1232 tornava in Germania. Sino al 1243 pare rimanesse costantemente nei paesi dell'Europa centrale in qualità di provinciale di Polonia e Sassonia, e poi, molto probabilmente, di Colonia, dove lo troviamo intento a predicare la crociata contro i Mongoli, che avevano invaso, devastandole, la Polonia e l'Ungheria. Intorno al 1243 passa alla Corte di Innocenzo IV, dal quale, due anni più tardi, viene inviato come legato della Santa Sede al gran khān dei Tartari. Assolta questa missione nel modo che ora si dirà, tornò ad Avignone nel 1247 e vi rimase tre mesi; poi venne incaricato d'una nuova missione diplomatica presso Luigi IX di Francia allo scopo d'indurlo a protrarre la partenza per la Terra Santa e a non abbandonare la chiesa in balia dell'imperatore Federico II. Non lieti furono gli ultimi anni della vita di frate Giovanni. Inviato con il grado di arcivescovo ad Antivari - dove erano scoppiati gravi disordini e violente lotte con l'arcivescovo di Ragusa - per ricondurre la pace, non pare ch'egli ottenesse lo scopo, e anzi una volta si trovò prigioniero dei turbolenti. La contesa si protrasse, ma non ci è dato conoscerne la soluzione definitiva. Frate Giovanni, vecchio d'anni, affranto dalle non lievi fatiche della sua vita di religioso, addolorato dalle tristi vicende degli ultimi anni, moriva il 1° agosto 1252.

Frate Giovanni oltre che per le sue azioni di religioso si raccomanda alla storia per la sua missione al gran khān dei Tartari, che gli diede occasione di scrivere la sua Historia Mongalorum, la quale è un vero trattato storico-geografico sul paese e le genti dei Tartari, il più antico dei documenti, compilato da un Europeo, sulla geografia dell'Asia Centrale. La relazione di frate Giovanni, di cui esistono due versioni (una delle quali, la seconda, contiene, oltre a molte aggiunte parziali, anche un nono capitolo con la descrizione dell'itinerario), è divisa in otto capitoli, preceduti da un prologo. In questo egli espone gli scopi della sua missione e cioè recarsi fra i Tartari per studiarne gli usi e costumi, e indagarne le intenzioni soprattutto in relazione alle voci, che correvano in Europa, su una loro prossima nuova invasione. Quindi egli viene a parlare dell'aspetto e della natura della terra dei Mongoli (cap. 1°), degli abitanti (cap. 2°), della religione (cap. 3°), dei costumi (cap. 4°), delle conquiste e delle maggiori imprese militari dei Mongoli (cap. 5°), del modo tenuto dai Mongoli nel condurre la guerra (cap. 6°), dei metodi di conquista e dell'organizzazione delle terre conquistate (cap. 7°), dei mezzi da usarsi per combattere i Mongoli (cap. 8°). Ogni capitolo è a sua volta suddiviso in paragrafi. L'esposizione della materia risulta perciò ordinata, forse anche troppo sistematica e metodica; lo stile è serrato, scevro di ornamenti letterarî, e così il periodo appare scheletrico, rigido, ciò che rende la lettura non sempre dilettevole. Ma frate Giovanni dichiara di avere ricercato la chiarezza, la precisione allo scopo non di dilettare, ma di istruire. Forse è questa una delle ragioni per cui la relazione di frate Giovanni ebbe, soprattutto nel Medioevo e agl'inizî dell'età moderna scarsa diffusione, contrariamente a quanto avvenne per altre relazioni di viaggi, infarcite di racconti mirabolanti, destituiti d'ogni fondamento di verità. Non mancano, è vero, nella Historia Mongalorum errori e lacune, ma il complesso delle notizie rivela sufficiente esattezza; l'osservazione acuta, i giudizî ponderati, soprattutto quando si tratta di notizie raccolte direttamente. Questo è il merito principale dell'opera di frate Giovanni, il quale ha anche avuto l'avvertenza di sceverare, con opportuni incisi, le notizie raccolte dai suoi informatori, da quelle che sono frutto della sua personale osservazione. Dove l'opera di frate Giovanni è manchevole, è quando egli vuol fare l'erudito: allora cade spesso in errori, dovuti più che altro all'influsso di idee, opinioni e dottrine generalmente divulgate nel Medioevo, al quale un uomo del secolo XIII non poteva troppo facilmente sottrarsi. Importanti sono specialmente le notizie di carattere geografico sulla Mongolia, la descrizione dell'abito fisico e morale dei Mongoli, le notizie di carattere militare e le osservazioni molto sagaci ch'egli fa sul diverso modo di combattere dei Mongoli, in confronto delle milizie europee. Notevole, per il valore storico, è l'elenco da lui compilato dei principi e generali mongoli e che con le genealogie cinesi rimane una delle fonti più attendibili. E altrettanto si dica di molte osservazioni sparse nei varî capitoli della relazione. Questa poi, in alcuni codici, è accompagnata da una seconda brevissima relazione dettata dal compagno di viaggio di frate Giovanni, frate Benedetto di Polonia. Intorno all'itinerario del viaggio compiuto per raggiungere la corte del gran khān vi sono non poche incertezze. Lasciata la corte pontificia, i legati partivano da Lione il 16 aprile 1245, attraversando la Germania e la Boemia e fermandosi a Praga e Breslavia. Quindi passano da Liegnitz e da Cracovia, per raggiungere Kiev, che lasceranno il 4 febbraio 1246. Il 23 dello stesso mese entrano per la prima volta in contatto con alcuni Mongoli, che li condurranno alla corte del principe Bātū sulle rive del Volga, presso l'odierna Astrachan (4 aprile). Proseguono dipoi per Yanghi-kend (città situata sulle rive di uno dei bracci minori del Syr-darja), e da essa partono il 17 maggio, raggiungendo la vallata dell'Ili verso il 24 giugno, donde, per il passo di Talki e la Zungaria, seguendo la via nota ai Cinesi come T'ien-shan-pe-lu o la via a settentrione dei Monti Celesti, perverranno il 22 luglio alla corte del gran khān (Kuyuk figlio di Okodai) situata a poche miglia da Karakorum. Quivi sostarono per circa 4 mesi. Il viaggio di ritorno s'iniziava il 13 novembre 1246 e procedeva, fra stenti gravissimi a causa del rigido inverno, a un dipresso per il medesimo itinerario dell'andata; solo il 9 maggio 1247 i reduci erano al campo di Bātū, donde passarono a Kiev e più tardi facevano ritorno in Francia, dopo oltre due anni e mezzo di assenza. Dal punto di vista diplomatico, la missione non ebbe esito favorevole: la fiera risposta del gran khān al pontefice non dava, infatti, adito né a trattative, né a ulteriori ambascerie.

Ediz.: G. Raymond Beazley, The text and versions of John of Plano Carpini and William de Rubruquis, ecc., Londra 1903.

Bibl.: M. d'Avezac, Relation des Mongols ou Tartares par le frère Jean de Plan Carpin, ecc., Parigi 1839; G. Pullé, Historia Mongalorum, ecc., in Studi italiani di filologia indoiranica, IX, Firenze 1913; id., Viaggio ai Tartari di fr. G. da P. d. C., Milano 1929; A. van den Wyngaert, Sinica Franciscana, I, Firenze 1929; H. Matrod, Notes sur le voyage de Frère Jean de Plan-Carpin (1245-47), in Études franciscaines, XXVII-XXVIII, 1912; G. Fatini, Un precursore di Marco Polo (Fra G. da P. di C.), in Rivista d'Italia, 1915.